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Il momento dell’Italia (1936-37) Dalla fondazione dell’impero al viaggio di Mussolini in Libia

La “politica islamica” fascista, dopo il 1933, aveva creato nel mondo arabo delle correnti di simpatia per l’Italia significative, per quanto non generalizzate. Innanzitutto, l’Italia offriva una sponda politica a coloro che cercavano di liberarsi della tutela franco-britannica, o perlomeno di controbilanciarla attraverso dei buoni rapporti con altre potenze. Fra i primi atti diplomatici del governo dell’Iraq formalmente indipendente, ad esempio, vi fu la richiesta di concludere un trattato d’amicizia con l’Italia. La mossa serviva a sottolineare, almeno in maniera simbolica, l’autonomia della politica estera irachena, ma anche ad allentare il monopolio della presenza britannica in tutti i settori amministrativi ed economici1. Il regime fascista era anche riuscito a dare all’esterno una nuova immagine di forza, efficienza e disciplina all’Italia. Le comunità italiane all’estero, riorganizzate e fascistizzate, godevano di un prestigio inedito. Ad Alessandria, secondo il console italiano, era grande l’ammirazione per ciò che il fascismo aveva fatto «per l’elevazione morale e materiale» della colonia italiana locale. «Mi diceva giorni fa una signora della buona società locale che dirsi italiani è diventato oggi una cosa chic», annotava Fontana nel 1934. Anche gli ambienti ebraici di Alessandria, assai influenti, avevano simpatia per il fascismo, sostanzialmente perché, a differenza del nazismo, non manifestava tendenza antisemite2. La guerra in Etiopia non fece acquisire di certo all’Italia nuove simpatie, ma la vittoria finale accrebbe comunque il suo prestigio, in virtù della prova di forza morale, politica e militare data dal regime fascista. Gli arabi erano convinti che essa sarebbe stata ormai in grado di sopraffare le forze britanniche nel Mediterraneo3. L’apparente vittoria italiana contro cinquanta nazioni, tra cui la Gran Bretagna, provocò forte interesse verso i principi politici di Mussolini. Mentre l’Italia del dopoguerra era un paese debole ed instabile, il fascismo era riuscito dapprima a conquistare il potere in tempi brevissimi, e quindi a farne una potenza mondiale, in meno di quindici anni. La sua lezione poteva essere preziosa per il nazionalismo arabo, che sognava di riportare il mondo islamico agli antichi splendori. Sembra che un funzionario egiziano, «in altri tempi senussita convinto», avesse detto al vice console italiano a Sollum, parlando dell’atteggiamento inglese in Egitto: «voi offrite uno stupendo spettacolo, in questo momento, di fronte a tutto il mondo e particolarmente a certe nazioni, che non credevano di avere a contendere con un paese, che ha il più agguerrito esercito, la più potente aviazione e il più disciplinato popolo dei giorni nostri: il vostro contegno fa scuola»4. Grande impressione aveva suscitato anche l’efficacia dell’apparato propagandistico fascista per la mobilitazione dell’opinione pubblica5. Farid Rifa‘i, «membro del governo wafdista, animato da sentimenti filoitaliani ed ammiratore del Fascismo», nel 1936 chiese alla legazione al Cairo informazioni sul Ministero della Stampa e Propaganda, e propose in seguito la creazione in Egitto di un ministero analogo a quello creato da Ciano6. Secondo il giornale al-Muqattam,

1 “Il Direttore Generale degli Affari Politici, Buti, al Sottosegretario agli Esteri, Suvich”, Roma 11 giugno 1934,

in DDI, 7° Serie, Vol. XIV, 385. pp. 406-407

2 ACS, Minculpop, DGPE, B. 61, “Egitto 1934”, Tel. 2360-351, Alessandria 6 aprile 1934, Fontana al MAE 3 R. Quartararo, Roma tra Londra e Berlino, cit., Vol. 1, p. 215. Secondo Haggai Erlich il 1936, che vide

l’esplosione di rivolte anti-francesi e anti-britanniche, segnò l’apice dell’influenza fascista nel Vicino Oriente: cfr. “Periphery and Youth”, cit., p. 412

4 ASMAI, Libia 150/33, F. 150bis, Notiziario n° 37, 29 maggio 1936

5 ASMAE, AE, B. 299 parte 1, F. 10, Tel. 2935/1132, Bulkeley 1 settembre 1936, Ghigi al MAE e al MSP, da

al-Muqattam, 29 agosto 1936

6

ACS, Minculpop, DGPE, B. 62, “Egitto 1936”, Tel. 4103/1663, Cairo 19 novembre 1936, il regio incaricato d’affari al MAE e al MSP

L’Italia ridestata nel più grande risorgimento sociale e politico che ricordi la sua storia ha trovato da diversi anni che la creazione di un ministero per la stampa e propaganda è il miglior mezzo che si possa utilizzare per mettere il mondo al corrente del suo risveglio e dell’eminente posizione che occupa sotto il sole.

