• Non ci sono risultati.

MODELLI FEMMINILI E SESSUALITÀ: SCONFINAMENTI DI GENERE E DI ORIENTAMENTO SESSUALE

In questo capitolo si riprende la riflessione sulle dinamiche di autonomia e dipendenza nei rapporti di genere, analizzando le pratiche di attraversamento dei confini delle identità di genere. Le migranti affrontano numerosi attraversamenti di confini, geografici, politici, sociali, culturali, che le portano a riformulare la propria identità, incluse le costruzioni di genere e sessuali:

“Quando le/i migranti attraversano le frontiere, attraversano anche confini emozionali e comportamentali. Diventare membro di una nuova società allarga i confini di ciò che è possibile in molti modi. La vita e i ruoli cambiano e con essi anche le identità. Nella nuova cultura nuove aspettative sociali portano a trasformazioni identitarie. Le identità previste o permesse nella cultura d’origine potrebbero non corrispondere a quelle previste o permesse nella società ospite. I confini vengono attraversati quando nuove identità e ruoli vengono incorporati nella vita.”1 (Espin, 1997, p. 191).

Come abbiamo visto nel terzo capitolo i significati dell’essere donna e della femminilità sono riformulati nel processo migratorio. Lo spostamento di persone contribuisce a mettere in luce come processi di cambiamento connessi ai flussi globali siano in atto anche nei diversi contesti locali, che non sono nettamente separati, ma fortemente connessi.

Sebbene in molti casi le donne emigrate possano godere di opportunità lavorative e relazionali che le portano a un ampliamento delle proprie prospettive, la riconfigurazione dei ruoli assunti dagli uomini si intreccia e interfaccia con esse e talvolta può portare a rinnovati desideri di controllo sulle donne da parte degli uomini, come compensazione per la perdita di posizione sociale e di controllo sulle proprie vite nel contesto di emigrazione.

1

“When immigrants cross borders, they also cross emotional and behavioral boundaries. Becoming a member of a new society stretches the boundaries of what is possible in several ways. One’s life and roles change, and with them, identities change as well. In the new culture, new societal expectations lead to transformations in identity. The identities expected or permitted in the home culture may no longer be those expected or permitted in the host society. Boundaries are crossed when new identities and roles are incorporated into life.”

“Gli/Le etnografi/e che usano i nuclei domestici, le famiglie e le reti come unità di analisi hanno rivelato un modello in cui le donne immigrate introdotte in occupazioni remunerate spesso esperiscono miglioramenti relativi all’autonomia personale, l’indipendenza, la parità di genere, mentre gli uomini perdono terreno. Questo è vero soprattutto quando gli stipendi e/o le rimesse delle donne, rispetto a quelli degli uomini della famiglia, sono sufficientemente alti per essere usati come leva per negoziare maggiore parità nei processi decisionali domestici (inclusa la gestione del bilancio), nella mobilità fisica e nella cura della casa e dei figli. Alcuni studi documentano come la migrazione promuove relazioni maritali solidali e paritarie. Tuttavia vi sono sufficienti resoconti etnografici contrapposti che descrivono l’intensificarsi del controllo degli uomini sulle donne così come esempi di abuso fisico ed emotivo.”2 (Mahler e Pessar, 2006, p. 34).

Secondo Mahler e Pessar è importante osservare “come i cambiamenti nello status femminile a seguito della migrazione influiscono sul privilegio maschile e come questo si intreccia con altre sfide all’autostima maschile causate da razzismo, classismo, religione e status legale.”3 (Ibidem).

Il controllo sulle scelte ed esperienze sessuali delle donne si manifesta a vari livelli, in famiglia e nella società. In questo capitolo ne mostrerò alcuni aspetti per mettere in luce come si configura allo scopo di indirizzare e contenere le esperienze femminili in determinati confini, con conseguenze diverse per le esperienze delle donne eterosessuali e lesbiche. Infatti, sia in Perù sia in Italia, l’eterosessualità è considerata fondante nei rapporti sociali, comportando avvertimenti e sanzioni per i soggetti che non vi si conformano. Alcune femministe hanno individuato il patriarcato come sistema di potere maschile, che ha utilizzato e imposto l’eterosessualità nella definizione delle identità, dei ruoli familiari e sociali, un regime che Rich (1985) chiama “eterosessualità obbligatoria”. Blackwood (2002) e Wieringa (Blackwood e Wieringa, 1999) riflettono

2

“Ethnographers using households, families, and networks as units of analysis have revealed a pattern wherein immigrant women introduced to wage-earning employment often experience gains in personal autonomy, independence, and greater gender parity, whereas men lose ground. This is particularly true when women’s wages and/or remittances are sufficiently high relative to those of male household members to be used as leverage to negotiate greater parity in household decision making (including budgeting), in physical mobility, and in housekeeping and childcare. Some studies document how migration fosters more companionate spousal relations. There are, however, sufficient countervailing ethnographic accounts that describe the intensification of men’s control over [heterosexual] women as well as instances of emotional and physical abuse.”

