4. Lineamenti del narrativo poliano: brevitas
4.4 Racconti novellistici
4.4.2 La vendetta del re d’Abasce contro il Sultano di Aden
La novella del Re d’Abasce e del Sultano di Aden si trova nel capitolo 189 tra i paragrafi 1-14. L’oggetto della narrazione è l’oltraggio a un vescovo, che era stato inviato al Santo Sepolcro dal re di Abasce, compiuto dal sultano di Aden per disonorare il re nella persona del suo ambasciatore.
8 Or io sì voglio contare una novella ch’avenne a·re d’Abasce quando egli volle andare in pellegrinaggio.
1 Lo re d’Abasce si ebbe voglia d’andare in pellegrinaggio al santo sepolcro di Cristo. 2 Ora li convenìa passare per provincia d’Aden, che sono suoi nemici, sì che fue con-sigliato che vi mandasse uno vescovo in suo luogo, sì ch’egli si vi mandò uno santo vescovo di buona vita.
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3 Ora venne quest[o] vescovo al Santo Sipolcro come pellegrino, molto orevolemente co molta bella compagnia. 4 Fatta la reverenza al Santo Sipolcro che si convenìa e fatta l’oferta, sì si misero a ritornare a loro paesa. 5 E quando furo giu‹n›ti ‹a› Aden e l’soldano l’ebbe saputo chi questo vescovo era, e per dispetto del suo segnore sì l’ebbe fatto pligliaree disseli che volea ch’egli divenisse saracino. 6 Questo vescovo, sì come santo uomo, disse che no farebbe nulla. 7 Alora il soldano si comandò che per forza si li fosse fatto uno segnale nel volto come si fanno a’ saracini, e fatto che fue, lasciollo andare.
8 Quando questo vescovo fue guarito sì ch’elli potéo cavalcare, sì·ssi mosse a venire e tornò al suo re. 9 Quando lo re lo vide tornato, sì ne fue molto alegro e domandò del Santo Sipolcro e di tutte le cose; e quando egli seppe come per suo dispetto il soldano l’avea così concio, si volle morire di dolore, e disse che questa onte vendicherebbe egli bene.
10 Alora si fece i·re bandire grandissima oste sopra la provincia d’Aden. 11 Fatto l’aparecchiamento, sì si mosse i·re co tuta la gente, e sì fece grandissimo danno al soldano e ucisero molti saracini. 12 Quando lo re ebbe fatto tutto il danno, che fare potea e che più no si potea fare loro danno, né andare no si potea più ina‹a›zi per le troppe male vie che v’erano, sì·ssi misero a ritornare i·lloro paese. 13 E sappiate che li cristiani sono asai megliore gente per arme che no sono i saracini; e questo si fue ne li anni Domini .mcclxxxviij.
Marco Polo mentre realizza la descrizione della provincia di Abasce propone questo racconto, che egli stesso classifica come novella, riguardante la vendetta del re Abasce contro il sultano di Aden. Nella descrizione è indicata la composizione politica di questa regione formata da tre re cristiani e tre sultani musulmani sottoposti al re di Abasce. È tuttavia risaputo che in quelle regioni cristiani e musulmani non coabitavano pacifica-mente e bastava un unico motivo per scatenare una guerra.
Il racconto inizia con il re di Abasce che vuole andare in pellegrinaggio a Gerusa-lemme e ne viene sconsigliato perché doveva addentrarsi nel territorio di Aden, così de-cide di inviare un vescovo al posto suo. Si percepisce l’intenzione del narratore di dimo-strare che il re per non correre pericoli e né commettere errori nei confronti del sultano invia un emissario credendo che non ci sarebbero state complicazioni, così colloca il re in una posizione che lo assolve da ogni colpa e lo legittima alla rappresaglia contro Aden.
La novella può essere suddivisa in tre sequenze narrative: nella prima viene data la motivazione del viaggio del re al Santo Sepolcro e le ragioni per cui è stato inviato il vescovo al posto suo; la seconda sequenza costituisce il nucleo del racconto dove viene illustrata la cattura del vescovo e l’improperio da lui subito; nella terza e ultima sequenza si narra della guerra contro Aden, dei molti danni causati alla città e dei musulmani uccisi, per vendicare il vescovo. I personaggi della novella sono: il Re d’Abasce (cristiano) che si colloca come eroe della storia e anche se non può salvare il vescovo lo vendica; il
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Sultano (musulmano) autore dell’ingiuria, è l’antagonista del racconto; il vescovo che subisce l’oltraggio e costituisce il motivo che fa scattare l’ira del re verso il sultano.
