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La modernizzazione dell’Impero ottomano

1. Riforme istituzionali

La modernizazione istituzionale dell’Impero ottomano, iniziata nel 1839 con la lettura pubblica dell’editto imperiale di Gülha ne,1 era di

fatto un processo in gran parte imposto dalle potenze europee per il ri- conoscimento dei diritti di cittadinanza dei soggetti non-musulmani. L’impero, minacciato da movimenti secessionisti, accettava questa sfida per scongiurare il pericolo di uno smembramento territoriale. L’editto del 1839 proclamava cittadini di uguale diritto tutti i soggetti ottomani indifferentemente alla loro religione o etnia.2Nel 1856, sotto la pressio-

1Il processo di modernizzazione è il tentativo compiuto dalle élite governanti

per arrestare il continuo declino dell’impero di fronte all’avanzamento econo- mico, scientifico e militare dell’Europa. In questo senso esso ebbe inizio già nel Settecento con i primi timidi accenni all’introduzione di metodi organizzativi e conoscenze scientifiche per modernizzare le forze armate ottomane. Ma le rela- zioni di forza tra l’impero e l’Occidente europeo continuarono a funzionare nella direzione di una crescente sottomissione ottomana nei confronti delle po- tenze occidentali soprattutto in campo economico. Nel XIX secolo potenti stati occidentali, attraverso rapporti commerciali mediati dalle comunità non musul- mane, avevano quasi colonizzato l’impero. L’editto imperiale di Gülhane aprì un periodo, conosciuto nella storia con il nome di Tanzimat (riforme), che nel- l’arco di qualche decennio cambiò il paesaggio istituzionale, economico e socia- le dell’Impero ottomano. Sull’argomento esiste una vasta bibliografia. Qui ri- cordiamo in particolare N. Berkes, Türkiye’de çag˘das¸las¸ma, cit.; B. Lewis, The

Emergence of Modern Turkey, Oxford 1968; C.V. Findley, The Bureaucratic Re - form..., cit.

2«La popolazione (reaya) dell’Impero ottomano era organizzata in comunità

religiose (millet) legalmente riconosciute. L’identità personale nel Medio Orien - te nell’età pre-moderna e precedente agli stati nazionali era legata alla religione. Le principali millet erano i greco-ortodossi, gli armeni cristiani e gli ebrei. Cia - scuna millet aveva una propria organizzazione sotto i propri leader religiosi, e le relazioni degli individui con il governo centrale erano assicurate attraverso le loro millet, che erano responsabili, tra le altre mansioni, della riscossione delle tasse, dell’educazione, delle questioni legali intercomunitarie, specialmente quel - le riguardanti lo status personale come il matrimonio, il divorzio e l’eredità». Si veda N. Itzkowitz, Ottoman Empire..., cit., p. 59.

ne degli alleati europei nella guerra di Crimea, il sultano riconfermerà questi principi con un editto più dettagliato, conosciuto con il nome di

Hatt-ı Hümâyun.

Il fatto che le riforme fossero promulgate allo scopo di salvaguardare l’integrità dello Stato finirà per condizionare tutto il loro percorso. Dal momento che esse non scaturivano da nessuna nuova concezione ideo- logica dell’individuo e della società, ma si basavano sulla necessità di conservare lo Stato e la supremazia dei gruppi dirigenti musulmani, vi sarà una perpetua ricerca di conciliare gli aspetti nuovi con le strutture tradizionali.

L’attribuzione allo Stato del ruolo moderno di legislatore comincia a ridimensionare la posizione delle comunità religiose (millet). Allo Stato viene richiesto, per la prima volta nella storia ottomana, di entrare nella sfera dei rapporti interpersonali e di emanare leggi e decreti universali per regolamentare la vita socio-economica e istituzionale dell’impero. In tal modo viene riconosciuta implicitamente la soggettività dell’indi- viduo; esso non risulta più solo come membro di una comunità religio- sa, ma un cittadino con precisi doveri e diritti di fronte allo Stato.