3

“how changes in females’ status as a result of migration affect mascoline privilege and how this interrelates with other challenges to males’ self-esteem that are caused by racism, classism, religion, and legal status.”

sulla valenza euristica ed epistemologica del concetto di “eterosessualità obbligatoria”, sulla scorta delle indagini antropologiche effettuate negli ultimi decenni relativamente alla sessualità femminile in varie aree del mondo. A loro avviso l’uso di tale concetto rimane valido in Occidente, dove l’agency femminile e in particolare la sessualità lesbica sono parte di fenomeni di resistenza al patriarcato. Invece laddove le dinamiche di interrelazione fra potere, sessualità e genere sono differenti, tale concetto può risultare costrittivo, giacché vi sono contesti culturali in cui la sessualità fra donne è in talune circostanze legittimata senza configurarsi come pratica di resistenza4. Secondo Blackwood, se certamente le istituzioni eterosessuali, tra cui per esempio il matrimonio, sono usate per controllare la sessualità, vanno però distinte da quest’ultima nell’analisi, altrimenti non sarebbe possibile concepire le sessualità delle donne al di là dei limiti imposti dalle culture patriarcali: “Non sono il matrimonio o l’eterosessualità a essere oppressivi per le donne, ma particolari sistemi in cui la maschilità e il desiderio maschile sono costruiti come validi e potenti. La sessualità delle donne, invece, è costruita come limitata o necessariamente vincolata.”5 (Blackwood e Wieringa, 1999, p. 76, corsivi nell’originale). Trovo interessante la riflessione di Blackwood e Wieringa poiché apre a una maggiore comprensione dell’agency femminile. Nei contesti da me osservati ritengo che il concetto di “eterosessualità obbligatoria” sia pertinente e che per questa ragione le pratiche di ribellione a tale sistema di dominio siano così duramente sanzionate socialmente inducendo i soggetti che le attuano ad agire pratiche di vita quotidiana interstiziali. L’attuale scenario globale di progressivo aumento della visibilità dei soggetti LGBT e di legittimazione delle loro scelte di vita e dei loro spazi comunitari sta portando a nuove forme identitarie e a un possibile ridimensionamento del potere costrittivo dell’eterosessualità. Si riconfigurano così le dinamiche di gestione del potere fra i generi.

4

Vedi Lewin e Leap (2002); Blackwood e Wieringa (1999), Wieringa, Blackwood e Bhaiya (2007), Morgan e Wieringa (2005).

5

“It is not marriage or heterosexuality that is oppressive to women but particular systems in which masculinity and masculine desire are constructed as valuable and powerful. Women’s sexuality, however, is constructed as limited or necessarily constrained.”

Contraltari del cambiamento: machismo

Nel suo lavoro sulle/sui migranti latinoamericane/i a Londra, Mcllwaine afferma che “emerge un ampio ritratto dei miglioramenti delle vite delle donne migranti all’aumentare delle loro opzioni di vita, mentre gli uomini affrontano notevoli sfide alle maschilità egemoniche in quanto il machismo è messo in discussione e trasformato”6 (2008a, p. 2). Come fra le/i partecipanti alla ricerca di Mcllwaine, anche fra le donne peruviane con cui sono stata in contatto il “machismo e le sue manifestazioni quotidiane o l’essere ‘machista’ sono stati discussi ripetutamente dalle donne e uomini migranti ogni qual volta si menzionassero questioni di genere”7 (Ivi, p. 9). Spesso uno dei primi temi affrontati dalle mie interlocutrici quando presentavo il focus sul genere della mia ricerca era il problema del machismo. Mcllwaine riporta la seguente definizione di

machismo: è “un ‘culto della maschilità esagerata’ che implica ‘l’asserzione di potere e

