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Il mondo della farmacia all’indomani del Concilio di Trento

non perdessero di effi cacia con il trascorrere del tempo. “Permitti tamen potest regularibus et monialibus, praesertim pauperibus, vendere medi- cinalia suae aromatariae, renovandi gratia, maxime pretiis moderatis”3.

Ogni fi ne di lucro doveva, dunque, esser bandito dalle spezierie con- ventuali. Gli stessi speziali, come ecclesiastici, non potevano prestare la loro opera scientifi ca se non dopo aver ottenuto una espressa licenza al riguardo dalle massime autorità religiose. “Neque clerici possunt exer- cere offi cium aromatarii, neque in hospitalibus, sine licentia Papae vel Sacrae Congregationis”4.

Era, inoltre, proibita ogni forma di associazione fra speziali, sia laici che ecclesiastici e medici o chirurghi, per evitare il grave sospetto di aff ari illeciti, o di guadagni irregolarmente indotti, grazie a diagnosi di favore o a forzate prescrizioni medicinali. La pena pecuniaria prevista per tale reato era molto alta, in modo da scoraggiare ogni eventuale tentativo di corruzione per amore del denaro. “Neque medico, sive physico, sive chirurgo, cum aromatario, neque aromatario cum medico, societatem, ullo modo, inire liceat. Qui aliter fecerit vigintiquinque ducatorum po- ena a Collegio Medicorum, si medicus fuerit, si vero aromatarius a Con- sularibus Aromatariorum affi ciatur”5. Gli speziali commettevano poi

peccato se esercitavano la loro professione con scarsa cultura scientifi ca, o se preparavano farmaci senza la dovuta diligenza. Gravissima colpa era poi sostituire arbitrariamente sostanze medicinali, rispetto a quanto prescritto dai medici, soprattutto nel caso in cui queste fossero state di costo maggiore e quindi alla base di un danno pecuniario per il paziente. “Peccant aromatarii seu pharmacopolae si rudes et ignari munus exer- ceant. Item si sine arte, vel diligentia, medicamenta confi ciant. Item si quid pro quo in medicamentis confi ciendis immisceant, vel unum me- dicamentum praebeant pro alio, contra medici praescriptum, nisi tamen esset aeque bonum et non maioris pretii”6.

Nel caso in cui uno speziale avesse preparato un farmaco con sostanze

3 Ibidem. 4 Ibidem. 5 Ibidem. 6 Ibidem.

vecchie, di scarsa effi cacia, assemblate in modo incongruo, in grado di portare scarso benefi cio all’ammalato, se non addirittura di nuocergli e lo avesse venduto, il peccato commesso era mortale. “Peccant mortali- ter aromatarii qui in confi ciendis medicinis aliquando ponunt aromata multum vetusta, modicam vel non esigua virtutem habentia et aliquan- do alia, non ita conferentia, ponunt loco illorum quae ponere deberent, unde medicina infi rmo parum prodest, vel forte nocet”7. Ogni speziale

era responsabile dei medicamenti che uscivano dalle sue mani e veniva sempre chiamato a rispondere degli eventuali danni fi sici che potevano derivare da dosi sbagliate o da sostanze nocive adoperate senza cautela. Nel caso di errore palese la sua posizione era reputata analoga a quella di un delinquente. “Et aromatarii, sic delinquentes, cum nedum cha- ritatem sed etiam justitiam violent, ad omnia secuta mala et damna tenentur”8.

Se dai farmaci assunti fosse derivata la morte di un paziente, lo speziale sarebbe stato considerato un potenziale omicida e sottoposto a processo per tale infamante sospetto, in modo da vagliare attentamente la sua po- sizione. “Sic mortaliter peccant et sunt irregulares confi ciendo medicinas ex rebus corruptis, ob quas sequitur mors infi rmi, quia dant causam pe- riculosam homicidii”9. Gravissimo era poi il reato di procurato aborto.

Uno speziale poteva infatti vendere farmaci per favorire l’espulsione di un feto non desiderato, commettendo un peccato mortale ed incorrendo nei rigori della legge. “Sic mortaliter peccant si vendant medicamenta ad non pariendum, vel ad foetum expellendum et rei fi unt culpae et penae cooperantium ad abortum”10. Sisto V Peretti era stato estremamente rigi-

do in tal senso giungendo a comminare la scomunica per i rei di procu- rato aborto, anche grazie all’utilizzo di semplici pozioni. Come ricordava Giovanni de la Val Belga nel suo agile Compendium dell’opera teologica di Martino Bonacina: “Sixtus V in Constitutione LXXXVII, quae incipit Eff renatam, poenam excommunicationis infert iis qui abortum foetus

7 Ibidem. 8 Ibidem. 9 Ibidem. 10 Ibidem.

animati, vel etiam inanimati, scienter procurant, aut consilio, favore, auxilio, potione et cetera ad illum cooperantur”11.

