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Salienza affettiva e sue componenti: espressioni facciali, gesti e prosodia

Durante le interazioni tra adulti e bambini, soprattutto nella prima infanzia, è evidente una spontenea manifestazione dell’affettività positiva che si realizza tramite un uso amplificato di componenti verbali (prosodia) non verbali (intensità delle espressioni facciali, gesti). Tale amplificazione (maggiore “vitalità” di gesti ed espressioni e maggiore “musicalità” delle espressioni verbali) contribuisce in maniera ugualmente decisiva a creare quella che in questo lavoro definiamo “salienza affettiva”. Se volessimo fornire una definizione di lavoro di questo concetto, potremmo definire “salienza affettiva” l’indice della partecipazione affettiva alla relazione comunicativa che si instaura tra adulto e bambino. Questo indice è composto da tre componenti, che sono gli elementi naturalistici di base di ogni interazione tra adulto e bambino almeno durante la prima infanzia (Gerain & Mehler, 2009): intensità delle espressioni facciali, intensità delle espressioni gestuali e intensità delle espressioni prosodiche. Questo indice è particolarmente rilevante per la comprensione delle caratteristiche delle relazioni sociali e le abilità ad esse sottostanti sia nei soggetti a sviluppo tipico che nei soggetti con ASD. L’uso della “salienza affettiva”, infatti, avviene in maniera spontanea negli adulti che si rivolgono agli infanti e la sua decodifica avviene in maniera altrettanto spontanea. Così come la salienza percettiva che attrae l’attenzione dei soggetti su cues attentivi, anche la “salienza affettiva” orienta l’attenzione del bambino su alcuni contenuti specifici della scena ambientale e relazionale. Il suo uso da parte degli adulti nei confronti dei bambini ha lo scopo di catturarne l’attenzione e garantire che essi la focalizzino sulle informazioni appropriate creando un ottimo ambiente per apprendere e comprendere le interazioni sociali (Falk, 2009). È ampiamente

riconosciuto che la capacità di dirigere la propria attenzione verso stimoli sociali che esprimono contenuto affettivo è una importante capacità adattiva e che la comprensione dei segnali socio- comunicativi veicolati dal corpo è il presupposto per l’acquisizione di abilità fondamentali per lo sviluppo (Dawson et al., 2012).

Nella comunicazione umana, infatti, l’intensità delle espressioni facciali riveste un ruolo fondamentale in quanto sostiene, chiarisce ed enfatizza le informazioni sociali veicolate dal linguaggio verbale. Diversi studi dimostrano che nello sviluppo tipico la visione di un volto che esprime una emozione positiva o negativa cattura e mantiene l’attenzione in modo maggiore rispetto a un volto neutro (Nummenma et al., 2006; Calvo & Lang, 2004). Già a 4 mesi di età i neonati impegnati nel gioco del cucù con i loro genitori mostrano di gradire maggiormente l’interazione e di guardare più a lungo i volti dei genitori quando questi esprimono affetto positivo (Montague et al.,, 2001). Ma cosa accade nei soggetti con ASD?

Numerosi studi effettuati sulle difficoltà di processamento e decodifica delle espressioni facciali nei soggetti con ASD hanno fornito risultati non sempre in accordo tra loro (si veda Harms et al., 2010 per una review). Alcuni studi con uso di eye-tracker, ad esempio, hanno rilevato anomalie nell’attenzione dei soggetti con ASD verso gli occhi dei soggetti target soprattutto quando i volti presentavano espressioni facciali (Pelprhey et al., 2002) altri non hanno riportato differenze (Sasson et al., 2007; Matsuda et al., 2015; Chawarska et al., 2003). Ulteriori studi hanno invece rilevato che soggetti con alta presenza di tratti autistici, rilevati tramite AQ (Autism Quotient) (Baron-Cohen et al., 2006), sono in grado di riconoscere con maggiore accuratezza le espressioni facciali solo quando queste sono espresse in modo più intenso (Polijac et al., 2012). Sempre nell’ambito dei lavori condotti con questa metodica, un recente studio di Grynszpan e Nadel (2015) fornisce risultati a supporto della Teoria della Motivazione Sociale dell’autismo: in tale studio infatti la ridotta attenzione agli stimoli sociali