controllo sulle donne e su altri uomini’, in pratica il machismo può includere protezione, approvvigionamento, così come bere, scommettere e provare la propria virilità in vari modi”8 (Ibidem). Il machismo è percepito come un complesso di attitudini maschili verso gli altri, che include il controllo su di essi, un ruolo decisionale dentro e fuori l’ambiente domestico, la gestione dei corpi e delle azioni delle donne, per esempio imponendo la necessità del permesso maschile per agire, anche attraverso l’uso della violenza. Uno dei fattori che molte donne peruviane migranti hanno menzionato per “misurare”9 il miglioramento della propria condizione è proprio l’assunzione di un maggiore controllo sulle proprie vite. Elementi di forte critica verso gli uomini, associati al machismo, sono l’abitudine di bere molto, soprattutto nei fine settimana, di comportarsi in maniera irrispettosa e non paritaria con le donne, di spendere i soldi guadagnati dalle mogli nel divertimento, senza investirli nella costruzione di un miglioramento di status socio-economico per il futuro proprio e dei/delle figli/e. In Perù si parla di uomini machistas quando questi hanno, oltre alla moglie, anche relazioni

6

“a broad picture emerges of migrant women’s lives improving as their life chances expand, while men face considerable challenges to hegemonic masculinities as machismo is confronted and transformed”. 7

“machismo and its everyday manifestations or being a ‘machista’ were discussed repeatedly by female and male migrants at any mention of gender issues”.

8

“a ‘cult of exaggerated masculinity’ involving ‘the assertion of power and control over women, and over other men’, in practice, machismo may entail protection, provision, as well as drinking, gambling and proving ones virility in various measures”.

9

sessuali con altre donne, con eventuali altri/e figli/e. Il bere eccessivo e l’infedeltà sono considerati espressione di irresponsabilità. Machista, inoltre, è colui che desidera farsi servire e non si occupa delle faccende domestiche: molte tra le peruviane single che hanno avuto compagni o mariti eterosessuali sia a Lima sia a Milano mi hanno detto di non voler, o non voler più, vivere con un uomo per evitare di trovarsi a doverlo servire. Inoltre a Milano esse evitano la frequentazione di ambienti connotati come peruviani, in particolare quelli di classe medio-bassa, in cui parte della ricostruzione della “peruvianità” risiede nella replica di atteggiamenti maschilisti, quali l’orinare in pubblico nei pressi dei luoghi di incontro e bere alcol abbondantemente: “Preferisco non andare agli incontri peruviani, per esempio nei parchi, perché… gli uomini sono

machisti, bevono molto… preferisco stare coi miei amici, anche molti italiani.”

(Mercedes, intervista non registrata, Milano, 30 maggio 2009).10

Come vedremo nel corso del capitolo, anche le donne giocano un ruolo importante nel favorire il sistema patriarcale:

“La gerarchia femminile tende a rinforzare quella fra uomini e donne. L’egemonia maschile passa sovente attraverso il controllo che le donne più anziane esercitano su quelle più giovani e in età riproduttiva (Maher in Sapelli, 2002). Dove manca l’autorità delle donne anziane [vedi certi contesti migratori dove manca la rete familiare estesa], che possono svolgere un ruolo anche di mediazione e protezione, il potere degli uomini si manifesta in violenza diretta.” (Maher, 2007, p. 111).

Allo scopo di difendere specifiche forme di riconoscimento sociale assegnate a chi si assimila al sistema, molte donne contribuiscono ad alimentare quest’ultimo, anche attraverso le modalità di relazionarsi con gli uomini (figli, mariti, padri, generi, ecc.).11 Esse quindi possono agire pratiche di controllo sociale e sanzionamenti verso altre donne affinché non emergano modelli alternativi.

Il corrispettivo dell’autonomia femminile è la perdita di potere da parte degli uomini in un contesto di cambiamento degli equilibri di potere e delle identità etero-ascritte (Boehm, 2008; Castellanos e Bohem, 2008). In alcuni casi è stato osservato come

10

Nel prossimo capitolo mostro alcune esperienze di donne, eterosessuali e lesbiche, che scelgono di frequentare i raduni nei parchi.

