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Modelli atomici classici

Nel documento Chimica Generale (pagine 32-41)

Negli ultimi decenni dell'Ottocento la maggior parte degli scienziati aderiva alla teoria atomica, ma i dati sperimentali che si andavano accumulando suggerivano l’idea che l’atomo non fosse in realtà il costituente ultimo della materia, ma che possedesse una struttura interna costituita di particelle elettricamente cariche. Al fine di descrivere e giustificare in modo adeguato le nuove caratteristiche che si evidenziavano a livello subatomico vennero creati, nei primi anni del ‘900, diversi modelli atomici.

2.1 La struttura interna dell’atomo

I primi indizi sull’esistenza di una struttura interna dell’atomo si ebbero con la scoperta dell’elettrone e la constatazione che tale particella poteva essere estratta da qualsiasi tipo di atomo e doveva pertanto essere considerata un costituente comune di tutti gli atomi.

La scoperta dell'elettrone avvenne grazie ad una serie di esperimenti condotti durante gran parte dell'Ottocento sulla conduzione elettrica attraverso i gas rarefatti.

Fin dal 1838 Faraday aveva osservato, effettuando esperienze di scariche elettriche in atmosfera gassosa rarefatta, strani fenomeni, quali striature, spazi oscuri, senza peraltro essere in gradi di interpretarli. Nel 1858 J. Plücker ebbe l'idea, in seguito rivelatasi estremamente proficua, di avvicinare un magnete alla scarica per verificarne gli effetti. Non vide nulla di interessante poiché il vuoto non era sufficientemente spinto. Nel 1869 J.W.Hittorf riuscì ad ottenere dentro i tubi di scarica un vuoto migliore e cominciò a vedere quelli che noi oggi chiamiamo raggi catodici.

L'apparecchiatura utilizzata, ideata da Crookes (tubo di Crookes o tubo di scarica), è costituita da un tubo di vetro alle cui estremità sono saldati due elettrodi metallici collegati con un generatore di corrente continua con una differenza di potenziale di circa 10.000 volts. All'interno l'aria viene sostituita con un gas qualsiasi.

Si collega il tubo con una pompa del vuoto che fa diminuire gradatamente la pressione interna. Finché la pressione è superiore a 0,4 atm tra i due elettrodi si producono normali scariche elettriche, del tutto simili ai fulmini atmosferici.

Al di sotto di tale valore la scintilla scompare per lasciare il posto ad una luminosità diffusa che, a pressioni di circa 10-6 atm, interessa via via tutto il gas. In queste condizioni il vetro di fronte al catodo emette una debole luminescenza (fluorescenza).

Tale fenomeno fu messo in relazione con possibili radiazioni che potevano essere prodotte dal catodo e che Goldstein in seguito chiamò raggi catodici.

Oggi si sa che si tratta di elettroni8 che vanno dal catodo all'anodo rendendo la parete che colpiscono fluorescente, ma allora non si sapeva se si trattasse di radiazioni luminose o corpuscolari. Si sapeva

solo che si propagavano in linea retta dal polo negativo a quello positivo. Infatti un oggetto metallico frapposto sul loro cammino proiettava nettamente la sua ombra.

Nel 1895 finalmente, Perrin, osservando che un elettroscopio copito dalla radiazione catodica si elettrizzava negativamente, dimostrò che i raggi emessi dal catodo erano dotati di carica negativa.

Altri esperimenti condotti sui raggi catodici dimostrarono che doveva trattarsi di particelle (lo stesso Crookes aveva trovato che i raggi catodici erano in grado di mettere in rotazione, colpendola, una minuscola ruota a pale, interposta sul loro cammino).

D’altra parte l’idea che anche l’elettricità potesse avere una struttura particellare non era nuova, essendo già stata avanzata dal fisico tedesco H.L. Helmholtz (1881), il quale aveva suggerito che, se la materia aveva una struttura discontinua, formata cioè da particelle (atomi e molecole), allora era necessario fare la stessa ipotesi anche per l'elettricità.

