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1. Percorsi

Per raggiungere la Francia dall’Italia, tra la fine del ’400 e l’inizio del ’500, un viaggiatore che avesse dovuto ricorrere alla viabilità ordinaria, avendo come guida la manualistica viaria di base, destinata cioè non solo agli ‘esercenti del viaggio’ come i conduttori di locande (che dovevano probabilmente annove- rare tra i loro compiti quello di indicare se richiesti la via a clienti, passanti e avventori), ma nondimeno adatta a tutti «i viaggiatori, e principalmente per quelli stranieri e per coloro che non conoscessero la geografia»1, avrebbe dovuto fare ricorso ai repertori per i pellegrini2, che a quella viabilità si adat- tavano e in qualche modo rendevano fruibile. Non a caso, la principale via di comunicazione tra Francia e Italia (l’unico «grand chemin» che collegava i due Paesi) era costituito dalla via che, a seconda della direzione in cui la si percorreva, veniva chiamata Francigena o Romea. Una via interna che riuniva nel suo percorso tratti di diverse strade romane (via Cassia, via Emilia, il tratto

1 Si veda a titolo esemplificativo la pur tarda carta della Francia di Jean Boisseau, Tableau portatif des gaules, ou description nouvelle du Royaume de France: sur laquelle est tracée la routte des Postes & grands chemins, allans de la Ville de Paris aux principales Villes & extremitez de cét Estat: Les Armes pour avoir connoissance desqualitez des Villes. Oeuvre necessaire à tous Mares- chaux des logis, Fouriers & Voyageurs; & principalement pour les Estrangers, & ceux qui n’ont la connoissance de la Geographie. Avec deux indices par ordre Alphabetique: le premier, contenant les noms & situations des Provinces & Territoires plus renommez; l’autre, les noms des Villes & lieux contenus en ladite Carte. Dressé par Iean Boisseau, Enlumineur du Roy pour les Cartes Geographiques. Dédié à Monseigneur le Marquis de Rostaing, A Paris, Chez ledit Boisseau,

en l’Isle de Palais, pres le cheval de bronze, à la Fontaine de Iouvence Royale, M.DC.XLVI. (nostre le traduzioni nel corpo del testo).

2 Cfr. Jean Bonnerot, Introduction à Charles Estienne, La guide des chemins de France de 1553, éd. par J. Bonnerot, Paris, Honoré Champion, t. I, 1936, pp. 28-29.

Mediolanum-Arelate), che dal tardo Medioevo aveva sostituito la via Aurelia come principale collegamento tra Italia e Francia3, e di cui sarebbe arduo sta- bilire, per l’epoca medievale, quale fosse, sempre in relazione alla direzione di percorrenza e al luogo di partenza o di arrivo (Roma, non più capitale dell’Im- pero ma Città santa), la funzione prima, primaria e principale (se militare, religiosa o commerciale)4.

Per questa ‘preminenza francigena’ seguita all’abbandono dell’Aurelia (via costiera), andare in Francia, nel primo Cinquecento, significava princi- palmente, tranne casi particolari, «passare i monti»5, cioè le Alpi. I due ter- mini erano talvolta sinonimi nella cosmografia del Cinquecento, che spesso ricorreva ai geografi antichi per descrivere l’Europa (mentre quelli moderni cercavano nella maggior parte dei casi di applicare i propri studi e conoscenze al Nuovo Mondo, ai territori extraeuropei nuovamente acquisiti al mondo del- la conoscenza)6, non essendo progrediti gli studi geo-cartografici sul vecchio continente molto oltre gli autori classici, che per la Francia erano costituiti essenzialmente da Cesare e Tolomeo7. Sebastian Münster, nel descrivere la re- gione germanica delle Alpi svizzere, discorreva «de Alpibus & summis monti- bus ex quibus scaturit Rhenus, quorum cultores hodie vocantur Grisones», e non mancava di osservare quanto altri aveva già detto di vari popoli montana-

3 Cfr. M. C. Daviso di Charvensod, I pedaggi delle Alpi occidentali nel Medio Evo, Torino,

Deputazione di Storia Patria - Palazzo Carignano, 1961, p. 39.

