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4. APPROCCIO CHIRURGICO

4.2. Mini-invasivo

4.2.3. Mini-circolazione extracorporea (mini-CEC)

La chirurgia coronarica a cuore battente (off-pump) ha dimostrato come, per un intervento di rivascolarizzazione miocardica, evitare l'impiego della CEC sia importante, specialmente per quella categoria di pazienti considerati ad alto rischio a causa di particolari condizioni cliniche come: età avanzata, severa vasculopatia centrale (aorta a porcellana) e periferica, insufficienza renale, fragilita' neurologica multifattoriale.

I dati forniti dagli studi sui fenomeni e sulle dinamiche dell'attivazione ematica a contatto con superfici “non biologiche” e con l'aria hanno dimostrato come queste due condizioni rappresentino l'innesco per quella serie di reazioni culminanti con l'instaurarsi di una condizione flogistica sistemica (SIRS).

E’ inevitabile che durante un intervento in circolazione extracorporea a circuito aperto il sangue venga costantemente a contatto con aria (cavità pleuriche, reservoir del circuito) e superfici estranee (tubi, scambiatore di calore, filtri, trappola per bolle, fibre cave dell’ossigenatore).

Se da un lato è vero che la risposta infiammatoria alla CEC (attivazione piastrinica, attivazione dei neutrofili, dei mastociti, del sistema complementare) sia un evento difficilmente prevedibile, è altrettanto vero che l'entità di questa risposta sia fortemente variabile ed influenzabile da diversi fattori come il tipo e la durata dell'intervento, la gestione del by-pass cardio-polmonare, le condizioni globali del paziente all'ingresso nella sala operatoria, per citarne alcuni. In questo senso le sequele post-operatorie correlabili all'impiego della CEC e della conseguente SIRS possono figurare tra le cause di un allungamento dei tempi di degenza e più in generale di un non ottimale outcome post- operatorio. Tuttavia le numerose pubblicazioni effettuate nel corso degli anni hanno piuttosto ridimensionato l'entusiasmo per la “tecnica a cuore battente” portando alla conclusione che un tra un intervento di chirurgia coronarica off-pump e il medesimo eseguito in CEC non esistono differenze così significative da giustificare l'impiego di una metodica rispetto ad un'altra. Tale risultato si è raggiunto anche e grazie a un costante sviluppo in termini qualitativi dei materiali impiegati per il by-pass cardio-polmonare che ha visto dapprima l'impiego di superfici inerti come il PVC (polivinilcloruro), il polipropilene, successivamente trattate con eparina e più recentemente con la Fosforicolina, mimando di fatto alcune caratteristiche dell'endotelio vasale tra cui la tromboresistenza. Questa considerazione ci spinge inevitabilmente nel campo della biocompatibilità che in circolazione extracorporea si estrinseca attraverso delle direttive ben definite:

SANGUE < > SUPERFICE DI CONTATTO < > FLUSSO

I confini che separano questi tre temi sono estremamente sottili o meglio, parlando di sangue, qualità delle superfici estranee e flusso che viene sviluppato attraverso esse, possiamo trovare soluzione di continuità. Tuttavia un ulteriore passo in avanti si è compiuto, tentando infatti di abbattere uno dei principali determinanti dell'attivazione ematica, di cui si è accennato prima: l'aria. A questo punto appare del tutto naturale l'ulteriore sconfinamento in un nuovo campo o forse sarebbe più corretto dire in un nuovo concetto, quello della circolazione extra-corporea a circuito chiuso o mini-circolazione extracorporea (mini-CEC) in cui probabilmente vi è rinchiusa la sintesi estrema del concetto di biocompatibilità:

• superfici bioattive;

• riduzione della superficie di contatto sangue-biomateriale; • eliminazione del contatto aria-sangue;

• riduzione dell'emodiluizione; • riduzione eparinizzazione;

separazione sangue proveniente dagli aspiratori con sangue del by-pass cardio- polmonare.

Vale la pena a questo punto fare alcune considerazioni. Teoricamente l'impiego della mini- CEC è in grado di offrire diversi indiscutibili vantaggi:

1) MINIATURIZZAZIONE CIRCUITO > RIDUZIONE EMODILUIZIONE > MANTENIMENTO % Hct ↑

La miniaturizzazione del sistema permette di ridurre sensibilmente il priming consentendo il mantenimento dell'Hct del paziente su valori ottimali e quindi una pressione di perfusione ed un apporto di O2 dei tessuti costantemente adeguati.