Solo ipotizzando l’esistenza di atomi di elettricità potevano essere infatti facilmente interpretate le leggi dell'elettrolisi scoperte da Faraday quasi mezzo secolo prima, secondo le quali vi è una proporzionalità rigorosa tra la quantità di materia che viene decomposta dal passaggio di una corrente elettrica e la quantità di corrente elettrica utilizzata.

In pratica si poteva pensare che per decomporre un certo numero di particelle di materia fosse sempre necessario un certo numero di particelle di elettricità.

Esperienza di Thomson

A) Un campo magnetico di intensità H devia una particella in movimento ed elettricamente carica con una forza

perpendicolare al vettore velocità.

Applicando ad un tubo di Crookes un campo magnetico di intensità H, perpendicolare al moto della radiazione catodica, gli elettroni, aventi carica e e velocità v, sono sottoposti ad una forza F = Hev che li costringe a muoversi, all’interno del campo, lungo una traiettoria circolare di raggio r. Il valore di r può essere calcolato sulla base della posizione assunta dal punto fluorescente sullo schermo di ZnZ, rispetto alla direzione rettilinea. Poiché F = ma e l’accelerazione centripeta vale a = v2/r, possiamo scrivere

Hev r v m 2 = e quindi Hr v me =

B) Applicando ad un tubo di Crookes un campo elettrico di intensità E, gli elettroni di carica e vengono deviati

verso il polo positivo con una forza F = Ee. La forza elettrica risulta sempre perpendicolare alle armature del condensatore e quindi gli elettroni assumono una traiettoria parabolica nel tratto di campo elettrico attraversato.

C) Se ora sottoponiamo il flusso di elettroni contemporaneamente ai due campi di cui regoliamo opportunamente

l’intensità in modo che il loro effetto totale sia nullo e gli elettroni si muovano in linea retta, la forza elettrica eguaglierà la forza magnetica

Hev

Ee= e quindi H

E v= Sostituendo il valore della velocità v così trovato nella relazione

Hr v me = si ottiene r H E m e 2 =

L’idea che gli elettroni rappresentassero un costituente fondamentale, comune a tutti gli atomi, venne definitivamente avvalorata dalla determinazione da parte di Thomson (1897) del rapporto

carica/massa (e/m)9 dell’elettrone.

Il valore così trovato è infatti uguale per tutti gli elettroni e non cambia se si sostituisce il tipo di materia che forma il catodo emittente e il gas presente nell'apparecchiatura.

Tale valore risultava quasi 2000 volte maggiore del corrispondente valore e/m tra carica e massa dello ione idrogeno, misurato tramite elettrolisi.10 Se supponiamo che la carica e dell'elettrone sia uguale e contraria a quella dello ione idrogeno (al fine di garantire la neutralità dell'atomo di idrogeno), il rapporto tra i due valori diventa automaticamente un rapporto tra masse. Le particelle che formavano i raggi catodici risultarono così sorprendentemente possedere una massa quasi 2000 volte inferiore a quella del più piccolo atomo conosciuto. Si cominciò dunque a ritenere plausibile l'ipotesi che gli atomi non rappresentassero il gradino ultimo della materia, ma potessero anch'essi essere composti di particelle più piccole.

Nell'articolo pubblicato su "Philosophical Magazine", Thomson afferma: "Così, sotto questo aspetto, nei raggi catodici

abbiamo la materia in uno stato nuovo, uno stato in cui la suddivisione è spinta molto più in là che nel normale stato gassoso, uno stato in cui tutta la materia, cioè la materia derivante da fonti diverse come l'Ossigeno, l'Idrogeno etc. è di un unico tipo, essendo essa la sostanza di cui sono costituiti tutti gli elementi chimici." L'atomo perde per la prima volta la sua

indivisibilità e l'elettrone diventa momentaneamente la sostanza prima.