4 Via commerciale, branca meridionale dei «grands chemins marchands», essa fu (senza rife-

rimento religioso alcuno) per R. Gascon, La France du mouvement: les commerces et les villes,

in Histoire économique et sociale de la France, dir. par F. Braudel et E. Labrousse, t. I, De 1450 à 1660, vol. 1, P. Chaunu, R. Gascon, L’État et la ville, Paris, P. U. F., 1977, pp. 385-387. Il

maggiore studioso italiano della Via francigena, Renato Stopani, sembra invece di diverso av- viso: si veda in merito, almeno, R. Stopani, La Via Francigena. Una strada europea nell’Italia del Medioevo, Firenze, Le Lettere, 1988 (19992); Id., Le vie di Pellegrinaggio del medioevo. Gli itinerari per Roma, Gerusalemme, Compostella. Cartografia di A. Dué, Firenze, Le Lettere,

1991; Id., La Via Francigena del Sud. L’Appia Traiana nel Medioevo. Cartografia di A. Dué,

Firenze, Le Lettere, 1992; Id., La via Francigena. Storia di una strada medievale. Con un

saggio di bibliografia sulla Via Francigena a cura di F. Vanni, Firenze, Le Lettere, 1998; Id., Il “camino” italiano per Santiago de Compostela. Le fonti itinerarie di età medievale, Firenze, Le

Lettere, 2001; Prima della Francigena. Itinerari romei nel «Regnum Langobardorum», a c. di

R. Stopani, Firenze, Le Lettere, 2000.

5 Così recitava anche il titolo di un Convegno Internazionale di Studi di cui sono editi in

ponderoso volume gli Atti: cfr. Passer les monts. Français en Italie - l’Italie en France (1494- 1525). Actes du Xe colloque de la Société française d’étude du Seizième Siècle. Etudes réunis et

publiées par Jean Balsamo, Paris - Fiesole (Firenze), Honoré Champion - Cadmo, 1998.

6 Cfr. M. Milanesi, Introduzione, in Ead., Tolomeo sostituito. Studi di storia delle conoscenze geografiche nel XVI secolo, Milano, Unicopli, 1984, pp. 9-24.

7 Abbiamo cercato di dimostrarlo per le conoscenze geografiche sulla Francia da parte degli

ambasciatori veneti in I. Melani, Gli ambasciatori veneti nella Francia del primo Cinque- cento, in «Archivio Storico Italiano», CLXII, 2004, pp. 479-484 (cui ci sia consentito un

ri, riferendosi «de istis & alijs populis qui summas inhabitant alpes»: usando cioè il nome proprio, privato della lettera capitale e con iniziale minuscola, come generico sinonimo di «monti»8.

Il celebre linguista Charles Estienne, verso la metà del secolo XVI, indi- viduava l’etimologia del nome dal greco albion, attraverso il latino album (che a sua volta, secondo Silio Italico, mutava il sabino alpum) a causa della bian- chezza delle nevi, al tempo stesso in cui ne delineava sia la natura geografica di monti di rilevantissima altezza, sia quella geo-politica di confine naturale tra le due antiche Gallie (transalpina e cisalpina) e tra le attuali Francia, Italia, Germania. Egli introduceva così, tra l’altro, l’idea di un confine geografico tra Italia e Francia e quella di una priorità storica dei Galli sull’invasore Anniba- le in merito al loro valico, e ne evidenziava l’estensione e l’altitudine, ancora ricorrendo agli scrittori antichi (tra cui Silio italico, Plinio e Livio) che ne va- lutavano nondimeno il ruolo a sua volta geo-politico di salus per Roma, con ovvio riferiemento, questa volta, al loro attraversamento da parte di Annibale9.

L’uso dell’espressione «passare i monti» («passer les monts»), nell’impos- sibilità di essere datato con esattezza10 pare attestato in ambito linguistico e culturale sia francese che italiano, e pienamente sviluppato nell’arco di tempo coperto dall’epoca delle cosiddette Guerre d’Italia (1494 – 1559). Nel 1492, nella relazione dell’ambasciatore Zaccaria Contarini al Senato veneto, essa è utilizzata, seppur in forma participiale e quasi con valore avverbiale, in relazio- ne alle generali considerazioni sulla viabilità alpina nel più ampio contesto di quella francese: «passato i monti con minor incomodità assai, per il giudizio mio, di quello che credevano molti dei nostri rispetto alla mala relazione che ne era stata fatta, e continuando il cammin nostro con quella maggior sol- lecitudine che [...] ne fu possibile di usare, proponendo questo ad ogni altra comodità nostra, addì 24 di giugno giungessimo a Villanuova, che è un luogo quattro leghe lontano da Parigi»11. La stessa cosa, ovviamente, valeva anche

8 Cfr. Sebastian Münster, Cosmographiae universalis libri vi, Basileae, apud Henricum Petri,

anno salutis M.D.L., p. 518.

