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1. La guerra e la fondazione della nazione

Nella fondazione della nazione, del nuovo Stato e della sua ideologia, svolsero un ruolo fondamentale le guerre che si protrassero dal 1912 al 1922. Esse operarono profondi mutamenti psicologici e sociali, crean- do le condizioni favorevoli a cambiamenti politico-culturali molto radi- cali, contribuendo a formare per la prima volta quel vero e vasto con- senso alla realizzazione delle riforme che era mancato alle precedenti generazioni dei riformisti.1Durante le battaglie il popolo turco divenne

consapevole della possibilità nonché della necessità del cambiamento. Le perdite umane in Anatolia furono catastrofiche; la popolazione si ri- dusse circa del 30%.2I combattimenti, che si estesero anche nell’inter-

no, tra popolazioni di diverse religioni ed etnie, in primo luogo tra mu- sulmani e armeni, contrapposero in maniera netta i diversi nazionalismi e rafforzarono nella popolazione turco-musulmana il nuovo senso di appartenenza.

La guerra d’indipendenza, che sulla sconfitta dell’Impero ottomano avrebbe fatto nascere la repubblica nazionale turca, cominciava in que- sta atmosfera, organizzandosi dapprima nelle province orientali come un movimento di resistenza contro gli armeni e i russi, per estendersi poi nell’Occidente in seguito all’invasione greca.

L’organizzazione della guerra d’indipendenza fu un capolavoro poli- tico e militare di Mustafa Kemal [Atatürk]. Egli nel maggio 1919, in

1Secondo McCarthy, la gradualità delle riforme dei Giovani Turchi era in

parte attribuibile alla limitata base di consenso e di rappresentatività del movi- mento, che era essenzialmente di carattere burocratico e appoggiato dai milita- ri, mentre Atatürk aveva come riferimento la costituenda nazione intera quale ba se del consenso per le proprie riforme. Si veda J. McCarthy, Foundation of

the Turkish Republic: Social and Economic Change, in “Middle Eastern Studies”,

vol. 19 (1983), p. 139.

2Di questa percentuale il 10% riguarda le perdite attraverso emigrazioni. La

qualità di “ispettore generale della Terza Armata” con il compito di as- sicurare l’ordine a Samsun,3si trasferì in Anatolia, dove alcune unità

dell’esercito ottomano erano rimaste integre e ancora armate e i posti chiave erano occupati da ufficiali fidati. Il suo trasferimento fu poi se- guito da altri elementi, civili e militari, appartenenti all’ala nazionalista del movimento dei Giovani Turchi. La presenza del nemico nel territo- rio anatolico e a I.stanbul costituiva una condizione psicologica favore- vole all’azione dei nazionalisti.

In tale quadro Mustafa Kemal cominciava a emergere come un lea- der naturale. Egli impersonava molte delle caratteristiche esaltate nella coscienza collettiva: prodezza militare, capacità organizzativa e senso dello Stato. Le sue capacità militari e di comando erano diventate leg- gendarie durante le guerre in Africa settentrionale e nei Balcani. Le sue caratteristiche personali e fisiche gli davano un carisma anche all’inter- no dello stretto gruppo dei suoi compagni:

Con la sua pelle chiara, gli sguardi vivaci, i movimenti veloci dimostrava meno dei suoi quasi quaranta anni. Aveva una naturale superiorità rispetto gli altri; pur essendo di corporatura più minuta, sembrava più grande di tut- ti, pur camminando a passo lento sembrava aver un’andatura molto veloce e scattante. Persino i suoi zigomi pronunciati, le sue mani con lunghe dita sot- tili gli conferivano una distinzione. La sua caratteristica più forte gli derivava dai suoi occhi chiari, duri, che fissavano l’interlocutore senza mai battere ci- glio. Que sti occhi sotto l’ampia fronte e le sopracciglia curve lampeggiavano come se sfidassero l’intero mondo [...] Con i suoi sguardi sempre vigili, che notavano tutto e sembravano comprendere ogni cosa all’istante, con la sua testa grande e le forti gambe agili, era come una tigre irrequieta, oppure un arco d’acciaio pronto a scattare.4

Mustafa Kemal riuscì, dal 1919 al 1922, a formare un governo naziona- le e ad organizzare un esercito, combattendo contemporaneamente l’o-