[...] Senza questo ministero essa non sarebbe riuscita a far conoscere al mondo il progresso proseguito nelle scienze, nelle arti, nell’economia e nell’industria, non avrebbe potuto far conoscere agli altri popoli la forza, l’unione, la solidarietà e la fede dei suoi figli nell’interno e all’estero.

[...] Il Ministero per la Stampa e Propaganda in Italia ha contribuito in larga misura alla determinazione di quella solidarietà per cui il popolo italiano ha potuto affrontare 52 potenze sollevategli contro7.

Nell’ottobre 1936, il segretario del fascio di Alessandria lamentò di non riuscire a far fronte alle continue richieste di materiali, sulla dottrina del fascismo, da parte sia di egiziani che di europei8. L’entusiasmo mostrato dai rappresentanti italiani nel mondo arabo, per l’ascesa del prestigio italiano, era esagerato, ma per nulla infondato. Ibn Saud, non certo un fan di Mussolini, espresse nel dicembre 1937 alla legazione inglese a Gedda forte stupore, per il modo in cui gli arabi guardavano ormai a Mussolini come al loro “campione”9. La politica fascista verso il mondo arabo, grazie anche alle tensioni con la Gran Bretagna, aveva dato quindi dei risultati non disprezzabili, anche se la percezione della potenza italiana aveva anche risvolti negativi: in Egitto, ad esempio, i timori di un’invasione dalla Libia si fecero sempre più forti, provocando difficoltà crescenti nei rapporti italo-egiziani.

6.1 - Una politica non transitoria

Come abbiamo visto, la propaganda italiana sulla stampa araba del Mandato non era stata particolarmente intensa fino al 1935, quando i consolati ottennero un aumento dei fondi per contrastare le reazioni negative dell’opinione pubblica alla crisi etiopica. Inevitabilmente, per stabilire rapporti proficui con i giornali locali ed organizzare efficacemente la fornitura dei materiali di propaganda, fu necessario un periodo di rodaggio; di fatto, la macchina propagandistica aveva cominciato a funzionare in maniera efficiente solamente nei primi mesi del 1936, cioè praticamente a guerra conclusa. Dopo la proclamazione dell’impero, il governo italiano doveva decidere se fosse il caso di continuare a sovvenzionare la stampa e fare propaganda attraverso di essa, una volta venuta meno l’urgenza della guerra. È particolarmente interessante, in proposito, uno scambio di corrispondenza avvenuto a partire da maggio, tra il console ad Aleppo e il Ministero per la Stampa e Propaganda. Rossi temeva che le autorità mandatarie fossero intenzionate a prendere «severe misure» per reprimere la propaganda italiana filo-araba, che fino a quel momento non era stata ostacolata. Vi erano stati una serie di indizi preoccupanti in tal senso: L’Ufficio Stampa dell’Alto Commissariato aveva intimato alla stampa locale di non pubblicare più articoli a favore dell’Italia, e di non dare notizie riguardanti l’attività italiana in Siria; la riproduzione di una lettera di Arslan, apparsa sul Fata’ al-‘Arab, era stata vietata; e la partecipazione del capo del Blocco Nazionale ad Aleppo, ‘Abd al-Rahman al-Kayyali, alla cerimonia commemorativa delle vittime italiane in Etiopia, aveva suscitato una forte impressione. Rossi suggerì al MSP di sospendere temporaneamente la propaganda, per diversi motivi; innanzitutto, per «far sentire alla stampa locale che l’Italia non ha bisogno della sua collaborazione qualora questa debba essere subordinata al beneplacito d’altra potenza». In secondo luogo, per «togliere ogni pretesto, oggi che la guerra in A.O. è terminata felicemente, ad una continuazione dell’azione

7 ASMAE, AE, B. 299 parte 1, F. 10, “Il progetto del ministero per la stampa”, articolo tradotto, da al-

Muqattam, 25 novembre 1936

8 ACS, Minculpop, DGPE, B. 61, “Egitto 1935”, Tel. 11427, Alessandria 23 ottobre 1936, Cignolini ad

Alessandrini

antitaliana dell’Intelligence Service». In caso contrario, i servizi britannici avrebbero potuto, ad esempio, diffondere «assurde accuse di complicità nei recenti moti siriani e palestinesi» per provocare tensioni fra Italia e Francia. Infine, bisognava evitare che un atteggiamento eccessivamente filo-islamico dell’Italia provocasse «una reazione ostile in seno a queste comunità cristiane dall’atteggiamento delle quali dipenderà in ultima analisi la soluzione del problema siriano e che sono oggi turbate dal crescente panarabismo»10. La propaganda sarebbe potuta riprendere, nel caso in cui la stampa araba avesse iniziato una «campagna di denigrazione» verso l’Italia, ma per Rossi ciò era improbabile, sia in virtù del prestigio che derivava al paese dalla recente vittoria in Etiopia, sia perché la situazione internazionale sconsigliava ai nazionalisti, al momento, di inimicarsi l’Italia.

