• Non ci sono risultati.

La maggior parte delle esperienze infantili precoci hanno luogo nel contesto delle interazioni sociali ed un ampio corpus di ricerche concorda nel ritenere che tali esperienze gettano le basi per la costruzione e la specializzazione delle successive competenze socio-comunicative tipiche degli esseri umani (Bertenthal et al., 2015). Come accennato nel capitolo precedente, scambi attivi con il mondo sociale hanno luogo fin dalle prime ore di vita e l’interazione con esso acquista un tale valore da diventare inesauribile oggetto di attenzione e fonte di rinforzo naturale. Questi importanti passi nello sviluppo infantile si verificano in modo massivo nei primi due anni di vita per cui tale finestra temporale rappresenta uno dei periodi più significativi sia per lo sviluppo cerebrale sia per quello comportamentale, essendo i due livelli strettamente interconnessi e mutuamente influenzati (Byrge et al., 2014).

Numerose evidenze cliniche indicano che i soggetti con ASD mostrano deficit nell’area socio- comunicativa con pattern atipici di attenzione sociale e di orientamento sociale ravvisabili già nei primi 12 mesi di vita (Maestro, 2002; Ozonoff et al., 2010; Werner et al., 2000). Secondo la Teoria della Motivazione Sociale dell’autismo tali difficoltà potrebbero trovare le loro radici in una ridotta motivazione sociale generata da anomalie del sistema di reward. La conseguenza di tali anomalie sarebbe evidente, tra le altre cose, nella minore attenzione rivolta agli stimoli sociali di cui i soggetti con ASD non percepirebbero il valore di rinforzo intrinseco percepito dai soggetti normotipici (Dawson et al., 2004; Dawson et al., 2005; Chevallier et al., 2012). Come abiamo detto nel capitolo precedente, senza l’adeguata esperienza di contatto con il mondo sociale, i soggetti con ASD non possono trarre dalle interazioni la ricchezza di apprendimenti fondamentali per lo sviluppo e saranno portati a rivolgere principalmente la loro

attenzione ad aspetti socialmente meno rilevanti dell’ambiente che li circonda (Dawson et al., 1998; Lombroso et al., 2009). Se i bambini con ASD apprendono da un mondo dominato da eventi fisici la divergenza con le normali traettorie di sviluppo sarà sempre più evidente cosi come la sintomatologia ad essa connessa.

Sulla base delle evidenze neurobiologiche, comportamentali e molecolari descritte nel capitolo precedente ed attestanti la presenza di un funzionamento anomalo nel sistema di reward dei soggetti con ASD, diversi ricercatori hanno iniziato ad interessarsi all’individuazione di

biomarkers che potessero essere utilizzati sia come indicatori precoci del disturbo sia come

predittori di efficacia di trattamento. Pur essendo ancora molto ridotto il corpus di ricerche sull’argomento, la maggior parte dei disegni di studio presenti in letteratura ha preso in considerazione campioni di soggetti in età adolescenziale e adulta. Alcuni ricercatori, comunque, hanno condotto i loro lavori su bambini di età prescolare, iniziando a tracciare possibili direzioni metodologiche per ricerche successive.

Di seguito vengono riportati alcuni studi su soggetti con ASD e controlli di pari età che evidenziano la possibile presenza di atipie nei processi di attenzione sociale, considerata una componente misurabile dell’interesse verso stimoli sociali e quindi della sottostante motivazione sociale (Dawson et al., 2012). Altri studi di ricerca molto significativi ed ugualmente a sostegno delle evidenze a cui si fa riferimento in questo lavoro si sono serviti di fRM (Zeeland et al., 2010) e prove comportamentali complesse (Dichter et al., 2012) o si sono focalizzati sulla relazione esistente tra deficit nel sistema di ricompensa ed empatia (Sims et al. 2012; Sims et al, 2014). Si ritiene che i suddetti paradigmi e metodi di studio non siano adatti alle competenze tipiche della prime fasi di sviluppo in cui vi è l’esigenza di utilizzare strumenti di misurazione ecologici e non invasivi maggiormente ravvisabili negli studi di seguito esposti. - Compito di ascolto preferenziale

