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4. Lineamenti del narrativo poliano: brevitas

4.2 Racconti miracolistici

4.2.3 Miracolo della colonna

All’altezza del capitolo 51 Marco Polo racconta un miracolo accaduto a Samar-canda, che ha salvato la chiesa di San Giovanni Battista dalla distruzione giacché i cri-stiani dovevano restituire la colonna portante di tutta la struttura ai musulmani dopo la morte di Ciagatai:

3 E diròvi una maraviglia ch’avenne in questa terra.

4 E’ fu vero, né no è grande tempo, che Gigata, fratello del Grande Cane, si fece cristiano, e era signore di questa contrada. 5 Quando li cristiani della cittade videro che·llo signore era fatto cristiano, ebbero grande alegrezza; e allora fecero in quella cittade una grande chiesa a l’onore di san Giovanni Batista, e cosí si chiama. 6 E’ tolsero una molto bella pietra ch’era d’i saracini e poserla in quella chiesa e miserla sotto una colonna in mezzo la chiesa, che sostenea tutta la chiesa. 7 Or venne che Gigatai fu morto, e gli saracini, vedendo morto ’l segnore, abiendo ira di quella pietra, la volloro tòrre per forza; e poteallo fare, ch’erano .x. cotanti che gli cristiani. 8 E mossorsi alquanti saracini e andarono a li cristiani, e dissero che voleano questa pietra. 9 Li cristiani la voleano comperare ciò che·nne voleano; li saracini dissero che no voleano se non la pietra. 10 E alott[a] l[i] signoregiava lo Grande Cane, e comandò a li cristiani che ’nfra .ij. die li rendessero la loro pietra. 11 Li cristiani, udendo lo co-mandamento, funno molto tristi e non sapeano che·ssi fare. 12 La mattina che·lla pietra si dovea cavare di sotto dalla colonna, la colonna si trovò alta di sopra a la pietra bene .iiij. palmi; e non toccava la pietra per lo volere del Nostro Signore. 13 E questa fue tenuta grande meraviglia e è ancora; e tuttavia v‹i› stette poscia la prieta.

La narrazione si apre con un’avvertenza del narratore riguardo alla tipologia del racconto, informa che esso contiene qualcosa di sovrannaturale, cioè una «maraviglia» (classificazione comune nel Milione, usata per quei fenomeni che non trovano spiega-zione nella quotidianità). A questo avviso segue una affermaspiega-zione di veridicità: prima

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ancora di raccontare il miracolo il narratore asserisce che è un fatto veridico, il che è un uso comune nei testi appartenenti alla brevitas medievale.

I personaggi al centro della vicenda sono ancora una volta cristiani e musulmani; l’oggetto conteso è una pietra di proprietà dei musulmani, usata come base per una co-lonna nella costruzione di una chiesa cristiana; compaiono ancora i nomi di Ciagatai e il Grande Khan. Il tempo nel racconto si svolge in modo lineare senza la presenza di ana-lessi, prolessi o anacronia. Il testo converge in un narrato celere, così che la conclusione non appare in una sequenza successiva al culmine del racconto, bensì al suo interno, quindi dal punto più alto della narrativa scaturisce la conclusione come conseguenza di-retta e internamente legata.

Il narratore mette i lettori al corrente delle vicende che hanno portato alla contesa, così racconta che quando i cristiani di Samarcanda costruirono la chiesa di San Giovanni Battista, per festeggiare la conversione di Ciagatai al cristianesimo, usarono una pietra appartenente ai musulmani per appoggiarvi una colonna, e la posero in un punto di raf-forzamento in modo tale che questa colonna sorreggeva tutta struttura della chiesa. Dopo la morte di Ciagatai, la signoria della città passò al Grande Khan. I musulmani andarono a richiedere la pietra e, nonostante gli sforzi dei cristiani, disposti anche ad acquistarla, pur di non vedere crollare la chiesa, essi declinarono l’offerta in quanto arrabbiati all’idea che una loro pietra sostenesse un tempio cristiano.

Nel testo la richiesta dei musulmani e la loro risposta alla proposta di acquisto della pietra sono riportate in un discorso indiretto che sintetizza le parole degli arabi in due battute, entrambe introdotte da «dissero», segnando il carattere di citazione del discorso in un movimento dinamico che non rallenta l’andamento del racconto, ma velocizza la transizione da una sequenza all’altra. Dopo il rifiuto dei musulmani a vendere la pietra, il Grande Khan ordinò ai cristiani di restituirla entro due giorni.

La mattina in cui la pietra doveva essere restituita avvenne un miracolo e la colonna – sotto la quale era la pietra – fluttuava nell’aria così in alto da non poter essere toccata da nessuno. Nell’explicit il narratore conferma la vittoria dei cristiani, informando che quella pietra è ancora nella chiesa, poiché dinanzi a tale miracolo i musulmani non pote-vano che lasciare le cose come stapote-vano.

Il testo si costruisce a partire da periodi brevi che sembrano stabilire una alternanza tra paratassi e ipotassi, con la descrizione dei fatti collocata al centro della narrativa

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marcata dalla breviloquenza; l’avvio dei periodi è maggiormente introdotto da e o dall’ar-ticolo determinativo, soltanto uno dalla temporale. La preferenza per l’essenziale si con-ferma nella scarsità delle descrizioni in generale e nell’esigua presenza di aggettivi. È riscontrabile nel testo l’uso dell’anadiplosi che rafforza l’immagine della colonna enfa-tizzando il momento del miracolo. Nonostante la brevità del racconto si nota un variegato uso di risorse verbali che rendono la struttura testuale più dinamica e priva di prolissità.