Ma la resistenza da parte degli ulema, i principali tutori della natura islamica dello Stato, a questo processo è molto forte: lo contrastano per le sue caratteristiche di separare l’individuo dalla comunità, di corrode- re la moralità musulmana e di invadere il campo divino. Nella teoria giuridica musulmana lo Stato non può esercitare potere legislativo, per- ché la legge è rivelata da Dio al suo profeta Muhammad. Dunque, teo- ricamente, non vi può essere altra legge che la S¸eriat, immodificabile e sacra, amministrata appunto dagli ulema.3

La S¸eriat, altamente sviluppata nel campo del diritto privato, per quanto riguarda invece il diritto pubblico, l’organizzazione dello Stato e la sua amministrazione, lascia ampi spazi di autonomia e poteri di- screzionali al sovrano per permettergli di salvaguardare gli interessi dei credenti.4 Il sovrano dunque, a condizione di non contravvenire ai

3Teoricamente, la S¸eriat deriva da quattro fonti fondamentali: il Corano; la Sunna ossia la tradizione del profeta Muhammad; l’insieme dei principi sanciti

dall’ijma‘, ossia il “consenso” degli ulema; e le qıyas, ossia l’applicazione, a par- tire da determinate regole, dei principi di una legge stabilita a una legge da fis- sare. Vi sono quattro principali scuole “giuridiche” della legge islamica; gli otto- mani hanno aderito a quella hanafita. Per una trattazione generale della legge islamica e della scuola hanafita si veda J. Schacht, The Origins of Muhammedan

Jurisprudence, Oxford 1950; Id., An Introduction to Islamic Law, Oxford 1964. 4E. Mardin, Development of the Shari’a under the Ottoman Empire, in M.

Khadduri, H.J. Liebesny (a c. di), Law in the Middle East, London 1955, pp. 279-291.

principi della S¸eriat – e controllato in questo dagli ulema – può emana- re direttive legali, considerate necessarie per il buon andamento degli affari dello Stato. Presso gli ottomani questa pratica, largamente utiliz- zata, ha costituito la tradizione del kanun5e ha regolato l’amministra-

zione dello Stato, l’organizzazione fiscale e quella militare. A regola- mentare la vita dei sudditi non musulmani invece era deputato il siste- ma delle millet.

Dato che le riforme scaturivano sia dalla necessità di una migliore amministrazione, sia da quella di regolare le intensificate relazioni eco- nomiche con la civiltà occidentale, l’attività legislativa risultava esserne la parte più significativa.6Ma, in bilico tra la volontà di conservare la

supremazia politica musulmana e la necessità di aderire ai principi giu- ridici europei, il processo di riforme dovette continuamente cercare compromessi e fu accompagnato da numerosi dibattiti circa il peso del- la S¸eriat da conservare nel nuovo diritto ottomano. Il problema princi- pale che occupava i riformatori nei loro tentativi di legiferare risultava infatti essere quello di trovare delle vie appropriate per armonizzare la

S¸eriat, la tradizione del kanun e gli elementi del diritto occidentale.7Lo

Stato ottomano dovette comunque adottare, come conseguenza degli editti del 1839 e del 1856, fino al 1881, una serie di leggi e regolamenti che riguardavano il traffico marittimo, i rapporti commerciali, l’agricol- tura ecc.8L’universalità del diritto, insita nel riconoscimento di cittadi-

5Alcune autorità musulmane accettano il principio di örf, cioè il potere del

sovrano di decretare, indipendentemente dalla S¸eriat, dei regolamenti ritenuti necessari per il benessere della comunità. Nell’Impero ottomano il principio di

örf ha trovato una larga applicazione. I sultani, a cominciare da Mehmed I (Il

Conquistatore), hanno infatti elaborato dei codici, kanun, che però riguardava- no per lo più materie di Stato – l’amministrazione, il fisco e le finanze – e dove- vano sempre concordare con la S¸eriat; i loro dettami non invasero mai la vita della ümmet. Si veda H. I.nalcık, Law: Sultanic Law (Kanun) and Religious Law

(S¸e riat), in Id., The Ottoman Empire..., cit., pp. 70-75.