3La sconfitta dell’Impero ottomano aveva incoraggiato i greci della città por-

tuale di Samsun, sul mar Nero, per realizzare il loro sogno di uno stato indipen- dente che si sarebbe poi riunito con la Grecia. Tale tentativo aveva aperto un con- flitto tra le popolazioni turche e cristiane nella zona. L’anarchia risultante preoc- cupava l’alto comando militare alleato stazionato a I.stanbul, che fece pressioni sul sultano affinché ristabilisse l’ordine nella zona. Mustafa Kemal e i suoi compagni approfittarono dell’occasione per il trasferimento del futuro leader in Anatolia con un prestigioso incarico che inizialmente gli avrebbe conferito la necessaria autorità per intervenire. Si veda V.D. Volkan, N. Itzkowitz, The Immortal Atatürk, A

Psychobiog raphy, Chicago-London 1984, pp. 121-122.

struzionismo del governo d’I.stanbul5e l’esercito greco che avanzava in

Anatolia. Durante questa lunga battaglia aveva concentrato l’intero po- tere – militare e di governo – nella propria persona, riuscendo così a mantenere uniti un parlamento e forze militari molto disomogenei per formazione, cultura e ideologia.

Il parlamento nazionale era stato formato nell’aprile 1920 dai deputa- ti del disciolto parlamento ottomano. Dei centoquindici deputati riuniti ad Ankara, ben sessantacinque erano leali al sultano-califfo e ostili alle idee nazionalistiche. Non a caso, il giuramento in seguito alla cerimonia religiosa d’apertura del parlamento fu formulato in modo generico, nel senso di «Difendere il sultanato, il califfato, la nazione e la patria».6

I combattenti che costituivano il nucleo dell’esercito nazionale non erano affatto omogenei. Come scrive Halide Edib Adıvar, domandan- dosi come si sarebbe riusciti a stabilire un comando unitario, impeden- do il sorgere di inevitabili tensioni tra questi gruppi, vi erano:

Guerrieri d’origine macedone, ribelli per nascita a ogni tipo d’oppressione e molto irritati con il sultano per il suo atteggiamento accondiscendente verso il nemico, [...] soldati d’origine anatolica, dai movimenti lenti, molto più rea- listi, di statura alta, dalla barba nera, dai visi dolci, calmi e ironici [...]. Essi sentivano il tradimento del sultano ma non erano arrabbiati con lui, pur con- siderando dubbie le prospettive di successo della nostra battaglia, servivano con fedeltà [...] e poi, gli insorti e i briganti; violenti e crudeli ma nello stesso tempo uomini di parola, che odiavano qualsiasi idea di governo, sinonimo per loro di abuso in nome della legge [...] [infine] gli ufficiali nazionalisti dell’esercito ottomano, ben vestiti, dai modi raffinati.7

Mustafa Kemal considerò importante guadagnare il più possibile un consenso di massa per la guerra d’indipendenza: era prioritario racco- gliere e unire il popolo anatolico intorno all’idea della necessità di com- battere contro gli invasori. La sua doveva essere una “guerra totale”:

La guerra non significa il confronto tra due eserciti, ma quello di due popoli che devono combattere con tutta la loro esistenza, mobilitando tutte le loro risorse, materiali e spirituali. Il popolo turco deve essere coinvolto, quanto

5Lo S¸eyh-ül Islam aveva emesso un fetva dichiarando i nazionalisti nemici del

sultano-califfo. Gli ulema dell’Anatolia organizzavano la popolazione, in base a questo fetva, in cosiddetti “eserciti del califfato”, per combattere i nazionalisti. Ivi, pp. 216-217.

6Ivi, p. 216.

l’esercito al fronte, con i suoi sentimenti e con le sue azioni, nella guerra. Ogni individuo della nazione, non solo chi si trova contrapposto al nemico, ma anche chi è a casa, nei campi, quanto i combattenti veri e propri, deve sentirsi impegnato, ciascuno con un preciso compito, e votarsi alla lotta.8

Il popolo turco infatti si affidò al carisma di quella guida per ottenere la propria indipendenza e, dopo un secolo e mezzo di continue umilia- zioni e sconfitte militari, sotto la sua leadership finalmente ritrovò l’an- tico sentimento di forza. In condizioni di notevole disparità numerica e tecnologica le forze militari della nazione guidate da Atatürk consegui- rono, nel 1922, in Anatolia, una definitiva vittoria contro le potenze oc- cidentali, i nemici di sempre, gli infedeli. Atatürk restituiva così ai tur- chi il loro antico orgoglio e diventava il Gazi, il combattente per la vera fede, dunque un soldato dell’Islam.