Riferimenti al mondo degli speziali iniziarono ad essere presenti in com- pendi di Teologia Morale che ebbero larga diff usione nel corso del Sei- cento. In uno dei più noti: Medulla Th eologiae Moralis facili et perspicua methodo resolvens casus conscientiae, del gesuita tedesco Hermann Bu-

sembaum, si aff rontava un capitolo cruciale: Quae obligatio medicorum,

pharmacopaeorum et chirurgorum. Busembaum ribadiva per gli speziali

la necessità imprescindibile della cultura farmaceutica “quando tale offi - cium petunt”12, richiamando, subito dopo, l’obbligo di rispettare precise

regole deontologiche. In primo luogo dovevano seguire rigorosamente le prescrizioni dei medici. In secondo luogo si dovevano preparare farmaci tradizionalmente certi e di provata effi cacia. In terzo luogo in mancan- za di farmaci tradizionalmente certi e di provata effi cacia si dovevano preparare i più probabili ed i meno dannosi per i pazienti. In quarto luogo, anche in mancanza di certezze si doveva comunque giungere alla prescrizione ed alla preparazione di farmaci per cercare di aff rontare in qualche modo lo stato di malattia esistente. Si commetteva però peccato vendendo medicamenti palesemente inutili ed ineffi caci13, destinati solo

a procurare ingiusti guadagni.

Una precisa eco di tali norme è presente nel Ricettario Fiorentino e l’edi- zione di questo testo, curata dai Giunti a Firenze fra il 1573 ed il 1574 per ordine di Francesco de’ Medici, ce ne off re la puntuale conferma14.

Il massimo rigore doveva caratterizzare l’attività delle spezierie, con la garanzia assoluta della freschezza dei prodotti naturali e della qualità e dell’effi cacia dei farmaci realizzati. Lo stesso sovrano, del resto, amava condurre appassionati esperimenti a titolo personale ed era noto per i suoi distillati e per i suoi oli medicinali. Certa è infatti l’attribuzione

11 G. de la VAL BELGA, Martini Bonacinae rerum omnium de Morali Th eologia quae tribus tomis continentur, compendium, Venezia, Conzatti, 1691, p. 1.

12 H. BUSEMBAUM, Medulla Th eologiae Moralis facili ac perspicua methodo resolvens casus conscientiae ex variis probatisque auctoribus concinnata, Macerata, Piccini, 1675, p. 293.

13 Cfr. Ivi, p. 294.

14 L’edizione ricalca quella impressa nel 1567, con lievi modifi che dal punto di vista tipo- grafi co.

dell’olio di scorpioni allo stesso Francesco, un effi cace controveleno che, secondo le più note farmacopee, doveva essere così realizzato:

“Piglia d’oglio vecchio libra 1. Scorpioni presi ne’ giorni canicolari libra 1. Ogni cosa si pone dentro un vaso di vetro bene otturato e si lascia al sole per quaranta giorni continui. Si colano con espressione et aggiungi Riobarbaro scelto, Aloe Epatico, Spica Narda, Mirra Eletta, Zaff erano, ana once 1. Gentiana, Tormentilla, Dittamo Cretico, Bistorta, ana on- cia mezza. Teriaca buona et antica, mitridato, ana once 2. Le materie da tritorare si triturano grossamente e si meschiano con il sopradetto oglio e di nuovo si espone al sole per quaranta giorni continui, poi si cola e si conserva separato dalle feccie in vaso di vetro bene otturato. Si è speri- mentato controveleno mirabile, tanto ontato, quanto preso per bocca. Vale alle morsicature delle vipere, aspidi e di qualsivoglia animale vele- noso. Giova alla sordità et altri difetti dell’orecchio, al tremore e spasmo. S’adopra ongendone ogni tre ore li polsi, tempie, piedi et intorno alla regione del cuore.