6N. Berkes, Türkiye’de çag˘das¸las¸ma, cit., p. 216. Furono istituiti, a tal fine, il Divân-ı Ahkâm-ı Adliye (1868), Consiglio delle Regole Giudiziarie, che era la ver-

sione rivista del precedente Consiglio di Giustizia, e il S¸ura-ı Devlet, il Consiglio di Stato, un’alta Corte di appello per le questioni amministrative, con qualche potere consultivo e quasi legislativo. Si veda B. Lewis, The Emergence..., cit., p. 122.

7N. Berkes, Türkiye’de çag˘das¸las¸ma, cit., p. 216.

8I testi delle leggi ottomane del XIX e del XX secolo si trovano in Düstur,

I.stanbul 1871-1928. Le traduzioni di alcuni di essi sono in G. Aristarchi, Lé -

gislation Ottomane (1873-88), 7 voll., I.stanbul 1873-1888, e in G. Young,

Corps de Droit Ottomane, 7 voll., Oxford 1905-1906. I codici penale e com-

merciale sono stati studiati da Ed. Engelhardt, La Turquie et le Tanzimat, 2 voll., Paris 1882-1884. Sul diritto e la proprietà fondiaria si vedano F.A. Belin,

nanza a tutti i soggetti finora considerati membri delle varie comunità religiose, obbligò inoltre all’adozione di un codice penale.

Qui non possiamo entrare nei particolari per discutere le contraddi- zioni insite nel procedimento applicato per la redazione dei vari codici, né i numerosi problemi sorti dalla coesistenza dei precedenti tribunali e di quelli nuovi. La maggiore fonte di ispirazione della nuova giurisdi- zione, così come delle procedure legali, fu la Francia. Malgrado però tutti gli sforzi, l’adozione dei codici e delle procedure penali francesi, nonché il nuovo prin ci pio di universalità della giustizia, intaccarono le fondamenta della giurisprudenza ottomana. Nei nuovi tribunali veniva convalidata la testimonianza di cristiani contro musulmani, nelle cause civili collegi di giuristi composti da un pari numero di musulmani e di non musulmani si trovavano a giudicare gli imputati senza operare di- stinzioni rispetto alla loro fede.9

Due concetti fondamentali dello Stato moderno, introdotti dalle riforme istituzionali (Tanzimat), cioè il diritto e la cittadinanza, comin- ciavano dunque a modificare di fatto le basi di legittimità del potere ot- tomano e minacciavano la funzionalità dell’antica struttura comunitaria della società turco-musulmana.

Il processo riformatore avviato nel 1839 rappresentava un profondo mutamento anche nella struttura dello Stato tradizionale, visibile nella stessa composizione della classe dirigente che promuoveva le riforme. Si tratta del risultato di un percorso istituzionale, iniziato nel XVIII secolo, che aveva visto la graduale acquisizione di importanza dei nuovi burocra- ti nell’apparato statale a scapito dei militari e degli ulema. Questa nuova burocrazia si era formata nelle cosiddette “camere di traduzione”, nelle quali i giovani ottomani della comunità musulmana avevano imparato le lingue occidentali – soprattutto il francese – per usarle nella diplomazia.10

Etude sur la propriété foncière en pays musulman et specialement en Turquie,

in “Journal Asiatique” (1862); Ö.L. Barkan, Türk toprak hukuku tarihinde

Tanzimat ve 1274 (1858) tarihli Arazi Kanunnamesi, in Milli Eg˘itim Bakanlıg˘ı

(a c. di), Tanzimat, I.stanbul 1940, pp. 321-421.