Il testo si caratterizza per la leggera prevalenza dell’ipotassi sulla paratassi, il che rallenta il ritmo del racconto favorito dall’assenza di discorso diretto, tuttavia questo ele-mento viene sanato dalla prontezza del narratore che va diretto ai fatti senza indugiare escludendo informazioni secondarie dal testo, l’assenza di descrizione sia degli ambienti che dei personaggi – infatti non vengono informati i loro nomi si limita ad indicare la loro occupazione politica o religiosa – accelera lo sviluppo dei fatti e lo intrecciarsi delle vi-cende volgendo velocemente alla conclusione dell’episodio.
L’avvio dei periodi si dà in maniera diversificata perlopiù tramite l’avverbio o co-munque attraverso l’impiego di formule temporali, che in molti casi servono anche ad operare le riprese argomentali e scandiscono il racconto, presentandosi in diversi punti del testo. È rilevabile la presenza di anafore, prodotte dalla ripetizione di «quando», lo scarso uso di aggettivi e la forte presenza del «si» passivante (spesso vicino all’avverbio «sì»). Inoltre notasi una maggior affluenza di forme epiche in questo racconto soprattuto nella descrizione della battaglia.
Nella seconda sequenza narrativa viene illustrato il rapimento del vescovo, al quale è stato proposto di abiurare la sua fede per accogliere quella musulmana, siccome il reli-gioso ha rifiutato l’hanno fatto dei segni sul viso – come informa il narratore che fanno i musulmani di quella regione in segno della loro fede. Questo è l’unico segmento del testo in cui viene usato il verbo «dire», che qui serve per elucidare la scena in un velocissimo discorso indiretto. Dopo questo evento si ha un salto temporale ellittico che ommette tutto il periodo di guarigione del vescovo, per riprendere il racconto nella terza sequenza con il ritorno del vescovo ad Abasce.
Il racconto riparte con la dolorosa reazione del re per quanto fatto al suo pio emis-sario, e i preparativi per la vendetta. In un rapido sequenziare di proposizioni rette da verbi al passato remoto si ha tutta la descrizione della lotta contro Aden sin dall’allesti-mento delle armate fino alla conclusione della battaglia. In seguito si narra della spieta-tezza con cui il re d’Abasce guidò l’esercito contro Aden, ritirando le truppe soltanto dopo che distruggono l’intera città (in modo tale che non si poteva più camminare per le strade così dannificate che erano) uccidendo molti soldati e civili musulmani.
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Il narratore dichiara, verso fine racconto, che i cristiani sono soldati più abili in guerra e nel maneggiare le arme che i musulmani, chiamando in causa il motivo della presunta superiorità dei cristiani sui maomettani – su cui Marco Polo insiste lungo tutto il libro – in un tentativo di giustificare la crudeltà inflitta ad Aden e alla sua gente. Ancora viene indicato l’anno 1288 come data in cui è avvenuto questo episodio, tuttavia di questa guerra non è mai stata ritrovata evidenza, dunque non si tratta di un fatto realmente acca-duto, ma è sicuramente un di quei racconti ove si illustrano e riassumono i conflitti della convivenza di cristiani e musulmani in Oriente.
L’intero racconto è volto ha confermare, ancora una volta, la superiorità dei cristiani sui musulmani, tuttavia non si tratta più della fede e né della potenza del Dio cristiano. Il narratore si rivolge alla guerra in un tentativo di asserire quella che indica come una mag-giore destrezza dei cristiani nel maneggiare arme rispetto ai musulmani, così facendo to-glie la responsabilità della strage di Aden dai cristiani e la affida alla scarsa abilità dei musulmani. Ribadisci così la sua idea di un’inferiorità dei musulmani in qualsiasi ambito.
4.4.2.1 Leggenda, fonte e storia
Si è discusso a lungo su quali luoghi esattamente intendeva Marco Polo quando parlava di Abasce e di Aden, a partire da un’analisi delle fonti storiche si è arrivati alla conclusione che si riferiva all’Abissinia e allo Yemen. Tuttavia, data l’incapacità di indi-care l’esatta localizzazione di queste regioni in quel periodo, favorita dal difficile accesso a queste zone abbinata al fatto che il Polo non ha mai visitato quei luoghi, non si sa al certo se i fatti da lui narrati siano veramente successi in Somalia, Etiopia, Arabia276 o al-trove.