2) S U P E R F I C I B I O L O G I C A M E N T E AT T I V E > ↓ AT T I VA Z I O N E D E L L A COAGULAZIONE > ↓EPARINIZZAZIONE SISTEMICA

In questo caso l'impiego di materiali bioattivi sperimentato già nei circuiti aperti ha ampiamente dimostrato come i fenomeni di assorbimento proteico (fibrinogeno, albumina, gamma-globulina) e sequestro piastrinico siano sensibilmente ridotti. Considerando inoltre la drastica diminuizione delle superfici a contatto con il sangue per la natura stessa del sistema si può intuire come l'entità di questi fenomeni sia fortemente ridimensionata.

3) ELIMINAZIONE CONTATTO ARIA-SANGUE > SEPARAZIONE SANGUE- ASPIRATORI > ↓↓ FENOMENI D’ATTIVAZIONE EMATICA (↓ENDOTOSSINE; ↓COMPLEMENTO)

Eseguire un intervento in mini-CEC richiede un grande sforzo di coordinazione da parte dell'equipe operatoria, questo perché l'approccio chirurgico, la gestione farmacologica e della perfusione stessa sono sensibilmente differenti di quanto non sia impiegato in un tradizionale sistema aperto. Per comprendere al meglio ciò, è necessario anteporre una considerazione su tutte: mini-CEC vuol dire impiegare un sistema chiuso (no reservoir), separato dagli aspiratori di campo, bassa emodiluzione ed eparinizzazione, che richiede alcuni presupposti fondamentali:

➢ appropriate e corrette sedi di cannulazione;

➢ non eccessiva somministrazioni di liquidi paziente pre-CEC; ➢ scoagulazione bilanciata;

➢ attenta gestione assetto pressorio del paziente durante CEC; ➢ impiego sistemi per il recupero sangue-aspiratore.

Si tratta quindi di una serie di specifiche accortezze senza il rispetto delle quali l'intervento può seriamente complicarsi, ragion per cui una sbagliata cannulazione, specialmente nel drenaggio venoso o nella sede del vent, può essere causa di un eccessivo ingresso d'aria nel circuito, vanificando in partenza il presupposto chiave di eliminazione del contatto sangue-aria; un'emostasi approssimativa può provocare sanguinamento talora eccessivo e quindi costringere il perfusionista a recuperare e processare grosse quantità di sangue con conseguente perdita di plasma. Ugualmente la gestione anestesiologica del paziente nelle fasi preliminari all'ingresso in CEC richiede un giusto mantenimento del bilancio idrico e dell'assetto pressorio. Iniziare il by-pass cardio-polmonare col paziente in forte bilancio idrico negativo comporta per il perfusionista inevitabilmente delle grandi problematiche per portare i flussi a regime di perfusione totale e sovente ci si trova costretti a reinfondere quantità di liquidi non indifferenti per far fronte a fenomeni di cavitazione o di eccessiva pressione negativa all'interno del circuito. Similarmente questa condizione può manifestarsi a fronte di una non controllata vasodilatazione sistemica con fenomeni di furto della massa. Anche in questo caso un'eccessiva reinfusione di liquidi può compromettere un altro punto cardine della mini-CEC: l'abbattimento dell'emodiluizione. A fronte di tutto ciò, si deve tener comunque conto che i vantaggi della mini-CEC nascono proprio dalle sue caratteristiche:

MINIATURIZZAZIONE SISTEMA > ↓EMODILUIZIONE > ↓RICHIESTA DI TRASFUSIONI > ↓COMPLICANZE DEGLI ORGANI > ↓TEMPI DEGENZA

anche se, di fatto, i benefici dovranno essere dimostrati da una maggiore quantità di studi prospettici randomizzati, comparando i sistemi aperti con quelli chiusi; inoltre per la (relativa) complessità e per l'innovazione che reca il sistema, l'equipe operatoria: cardiochirurghi, perfusionisti ed anestesisti, necessita di quella che viene definita come "learning curve", ossia di quel percorso di apprendimento ma soprattutto di assorbimento della tecnica, al fine di esprimerne al massimo le potenzialità ed i benefici ad essa associati365.