9 Charles Estienne, Dictionarium historicum ac poeticum: omnia gentium, hominum, loco- rum, fluminum, ac montium antiqua recentioraque ad sacras ac prophanas historias, poeta- rumque fabulas intelligendas necessaria vocabula, bono ordine complectens: a Carolo Stephano, illius authore, postremo hoc labore multum adauctum, Apud Ioannem Le Preux, & Ioannem

Parvum, M.D.LXVII, f. 24v: «Alpes, ἂλπεις τα ἀλεπεινὰ ὂρη vel ἂλβια à candore nivium dic- tae, quia perpetuis ferè nivibus albescunt. Sabini enim Alpum dixere, quod posteri Latini album. [...] Galliam Transalpinam à Cisalpina dividentes, nunc vero promotis finibus termini sunt Italiae & Germaniae. [...] Hos Annibal aceto pervios fecit, quos tamen Galli ante An- nibalis adventum quin quies traiecerant. [...] Romano imperio saluberriame, Plin. 3. 4. 2. Ab Annibale exuperatae, 26. 1. 7. [...]».

10 Neppure gli Atti (cfr. Passer les monts, cit.) del convegno internazionale intitolato proprio

al tema di «passer les monts» dedicano un saggio né un accenno introduttivo alla genesi linguistica e alla storia dell’espressione che gli ha dato il nome.

nella direzione opposta: così, ad esempio, Girolamo Priuli introduceva la di- scesa in Italia di Carlo VIII, nel 1494, affermando che «passò la persona sua li monti»12.

C’è da comprendere, visto il ricorso a un repertorio fraseologico classica- mente latino che ci fa pensare che dovessero essere tutti o quasi tutti relativi all’arco alpino i riferimenti al termine francese mont contenuti nell’apposita voce del Dictionnaire françoislatin di Robert Estienne (1539), come la cultura classico-umanistica del Cinqucento tendesse ad associare par excellence l’e- spressione al valico delle Alpi, al passaggio tra l’antica Gallia cisalpina e la transalpina13. Meno di 25 anni più tardi, nel 1563, il fratello minore di Robert Estienne, Charles (a dimostrazione della vocazione poliedrica della famiglia di editori, stampatori, linguisti e poligrafi), avrebbe consacrato l’espressione non più solo a livello di espressione linguistica, di ‘modo di dire’, ma anche di pa- radigma di un’azione fisica, di un movimento, in un’opera tecnica sulle vie di comunicazione terrestre francesi (all’epoca considerata un testo fondamenta- le, in quanto specifico dell’ambito della guidistica di viaggio in Francia), in cui l’espressione, anche se già corrente, trovava una forma che, in quanto ‘manua- listica’, diveniva per così dire definitiva, paradigmatica: «de la, qui veult passer les monts pour traverser au Piedmont en Italie, suyvra le chemin qui sensuyt», cioè lo chemin che si dirigeva «a Turin, ville capitale de Piedmont»14.

L’idea di dover «passare i monti» per giungere in Francia, passando da un ambito territoriale che sta loro al «di qua» a uno che sta loro al «di là»15, insita già al tempo di Roma antica nella definizione geografica, politica e ammini- strativa del confine alpino come di un valico tra le due Gallie (cis- e transaplina: «di qua» e «di là»), e che contribuì per gli italiani, nel corso del Cinquecento – forse anche per il peso non esiguo che il regno di Francia giocò sui piatti

12 Girolamo Priuli, I Diarii, vol. I (anni 1494-1512), a cura di A. Segre, in Rerum Italicarum Scriptores, IIa ed., dir. G. Carducci, V. Fiorini, t. XXIV, parte III, Città di Castello, Casa

Editrice S. Lapi, 1912, p. 4.

13 Cfr. Robert Estienne, Dictionnaire Françoislatin, contenant les motz & manieres de parler Francois, tournez en Latin, A Paris, De l’imprimerie de Robert Estienne, M.D.XXXIX., p.

317, ad vocem Mont. Montaigne. Montaignette. Montioye. Montueulx : «[...] Passer les mons,

Traiicere se Alpes».

14 Cfr. Charles Estienne, La guide des chemins de France, revueue & augmentee pour la troi- siesme fois. Les Fleuves du Royaume de France, aussy augmentez. A Paris, chez Charles Es-

tienne, Imprimeur du Roy, M.D.LIII. Avec privilege dudict Seigneur, pp. 163-164 (corsivo nostro). Al testo, al suo ruolo di capostipite nel genere delle guide di viaggio cinquecentesche e al suo conseguente grande successo di pubblico fa riferimento A. Mączak, Viaggi e viaggiatori nell’Europa moderna, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 38-41.