L’indicazione dell’Abissinia appare per la prima volta in una cronaca europea da-tata più di cento anni prima del viaggio dei Polo, anche la posizione dell’Etiopia è sda-tata riferita in epoca molto antica, ma a causa delle vie percorse dalle spezie che passavano in questi luoghi e della diffusioni di leggende e storie su questi posti si è creata una grande confusione rispetto alla loro localizzazione277.
276 OLSCHKI, 1978, p. 244 n. 47.
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Nel racconto poliano, ma anche in altre fonti storiche, lo Yemen e l’Abissinia ven-gono descritti come territori confinanti, anche se si trovano agli stremi di uno stesso iti-nerario (quello delle spezie)278 e non potevano quindi essere vicini. Pertanto le indicazioni poliane sono chiaramente confuse, sia dalla già precedente difficoltà di collocare queste zone in una precisa posizione geografica ma soprattutto dalla mancanza di conoscenza del viaggiatore rispetto a questi territori.
Marco Polo ha appreso la storia del re d’Abascie che viene sconsigliato di andare in pellegrinaggio al Santo Sepolcro nell’insieme delle leggende che circolavano tra le comunità cristiane dell’Asia, e l’ha interpretata in chiave cristianizzante costruendo un racconto pieno di motivi anti-islamici. Tuttavia l’archetipo del racconto ha altre origini, che sono state rintracciate in testi agiografici etiopi da E. Cerulli più specificamente in un Sinassario dedicato a Teodoro I e che probabilmente è l’epitome di un’antica redazione degli Atti di Teodoro279, il che conferma la radice etiope del racconto.
La storia raccontata dal Polo, nelle parole di Rustichello riceve nuova interfaccia e una collocazione nello spazio e nel tempo, viene contestualizzata nello scenario della lotta cristiana contro i maomettani, assumendo così un tono che non solo riecheggia gli ideali crociati ma che pure li conferma. La guerra descritta dal Polo tra Abasce ed Aden trova la giustificazione nell’oltraggio a un vescovo, figura religiosa che però non rappresenta soltanto la chiesa, ma l’intera comunità e in quel momento lo stesso re che lo aveva in-viato al Sepolcro, in tal modo la distruzione della provincia di Aden era una sì questione religiosa ma soprattuto una questione di onore.
Non esistono tracce di una guerra tra il re d’Abissinia e il sultano dello Yemen nelle fonti storiche o letterarie orientali e occidentali, dunque la storia della guerra che il Polo afferma essere iniziata nel 1288 non è mai accaduta. Tuttavia la «bella novella» che rac-conta è funzionale ad esternare quel sentimento di ripulsione e rimprovero che compendia tutta la sua esperienza in Oriente a contatto con i musulmani delle più diverse regioni. Non è un caso che l’esito della battaglia sia la vittoria del re abissino, infatti in tutti i racconti dove cristiani e musulmani sono in conflitto i primi vincono anche nelle situa-zioni più difficili dove le probabilità sono impossibili.
278 Ivi, p. 526.
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Nel Milione gli ideali crociati dominano280 le descrizioni dei luoghi islamizzati o in via di islamizzazioni ai quali il viaggiatore attribuisce continuamente valori negativi: nei racconti la presenza musulmana è marcata dalla malvagità e i cristiani sono vittime della loro perfidia, soccorsi sempre dalla fede e del potere di Dio. Il veneziano così facendo nega a sé stesso l’opportunità di raccontare la realtà religiosa e politica orientale in modo più accurato e preciso, meno fantomatico, allontanandosi dalle ideologie crociate alle quali il suo libro ha contribuito alla perpetuazione.
La lotta leggendaria raccontata in questo aneddoto riflette l’animo anti-musulmano che circonda tutto il Milione, confermando che non si tratta soltanto di una questione di credo: l’avversione per i musulmani, la loro cultura e ciò che rappresentano è qualcosa di intrinseco nel pensiero culturale non solo di Marco Polo ma in modo più generale nella cultura Occidentale, che si perpetua anche nella cristianità d’Oriente.