La tradizione sumerica riguardante il dio Dumuzi presenta alcuni problemi che devono essere esaminati attentamente. Osservando le fonti disponibili per i vari racconti mitici tramandati e la loro dispersione areale si può ipotizzare la presenza di una tradizione in qualche modo consolidata, al fianco della quale si pongono redazioni minori, caratterizzate da lievi varianti nello svolgimento delle vicende, nello sviluppo di alcuni temi, nel riferimento preferenziale a particolari personaggi. Purtroppo, per quanto riguarda una piccola parte di composizioni - le già citate eršemma, che più che come miti devono essere considerate a tutti gli effetti testi liturgici - l’impossibilità di tracciarne il luogo di origine crea problemi nell’individuazione di aree di provenienza di alcuni dei temi che le tradizioni secondarie mostrano come peculiari. La conoscenza di questi dati avrebbe permesso di vedere se ad una determinata area corrispondesse un sistema mitico o liturgico coerente o meno. Tuttavia, per la maggior parte delle attestazioni mitiche si possiedono sufficienti informazioni che ci consentono qui dedicare una serie di paragrafi ai racconti relativi alle morte del dio Dumuzi. Come si vedrà caso per caso, le sequenze narrative di ciascuna composizione non sembrano essere state strutturate per creare un insieme unitario con gli altri testi. Se da un certo punto di vista, infatti, i miti sono accomunati dal tema di fondo, d’altra parte si caratterizzano per una originale indipendenza gli uni dagli altri, raccontando la stessa vicenda in modi differenti, in qualche caso anche contrastanti. Vale la pena qui ricordare come sia importante tenere bene a mente, soprattutto nel caso di alcuni di questi miti, lo stretto rapporto che essi possono avere con la Discesa di Inanna agli Inferi, sebbene alcuni solo relativamente ai personaggi che campeggiano nell’azione scenica della trama. Questa indipendenza non consente di ricreare, come invece nei paragrafi precedenti, una successione relativa tra i diversi racconti. Eccettuati quelli particolarmente lacunosi, appaiono tutti in sé conclusi e non presuppongono necessariamente la conoscenza degli altri per essere compresi. Unica eccezione, se si volesse trovarne una, sarebbe proprio la catabasi della dea di Uruk, che, se non si può considerare un vero preambolo per ognuno di essi, contiene alcuni spunti che si possono ritrovare in quelli che potremmo chiamare miti di “morte di Dumuzi”466.
466 In merito al ruolo del mito Sogno di Dumuzi, in riferimento alla stesura della composizione della Discesa di Inanna agli Inferi si segue qui l’ipotesi di Katz 1996.
Il sogno di Dumuzi – Incipit: šag4-ga-ni er2 im-si edin-še3 ba-ra-e3 - Il suo cuore era
pieno di lacrime, egli uscì nella steppa
Il mito è quello che più di tutti si distingue per numero di attestazioni e diffusione geografica. Le fonti, più o meno frammentarie, attraverso le quali il testo è conosciuto, sono ottantanove467. Provengono per la maggior parte da Nippur, ma vi sono tavolette anche da Ur, Kish, Susa e Uruk, il che dimostra che il tema doveva essere quantomeno conosciuto in vari centri sotto questa forma. Tutte le fonti, ad eccezione di BM 16900 e CBS 1590 (neo- babilonesi), sono datate al periodo paleo-babilonese facendo supporre, con il gran numero di attestazioni, che la composizione, almeno nella sua fase di formazione e canonizzazione, abbia una storia più lunga, che potrebbe retrodatarla. In merito a queste considerazioni, va però aggiunto che il testo del Sogno di Dumuzi faceva parte del cosiddetto curriculum scribale e compare nei cataloghi468 di testi letterari paleo-babilonesi469. Questo ovviamente è significativo per quanto riguarda il ritrovamento della gran quantità di copie che dovettero essere redatte dagli studenti. Se da una parte, questo fatto potrebbe giocare a sfavore dell’ipotesi di una maggiore diffusione della vicenda così come viene narrata nel Sogno di
Dumuzi, rispetto alle altre, si deve allo stesso tempo riconoscere che, se questa redazione fu