In questo racconto – come nei due precedenti – Marco Polo stabilisce una sorta di competizione tra musulmani e cristiani, dove ancora una volta i cristiani vincono soltanto per la forza della fede. Interessante notare che nella struttura della trama dei miracoli sono sempre gli arabi ad iniziare la contesa, compiendo un’offesa nei riguardi dei cristiani, cercando sempre di umiliarli/sminuirli, per poi ucciderli a causa della loro fede. Tuttavia in questo caso i cristiani hanno sbagliato ad usare una pietra che non era di proprietà loro, ma il Polo interpreta in modo tale che agli occhi del lettore i saraceni sono in errore, così anche in questo racconto nel momento decisivo avviene il miracolo che salva tutti i cri-stiani dalla morte e dalla vergogna.

4.2.3.1 La colona librata tra storia e leggenda

Marco Polo in questo aneddoto narra di un miracolo che afferma essere accaduto a Samarcanda, nella chiesa di San Giovanni Battista e ne impedì la distruzione, la quale sarebbe dovuta essere causata dalla rimozione di una pietra appartenente ai musulmani su cui era appoggiata la colonna centrale del tempio. Egli parla della costruzione della chiesa nel tempo del governo di Ciagatai, condottiero e governatore mongolo fratello del Gran Khan Ögödei, per festeggiare la sua adesione alla fede cristiana, nell’occasione del suo battesimo.

Nonostante il veneziano asserisca su una possibile conversione di Ciagatai, non esi-stono dati storici che confermano che questa sia veramente accaduta, tuttavia, conside-rando l’atmosfera intrisa di sincretismi che si respirava nell’impero del Gran Khan, non è del tutto improbabile che il condottiero si sia convertito al cristianesimo e sia stato bat-tezzato, ciò nonostante una delle ipotesi più probabili è che abbia aiutato i cristiani

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facendo fronte comune contro la minaccia islamica che li terrorizzava, senza però una vera conversione225.

Secondo quest’ultima ipotesi, il sovrano dell’impero di mezzo rappresentava una sorta di protettore per i cristiani della città e dei territori di Samarcanda, in modo tale che soltanto dopo la sua morte i maomettani chiesero la restituzione della loro pietra. Marco Polo coglie in questo racconto l’opportunità di illustrare quanto i musulmani siano, a suo vedere, scaltri e malvagi e colgono ogni occasione per dimostrare il loro odio e disprezzo nei confronti dei cristiani.

Dopo la morte di Ciagatai tutte le terre sotto il suo dominio dovettero passare sotto il controllo dell’impero centrale mongolo del Gran Khan il quale nominava il nuovo go-vernatore del khanato. Ne conseguì che il figlio di Ciagatai, da poco convertito all’islam, sia stato nominano signore della città di Samarcanda226. Questo avvenimento complicò la posizione dei cristiani che ricevettero l’ordine di restituire la pietra ai legittimi proprietari. Nel testo il Polo afferma che è stato Kubilai a dare l’ordine della restituzione della pietra, ma sembra plausibile pensare che si riferisca al figlio di Ciagatai, che nella posizione di «vicario» di Kubilai dava ordini in nome suo.

Il racconto si chiude con la colonna sospesa in aria davanti agli occhi di tutti, con-fermando il potere della fede dei cristiani nel loro Dio. Il miracolo venne riconosciuto persino dai musulmani come grande meraviglia rimasta impressa nella memoria locale in modo indelebile e la notizia si diffuse in Oriente negli ambienti cristiani. La gente del posto affermava che la pietra era ancora in quella chiesa perché nessuno aveva osato ri-muoverla. In alcune situazioni il prodigio narrato è tale da convertire persino i saraceni più ostinati, a riprova della grandezza del Dio cristiano rispetto a quello musulmano, pen-siero questo che il veneziano riesce ad esternare sempre in modo arguto rispetto agli altri viaggiatori di quell’epoca.

Come gli altri due miracoli questo racconto gravita attorno ad un nucleo fantastico ove il Polo si addentra creando meraviglia e stupore attraverso un oggetto, una colonna, che fluttua nell’aria suscitando l’ammirazione di tutti i presenti. Come solitamente accade nel Milione, Marco Polo riesce a trasformare una notizia banalmente conosciuta in un

225 BUSSAGLI, M. La grande Asia di Marco Polo In Venezia e l’Oriente Arte commercio, civiltà al tempo di Marco Polo, a cura di A. Zorzi. Milano, Electa, 1981, p. 180.

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racconto grandioso, perché dà vita alla storia ambientandola in un luogo importante per i cristiani della regione, inserendola in uno scenario dove il sovrano non ha un atteggia-mento ostile nei loro confronti, ma che dopo la sua morte improvvisa li vedono minac-ciare di distruggere il loro tempio, così entrano in scena forze che trascendono l’ordinario per sconfiggere i rivali musulmani e portare alla vittoria ancora una volta i combattenti cristiani.

Marco Polo non fornisce dettagli particolari su Samarcanda a prova che non ha mai visitato la città, ma bensì ha appreso il racconto da altre persone, più probabilmente da Nicolò e Matteo Polo. La notizia del miracolo non era circoscritta alla regione vicina la città, ma era conosciuta persino dai cristiani nestoriani in Cina, a dimostrazione dell’uni-ficazione della setta in tutto l’impero227 grazie al sostegno dell’imperatore. Si può dunque desumere che l’origine della storia del miracolo abbia radici presso gli ambienti orientali dove si diffuse la setta dei nestoriani.