Uno dei primi studi teso ad approfondire l’eventuale presenza di preferenza per stimoli non sociali vs. stimoli sociali in bambini di 5-6 anni è stato condotto da Amy Klin nel 1991. Lo studioso ha somministrato un compito di ascolto preferenziale ad un gruppo di bambini autistici confrontando i risultati con quelli ottenuti da un gruppo di controllo di bambini con ritardo mentale ed a sviluppo tipico. Nella prova venivano confrontati due diversi stimoli sonori: la voce materna nella forma del motherese ed un suono alternativo costituito da voci sovrapposte. Ai bambini veniva consegnato un giocattolo con due pulsanti a cui corrispondevano ognuno dei due suoni stimolo. I risultati di questo studio hanno evidenziato che, a differenza dei bambini del controllo che hanno mostrato una forte preferenza per la voce materna, i bambini autistici hanno preferito attivamente il suono alternativo o hanno mostrato una mancanza di preferenza per uno dei due segmenti audio (Klin, A. 1991).

Nella prova di preferenza uditiva ideata da Kuhl e collaboratori nel 2005 è stata confrontata la frequenza con cui un gruppo di bambini con ASD di età compresa tra i 2 ed i 4 anni e bambini a sviluppo tipico, preferivano un suono verbale (motherese) ad uno non verbale (segnale analogico non verbale abbinato acusticamente ai campioni vocali motherese per frequenza e ampiezza) registrando il numero di volte in cui i soggetti ruotavano la testa verso uno dei due suoni emessi da altoparlanti posizionati a sinistra ed a destra del bambino. I bambini con ASD hanno mostrato una maggiore preferenza per i suoni non verbali (Kuhl et al., 2005).

- Prova di orientamento sociale

In uno studio condotto da Geraldine Dawson e collaboratori nel 1998, bimbi di età compresa tra 4 e 6 anni con ASD venivano sottoposti ad una prova di orientamento sociale e confrontati con un gruppo di bimbi con TD e con ritardo mentale (DD) della stessa età. Ad ogni partecipante venivano presentati stimoli sociali (es. chiamarlo per nome, battere le mani) e non sociali (es. clacson, timer da cucina) da quattro diversi punti della stanza per 6 secondi ciascuno sia sul lato destro e sinistro del bimbo, sia 30 gradi dietro di lui a destra ed a sinistra. I risultati del test

hanno evidenziato che i soggetti con ASD hanno mostrato di orientarsi meno frequentemente verso tutti i tipi di stimoli e questo comportamento è risultato più evidente per gli stimoli di tipo sociale. Quei bambini con ASD che si sono orientati verso gli stimoli sociali hanno mostrato maggiore ritardo nel farlo rispetto ai gruppi di controllo. Nello stesso esperimento venivano inoltre sollecitati dei comportamenti di attenzione congiunta proposti sia attraverso aiuti verbali (guarda) sia attraverso il pointing. I soggetti con ASD hanno mostrato una risposta inferiore anche a questa prova (Dawson et al., 1998).

- Prova di inibizione dello sbattere le ciglia

Un altro metodo utilizzato con soggetti di 2 anni da Shultz, Klin e Jones nel 2011 è quello in cui viene misurata la tendenza spontanea a sbattere le ciglia e l’inibizione di questa, ritenuta una misura dell’ attenzione: una maggiore attenzione aumenta l’inibizione dello sbattere le ciglia (Bentivoglio et al., 1997). I ricercatori hanno esposto i bimbi ad un video in cui erano presenti oggetti in movimento (es. una porta o un treno) e interazioni sociali (es. due bimbi che litigano) ed hanno registrato la velocità di intermittenza ed i tempi di inibizione dello sbattere le ciglia in funzione del loro livello di coinvolgimento e del tipo di stimolo. I risultati di questo studio hanno mostrato che i bambini con TD hanno una maggiore inibizione dello sbattere le ciglia durante la scena sociale che durante la scena non sociale, mentre i bambini con ASD hanno mostrato il modello inverso. Gli autori hanno ipotizzato che questo tipo di misurazione potrebbe servire come indice di anticipazione della salienza sociale degli stimoli e potrebbe, quindi, essere utile come misura di attenzione sociale e coinvolgimento in soggetti con ASD (Shultz et al., 2011).