preferita a quelle di Dumuzi e Geštinanna, Dumuzi e le sue sorelle o Inanna e Bilulu, ciò potrebbe voler dire che la versione in oggetto dovette essere probabilmente considerata dalle stesse scuole scribali più idonea alla formazione degli studenti. La motivazione potrebbe essere individuata nella scelta di affrontare alcuni temi rispetto ad altri, nella vicinanza con il mito della catabasi di Inanna o anche, ad esempio, in una maggiore filiazione del racconto mitico da una determinata tradizione cultuale, che sarebbe stata più largamente condivisibile da parte dei “teologi” del tempo. Come si è avuto modo di accennare nel capitolo relativo agli studi precedenti sulla figura di Dumuzi, importante è stato il lavoro di Alster sul mito in questione, soprattutto nella pubblicazione del 1975 in cui mette a disposizione dei colleghi un’ultima tavoletta, BM 113234, grazie alla quale si riesce a ricostruire interamente la vicenda, senza doversi affidare totalmente alle numerose collazioni precedenti. Il racconto mitico prende avvio in maniera piuttosto diretta, con la menzione del giovane protagonista, sgomento, scosso dalle lacrime e dai sospiri, colto mentre si trascina desolato nell’aperta steppa col proprio bastone da pastore. Il egli innalza un lamento preannunciando la sua drammatica fine. Presagendo la sua imminente morte il pastore si rivolge agli elementi naturali, faunistici e vegetali della steppa, per chiedere a questi di piangere per lui e di 467 L’elenco delle fonti si può trovare nella sezione equivalente del catalogo dei testi.
468 Il sogno di Dumuzi compare in tre cataloghi letterari paleo-babilonesi:
469 Si è già accennato sopra alla possibilità che non si tratti di veri e propri cataloghi elencanti i testi del curriculum scribale, ma piuttosto di etichette che dovevano servire alla consultazione delle biblioteche templari e personali degli scribi.
avvertire sua madre qualora al momento della morte del figlio, ella non avesse sue notizie. A questo punto, la sezione introduttiva si interrompe per lasciare spazio ad un vero e proprio
flashback, che rivela il motivo dello stato d’animo di Dumuzi. Il giovane dio, in un tempo
remoto, addormentatosi, ha ricevuto in sogno un presagio. Al proprio risveglio è colto dal terrore e chiede a gran voce di sua sorella Geštinanna, scriba e cantante esperta, che saggiamente conosce l’arte dell’oniromanzia. Dumuzi racconta nei dettagli il sogno che lo ha a tal punto spaventato e sua sorella, compresa la portata di un tale segno, si tormenta per lui ripercorrendo passo dopo passo l’incubo del giovane, dando spiegazione di ognuno dei segni che il fanciullo ha descritto. La lunga interpretazione del sogno è costituita da una ripetizione dello stesso, a cui si aggiungono di volta in volta i commenti esplicativi: ciò che nel sogno a Dumuzi appare come un fascio di giunchi che nasce dal terreno e cresce per lui, vengono interpretati come dei banditi che si alzano dai loro nascondigli per avventarsi su di lui. La singola canna che scuote la testa per il giovane, starebbe a significare che sua madre si tormenterà per lui. Due canne gemelle che il giovane aveva sognato, una delle quali poi si allontana, rappresenterebbero Dumuzi e Geštinanna, la piccola canna che si allontana, la sorella che verrà separata da lui. I grandi alberi che si ergono contro Dumuzi sarebbero uomini a lui avversi, che lo cattureranno rinchiudendolo dentro delle mura. L’acqua versata sui carboni il pastore ha sognato viene interpretata come il suo ovile che diverrà una casa del silenzio. Il coperchio della sacra zangola, portatogli via nell’incubo, risulta presagio dell’arrivo di un personaggio malvagio che lo porterà via con sé. La sacra coppa per bere appesa al piolo, scagliata a terra dal suo posto, viene a rappresentare lo stesso fanciullo che precipita dal grembo di sua madre. La scomparsa del suo bastone, nel sogno, è segno dei demoni assalitori ne bruceranno il legno. Il gufo che rapisce l’agnello dall’ovile, altri non sarebbe che il demone che colpirà