Esperimento di Millikan

Minutissime goccioline d’olio, caricate negativamente con una carica incognita q

mediante irradiazione con raggi X, vengono immesse tra le armature di un condensatore che produce un campo elettrico di intensità E. Ciascuna gocciolina è sottoposta ad una forza elettrica Fe = Eq ed alla forza

peso Fp = mg. Variando

opportunamente l’intensità E del campo elettrico è possibile variare la forza elettrica, per una goccia, fino a renderla uguale alla sua forza peso (la goccia rimarrà sospesa in equilibrio).

Eq = mg

Misurando il diametro della goccia e conoscendo la densità dell’olio, si può calcolare la massa m della goccia. L’unica incognita rimane perciò la carica q, che viene in tal modo misurata. Tale carica risulta essere, per tutte le gocce, un multiplo intero di 1,6 10-19 C, valore che viene assunto come carica elettrica elementare ed associato alla carica dell’elettrone.

Nel 1905 Millikan dimostrò che la carica elettrica è sempre un multiplo intero di una quantità elementare pari 1,602 10-19 Coulomb, carica che si dimostrò appartenere sia al protone che

9 1,758 820 150 .108 C/g

all'elettrone11. Nota la carica dell'elettrone ed il rapporto e/m fu quindi possibile ricavare il valore assoluto della massa dell'elettrone12.

Il fatto che un atomo neutro contenesse al suo interno particelle negative di massa trascurabile rispetto a quella dell’intero atomo, richiedeva naturalmente la presenza di una controparte positiva alla quale associare la maggior parte delle sua massa.

Nel 1886 Goldstein, usando un tubo a raggi catodici con catodo forato, rilevò dietro al catodo, una luminescenza provocata da radiazioni con movimento opposto a quello dei raggi catodici.. Egli dimostrò che si trattava di particelle cariche positivamente (raggi canale). Poiché la massa di tali particelle era diversa a seconda del gas contenuto nel tubo, si ritenne, correttamente,. che gli elettroni che attraversavano il gas, accelerati dalla differenza di potenziale, fossero in grado, urtandoli, di strappare gli elettroni contenuti negli atomi del gas, trasformandoli così in ioni positivi.

I cationi generati, attirati dal catodo, andavano a formare i raggi canale. Si dimostrava dunque che l’atomo ormata da particelle negative di piccola massa (elettroni) che neutralizzavano una porzione positiva più massiccia.

Lo studio dei raggi canale portò in seguito lo stesso Thomson nel 1907 a scoprire l'esistenza degli

isotopi. Sottoponendo i raggi canale a condizioni sperimentali simili a quelle a cui aveva sottoposto gli

elettroni per determinarne il rapporto e/m, Thomson scoprì che gli ioni di uno stesso elemento non si distribuivano su di un'unica parabola, ma presentavano diverse traiettorie. Thomson interpretò correttamente i risultati dell'esperimento ipotizzando che all'interno di uno stesso elemento fossero presenti gruppi di atomi aventi le stesse caratteristiche chimiche, ma massa diversa. Erano stati scoperti gli isotopi. Lo strumento utilizzato da Thomson è sostanzialmente analogo all'attuale spettrografo di

massa che permette oggi di pesare le sostanze chimiche, calcolando inoltre le percentuali relative dei

vari isotopi in base all'annerimento relativo della lastra fotografica che vanno a colpire.

11 1,602 176 487 .10-19 C

L'ipotesi di Prout (1815) secondo la quale gli atomi degli elementi più pesanti erano costituiti da un diverso numero di atomi di Idrogeno (protone), veniva dunque sostanzialmente confermata. In effetti rimanevano però alcune discrepanze apparentemente inspiegabili.

Se prendiamo ad esempio il Carbonio 12, il cui nucleo è composto da 6 protoni e 6 neutroni troviamo che la sua massa complessiva (12 u) è minore della somma delle masse dei suoi nucleoni presi singolarmente. (6.(1,0073 u) + 6.(1,0087 u) = 12,096 u). Tale apparente contraddizione si spiega ammettendo che una parte della massa dei neutroni e dei protoni si sia trasformata in energia di legame, secondo la relazione einsteniana E = mc2, necessaria a tenerli uniti all'interno del nucleo. Tale quantità è chiamata difetto di massa.