in seguito al quale gli stimoli sociali, risultando meno interessanti, attirano meno la loro attenzione rispetto ai soggetti con TD. I partecipanti sono stati esposti alla visione di scene sociali e poi è stato chiesto loro di descrivere le interazioni osservate. Quando è stato esplicitamente richiesto loro di osservare le espressioni degli attori nella scena, i soggetti con ASD che hanno guardato più a lungo i volti erano in grado di comprendere l’interazione rappresentata rispetto a chi ha guardato meno i volti. La cosa interessante è che i soggetti a sviluppo tipico erano ugualmente capaci di interpretare accuratamente la scena sociale anche quando non veniva esplicitamente data l’istruzione di guardare i volti. Questo studio dunque dimostra che i soggetti con ASD non sono incapaci di cogliere i segnali veicolati dalle espressioni facciali (quando viene esplicitamente richiesto essi sono in grado di farlo), ma pone l’accento sulla mancanza di iniziativa spontanea (motivazione) a guardare i volti (Grynszpan et al., 2015).

Oltre alle espressioni facciali, anche l’intensità delle espressioni gestuali influenza il modo in cui vengono processate le informazioni sociali (Meeren et al., 2005). I gesti che accompagnano il linguaggio parlato sono compresi e usati precocemente nello sviluppo e la loro comparsa sembra essere predittiva della presenza di un linguaggio parlato più complesso (Özçalışkan et al., 2005). È ampiamente riconosciuta la presenza di difficoltà nella comprensione e nell’utilizzo dei gesti da parte dei soggetti con ASD tanto che tale difficoltà è uno dei segni distintivi per l’identificazione del disturbo (Lord et al., 2002). Per quanto riguarda la percezione dei gesti, un recente studio ha messo in evidenza che bambini con ASD, differentemente da bambini con TD e con DD, non hanno mostrato preferenza per il movimento biologico sincronizzato con il linguaggio parlato (Klin et al., 2009). In generale gli studi che hanno esplorato tali aree rilevano la presenza di un ritardo nell’acquisizione e nella produzione della gestualità soprattutto quando questa è associata al linguaggio espressivo verbale (Hubbard et al., 2012).

Il terzo elemento che costituisce la triade della “salienza affettiva” è la componente prosodica. I messaggi veicolati attraverso il linguaggio, oltre a darci informazioni semantiche relative al “cosa” si sta dicendo, ci forniscono importanti indizi su quali siano le intenzioni comunicative e anche lo stato affettivo-emotivo del parlante. Inoltre la dimensione prosodica del linguaggio pare stimolare particolarmente l’attenzione degli infanti tanto da essere considerata la componente più radicata nella storia evolutiva del linguaggio umano, una sorta di base evoluzionistica che ne ha consentito l’attecchimento e l’adattamento nei primi sapiens (Falzone 2014).

Con il termine “prosodia” ci riferiamo a specifiche qualità del linguaggio parlato fondamentali per la trasmissione di informazioni sociali al di là del contento semantico espresso (Mc Cann et al., 2003; Kielgaard et al., 2013). Queste proprietà comprendono il tono (che determina il profilo d’intonazione della voce), l’intensità (che caratterizza il volume e l’accento enfatico della voce) e infine il tempo (che determina la successione dell’eloquio e delle pause) (Mc Cann et al., 2003). Vengono principalmente distinte due funzioni della prosodia: funzione gramaticale ottenuta attraverso l’uso di pause, accento su determinate sillabe, intonazione e lunghezza delle sillabe finali; funzione affettiva ottenuta attraverso la variazione dell’intonazione, del volume, del ritmo del discorso, del picco acustico (Mc Cann et al., 2003). Il linguaggio che tipicamente rivolgiamo ai bimbi in età infantile è caratterizzato da una specifica prosodia in cui musicalità, toni più acuti e ritmo trasmettono informazioni affettive salienti (Venuti et al., 2012). Diversi esperimenti hanno dimostrato che i bambini piccoli preferiscono la melodia del cosiddetto motherese detto anche “linguaggio musicale” o “linguaggio infantile”, al linguaggio diretto agli adulti (Cooper et al., 1997). Studi dimostrano che esso è in grado di ottenere e mantenere l’attenzione dei neonati (Fernald et al., 1991; Werker et al., 1989; Golinkoff et al., 2015), che favorisce l’apprendimento delle strutture