9I principi dei codici europei spesso contraddicevano la S¸eriat. Per esempio,

il Codice commerciale permetteva l’interesse sui crediti, una pratica espressa- mente vietata dal Corano; il Codice penale annullava pratiche come la lapida- zione degli adulteri, la flagellazione dei bevitori di vino, la mutilazione dei ladri ecc. previste nel sistema coranico. Conseguentemente, la giurisdizione e la fun- zione penale delle corti della S¸eriat venivano severamente ristrette, relegate principalmente alla regolamentazione dei rapporti intra familiari.

10B. Lewis, The Emergence..., cit., p. 118: «La nuova élite al potere non de-

rivò né dai militari, né dagli ulema, ma dall’Ufficio di Traduzioni e dalle segrete- rie delle ambasciate».

Le iniziative riformatrici intraprese fin da allora e culminate nell’editto imperiale di Gülhane, investirono questa burocrazia e i suoi settori più in contatto con l’estero, di un grande potere. Così, lo Stato ottomano co- minciava definitivamente a mutare la sua ideologia, la sua formazione, il suo modo di operare, in breve, le sue tecniche di controllo della società. L’evoluzione di un sistema giuridico e di un’educazione laica indeboliva- no l’egemonia sociale e culturale degli ulema; le scuole moderne, la stam- pa e la letteratura divenivano nuove fonti di irradiazione ideologica.11

Naturalmente, il processo non fu lineare. La lettura dell’editto impe- riale di Gülhane aveva suscitato da un lato riflessioni più o meno radi- cali sul bisogno di modificare la struttura dello Stato e la fonte della sua legittimazione. Dall’altro si verificavano dei tentativi di rendere la religione musulmana una ideologia politica unificante. I tentativi cul- mineranno con l’adozione di una politica improntata fortemente al sen- so islamico da parte del sultano Abdülhamid II (1876-1909) intorno al 1878. Per il sultano l’ideologia del panislamismo era una bandiera atta a unificare i musulmani dell’impero e uno strumento da utilizzare contro l’imperialismo occidentale.12

11I.. Ortaylı, I.mparatorlug˘un en uzun yüzyılı, I.stanbul 1983, p. 66. L’edu ca -

zione moderna era il secondo obiettivo principale delle riforme. Dei missionari protestanti americani aprirono a I.stanbul nel 1863 il Robert College, il cui inse- gnamento si basava su curricula americani e doveva essere impartito in lingua inglese. Mentre il Robert College era sorto su iniziativa dei missionari, il Liceo imperiale di Galatasaray fu inaugurato dallo stesso sultano ottomano nel 1868 e doveva impartire un’educazione in lingua e con un curriculum francesi. L’in - fluenza di tale liceo, che era il primo esempio in cui lo stesso governo musul - mano provvedeva a un’educazione moderna secondaria per la propria popola- zione in una lingua occidentale e con un curriculum di stampo francese, fu enorme nel processo di affermazione della Turchia moderna. Poiché il bisogno di am ministratori e diplomatici con un’educazione occidentale, necessaria alla gestione di un apparato statale costruito su modelli europei, divenne via via sempre più pressante, i diplomati del Galatasaray vennero a svolgere un ruolo prepon derante nella vita politica e nell’apparato amministrativo, prima del l’Im - pero ot tomano e poi della repubblica turca. Si veda B. Lewis, The Emer gence..., cit., p. 122.