Nel 1896 Henri Becquerel scoprì casualmente la radioattività dell'Uranio. Le sue ricerche vennero proseguite dai coniugi Curie e poi da Rutherford, il quale per primo nel 1898 riconosce le radiazioni da lui chiamate a (alfa) e b (beta), emesse da elementi radioattivi.

Ben presto risulta chiaro che le radiazioni beta sono costituite da elettroni come i raggi catodici, mentre per lungo tempo resta oscura la natura delle radiazioni alfa.

Pochi anni più tardi P. Villard in Francia scoprì che tra le radiazioni emesse da una sostanza radioattiva ve ne sono di un terzo tipo, chiamate g (gamma), che si riconoscono simili ai raggi X.

Bisogna aspettare il 1904 perché Rutherford dimostri che la radiazione alfa è costituita da nuclei di Elio. Lo stesso Rutherford, con la collaborazione di Soddy, fu in grado ben presto di dimostrare che durante l'emissione delle radiazioni alfa e beta, l'elemento radioattivo si trasforma, con un ritmo caratteristico, in un elemento di peso e numero atomico diverso (e quindi in un altro elemento chimico).

Decadimento alfa - Quando un nucleo radioattivo (e quindi instabile) emette una radiazione a, esso si trasforma, o decade, nell'elemento che lo precede di due posti nella tabella periodica, a causa della perdita di due protoni (e due neutroni).

Z A Z A X® --Y+ He 2 4 2 4 Decadimento b

(beta-meno) Quando un nucleo radioattivo emette una radiazione b

-, esso si trasforma, o decade, nell'elemento che lo segue di un posto nella tabella periodica, a causa della trasformazione di un neutrone del suo nucleo in un protone (che rimane nel nucleo), un elettrone e un antineutrino (che si allontanano dal nucleo).

n

+

+

®

-e

p

n

n + + ® -+Y e X ZA A Z 1 Decadimento b+

(beta-più) Quando un nucleo radioattivo emette una radiazione b+

, esso si trasforma, o decade, nell'elemento che lo precede di un posto nella tabella periodica, a causa della trasformazione

di un protone del suo nucleo in un neutrone (che rimane nel nucleo), un positrone ed un neutrino (che si allontanano dal nucleo).

n

+

+

®

+

e

n

p

n + + ® + -Y e X ZA A Z 1

Cattura elettronica (cattura K). Si produce quando uno degli elettroni presenti nel guscio più vicino

al nucleo (livello K) viene catturato da un protone che si trasforma in un neutrone ed un neutrino

n

+

®

+

-n

e

p

n + ® + - -Y e X A Z A Z 1

2.2 I modelli atomici di Thomson e Rutherford

Agli inizi del '900 vi erano dunque sufficienti elementi per formulare un modello atomico coerente. Nel

1904 J.J. Thomson ipotizzò che gli atomi fossero costituiti da una massa carica positivamente,

uniformemente distribuita, all'interno della quale erano presenti gli elettroni, carichi negativamente, in numero tale da determinare l'equilibrio delle cariche e quindi la neutralità.

Per cercare di chiarire la reale distribuzione delle cariche positive e negative che costituiscono l’atomo è possibile studiare gli effetti di deflessione (scattering o diffusione) che queste producono su particelle-proiettile dotate di carica. Tale tecnica, oggi divenuta molto comune per sondare la struttura della materia, fu utilizzata per la prima volta proprio sull’atomo, utilizzando come proiettili particelle a e b.

Nel 1911 Rutherford, a conclusione di una serie di esperimenti di scattering condotti sugli atomi, giunse a modificare profondamente il modello di Thomson

In tali esperimenti vennero fatte collidere particelle a con sottilissimi fogli metallici di oro o platino. Il loro comportamento risultò sorprendente ed incompatibile con il modello di Thomson: la maggior parte delle particelle attraversava indisturbata il diaframma metallico proseguendo in linea retta, ma alcune particelle subivano vistose deflessioni, in alcuni casi rimbalzando addirittura indietro. Il numero delle particelle deviate risultava correlato al numero atomico degli atomi bombardati.