11

Si veda Ødegaard (2006) per un’analisi del machismo e della complicità femminile in alcuni contesi andini peruviani.

questo fenomeno possa portare a un aumento della violenza maschile contro le donne nelle famiglie. L’analisi di Moore (1994 in Ødegaard, 2006) fa emergere come la violenza maschile sia spesso causata da sentimenti di frustrazione legati alle difficoltà di vivere all’altezza degli ideali di maschilità, quale l’essere il breadwinner, colui che mantiene la famiglia. I modi in cui si esprime tale violenza e la volontà di mantenimento di controllo sulle donne sono molteplici: talvolta gli uomini screditano le donne nel Paese di emigrazione giudicandone severamente i cambiamenti che esse intraprendono e criticandoli come cambiamenti che vanno contro l’etica consentita. Un tipico esempio consiste nel riferirsi alla sfera sessuale, sfera dove si agisce fortemente il controllo sociale attraverso la costruzione di giudizi sulle condotte considerate proprie e improprie. Le donne di cui non si condividono i comportamenti possono facilmente essere giudicate troppo libere sessualmente, quasi come prostitute (Mcllwaine, 2008), madri irresponsabili, laddove, come abbiamo visto nel terzo capitolo, essere una “buona” madre è per molte un aspetto fondante della propria costruzione di femminilità. Secondo alcune studiose (Espiritu, 2001), inoltre, le donne sono considerate le depositarie della morale dell’intero gruppo familiare e di quello sociale, che sono dunque legittimati al controllo sulle componenti femminili:

“In molte società il comportamento sessuale delle donne e la loro conformità ai ruoli tradizionali di genere esprime il sistema di valori della famiglia. Per questa ragione le lotte attorno all’acculturazione nelle famiglie immigrate e rifugiate si incentrano frequentemente sulle questioni del comportamento sessuale delle figlie e dei ruoli sessuali delle donne in generale. […] Nella nostra epoca i conflitti e le trasformazioni identitarie delle donne immigrate continuano a venire espressi attraverso l’abbigliamento e la sessualità.”12 (Espin, 1997, pp. 196-197).

Secondo Pagnotta, che ha realizzato uno studio sulle migranti ecuadoriane in Italia,

“Bisogna considerare […] come in America Latina i rapporti tra i generi siano stati fortemente influenzati dall’eredità coloniale spagnola, che assegnava una grande importanza

12

“In most societies, women’s sexual behavior and their conformity to traditional gender roles signify the family’s value system. This is why struggles surrounding acculturation in immigrant and refugee families center frequently on issues of daughters’ sexual behaviour and women’s sex roles in general. […] Immigrant women’s identity conflicts and identity transformations continue to be expressed in our time through clothing and sexuality.”

alla divisione tra pubblico e privato, al controllo della sessualità femminile, al concetto di onore della famiglia e alla paternità come mezzo per riaffermare la mascolinità.” (2008, p. 363).

Inoltre secondo Pedone, che si è occupata di donne latinoamericane in Spagna, “Al controllo della sessualità della donna si oppone la piena libertà dell’uomo nel mantenere relazioni sessuali extramatrimoniali.” (2005, p. 101). L’esperienza di Estrella Tintero è molto interessante da questo punto di vista:

Estrella, che come ho detto nei precedenti capitoli vive ora a Milano con i due figli e senza un compagno, non disdegna l’idea di trovare un nuovo partner. Un giorno in cui ci siamo incontrate, Estrella vestiva un cappottino rosso vivace, che ho subito notato e apprezzato. Questo ha dato avvio a una chiacchierata intorno all’uso di quel capo di vestiario: Estrella mi ha confidato che si sentiva un po’ in imbarazzo nel vestire un capo così vistoso (per il colore rosso13) e che la figlia l’aveva considerato un richiamo di attenzione eccessivo sulla sua persona e sul suo corpo, un mettersi in mostra anche dal punto di vista erotico. Ne abbiamo discusso un po’ e nella sua autorappresentazione Estrella oscillava tra l’adesione a questo giudizio, che quindi l’avrebbe portata a dismettere questo capo a favore di uno dal colore più sobrio, e la difesa della sua scelta, motivata dal suo amore per i colori vivaci e per il vestire elegante, moderno e curato, per il desiderio di essere apprezzata esteticamente. Il dubbio risiedeva nel legittimare per sé questo desiderio o nell’assumere il giudizio altrui e introiettarlo. La volta successiva in cui ci siamo viste, una settimana dopo, Estrella indossava un cappottino molto simile, ma blu scuro. Lo noto e colgo l’occasione per chiederle lumi. Mi riferisce che quello rosso le sembrava eccessivo e che l’aveva dato alla figlia, che era contenta di indossarlo. Dunque la mediazione per sé è stata di indossare un capo simile per stile ed eleganza, ma di un colore più sobrio.