Chi vorrà impiegare nella preparatione di quet’oglio l’accurata diligenza che vi si costuma in Toscana nell’inclita fonderia di quell’Altezza Sere- nissima , non rimanerà defraudato delle sue eccellenti virtù, le minori delle quali sono le qui espresse e sopra tutto nella quantità delli scorpioni, dove consiste lo scopo principale di questo pretioso oglio e si dovran- no pigliare ne’ giorni canicolari perché in quel tempo la loro attività si trova esaltata, altrimente facendo non se ne riceverà il benefi cio sperato perché il tempo freddo rende stupidi gli scorpioni e per conseguenza di poco giovamento, come avviene de’ scorpioni de’ luoghi freddi, i quali mordendo non fanno più male che se fossero morsicature di mosche et è pur vero che: unde virus inde salus e per lo contrario ne’ luoghi ecces- sivamente caldi, come sono i campi della Numidia e la città di Pescara, subito che han punto fan morire l’huomo, secondo riferisce Gio. Leone Africano e per tutti i loro castelli vi sono infi niti scorpioni, da’ morsi de’ quali ogn’anno vi muore gran gente, onde sono costretti gli habitatori l’estate abbandonare la città fi no a Novembre. Si ricorda di far scaldare li scorpioni dentro un vaso di vetro a fi ne che si stizzino, perché si risveglia in essi la vivacità o attività che dir vogliamo e poi si gitta sopra l’oglio

caldo, ma non tanto che si venga a crepare il vaso”15.

Un eccezionale dipinto di Giovanni Stradano, realizzato nel 1570, ancor oggi conservato nello Studiolo di Palazzo Vecchio per il quale era nato, ci mostra lo stesso Medici con un grembiale, al lavoro nel suo laboratorio, sotto la guida di un occhialuto esperto, in maniche di camicia e con una padella in mano, mentre stanno avvenendo triturazioni, spremiture ed elaborate distillazioni per ricavare prodotti medicinali. Francesco pos- sedeva infatti il Ricettario Fiorentino e ne faceva sicuramente uso. Una recente indagine sulla consistenza della biblioteca privata dei Granduchi nel Cinquecento, portata a compimento da Leandro Perini, ci consente infatti di sostenerlo con sicurezza16.

Nel corso del governo di Francesco de’ Medici si provvide a disciplina- re rigidamente l’apertura e la chiusura delle spezierie. Alcuni speziali avevano mostrato “poco rispetto … al culto divino et all’honore di Dio aprendo le loro botteghe e vendendo nei giorni festivi, comandati dal- la Santa Madre Chiesa”17 ed i Consoli dell’Arte emanarono una rigida

normativa al riguardo. Per garantire la disponibilità di farmaci, in caso di necessità, fu però stabilito che quattro spezierie, a sorteggio, restasse- ro aperte a Firenze, ma fu proibito a tutti gli altri speziali di “vendere, o far vendere, o tenere la sua bottega aperta, eziam a sportello, ne’ giorni festivi comandati dalla Santa Madre Chiesa o da Sua Altezza Serenissi- ma … sotto la pena … di lire cento per la prima volta et per la seconda

15 G. DONZELLI, Teatro farmaceutico dogmatico e spagirico del Dottore Giuseppe Donzelli,

napoletano, Barone di Dogliola, nel quale s’insegna una molteplicità d’arcani chimici più sperimentati dall’autore in ordine alla sanità, con evento non fallace e con una canonica norma di preparare ogni compositione più costumata dalla medicina dogmatica, con una distinta, curiosa e profi ttevole historia di ciascheduno ingrediente di esse. Con l’aggiunta in molti luoghi del Dottor Tomaso Donzelli, fi glio dell’autore et in questa terza impressione corretto et accresciuto, con un catalogo dell’herbe native del suolo romano del Sig. Gio. Gia- como Roggieri romano, Roma, Cesaretti, 1677, p. 499.

16 Cfr. L. PERINI, Contributo alla ricostruzione della biblioteca privata dei Granduchi di

Toscana nel XVI secolo, in Studi di Storia Medioevale e Moderna per Ernesto Sestan, Firen-

ze, Olschki, 1980, p. 640.

17 L. CANTINI, Legislazione Toscana raccolta e illustrata, Firenze, Fantosini, 1800-1808, tomo XII, p. 61.

volta di lire cento e di stare tre giorni con la bottega serrata”18.

Ulteriori provvedimenti relativi all’Arte dei Medici e Speziali furono presi da Ferdinando I dei Medici nel 1590. Il Granduca Francesco era morto misteriosamente, nella villa di Poggio a Caiano, nell’Ottobre del 1587, seguito a brevissima distanza dalla consorte Bianca Cappello. Si era a lungo parlato di venefi cio, soprattutto ai danni della celebre veneziana, il cui cadavere, dopo una sommaria autopsia, era stato gettato, per ordine dello stessa famiglia Medici, in una fossa comune nella basilica fi orenti- na di S. Lorenzo e fatto scomparire. Il Granduca Ferdinando I, il 1 Set- tembre 1590, emanò una severa legge proprio sui veleni, chiamando gli Otto di Guardia e Balia, i Magistrati di Polizia, ad esercitare il massimo controllo su tale delicato settore, che investiva diverse attività.