L’esperienza suggerisce che:

a) La struttura atomica sia estremamente rarefatta, visto l’alto numero di particelle in grado di attraversarla

b) la diffusione sia provocata dalla repulsione tra particelle alfa incidenti ed una carica positiva estremamente concentrata il cui valore cresca al crescere del numero atomico.

Infatti se la carica positiva fosse diffusa, distribuita uniformemente su tutto il volume atomico, le particelle a sarebbero sottoposte sempre ad una forza risultante nulla o quasi nulla, sia passando all’interno di un atomo, sia passando tra gli atomi (è quel che accade utilizzando come proiettili-sonda gli elettroni, i quali attraversano la materia subendo deviazioni molto piccole, a causa della distribuzione più omogenea e diffusa delle cariche negative dell’atomo).

Per giustificare i risultati dei suoi esperimenti, Rutherford propose dunque un nuovo modello atomico, detto modello planetario con gli elettroni che andavano a costituire una specie di corteccia esterna al massiccio nucleo positivo, in modo da garantire la neutralità a livello macroscopico. Per non cadere nel nucleo, attirati dalla carica positiva in esso presente, gli elettroni negativi dovevano naturalmente possedere un'energia cinetica agente in senso opposto.

Da calcoli effettuati sulle percentuali e sugli angoli di deviazione, Rutherford giunse a calcolare che, mentre l'atomo doveva possedere un diametro dell'ordine di 10-8 cm, il nucleo avrebbe dovuto presentare un diametro dell'ordine di 10-12 -10-13 cm.

Lo stesso Rutherford proporrà in seguito di chiamare protone il nucleo dell’elemento più leggero, l’idrogeno. L'esistenza dei protoni venne definitivamente confermata nel 1925 da Blackett, il quale riuscì ad ottenere immagini fotografiche (camera di Wilson) della trasmutazione dell'azoto,

che, colpito da una particella a si trasforma in un nucleo di ossigeno e libera un protone del suo nucleo. 7 14 2 4 8 17 1 1

N+ He® O+ H

Solo molto più tardi (1932) James Chadwick, bombardando il Berillio con particelle a, scoprì che nei nuclei sono presenti anche particelle neutre, aventi una massa dello stesso ordine di grandezza del protone, anche se leggermente superiore, che vennero chiamati neutroni13.

49

Be+

24

He®

126

C+

01

n

La scoperta dei neutroni permise di giustificare completamente l'esistenza degli isotopi, scoperti in precedenza da Thomson. Inoltre permise di classificare gli atomi dei vari elementi in funzione del numero dei protoni presenti nel loro nucleo.

Il modello di Rutherford presentava tuttavia gravi difetti in quanto gli elettroni che ruotano intorno al nucleo dovrebbero perdere energia cinetica sotto forma di emissione di radiazione elettromagnetica, come previsto dalle leggi dell’elettrodinamica, finendo per cadere sul nucleo. Inoltre gli atomi, in opportune condizioni, sono in grado di emettere e assorbire radiazione elettromagnetica secondo modalità che il modello planetario di Rutherford non era in grado di giustificare.

Fu pertanto necessario introdurre un nuovo modello atomico. Ma prima di parlarne è necessario affrontare, sia pur brevemente, il problema della natura della radiazione elettromagnetica e dei fenomeni di interazione che essa manifesta con la materia.

13Bombardando il Berillio con particelle alfa esso emetteva una radiazione invisibile, che non veniva in alcun modo deflessa da campi magnetici o elettrici, il cui unico effetto era di provocare l'emissione da parte di un bersaglio di paraffina, contro cui era diretta, di protoni. Applicando semplicemente il principio di conservazione dell'energia e della quantità di moto e supponendo elastici gli urti tra le particelle, Chadwick fu in grado di calcolare la massa dei neutroni

Nel documento Chimica Generale (pagine 32-41)