12Il tentativo di Abdülhamid di utilizzare il titolo di califfo non ebbe un effet-

to unificante sui musulmani al di fuori dell’impero: Sir C. Eliot, Turkey in

Europe, London 1965, p. 123. Anche se prima della conquista russa i sovrani

musulmani dell’Asia centrale accettarono la suprema autorità del sultano otto- mano in quanto califfo, tale accettazione non ebbe nessuna conseguenza pratica, così come avvenne nel caso delle comunità musulmane dell’India sotto il gover- no britannico. Si veda B. Lewis, The Emergence..., cit., p. 336. Comunque Abdülhamid mandò emissari in Java, Iran, Turkestan, Cina, India e Africa. S¸. Mardin, Reli gion and Social Change in Modern Turkey: The Case of Bediüzzaman

È dunque in questo periodo, in cui la modernizzazione diventa politi- ca di Stato, che l’Islam comincia ad essere visto esplicitamente come fonte di identità collettiva, un modo di vivere che culturalmente e poli- ticamente si pone contro l’Occidente, il suo altro civilizzato.13Di conse-

guenza, i dettami religiosi riguardanti l’organizzazione della vita sociale e privata acquisiscono fondamentale importanza. A partire dalla strut- tura della famiglia fino alla separatezza degli ambiti riservati agli uomini e alle donne, essi diventano inalienabili elementi di una tradizione, di un sistema di valori che rappresentano la diversità dell’identità musul- mana rispetto a quella occidentale. In questo contesto diventerà indi- spensabile, per poter effettuare le riforme necessarie alla sopravvivenza dello Stato, promuovere riflessioni sulle modalità e sui limiti da porre alle nuove sollecitazioni che avanzano; sulla necessità per esempio di adottare la tecnologia occidentale mantenendo intatti i valori religiosi e tradizionali. Bisogna constatare che la bipolarità tra le sfere laica e reli- giosa della società turco-musulmana, iniziata durante questa ultima fase della modernizzazione ottomana continuerà ininterrottamente a funzio- nare, malgrado gli sforzi repubblicani, fino ai giorni nostri.

Il campo che resisteva più strenuamente ai processi di laicizzazione era ovviamente quello riguardante la sfera privata, domestica: quindi la rela- zione tra i due sessi. Le riforme non solo erano restie a entrare nel campo della vita privata, ma continuavano a considerare la società ottomana co- me la tradizionale ümmet, una comunità prettamente maschile.14

Said Nursi, Albany 1989, p. 126. In ogni caso le ragioni della politica panislami-

ca derivavano dalle questioni interne e dalla politica estera dello stesso Impero ottomano. Si veda F.A.K. Yasamee, Abdulhamid II and the Ottoman Defence

Problem, in “Diplo ma cy and Statecraft”, 4/1 (1993), pp. 20-36. Il panislamismo

può essere visto come una reazione contro ciò che era percepito come la minac- cia culturale rappresentata dall’Occidente. In questo senso esso ha tratti comuni con i nazionalismi dell’epoca. Si veda H. Poulton, Top Hat, Grey Wolf and

Crescent. Turkish Nation al ism and the Turkish Republic, London 1997, p. 62. 13Come abbiamo già visto, i primi segnali di questo fenomeno si erano avuti

nelle fasi iniziali del processo di modernizzazione, ossia nel XVIII secolo, quando gli artigiani si erano coalizzati con i giannizzeri ribellandosi contro le misure eco- nomiche modernizzatrici prese dalla corte. La ribellione si era espressa co me dife- sa della moralità della comunità musulmana di fronte all’immoralità delle élite mo- dernizzate. Si veda R.W. Olson, The Esnaf and the Patrona Halil Re bel lion of 1730:

A Realignment in Ottoman Politics?, in “Journal of the Eco nom ic and Social Hi-

story of the Orient”, vol. XVII (1974), pp. 328-344; Id., Jews, Janissaries, Esnaf

and the Revolt of 1740 in Istanbul, ivi, vol. XX (1977), pp. 185-207.