il pastore alla guancia. Mentre il grande falco, che cattura il passero sulla recinzione, il demone che verrà fuori dall’ovile. Le zangole che nel sogno egli ha visto rovesciate, senza più latte da versare, a fianco a tazze pinatorie, sono il presagio della morte del giovane, le cui mani e braccia verranno strette in legami e ceppi. I suoi capretti, che nell’incubo trascinano le barbe nella polvere, risultano immagine trasposta della povera sorella che agita i capelli sciolti come in un uragano. Mentre gli arieti che grattano con le zampe la terra, rappresentano Geštinanna che si graffia le guance in segno di lutto. Dumuzi preso dal panico a causa della terribile rivelazione, ordina alla sorella di nascondersi sulla cima della collina. Il giovane, deciso a non demordere, o forse con una certa ingenuità, escogita un piano per sfuggire ai suoi inseguitori. Chiede alla sorella di salire “lacerando” il proprio cuore e il proprio fegato, così come i vestiti. Arrivata in cima, Geštinanna dovrà rimanere di sentinella per avvistare gli esseri malefici che arriveranno con una barca dal fiume. Il tratto distintivo di costoro sono dei ceppi per legare il collo che porteranno con loro. Quando la sorella giunge in cima alla collina, gli assalitori, i demoni galla, sono già approdati. Dumuzi deve nascondersi nell’erba, accucciato per evitare di farsi scorgere. Prima di scappare lontano, decide di rivelare i suoi nascondigli a Geštinanna, a patto che giuri di
non rivelare a nessuno i tre luoghi prescelti. Geštinanna giura sulla sua vita, affermando che se dovesse venir meno alla sua parola si farebbe sbranare dai cani del fratello. Sfortunatamente la fanciulla sembra suggerire a Dumuzi di informare anche il suo amico sui propri spostamenti. Come aveva fatto con lei, il pastore fa giurare all’amico di non rivelare i propri nascondigli, e questi lo asseconda. La narrazione si interrompe brevemente per un
excursus sulla natura demoniaca degli assalitori. I galla appaiono come demoni che non
appartengono alla terra abitata dagli uomini, e che non conoscono valori e piaceri che questi amano. Essi non fanno uso di cibo o bevande, non mangiano prodotti derivati dalla farina, non accettano doni di alcun tipo, e non si dilettano dell’abbraccio della moglie o del bacio dei figli. In questo testo essi sono però descritti anche come uomini, di cui si indica una precisa provenienza. Due di costoro vengono da Adab e sono rappresentati come cardi in acqua prosciugata, rovi in acque putride. Altri due della compagnia vengono da Akšak trasportando qualcosa sulle spalle, due uomini da Uruk e altri due da Ur, armati di mazze, che avanzano alla ricerca del pastore, che qui è chiamato con il titolo di re. Due galla che provengono da Nippur, abbigliati di vesti splendenti, stanno sulla banchina e cercano anch’essi Dumuzi. Arrivano all’ovile e trovano Geštinanna. Tentano di corrompere la giovane offrendole un fiume di acqua, poi con un campo di grano, ma ella non si lascia convincere. Il “piccolo demone” suggerisce agli altri di lasciar perdere, perché mai una fanciulla tradirebbe suo fratello. Diretti verso il compagno di Dumuzi, gli rivolgono le stesse lusinghe riservate a Geštinanna. Il giovane cede rivelando tutto ciò che sa. I cosiddetti demoni riprendono l’inseguimento e trovano il pastore nei fossi dell’Arali. Questi, conscio del tradimento dell’amico lo maledice, benedicendo invece la fedeltà della sorella. Con delle corde, gli assalitori catturano lo sventurato giovane, che solleva le mani al cielo invocando Utu, dio solare, giudice imparziale470 e suo cognato471. Prima di chiedere ciò di cui ha bisogno, Dumuzi ricorda al dio come correttamente egli abbia agito in passato, sposando sua sorella, portando i doni nuziali a Uruk, rifornendo di beni di ogni genere l’Eanna e unendosi a sua sorella Inanna legalmente e fisicamente. Dopo aver presentato le prove della propria
470 Per il ruolo di Utu come giudice, nel periodo paleo-babilonese, specialmente in contesto, infero si veda il testo YBC 9875.