prosodiche hanno il fine di creare un legame con il caregiver al fine di prestare maggiormente attenzione alle informazioni socio-affettive da questi veicolate. Tali informazioni sono fondamentali per la comprensione delle future comunicazioni sociali (Fernald et al., 1991; Trainor et al., 2000). La preferenza per la prosodia emozionale positiva favorisce l’unione con il caregiver e quindi aumenta la comprensione del mondo sociale (Kielgaard et al., 2013). La letteratura scientifica prodotta in merito allo studio della prosodia nei soggetti con ASD è ampia e controversa. Diversi studi riferiscono che nei soggetti con ASD la comprensione della prosodia emozionale è certamente meno deficitaria di quella espressiva seppur risulti presente una certa difficoltà nel riconoscere gli stati emotivi degli altri attraverso la prosodia (Rutherford et al., 2002; Lindner et al., 2006). Altri studi riferiscono che la tonalità emotiva di un messaggio è riconosciuta dai soggetti con ASD (Chevallier et al., 2011) o che è riconosciuta solo a determinate condizioni quali l’assenza di contenuto semantico (Grossman et al., 2010) oppure quando la prosodia affettiva è particolarmente accentuata (eccitato vs. calmo) (Paul et al., 2000). Altri studi sostengono che risulta più complesso per i soggetti con ASD inferire lo stato emozionale del parlante quando è inserito in contesti discrepanti (es. situazione spiacevole con prosodia affettiva positiva) mettendo in evidenza la presenza di difficoltà nel processamento inter-modale degli stimoli (Le Sourn-Bissaoui et al., 2013; ).

Un interessante studio condotto recentemente da Abrams e collaboratori ha evidenziato la presenza di una scarsa connettività tra la parte posteriore del Solco Temporale Superiore (pSTS) (regione deputata al processamento della voce) e le regioni neuronali implicate nel sistema di reward che, come esposto precedentemente in questo lavoro, includono l’area tegmentale ventrale (VTA), il Nacc, l’insula anteriore, la vmPFC, la OFC e le connessioni che queste aree hanno con l’amygdala notoriamente deputata al processamento delle emozioni (Abrams et al., 2013). Secondo gli autori dello studio, tali dati sono a sostegno della teoria della motivazione sociale dell’autismo per cui le difficoltà di attenzione uditiva agli stimoli sociali

sarebbero, in tal caso, relati alla difficoltà di attribuire valore motivazionale alla voce umana piuttosto che il risultato di anomalie nel processamento sensoriale della voce. Nello studio infatti non sono emerse anomalie nella rete di connessioni che collega il pSTS alla corteccia uditiva che si occupa dell’aspetto meramente sensoriale del processamento vocale (Abrams et al., 2013).

Recentemente Magrelli e collaboratori (2013) hanno condotto uno studio con eye-tracker indossabile su bambini con ASD (range età 2-11-anni) e con TD (3-6-anni) con l’intento di indagare eventuali differenze nell’orientamento dello sguardo tra i due gruppi di soggetti durante una interazione “reale” di gioco con un adulto. In modo particolare gli autori erano interessati a valutare l’attenzione dei soggetti con ASD verso il volto del partner di gioco quando questi esprimeva gioia o sorpresa attraverso la sola espressione facciale o attraverso la combinazione di espressione facciale e linguaggio (informazione sensoriale multi-modale). I risultati dello studio hanno evidenziato che i soggetti con ASD, allo stesso modo dei soggetti con TD, orientavano lo sguardo verso il volto dell’adulto quando questo presentava espressioni facciali anche se tale comportamento era meno marcato nei bimbi con ASD. Inoltre questi ultimi dirigevano la loro attenzione verso il volto dell’adulto significativamente meno dei soggetti con TD quando l’adulto parlava. Gli autori dello studio hanno ipotizzato che tale lentezza possa essere attribuita alle difficoltà di elaborazione dei suoni sociali individuata in altri studi (Kuhl et al., 2005) ed alla complessità dello stimolo sociale presentato su diverse modalità sensoriali, visiva e uditiva (Iarocci e McDonald, 2006). Uno studio di Shic e collaboratori (2014) condotto su bimbi di 6 mesi con rischio di sviluppare autismo mette in evidenza che sono rilevabili precocemente nello sviluppo anomalie di attenzione visive verso volti in cui sono presenti sia espressioni facciali che linguaggio parlato. Seppure in misura ridotta rispetto ai soggetti TD e DD l’attenzione ai volti presentati con la sola modalità visiva

suggeriscono che nei soggetti con ASD è presente un deficit di processamento degli stimoli sonori, che questo è maggiore in presenza di informazioni sonore complesse e che è più evidente per il linguaggio parlato piuttosto che per stimoli non linguistici (O’ Connor et al., 2010).