141A. Gramigna, M. Righetti, “…Svegliandomi mi sono trovato ai margini: per una pedagogia della
marginalità”,
op. cit., pp. 151-152.
142 L. Regoliosi, La strada come luogo educativo, Unicopli, Milano, 2000. 143 S. Mezzadra, B. Nelson, Confini e frontiere, Il Mulino, Bologna 2014.
144 B. Hooks, Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Feltrinelli, Milano, 1998 145 A. Gramigna, M. Righetti, Pedagogia solidale, op. cit., p. 158.
75 Proprio lo spazio aperto della strada ha guidato l’azione di Don Milano nei primi anni della seconda metà del Novecento. La scelta operata da Don Milani è quella di abbandonare le pratiche tradizionali della vita clericale per abbracciare la vita di coloro che vivono in una situazione di forte deprivazione, in modo particolare nel periodo storico in questione. L’idea che muove l’azione è quella che abbiamo visto anche in Freire, cioè quella di combattere chi è causa della povertà perché «combatterlo è l’unico modo di amarlo»147 e per combattere lo strumento scelto è l’educazione e
l’istruzione poiché «il mondo ingiusto l’hanno da raddrizzare i poveri e lo raddrizzeranno solo quando l’avranno giudicato e condannato con mente aperta e sveglia come la può avere solo un povero che è stato a scuola»148. È possibile apprezzare come le teorie di P. Freire e di Milani seppur geograficamente e culturalmente lontane convergano e si accordino sull’educazione come strumento privilegiato e predisposto alla liberazione del dominio dell’oppressore sul povero.
L’esperienza di Don Milani, quella della scuola di Barbiana divenuta celebre grazie al testo che redige “Lettera a una professoressa”149 si costruisce su un principio che è
quello dell’educazione come essenza politica e sociale150. Configurandosi con questi
elementi la scuola non è un luogo privilegiato e distaccato dal mondo esterno, ma vive e cresce insieme a questo e quindi la scuola diventa un luogo politico perché così come la politica la scuola si interessa dei propri studenti fornendo loro gli strumenti adeguati allo sviluppo di una coscienza e di un pensiero critico che li rende autonomi. Si configura, inoltre, come un luogo che deve educare a ribellarsi al potere dominante e proprio per queste caratteristiche specifiche che le discipline insegnate da Don Milani spesso esulano da quelle tradizionali impartite nelle altre scuole d’Italia. Alla base della scuola di Barbiana c’è il prendersi cura dell’altro perché è proprio con questa pratica che le differenze di classe scompaiono e la relazione che si instaura tende a essere il più autentica possibile.
147 P. Cristofanelli, Pedagogia sociale di Don Milani, EDB, Bologna, 1975, p. 54. 148 L. Milani, Esperienze pastorali, LEF, Firenze, 1985, p. 105.
149 L. Milani, Lettera a una professoressa, LEF, Firenze. 150 X. Basalú, Pedagogía y política, disponibile in
http://www.sinpermiso.info/sites/default/files/textos//6besalu.pdf, 15, 2012, pp. 739-768. (ultima consultazione 20/10/20).
76
D. Demetrio e l’educazione degli adulti contro la povertà
Rimanendo all’interno del contesto italiano è doveroso citare la riflessione operata da D. Demetrio151 che prima dell’avvento della globalizzazione delinea quelle che secondo lui sono le strategie teoriche e pratiche nella lotta alla povertà rivolgendo il suo sguardo all’età adulta. Vogliamo introdurlo successivamente alla citazione dell’azione di don Milani come elemento di continuità tanto concettuale quanto suggerimento di strategie dirette a una fase della vita successiva rispetto a quella evidenziata in Milani.