471 L’appello ad Utu sembra avere un motivo non solo nel rapporto parentale tra il supplice ed il dio, ma anche nel ruolo che l’ultimo svolge come protettore e compagno di coloro che attraversano territori extraurbani (come steppe, montagne e deserto), nella veste di dio che stende il proprio sguardo su di loro (Katz 2006, 118). L’Eršemma 97 (Cohen 1981, 73–83) contiene una versione dell’appello al dio solare differente. In questo caso, Dumuzi non fa leva sul rapporto di parentela che si è venuto a creare tra lui ed Utu grazie al matrimonio con Inanna, ma ricorda più la richiesta di aiuto di un supplice al suo dio misericordioso, piuttosto che quella di un giovane a suo cognato. Similmente si vedrà nel caso di Dumuzi e Geštinanna, in cui invece del rapporto tra Dumuzi ed Inanna, il focus sarà spostato sulle responsabilità di Utu come fratello della dea e dio di giustizia. Katz 2006, 109 ritiene che in questo ultimo esempio il testo presenti la supplica come l’appello di una causa legale, per lessico e struttura.
correttezza, Dumuzi chiede al cognato di tramutare le sue mani e i suoi piedi in quelli di una gazzella472 per poter sfuggire ai galla dirigendosi alla volta di Kubirešdildareš473. Utu, giudice divino, ritiene giusta la richiesta del giovane pastore ed esaudisce il suo desiderio. Per cui Dumuzi, ottenute tali capacità riesce a fuggire. I galla lo inseguono, ma non sanno dove egli si trovi. Si dirigono a Kubireš e lo braccano come un animale selvatico. Costruiscono reti, dragano il fiume, lanciano dardi contro il fuggitivo e, una volta catturato, legano di nuovo le sue mani e le braccia con ceppi. Per la seconda volta il pastore si affida al dio solare; innalza la stessa preghiera e, ottenuto ciò di cui ha bisogno, fugge di nuovo. Si dirige alla casa della vecchia Belili, dove chiede all’anziana di portargli acqua e farina. Per convincere la sua ospite, le rivela la propria identità. Ciò che egli dice è di particolare rilievo: «Non sono solo un uomo, sono lo sposo di una dea!» Questo è sufficiente: l’anziana Belili gli permette di rifocillarsi. Quando la donna si allontana dalla casa, i galla la vedono e notano il suo comportamento nervoso; si dirigono allora verso la sua abitazione e lì trovano e catturano Dumuzi. Il pastore per la terza volta invoca l’aiuto del cognato. Utu rende di nuovo i suoi arti velocissimi e gli permette di fuggire verso l’ovile di Geštinanna. Quando la giovane vede il fratello, terrorizzata dal suo stato, comincia a piangere e le sue grida raggiungono il cielo e attraversano tutta la terra. Si lacera il viso, gli occhi, le orecchie e le natiche in segno di lutto. I galla non perdono tempo, corrono all’ovile ed uno ad uno vi entrano devastando tutto ciò che incontrano. Il primo dà fuoco al piolo della porta, il secondo incendia il bastone del pastore, il terzo rimuove il coperchio della sacra zangola, il quarto entra nell’ovile e nel recinto e getta a terra la ciotola pinatoria, che era appesa ad un chiodo, mentre il quinto rovescia le zangole e le tazze, per cui non vi è più latte al loro interno. Dumuzi, infine, è ucciso.
Bisogna innanzitutto menzionare alcune piccole varianti nelle sezioni, spesso ripetute all’interno del testo, in cui il dio chiede aiuto ad Utu, per rendere i suoi arti simili a quelli di una gazzella (maš-da3). Vi è infatti un testo474 edito da Alster475, nel quale si dice che il giovane chiede ed ottiene che le sue mani e i suoi piedi vengano tramutati in forma di serpente (muš). Questa variante, seppur minoritaria rispetto alle altre attestazioni, avrebbe però il pregio di riprendere più fedelmente il testo della Discesa di Inanna, dove il giovane
472 Sogno di Dumuzi ll. 170-171:
170) šu- ĝu10 šu maš-da3 u3-mu-e-ni-[sig10] 170) la mia mano una mano di gazzella rendila uguale 171) ĝiri3- ĝu10 ĝiri3 maš-da3 u3-mu-e-ni-[sig10] 171) il mio piede il piede di gazzella rendilo uguale