La guerra di liberazione aveva gettato le basi per lo sviluppo delle idee di sovranità popolare e di repubblica e aveva anche preparato le condizioni necessarie per la rielaborazione delle strutture di genere e la creazione di nuovi modelli di uomini e di donne.9Essa da una parte

esaltava la virilità riportando in auge la figura del militare, dall’altra estendeva nella coscienza collettiva l’appartenenza delle donne, non più limitata alla sola famiglia, ma all’intera nazione.

Le necessità del combattimento avevano in un certo senso sospeso momentaneamente le differenze tra i sessi. La partecipazione delle donne alla mobilitazione aveva contribuito a rafforzare il sentimento nazionale, sottolineando con forza il carattere popolare e totale della guerra. Nel quadro della mobilitazione generale uomini e donne dove- vano interagire da vicino, vestendo, pur in modo differente, l’uniforme del combattente per difendere l’onore collettivo. A parte insignificanti eccezioni, come quella di Halide Edib Adıvar, che partecipò alla guerra raggiungendo il grado di caporale, non rimasero incisi nomi femminili nella memoria collettiva della liberazione. Tuttavia, come dimostrano i monumenti inneggianti alla guerra d’indipendenza, anche la figura femminile fu inserita nell’iconografia nazionale.

8Lord Kinross, Atatürk..., cit., pp. 272-273.

9G.L. Mosse, nel suo pionieristico Nationalism and Sexuality: Middle Class Mo- rality and Sexual Norms in Modern Europe, Madison, Wisconsin 1985, ha dimo-

strato come nell’Europa del XVIII secolo il nazionalismo e la “sessualità rispetta- bile” fossero emerse insieme, e come la proliferazione dei nazionalismi moderni avesse influenzato la costruzione delle norme delle classi medie rispetto al corpo e al comportamento sessuale, arrivando a suggerire l’esistenza di uno stretto legame tra questi codici di moralità borghese e l’ascesa degli stati fascisti nel XX secolo.

Questo era diventato possibile perché veniva affermandosi l’egemo- nia di un preciso modello di mascolinità: quello del militare moderno. L’importanza attribuita all’educazione nell’esercito (dall’inizio del pro- cesso di modernizzazione la migliore educazione disponibile nell’impe - ro era quella militare), il ruolo di leadership svolto dai giovani ufficiali nei rivolgimenti politici che avevano portato alla rivoluzione del 1908, nonché le continue guerre che si erano succedute a partire dall’inizio del secolo, avevano contribuito a colorare di un nuovo militarismo l’in- tera società e la politica. Veniva così attribuito alle forze armate il com- pito di maggiori garanti della libertà della nazione. La visione di una mascolinità incarnata nel soldato combattente non solo ritornava in auge dopo lunghe frustrazioni e decadenza, ma diventava l’emblema stesso della nuova società.

Le caratteristiche della guerra di massa, che sospende il naturale corso della vita e le attività professionali ed economiche normali, estendevano il ruolo del soldato all’intera società, rendendo combattenti anche gli uomi- ni comuni. La guerra di liberazione inoltre veniva combattuta contro i ne- mici cristiani: il popolo turco, liberando la propria patria dal giogo nemi- co, sentiva così di difendere anche la propria religione. Gli eroi erano i ga-

zi, i caduti s¸ehit (martiri). Il coinvolgimento del sentimento religioso nello

spirito combattivo, pur non senza contraddizioni, mobilitava anche i tra- dizionali valori musulmani dell’uomo-combattente, aggiungeva un senso di ordine morale, un’immagine di eroismo e di martirio.10

Nell’immaginario nazionalista il soldato appariva come puro e casto; con tutte le sue energie, fisiche, spirituali ed emotive, egli era impegnato nella riaffermazione e nella difesa dell’onorabilità non solo della società nazionale, ma anche dei valori religiosi. Questa nuova tensione fisica e spirituale si estendeva anche all’immagine della donna. Il nascente nazio- nalismo della repubblica turca metteva, al posto della deplorata donna della cosmopolita capitale ottomana, sofisticata, moderna, attenta all’e- steriorità e riluttante a svolgere il proprio ruolo tradizionale, la donna del- l’Anatolia: povera, rozza, logorata dalle fatiche. Ella si configurava nella nascente iconografia ufficiale da una parte come la principale vittima del- le condizioni di arretratezza economica e culturale, dall’altra con un ruo- lo attivo nell’edificazione della nazione. Capace di abnegazione, genero-