Gli abusi ed i problemi giudiziari, causati dalla massiccia presenza sul territorio toscano di “varie sorti di veleni, sotto specie di medicamenti”19,

erano stati all’origine del provvedimento granducale, destinato a proi- bire, nella maniera più rigorosa, di: “Far venire nello stato e dominio fi orentino, né in quello fare, comporre, tenere o vendere veleni di sorte alcuna, né semplici né composti, eccettuato quello o quelli … per ser- vitio et uso di medicina, per orefi ci, maniscalchi, profumieri, cerusichi, partitori e simili”20. Dunque solo alcune categorie professionali, indicate

con precisione nel testo normativo, potevano acquistare e tenere sostanze pericolose per documentate necessità di lavoro, ma si doveva prestare la massima attenzione a veleni come l’arsenico, presente anche in forma mineralizzata di color rosso e noto come Realgar o Risogallo. Terribile era poi il “solimato” o sublimato corrosivo, il letale cloruro di mercurio con cui, alcuni anni prima, si era tentato di uccidere Benvenuto Cellini. L’incredibile vicenda è legata all’acquisto da parte dell’artista di un podere in Mugello, alla singolare condizione che, alla sua morte, sarebbe torna- to nelle mani dei venditori, la famiglia dello Sbietta di Vicchio. Proprio nella località toscana, legata alla memoria di Giotto e del Beato Angelico, Cellini aveva infatti deciso di investire parte del proprio denaro ed il gior-

18 Ibidem.

19 Ivi, tomo XIII, p. 178.

no stesso della presa di possesso del bene immobile, invitato a cena dai venditori, fu avvelenato. Solo perché fu molto parco e per aver ingerito modestissime quantità di cibo, l’artista si salvò ed ebbe la possibilità di narrare minuziosamente l’accaduto nella sua splendida autobiografi a21. Il

pericolosissimo avvelenamento costrinse Benvenuto alla immobilità per un lungo periodo. L’artista, fortemente debilitato per la diffi coltà di inge- rire cibi, non poté lavorare per mesi e perse così la possibilità di realizzare il Nettuno destinato alla superba fontana di Piazza della Signoria. Cosi- mo I dei Medici, che voleva portare a termine il monumento in tempi brevi, affi dò infatti all’Ammannati il compito di scolpire l’immagine in marmo dell’antico dio del mare. A causa di questa incredibile vicenda, che ebbe risvolti giudiziari, abbiamo dunque, con estrema probabilità, un capolavoro in meno di Benvenuto Cellini. Il suo raffi nato scalpello avrebbe senz’altro realizzato un Nettuno più elegante ed armonioso di quanto abbia fatto il suo rivale, più valente come architetto che come scultore. Non a caso la tradizione vuole che siano stati trovati dei versi ironici poco dopo la posa in opera della grande statua:

“Ammannato, Ammannato Che bel pezzo di marmo

Tu hai sciupato”.

Interessanti specifi cazioni, nel testo normativo emanato dal Granduca Ferdinando I nel 1590, riguardavano poi le “cantarelle”o cantaridi, i coleotteri di colore verde dorato che, seccati e ridotti in polvere, trova- vano larga applicazione come vescicanti o afrodisiaci. Soprattutto sotto quest’ultimo aspetto erano richieste con larghezza, perché ritenute più effi caci del fi ore del gichero, o “Pan delle Serpi”, comunissimo in cam- pagna che, per il suo carattere eretto, all’interno di una membrana a