14Ciò è evidente nei principali editti (1836, 1856, 1875) che scandirono le

politiche di modernizzazione istituzionale. La prima regolamentazione giuridica che avesse, pur implicitamente, incluso il soggetto femminile è la Tabiiyyet-i

Infatti, la concezione di parità che si era introdotta nell’impero con l’editto imperiale di Gülhane, che Fuat Pas¸a nella circolare inviata alle ambasciate ottomane in Europa aveva definito «Un editto di ugua- glianza»,15conteneva forti limiti. Essa riguardava solo la sfera pubblica

e tutelava i soggetti liberi e di sesso maschile. Il nuovo diritto ottomano dunque manteneva la tradizionale separatezza tra le sfere pubblica e privata e continuava a ignorare quasi totalmente quest’ultima, lascian- do così il mondo domestico-familiare, le donne e gli schiavi, fuori dal processo di costruzione dello Stato moderno.

Il primo tentativo di codificare la sfera privata fu l’elaborazione del

Mecelle, il Codice civile ottomano, promulgato, nella sua completezza,

nel 1876. Esso, considerato un grande successo della giurisprudenza turca – rimarrà in vigore fino al 1926 e in seguito verrà utilizzato anche da altri paesi musulmani – non era altro che la codificazione e la presen- tazione della S¸eriat, il diritto musulmano di scuola hanafita, in una for- ma moderna. Così anche con il Mecelle l’organizzazione della famiglia – considerata un’importante unità sociale, una risposta ai più naturali bi- sogni dell’uomo – non veniva sottratta ai principi religiosi.16 Quindi,

nella comunità musulmana il matrimonio continuava ad essere un con- tratto privato, la cui validità non dipendeva dal suo riconoscimento, consacrazione o registrazione da parte di un’autorità17e il suo sciogli-

mento era praticamente solo in potere dell’uomo. La poligamia conti-

Osmanlı Kanunnamesi (la data non viene riportata) che include tra i cittadini

ottomani anche quelli di sesso femminile (i nati da genitori ambedue ottomani, o anche solo da un padre cittadino ottomano, sono da considerarsi cittadini del- l’impero). Nel 1874, un altro regolamento, questa volta riguardante la questione dei matrimoni misti, precisava che una cittadina ottomana, se è sposata con un cittadino straniero, durante il suo matrimonio avrebbe visto sospesa la propria cittadinanza; in un regolamento del 1885, riguardante la possibilità di unione tra una cittadina ottomana e un cittadino persiano, si prevede una sanzione per la donna. Nell’ambito del Codice penale, invece, già nel 1858 la posizione della donna è resa paritaria a quella dell’uomo. Sulla questione si veda il breve studio di G. Alpkaya, Tanzimat’ın ‘daha az es¸it’ unsurları, kadınlar ve köleler, in “Otam”, Haziran 1990, pp. 1-10.

15La circolare è del 15 maggio 1867; citato in ivi, p. 1.

16S.S. Onar, The Majalla, in M. Khadduri, H.J. Liebesny (a c. di), Law in the Middle East, cit., pp. 292-308. Sul primo regolamento riguardante il matrimonio

si veda I.zdivaç ve Tenakih maddesi hakkında tenbihatı hâvi ilânname, in “Dü -

stur”, I. Tertip, cilt I (1289/1872), p. 736, citato in G. Alpkaya, Tanzi mat’ın..., cit., p. 2.

17Nel 1883 fu introdotta la pratica della registrazione dei matrimoni entro sei

mesi dalla loro celebrazione, ma essa non aveva alcun effetto sulla validità del- l’unione e non fu molto rispettata, A. Duben, C. Behar, Istanbul House holds..., cit., p. 108.

nuava ad essere riconosciuta legittima e, malgrado alcuni tentativi per vietare la schiavitù, tale istituzione sopravviveva nella sfera domestica.18

In questo modo si apriva un significativo solco tra le sfere privata e pubblica. La prima rimaneva, almeno formalmente, ancorata alla tradi- zione, mentre la seconda cambiava rapidamente la sua natura. I rifor- misti ottomani, in particolare la generazione che si introduceva nell’a- rena socio-politica a riforme già promulgate, cominciavano a conside-

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