L’idea esposta da Demetrio muove verso una concezione dell’educazione che si configura come «riappropriazione di quello che potremmo chiamare un ‘privato- collettivo’. Perché i soggetti, a prescindere dalla domanda esplicita […] parrebbero cercare le fonti educative per sfuggire all’emarginazione e alla solitudine; perché parrebbero voler uscire da un privato ghettizzante per ristabilire un ponte con altri mondi ma, pur sempre, a partire dalla esigenza di riorganizzare il proprio modello di vita, la propria ‘teoria’ della vita a partire innanzitutto dalla propria re- identificazione»152. È apprezzabile come anche il pensiero del pedagogista muova
verso una definizione della rivoluzione mediante l’educazione che chiama in causa aspetti della vita del soggetto che sono indipendenti dal reddito posseduto e come l’azione educativa si configura come strumento di contrasto al pensiero dominante. Demetrio, infatti, vede la povertà come una subalternità e una dipendenza intellettuale, culturale e funzionale e, all’interno di questa cornice, introduce l’educazione come strumento capace di riattivare capacità, progettualità e competenze. Elementi, questi, che vengono declinati secondo precise modalità attuative:
▪ Istruzione degli adulti per combattere l’analfabetismo ▪ Promozione delle professionalità
▪ Servizi socioeducativi di aiuto all’età adulta in difficoltà
È facilmente apprezzabile come tutti gli elementi suggeriti da Demetrio siano comuni anche nel pensiero degli altri autori che abbiamo citato in precedenza e come questi rappresentino anche per questo autore un percorso utile alla lotta della trappola della povertà affermando che «la sfida delle vecchie e nuove povertà è quindi una questione
151 D. Demetrio è un pedagogista e filosofo italiano.
152 D. Demetrio, L’educazione degli adulti contro la povertà: il dibattito teorico, ricerche e esperienze, FrancoAngeli, Milano, 1987, pp. 8-9.
77 che l’educazione degli adulti può giocare all’interno di una teoria della complessità sociale e della complessità dei servizi; della pluralità delle esperienze e della polivalenza dei molti operatori possibili in grado di gestire, a prescindere della loro professionalità d’origine, il momento educativo con il quale si confrontano»153.
È doveroso in questo senso elaborare delle teorie che vadano a incidere e a operare concretamente all’interno di molteplici scenari e che costruiscano percorsi differenti sia per tutte le individualità coinvolte che per i differenti momenti della vita in cui il soggetto si trova a vivere. Chi sperimenta situazione di deprivazione, come abbiamo visto, vive un’impossibilità capacitiva di dirigere la propria vita e le proprie capacità in direzione di un benessere e questa peculiarità del soggetto adulto necessita di una riflessione specifica che secondo le affermazioni di R. Gnocchi si definisce come una «pedagogia del disagio che trova la sua ragion d’essere nell’educazione delle relazioni attraverso un’attenzione particolare: la cura delle relazioni stesse»154. Si definisce così
che l’azione educativa passa attraverso la relazione con l’altro in quanto solo all’interno di questo scenario è possibile restituire il ruolo di protagonista all’altro, privandolo delle imposizioni della cultura dominante a favore delle proprie capacità e risorse. Così come per gli autori precedentemente citati, anche per Gnocchi uno dei luoghi dove l’azione educativa deve intraprendere il suo percorso di azione è la strada, proprio quello spazio di marginalità che in numerosi casi contraddistingue la vita di molti individui.
All’interno di questo capitolo abbiamo potuto apprezzare come disegnare percorsi che non includano un elemento precisamente economico, come un supplemento al reddito o la gratuità di alcuni servizi, si configurano come unici elementi utili al contrasto delle povertà. Altresì è stato possibile osservare come è proprio nelle strategie alternative che possiamo trovare esempi più incisivi nella vita delle persone, proprio grazie a percorsi educativi che sono stati intrapresi. È necessario che questi siano orientati verso il soggetto rendendolo protagonista della propria azione liberatrice e non “educarlo” mediante l’adozione di tecniche predisposte da una cultura che non gli appartiene e che lo emargina. Il soggetto si riappropria della sua libertà nel momento
153 Ivi, p. 67.
154 R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto. Dialogo interdisciplinare e accompagnamento educativo,
78 in cui riesce a liberarsi della cultura dominante diventando egli stesso in grado di adempiere alle sfide della vita.
79