10M. Vincent, in un suo recente studio, ha dimostrato l’importanza di questi

elementi in un contesto cattolico, quello della guerra civile spagnola e della co- struzione del nazionalismo franchista: The Martyrs and the Saints: Masculinity and

the Construction of the Francoist Crusade, in “History Workshop Journal”, 47

sa, altruista e laboriosa, la donna turca arava la terra e coltivava il grano. Era lei, mentre gli uomini erano impegnati a combattere il nemico, a por- tare la legna per tenere acceso il focolare, a trasportare i prodotti della ter- ra al mercato e a provvedere al sostentamento della propria famiglia. Non solo: era sempre lei, indifferente alle intemperie della natura, con il suo bimbo in braccio, a fornire armi e munizioni al fronte.11

Le altre donne, quelle più fortunate, figlie di famiglie più agiate, che avevano potuto ricevere un’educazione, figuravano nell’iconografia na- zionalista come maestre e infermiere; tutte impegnate, con la massima serietà, moralità e dedizione, a lenire i dolori della nazione.12Queste fi-

gure, con la loro silenziosa abnegazione, con la loro sofferenza, con il loro eroismo, chiedevano ai maschi affetto e protezione per sé e per i figli; la nazione rappresentata da queste immagini femminili era bella e semplice e, nel contempo, capace di suscitare tenerezza e amore.

I romanzi di Halide Edib Adıvar sono i più rappresentativi rispetto alla formazione di un nuovo modello femminile all’interno della com- plessiva ridefinizione kemalista del genere. Corre una forte somiglian- za, derivante dalla formazione dell’autrice nella scuola missionaria americana – protestante – tra il concetto di femminilità ideale dei mis- sionari protestanti e la visione, tipica di Halide Edib, della donna a ser- vizio del proprio paese. Ambedue concepiscono la donna come uno strumento di trasformazione sociale. Temprata dal suo nazionalismo, la posizione di Edib riflette la convinzione che l’elevazione dello status della donna è direttamente collegata con l’elevazione dell’intera nazio- ne. Secondo la scrittrice, comunque, il dovere primario della donna consiste, malgrado il suo impegno sociale, nella maternità, ossia nella formazione di una nuova generazione di patrioti illuminati.13

Halide Edib dalla sua particolare posizione all’interno del gruppo di combattenti nazionalisti e attraverso osservazioni dirette della battaglia,

11Atatürk’ün söylev ve demeçleri, vol. II, Ankara 1989, p. 96.

12Molte donne dell’élite ottomana, come Halide Edib, cresciute nell’atmosfera

politica creatasi dopo la rivoluzione del 1908, parteciparono alla guerra d’indi- pendenza. Nel 1919, quando Mustafa Kemal lanciò la sua guerra contro gli inva- sori in Anatolia, i gruppi organizzati per la difesa dei diritti femminili costituirono “L’associazione delle donne dell’Anatolia per la difesa della patria” per fiancheg- giare il gruppo kemalista di burocrati, soldati e mercanti. Si veda K. Jajawardena,

Feminism and Nationalism in the Third World, London 1986, p. 35.

13K.P. Bas¸çı, Shadows in the Missionary Garden of Roses: Women of Turkey in American Missionary Texts, in Z.E. Arat, Deconstructing..., cit., p. 113. Duygu Kök -

sal sostiene che H. Edib nutriva un profondo rispetto per la cristianità, «un’ammi- razione e rispetto per la semplicità, il gusto e l’ordine della vita missionaria»; e co-

descrive, specialmente in Ates¸ten gömlek (Camicia di fuoco, 1922) e

Vurun kahpeye (Colpite la meretrice, 1923), il nuovo ideale di donna. Le

sue protagoniste sono come lei: donne giovani, audaci, di carattere forte e deciso. Pur continuando a conservare la loro femminilità, tipica dei ruoli di madre e di moglie, queste donne, poste di fronte alle necessità impellenti della propria nazione, sono capaci dei più sublimi sacrifici. Malgrado il forte accento che l’autrice pone nei suoi libri sull’impegno sociale, la sfera naturale della donna per lei rimane la casa. Il culto del mondo domestico si basa sul potere riproduttivo della donna e sulla sua capacità di assicurare il benessere fisico e spirituale dei familiari.