21 B. CELLINI, Vita di Benvenuto Cellini, orefi ce e scultore fi orentino, da lui medesimo

scritta, nella quale si leggono molte importanti notizie appartenenti alle arti ed alla storia del secolo XVI. Ora per la prima volta ridotta a buona lezione ed accompagnata da note da Gio. Palamede Carpani, Milano, Società Tipografi ca de’ Classici Italiani, 1811, vol. II,

forma di calla, richiamava allusivamente funzioni di ben altra natura. Tutti gli speziali potevano tenerle ma dovevano sempre essere mescolate “in quei medicamenti che alli compratori occorresse servirsi”22. Era in-

fatti proibito “venderle semplicemente … già mai schiette”23, nel timore

che, in dose elevata, potessero provocare la morte, o gravi danni fi sici. Correva voce che ad esse avesse fatto ricorso Vincenzo Gonzaga, Prin- cipe di Mantova, quando era stato costretto dal Granduca di Toscana Francesco I, per alcune calunniose illazioni sulla sua virilità, a dare una pubblica prova “delle aspettative che si avean del suo valore”24, prima

di sposare Eleonora dei Medici. Al principe furono concessi tre “assalti” da rivolgere ad una fanciulla illibata, tratta, per l’occasione, a corte da un istituto religioso, in cui si trovava “in serbanza”. Autorevoli inviati medicei avrebbero però dovuto assistere all’operazione, testimoniando uffi cialmente “de visu” ed eventualmente anche “de tactu”, l’accaduto. I primi due assalti ebbero esito negativo, complice l’indubbia tensione per la boccaccesca vicenda che lo stesso Gonzaga visse personalmente, il terzo fu un trionfo ed il matrimonio poté aver luogo.

I più fi duciosi negli ultimi ritrovati della scienza si rivolgevano a Paracel- so che, nei suoi Sette libri dei supremi insegnamenti magici, aveva trattato con cognizione di causa Delle parti genitali, ma sull’effi cacia della terapia da lui consigliata si può oggi nutrire più di un dubbio. Scriveva il più celebre degli alchimisti: “L’erezione del pene è dovuta in qualche modo ad una simpatia originata da una vampa densa che dilata il corpo caver- noso spasmodicamente. Varie cause possono impedire questa appetenza, questo prudore, alcune delle quali naturali e se qualcuno dovesse perdere la virilità per tali cause, useremo il seguente rimedio. Su pergamena fresca scrivi le parole e i segni qui appresso e applicala intorno al pene AVGALIRTOR RALIKOKOMFILI

Rinnoverai questa pergamena ogni giorno e continuerai per nove gior- ni, alla mattina, prima che il sole irraggi la terra. L’avvolgerai intorno

22 CANTINI, Legislazione Toscana, cit. tomo XIII, p. 179 23 Ibidem.

24 R. GALLUZZI, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Fi- renze, Cambiagi, 1781, tomo II, lib. IV, cap. VI, p. 384.

alla parte che resta scoperta quando il prepuzio viene alquanto ritratto, la lascerai in loco giorno e notte e sempre la rinnoverai all’aurora. Bru- cerai quella vecchia che avrai tolta e ne trangugerai le ceneri, con una sorsata di vino caldo. Questo rimedio è allo stesso tempo eccellente ed economico”25.

Anche una densa bevanda proveniente dall’America vantava doti ener- getiche ed afrodisiache: la cioccolata. Lo stesso Colombo aveva avuto modo di osservare i semi di cacao e di comprenderne il valore ma la dif- fusione della bevanda avvenne solo dopo la conquista del Messico, nel 1519, quando Hernan Cortés ebbe modo di gustare ciò che in lingua atzeca veniva chiamato Xocolatl. Nel suo primo rapporto all’Imperato- re Carlo V, Cortes, a proposito del cacao scrive: “Esso è un frutto che somiglia alle mandorle, che gli indigeni vendono già macinato. Essi lo tengono in grande pregio tanto che queste fave servono da moneta su tutto il loro territorio. Con esse si acquista ogni cosa nei mercati e altrove”26. La fama della cioccolata si consolidò nel corso del Seicento.

La più raffi nata veniva realizzata a Firenze, nella spezieria di Boboli e, con l’aggiunta di essenze profumate all’ambra e al gelsomino, costitui- va una vero e proprio prodotto regale. Non tutti erano però sensibili al suo richiamo, come al fascino di altre bevande giunte da paesi lontani, come il the ed il caff è. Francesco Redi lo dichiara esplicitamente nel suo celebre ditirambo Bacco in Toscana:

“Non fi a già che il cioccolatte V’adoprassi, ovvero il the, Medicine così fatte

Non saran giammai per me; Beverei prima il veleno

Che un bicchier che fosse pieno Dell’amaro e rio caff è.

Colà fra gli Arabi

25 F. T. PARACELSO, I sette libri dei supremi insegnamenti magici, Roma, Atanor, 1953, pp. 24-25.

26 F. MARI-E. BERTOL, L’afrodisiaco cacao; da Montezuma ai tempi moderni, in Ciocco-

E tra i Giannizzeri Liquor sì ostico,