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La modulazione degli effetti temporali: le pronunce di annullamento

2. Giurisprudenza

2.1. La modulazione degli effetti temporali: le pronunce di annullamento

In generale, nel modulare gli effetti delle decisioni di annullamento, la Corte di giustizia può fare salvi gli effetti degli atti normativi prodottisi prima della sentenza. Ciò è avvenuto, ad esempio, nella sentenza sul caso Société des produits de maïs SA contro Administration des douanes et droits indirects, del 27 febbraio 1985, causa 112/83, in cui si è così dichiarato: “l’accertata invalidità del regolamento della Commissione 24 marzo 1976, n. 652, non consente di rimettere in discussione la riscossione o il pagamento degli importi compensativi monetari effettuati dalle autorità nazionali a norma di detto regolamento, nel periodo precedente la data della sentenza che ha dichiarato l’invalidità”.

Nella giurisprudenza, specie in quella più recente, la Corte di giustizia ha però provveduto anche a procrastinare nel tempo l’efficacia dell’annullamento, adducendo soprattutto (ma non solo) esigenze di certezza del diritto.

Così, nella sentenza sul caso Commissione c. Consiglio, del 19735, la Corte di giustizia ha differito nel tempo gli effetti della sua pronuncia, relativa all’adattamento annuale degli stipendi dei funzionari e di altri agenti delle Comunità europee ed il coefficiente applicabile per il calcolo:

“39. […] al fine di evitare una discontinuità nel regime delle retribuzioni, è opportuno che le disposizioni dei regolamenti annullati relative all’adeguamento degli stipendi dei dipendenti comunitari continuino ad aver effetto fino a che il Consiglio avrà emanato i provvedimenti che è tenuto ad adottare per dare esecuzione alla presente sentenza”.

Una posizione, questa, recentemente confermata nel caso Kadi e Al Barakaat del 20086. L’Unione europea aveva dato attuazione alle misure restrittive emesse dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nei confronti di soggetti associati al capo della rete terroristica Al-Qaeda, Osama bin Laden, disponendo il congelamento dei beni di quegli individui che si trovassero entro il territorio europeo. La Corte di giustizia ha riconosciuto che il regolamento di attuazione della previsione internazionale costituisse una restrizione ingiustificata del diritto

5 Decisione sulla causa C-81/72, Commissione delle Comunità Europee c. Consiglio delle

Comunità Europee, del 5 giugno 1973.

6 Decisione sulle cause riunite C-402/05 e C-415/05, Yassin Abdullah Kadi e Al Barakaat

International Foundation c. Consiglio dell’Unione Europea e Commissione delle Comunità Europee, del 3 settembre 2008.

alla proprietà, ed ha quindi provveduto all’annullamento. Ha tuttavia precisato quanto segue:

“373. [L]’annullamento, in tale misura, del regolamento controverso con effetto immediato potrebbe arrecare un pregiudizio grave ed irreversibile all’efficacia delle misure restrittive imposte da tale regolamento e che la Comunità è tenuta ad attuare, dal momento che, nel lasso di tempo che precede la sua eventuale sostituzione con un nuovo regolamento, il sig. Kadi e la Al Barakaat potrebbero assumere provvedimenti per evitare che possano esser loro nuovamente applicate misure di congelamento di capitali”.

Come riscontrato anche da DÜSTERHAUS, la Corte ha chiarito che la

modulazione temporale eseguita da una corte nazionale, persino da una corte costituzionale, non può ripercuotersi negativamente sul principio della supremazia del diritto europeo. Quindi, le corti nazionali rimangono vincolate ad opporsi all’applicazione di una norma nazionale contraria al diritto europeo: soltanto la Corte di giustizia può quindi limitare questo obbligo in nome della certezza del diritto7.

In tal senso è la recente sentenza Francisco Gutiérrez Naranjo c. Cajasur Banco S.A.U., del 21 dicembre 20168. Il Tribunal supremo spagnolo, nella sentenza n. 241/2013 del 9 maggio 2013, aveva appurato il carattere abusivo delle clausole che prevedevano un tasso minimo sotto il quale il tasso di interesse variabile non poteva scendere (le “clausole di tasso minimo”), contenute nelle condizioni generali di contratto dei mutui ipotecari stipulati con consumatori, dichiarandone la nullità per mancanza di trasparenza dovuta ad una informazione insufficiente nei confronti dei mutuatari quanto alle concrete conseguenze dell’applicazione pratica di dette clausole. Tuttavia, in ossequio al principio della certezza del diritto, il Tribunal aveva limitato gli effetti della sua sentenza facendoli decorrere dalla sua data di pubblicazione, statuendo che la dichiarazione della nullità delle clausole di tasso minimo in oggetto non avrebbe inciso né sulle fattispecie decise in via definitiva con sentenze passate in giudicato né sui pagamenti già eseguiti prima del 9 maggio 2013, cosicché unicamente le quote indebitamente versate sulla base di tale clausole successivamente a detta data dovessero essere restituite. Il Tribunal supremo ha poi confermato l’orientamento nella sentenza n. 139/2015 del 25 marzo 2015.

7 C-314/08 Filipiak v Dyrektor Izby Skarbowej w Poznaniu, del 2009.

8 Cause riunite C-154/15 e C-307/15 Francisco Gutiérrez Naranjo e Ana María Palacios

La CGUE ha precisato che, nella propria giurisprudenza, il giudice UE aveva già riconosciuto che la tutela del consumatore non riveste un carattere assoluto, oltre ad aver dichiarato che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza nell’interesse della certezza del diritto è compatibile con il diritto dell’Unione. Tuttavia, ha rammentato la Corte, è necessario distinguere l’applicazione di una modalità processuale, quale è un termine ragionevole di prescrizione, da una limitazione nel tempo degli effetti di un’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione. Infatti, spetta solo alla Corte, alla luce dell’esigenza fondamentale dell’applicazione uniforme e generale del diritto dell’Unione, decidere sulle limitazioni nel tempo da apportare all’interpretazione che essa fornisce di una norma.

In particolare, la Corte di giustizia si è così espressa:

“72. […] la limitazione nel tempo degli effetti giuridici discendenti dalla dichiarazione della nullità delle clausole «di tasso minimo» cui ha proceduto il Tribunal Supremo (Corte suprema) nella sua sentenza del 9 maggio 2013 si risolve nel privare, in modo generale, qualsiasi consumatore che abbia stipulato, prima di tale data, un contratto di mutuo ipotecario contenente una siffatta clausola, del diritto di ottenere la restituzione integrale delle somme che ha indebitamente versato all’istituto di credito sulla base di tale clausola nel periodo precedente al 9 maggio 2013 […].

“73. Ne consegue che una giurisprudenza nazionale come quella risultante dalla sentenza del 9 maggio 2013, relativa alla limitazione nel tempo degli effetti giuridici discendenti dalla dichiarazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, consente di garantire solamente una tutela limitata ai consumatori che abbiano sottoscritto un contratto di mutuo ipotecario contenente una clausola «di tasso minimo» prima della data di pronuncia della decisione che ha accertato giudizialmente tale carattere abusivo. Questa tutela si rivela pertanto incompleta ed insufficiente e costituisce un mezzo che non è né adeguato né efficace per far cessare l’inserzione di questo genere di clausole, a dispetto di quanto dispone l’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva”.