In Vurun kahpeye la protagonista, Aliye, una donna bella e giovane, un’insegnante piena di ideali, si reca, alla vigilia della guerra d’indipen- denza, in uno sperduto villaggio dell’Anatolia per insegnare. I pregiu- dizi misogini del villaggio sono spiegati come frutto della strumentaliz- zazione della religione da parte dei ricchi notabili del villaggio. L’apparizione nel villaggio di questa giovane donna, sola e indipenden- te, è contrassegnata dall’aggressivo approccio degli uomini in posizione di potere che in lei vedono solo la proiezione dei loro desideri: una donna sessualmente disponibile. Aliye ottiene la protezione di una fa- miglia del luogo: una coppia anziana che l’adotta per sostituire il dolo- roso vuoto affettivo creato dalla morte della propria figlia. Gran parte del romanzo è dedicato a dimostrare l’integrità morale, la rettitudine di Aliye. Riesce a tenere a debita distanza i suoi pretendenti che, non es- sendo in grado di capire come mai una donna sola possa rifiutare la loro compagnia e respingere addirittura le proposte matrimoniali, di- ventano sempre più rancorosi e aggressivi. Ma Aliye ha una missione: l’alfabetizzazione dei bambini. Inoltre la sua visione del matrimonio consiste in un’unione basata sull’amore e sulla comunanza di ideali.

Un fortuito incontro con il giovane comandante di un gruppo di combattenti nazionalisti le donerà il tanto atteso amore. L’uomo la met- terà in salvo dagli insulti subiti di fronte ai suoi piccoli allievi, a opera di un folto gruppo di contadini sobillati dai suoi nemici – gli uomini da lei rifiutati – che la accusano di offesa alla religione. Aliye, fidanzandosi con Tosun, il comandante nazionalista, attira ancor più ostilità. I suoi nemici, in particolare il religioso Hacı14Fettah Efendi, continuano a se-

minare odio nei suoi confronti. Quando il villaggio viene occupato dal-

sì, credeva nella possibilità di «categorizzarla in base alle tendenze mistiche mu- sulmane». Si veda D. Köksal, Nationalist Theory in the Writings of Halide Edib, in “The Turkish Studies Association Bulletin”, 17 (Autumn 1993), p. 88.

le truppe greche, Hacı Fettah Efendi, come gli altri notabili del villag- gio, si schiera con il nemico e racconta al comandante greco di Aliye e del suo fidanzato nazionalista, consigliando di arrestare il padre adotti- vo della ragazza. Aliye incontra il comandante, Da mya nos, per salvare il padre, e questi, colpito profondamente della personalità della giova- ne, se ne innamora. Per liberare il padre le impone come condizione di diventare sua e le promette, nel caso in cui lei accetti, di togliere l’asse- dio al villaggio.

Aliye affronterà questo sacrificio per salvare il fidanzato. To sun viene nel villaggio con il compito di preparare l’attacco definitivo e per pro- teggere il più possibile la popolazione dalle atrocità del nemico in riti- rata. Passano la notte insieme amandosi fino a perdersi l’uno nell’altra. Tosun propone ad Aliye di fuggire con lui, ma Aliye si considera una sorta di madre del villaggio, decisa a condividere, fino alla vittoria, i dolori dei contadini. I greci, avvertiti da Hacı Fettah Efendi della pre- senza di Tosun presso Aliye, circondano la casa. Tosun sospetta Aliye:

Il suo viso era coperto da una nuvola di delusione. Tosun, fino a qualche ora prima reso mansueto e ubriaco dagli sguardi di Aliye, ora non era capace di comprendere nulla all’infuori dell’idea che martellava il suo cervello. [...] Le donne [Aliye e la madre adottiva] avevano tirato le tende e camminavano in punta di piedi nella fioca luce di una piccola lampada a gas, avevano paura persino di respirare. Invece Tosun guardava il vuoto con occhi che non vede- vano.

[...] Aliye capiva ancora una volta che Tosun era schiavo della sua idea. Tutti gli idealisti sono crudeli, della crudeltà di coloro che dedicano l’intera esi- stenza a un ideale [...] Povera lei che aveva lasciato catturare il proprio cuore da un siffatto uomo, aveva consegnato la propria coscienza a un siffatto schiavo di ideali. Giacché, quando l’ideale e l’amore si contrappongono,

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