In sostanza, per Rossi, la campagna filo-islamica aveva un carattere contingente, legato esclusivamente alle vicende belliche in Etiopia; ma il governo, a Roma, aveva una visione ben più ampia. Il Ministero degli Esteri si dichiarò decisamente contrario alla cessazione della propaganda, anche se i francesi avessero cercato di ostacolarla11. Il Ministero della Stampa e Propaganda fu dello stesso avviso. Il nuovo atteggiamento delle autorità mandatarie non doveva indurre il consolato a sospendere la propria attività; «sembrerebbe anzi opportuna in tali condizioni una attività più oculata e più cauta, ma possibilmente più intensa, allo scopo di non perdere i frutti finora conseguiti». Per quanto riguardava la possibile ostilità della comunità cristiana, come reazione alla diffusa simpatia per l’Italia negli ambienti musulmani, essa andava prevenuta con una parallela azione di propaganda, e stabilendo contatti anche con personalità cristiane. Il compito dei rappresentanti italiani, secondo Dino Alfieri, diventava più delicato e complesso in seguito alle condizioni create dalla vittoria in Etiopia, ma esso doveva proseguire nei modi più efficaci, tenendo conto delle nuove circostanze locali12. Rossi rispose, ad agosto, cercando di ridimensionare i contenuti del suo precedente rapporto. Innanzitutto, constatò che il suo timore di provvedimenti repressivi da parte delle autorità francesi non si era, fortunatamente, avverato. In ogni caso, il suo suggerimento non era stato quello di porre fine alla propaganda, ma soltanto di abbandonare i toni più spiccatamente «filo-arabi», che rischiavano di alienare all’Italia le simpatie delle minoranze siriane13. Sta di fatto che, a Roma, dovettero pensare che Rossi non era l’uomo più adatto ad interpretare le linee della politica italiana in Siria: nel giro di breve tempo, infatti, venne rimpiazzato dal nuovo console Navarrini, indubbiamente più energico e zelante nello svolgere un’attività che andava ben oltre i compiti ufficiali di un console14.

La fine della guerra in Etiopia non indusse, dunque, il governo italiano a ridurre gli sforzi propagandistici nel Levante; tanto più che era diffusa l’impressione generale di una grande crescita del prestigio italiano, negli ultimi tempi. Per quanto possa apparire paradossale, la condotta dell’Italia nel corso del conflitto ne rilanciò significativamente l’immagine, anche nel mondo arabo. La rapida vittoria sull’Etiopia, sulla quale molti osservatori non avrebbero scommesso una lira nel 1935, fece crescere la considerazione della sua potenza militare; e la ferma opposizione del paese alle pressioni della coalizione sanzionista, assieme alla solidità del fronte interno, dimostrarono che il fascismo aveva dato all’Italia una ferrea volontà e disciplina. Viceversa, la politica della Gran Bretagna e della Francia era apparsa ambigua, incerta, e fallimentare. Le potenze democratiche si erano spese per la difesa dell’indipendenza di un paese come l’Etiopia, mentre negavano lo stesso diritto ai paesi arabi. Le sanzioni erano

10 ACS, Minculpop, DGPE, B.198, F. “Siria 1936”, Sf. “Propaganda italiana in Siria”, Tel 1023, Aleppo 30

maggio 1936, Rossi al MSP

11 ACS, Minculpop, DGPE, B.198, F. “Siria 1936”, Sf. “Propaganda italiana in Siria”, Tel. 220783, Roma 19

giugno 1936, il MAE al MSP

12 ACS, Minculpop, DGPE, B.198, F. “ Siria 1936”, Sf. “Propaganda italiana in Siria”, Tel. 965636/c, 25 giugno

1936, Alfieri al consolato ad Aleppo

13 ACS, Minculpop, DGPE, B.198, F. “Siria 1936”, Sf. “Propaganda italiana in Siria”, Tel. 1459, Aleppo 13

agosto 1936, Rossi al MSP

state applicate in maniera parziale e blanda, si erano rivelate completamente inefficaci, e infine erano state rapidamente revocate; mentre l’Italia aveva raggiunto tutti i suoi scopi. La nuova impressione della potenza italiana non era necessariamente un vantaggio, dal punto di vista della “politica islamica”: Mussolini poteva essere visto come un possibile alleato per scalzare l’influenza franco-britannica dal Vicino Oriente, ma anche come una minaccia immediata per i paesi arabi, soprattutto in Egitto e Nord Africa. In ogni caso, il ruolo dell’Italia nella politica internazionale, e nel Mediterraneo in particolare, sembrava fortemente accresciuto.