Emerge qui come il giudizio su ciò che è appropriato per un atteggiamento estetico- corporeo abbia la forza di dare forma ai comportamenti soggettivi e ai giudizi su di sé: è proprio attraverso lo sguardo degli altri che costruiamo noi stesse/i. I giudizi cambiano a seconda del gruppo sociale di appartenenza, del genere del soggetto, dello status nelle relazioni familiari e dell’età: una donna di 45 anni, madre, deve comportarsi in maniera

13

Sia a Lima sia a Milano l’uso di colori vivaci e in particolare del rosso, per chi utilizza vestiario occidentale urbano, in particolare in autunno e inverno, è poco diffuso e associato al desiderio di mettersi in mostra.

sobria, assumendosi le responsabilità del suo ruolo, anche “per rispetto dei figli”14. Una ragazza di 25 anni single, ha maggiore libertà, soprattutto se viene spronata a trovare un

partner. Infatti, in più occasioni ho sentito Estrella fare allusioni alla figlia Leia affinché

trovasse un ragazzo, ma Leia ha sempre chiuso rapidamente il discorso cercando di ritagliarsi spazi di privacy.

A Milano le peruviane e i peruviani di classe medio-bassa vedono le milanesi come più “libere”, quindi l’assunzione di vestiario diverso da quello sobrio usato dalle peruviane crea disappunto perché veicola messaggi sulla sessualità non consentiti dal gruppo di appartenenza e perché viene considerato come un tentativo di mimetizzarsi, di nascondere la differenza “etnica”. Nelle classi medio-alte sia a Lima sia a Milano c’è una maggiore vicinanza ai modelli estetici europei.

Lo studio di Espiritu (2001) sulle migranti filippine negli USA mostra come esse tendano a promuovere la virtù filippina attraverso la costruzione di uno stereotipo negativo sulle donne bianche nordamericane. Invece lo studio di Gonzàlez-Lopez (2003 in Carrillo, 2004) sulle donne messicane negli USA, sottolinea come il loro incontro con uomini nordamericani le porti a mettere in questione il modo in cui gli uomini messicani le trattano. È frequente anche fra le peruviane da me conosciute a Milano la discussione relativa a comparazioni fra gli uomini italiani e peruviani con preferenze alterne che dipendono tra l’altro da immaginari di genere, classe sociale, contesto di provenienza in Perù e aspirazioni a Milano.15

Nei racconti di molte è emersa la presenza di un forte controllo sulle vite sessuali delle componenti della famiglia. Le donne in giovanissima età tendono a esperire negazioni delle potenzialità sessuali, ma da una certa età in poi vengono spinte a trovare un partner, che deve essere stabile ed economicamente affidabile. Nei racconti di moltissime lesbiche, che spesso non mostrano interesse per gli uomini, queste pressioni emergono con più forza. In un primo tempo, in quanto figlie danno serenità perché mostrano comportamenti considerati più casti, dato che vengono viste dalle famiglie dedicarsi ad amicizie prevalentemente femminili. Secondo la psicologa sociale Greene (1997), che ha osservato l’interrelazione fra la costruzione dell’identità lesbica e l’appartenenza a una minoranza etnica negli USA,

14

Estrella, note di campo. 15

Sulle visioni reciproche fra nativi e migranti come parte dei processi di integrazione ed esclusione si veda ad esempio Riccio (2007).

“Le donne nelle culture Latine sono incoraggiate al mantenimento di vicinanza emotiva e fisica con altre donne e questo comportamento non è considerato lesbico. […] La prossimità con amicizie femminili durante l’adolescenza può fornire i mezzi per proteggere la verginità delle giovani donne, diminuendo il loro contatto con i maschi. Fra donne, discussioni esplicite sul sesso e la sessualità non sono culturalmente sanzionate. Rispetto alle questioni sessuali ci si aspetta che le donne siano ingenue e ignoranti, mentre i maschi esperti e informati.”16 (p. 220).

Tuttavia superata una certa età, spesso in corrispondenza di quello che è considerato l’ingresso nella età adulta, che tendenzialmente oggi sia a Lima sia a Milano corrisponde all’inserimento nel mondo del lavoro, iniziano forti pressioni familiari per la ricerca di un fidanzato e atteggiamenti di critica nei confronti delle amicizie femminili. Lo studio di Trujillo (1991 in Greene, 1997) sulle lesbiche chicane negli