473 Il nome del centro è, all’interno dello stesso testo, scritto anche in una forma abbreviata Kubireš. 474 BM 113234.
sposo della dea chiede che le sue mani vengano trasformate in quelle di un serpente o di un rettile476. In tal senso, sarebbe altresì interessante poter stabilire, anche se puramente a livello di speculazione, un collegamento tra i due episodi, ricordando che una delle ipostasi del dio, Amaušumgalanna, contiene nel suo nome l’elemento ušum “drago”, “rettile”. Tuttavia, il collegamento mitico tra Amaušumgalanna e il serpente è impossibile da ricostruire con certezza. Ciò che si può sottolineare è, però, il carattere ctonio sia di alcune forme di Dumuzi477, sia del serpente478 nell’imaginario mesopotamico. Altra divergenza di tradizione, seppur minima, riguarda la fine del racconto mitico. Le tavolette si chiudono quasi tutte, ad eccezione di BM 113234, con l’ingresso del quinto galla nell’ovile, ma quest’ultima attestazione ne menziona altri due, responsabili in egual misura della distruzione del recinto degli animali del dio e della morte dello stesso. Eccettuate queste discrepanze, tutte le fonti del mito in questione si concentrano su alcuni temi comuni: il sogno portatore di presagi,
476 Discesa di Inanna agli Inferi ll. 357-358.
477 Interessante notare come poi la tradizione accadica del I mill. a.C. ponga il dio Dumuzi al centro di rituali di esorcismo contro demoni, spiriti di defunti e malattie derivate da una aperta ostilità degli dei verso il paziente.
478 Il serpente è un animale che nella cultura mesopotamica, come del resto anche in altre, ha un carattere piuttosto ambiguo. Da una parte, con il suo morso velenoso è un temuto portatore di morte (il morso di alcuni serpenti si pensava fosse causa di aborto in donne gravide), dall’altra, è però anche fortemente collegato alla vita. Se infatti il serpente ha legami con alcune entità ctonie come Ninazu e Ninmada (il primo, durante il III mill. a.C. era venerato in ambito sumerico come divinità infera), l’animale, secondo la tradizione, è anche il responsabile del furto della pianta che avrebbe assicurato all’eroe urukita l’immortalità nell’Epopea di Gilgameš. Furto che gli conferisce la capacità di rigenerarsi con il cambiamento della pelle. Tuttavia, il serpente non è solo un animale ostile all’uomo, come sembra emergere fino ad ora, ma in un certo senso ne attira la curiosità ed un timore reverenziale come dimostrerebbe l’iscrizione di Gudea nei cilidri di dedica del tempio Eninnu. In questo testo il sovrano di Lagaš, descrive la propria potenza equiparandola a quella di un serpente che sputa bile velenosa contro i propri avversari, sottolineando la pericolosità dell’animale, ma anche il fascino che la sua potenza doveva incutere.
Gudea Cilindro A ll. 266-270:
266) e2-ḫuš ki ḫuš-ĝu10 266) l’Eḫuš, mio luogo terrifico,
267) muš-ḫuš-gin7 ki sumur-ra bi2-du3 267) come un serpente-ḫuš, ho costruito in un luogo di terrore.
268) ki-bal-ĝa2 nu-mi-ib2-dug4-ga 268) le terre nemiche che non si rivolgono a me, 269) ud šag4-ĝu10 um-ši-mi-ri2-a 269) nel giorno in cui il mio cuore si infuria
270) muš ze2 guru5-a-gin7 uš ma-a-u3-ku-e 270) come un serpente che mastica bile, per me sputo saliva velenosa.
Il serpente è inoltre un animale liminale, come notato da Veldhuis 1993, 167. Il suo carattere ambiguo e sfuggente ad una caratterizzazione come essere selvatico estraneo alla vita cittadina lo rende un’entità ‘altra’.
che deve essere interpretato da una figura esperta di divinazione, la fuga del protagonista da creature infere, il contrasto tra fedeltà e tradimento, la richiesta di aiuto ad un giudice giusto, il cambiamento delle capacità fisiche del giovane dio, l’ineluttabilità della morte.