L’ascesa del prestigio italiano andava di pari passo con le sempre maggiori difficoltà delle potenze avversarie. Se le trattative in corso a Parigi con la delegazione del Blocco Nazionale davano respiro alla Francia, dopo i disordini dell’inizio dell’anno, ad aprile 1936 era esplosa la rivolta palestinese, mettendo in forte difficoltà la Gran Bretagna. In Siria, il Blocco cercò di scoraggiare manifestazioni e proteste in favore degli arabi di Palestina, poiché, se esse avessero assunto un carattere antifrancese, avrebbero potuto compromettere le discussioni per il trattato. Nonostante ciò, una larga parte della stampa sostenne la rivolta, dato che l’opinione pubblica era nettamente ostile alla Gran Bretagna e al sionismo. Fra i quotidiani più anti- sionisti e schierati a sostegno della rivolta vi era il solitamente moderato Alif Ba’, dato che il suo direttore, Yusuf al-‘Isa, era palestinese e cugino del direttore del Filastin di Giaffa15. Anche Fakhri al-Barudi, uno dei leader più intransigenti del Blocco, supportava la rivolta attraverso l’Ufficio per la Propaganda Nazionale, da lui diretto16. Il nuovo orientamento dell’opinione siriana era emblematicamente rappresentato da un articolo apparso a luglio su Alif Ba’, scritto da un giovane avvocato damasceno «di sua propria iniziativa», come sottolineò Lo Savio. Secondo il console, nei mesi precedenti le azioni della Gran Bretagna erano state in forte rialzo, sull’onda del conflitto in Etiopia, ma «l’incomprensibile attaccamento ai vecchi sistemi» dimostrato in Palestina aveva annullato del tutto questo vantaggio. Invece l’Italia, forte della vittoria militare, della propria “azione civilizzatrice” e della politica di tutela dei musulmani etiopici, aveva dimostrato una linea politica ferma e chiara, «contrapposta alla vacillante e indecorosa politica ginevrina»:

È difficile avere la sensazione esatta del modo con cui gli arabi giudicano i propri problemi e quindi dei riflessi che su di essi possono avere gli avvenimenti internazionali. È fuori dubbio però che la vittoria dell’Italia e la sua azione civilizzatrice in Africa Orientale, la politica di amicizia verso quelle popolazioni islamiche, hanno prodotto un cambiamento notevole nell’animo dei musulmani di questi paesi. In queste ultime settimane poi, la ferma e dignitosa attesa dell’Italia contrapposta alla vacillante e indecorosa politica ginevrina che si è risolta con l’abolizione delle sanzioni e la liquidazione più o meno prossima della politica di garanzia voluta dall’Inghilterra nel Mediterraneo, hanno facilitato quel processo di dissolvimento di vecchi rancori verso l’Italia mentre sempre più di va consolidando l’ostilità verso la Gran Bretagna.

In sostanza gli arabi esprimendosi generalmente con una logica priva di sottilità, affermano ora che la politica dell’Italia è molto più chiara e amichevole che non quella inglese, esperimentata specialmente dalla Grande Guerra in poi. L’Italia secondo il loro ragionamento si è impossessata con la forza della Libia esercitando col diritto del più forte il suo predominio. Una volta domato il paese essa ha iniziato una politica di pace e di collaborazione. Questi convincimenti sono diventati sempre più chiari e netti dopo la diffusione degli opuscoli di propaganda il lingua araba e più specialmente di quello dal titolo “L’OPERA DELL’ITALIA PER L’ISLAM IN AFRICA” che in qualche ambiente popolare ha suscitato anche polemiche e commenti che hanno contribuito agli scopi di propaganda cui si mirava.

L’Inghilterra invece dichiarando di essere l’amica degli arabi, promettendo loro la libertà, li ha sfruttati e poi ha tradito i loro capi abbandonandoli all’ultimo momento al loro destino. Esempio tipico la triste fine di re Hussein e di suo figlio Feisal. Ora che si è installata in Palestina dopo avervi creato il focolare ebraico, fingendo di volere sostenere la parte della disinteressata protettrice degli interessi degli arabi e

15

P. S. Khoury, Syria and the French Mandate, cit., p. 538

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