15 Le due espressioni, come abbiamo osservato nell’Introduzione, sono utilizzate da France-

sco Guicciardini in un’accezione che definiremmo geo-politica. Cfr. Francesco Guicciardini,

Discorsi politici, IV, Sulle mutazioni seguite dopo la battaglia di Ravenna, in Id., Scritti politici e Ricordi, a cura di R. Palmarocchi, Bari, Laterza, 1933, p. 97, e ivi, VII, [Sulla discesa di Fran- cesco I in Italia nel 1515], p. 111.

della bilancia dell’equilibrio ‘internazionale’ europeo-16 a individuare l’Europa come una regione (geografica) e un sistema (politico) ‘al di là’ dei monti, non contribuì però ad appiattire sull’idea e sulle immagini del passaggio o del tran- sito la pluriforme ricchezza del sistema viario romano e medievale, che dell’una o delle altre costituiva il mezzo e lo strumento materiale, effettivo.

Cos’era infatti un monte, o un sistema di monti, tra la fine del XV e l’ini- zio del XVI secolo in una regione compatta e omogenea, dotata di importanti peculiarità, come quella alpina posta tra la penisola italiana e la Francia, ma che segnava, evidentemente e proprio per questo per gli autori italiani – al tempo stesso in cui mostrava la sua omogeneità interna – un discrimine, un passaggio, una discontinuità rispetto all’esterno? A risponderci può essere, ancora una volta, l’attenta repertoriazione linguistica di Robert Estienne, che nell’apposita amplissima voce del proprio dizionario francese-latino pare retro-tradurre in volgare una serie di espressioni e una fraseologia classica a partire dalle diverse concezioni e accezioni che le montagne paiono assumere ai suoi occhi di france- se del Cinquecento. Un monte, o un sistema di montagne, «monti», era sia un elemento corografico, di cui si descrivevano le possibili conformazioni e la sud- divisione in varie parti17, sia per l’appunto un luogo di passaggio, di attraversa- mento, con le sue difficoltà18, sia un ambiente per così dire naturale, biologico, dotato di una popolazione, di una flora e di una fauna spesso precipue19, sia, si potrebbe dire, una regione, un confine, un elemento naturale che solo talvolta unisce, quasi sempre separa e divide uomini e luoghi20.

16 Il concetto è magistralmente espresso da F. Braudel, Il mondo attuale, trad. it., Torino,

Einaudi, 1966, vol. II, parte III, pp. 470-479 (la politica europea dell’equilibrio è presentata come antidoto e deterrente all’unità del continente). Si veda anche la bella antologia di testi

L’equilibrio di potenza nell’Età moderna. Dal Cinquecento al Congresso di Vienna, a cura di

M. Bazzoli, Milano, Unicopli, 1998, pp. 1-24 (la sezione Idea e pratica dell’equilibrio nel XVI secolo contiene testi di Francesco Guicciardini, Alberico Gentili, Paolo Paruta, Giovanni Bo-

tero) e cfr. anche, ivi, pp. vii-lxv, l’Introduzione.

17 Robert Estienne, Dictionnaire Françoislatin, cit., p. 317, ad vocem Mont. Montaigne. Mon- taignette. Montioye. Montueulx : «La coste d’une montaigne, Dorsum. Le sommet ou coupet d’une montaigne, Iugum, iugi. La descente d’une montaigne venant du sommet en bas, Clivus,

& Clivum».

18 Cfr. ibid.: «Montaigne qui va se tournoyant, Flexuosus mons. [...] Montaigne haulte a me- rueilles, & malaisee a monter, Praeruptior collis. Montaignes loingtaines, Longinqui montes. [...] Montaigne qui n’est point droicte, Flexuosus mons. [...] Montaigne qui va se tournoyant, Flexuosus

mons. [...] Montaigne inaccessible, Praeruptior collis. Montaignes loingtaines, Longinqui montes.

[...] Qui court & fuit par les montaignes, Montiuagus. La montaigne n’est point roide a monter,

Assurgit clementer & molliter collis».

19 Cfr. ibid.: «Montaignes fueillues, Frondosi montes. [...] Vne petite montaigne ou il y a force cy- prez, Collis cupressum nemorosus & opacus. Montaignes ou les bois croissent, Silvigeri montes.

[...] Qui demeure es montaignes, Montanus. Qui est au pied des montaignes, Subalpinus». 20 Cfr. ibid.: «Qui demeure dela les mons, Transmontanus. Iusques par dela les mons, Trans

Alpes usque transfertur. Deca les mons, Cisalpina Gallia. [...] Montaignes tenantes l’une a l’autre,

Fatto sta: lo sguardo attento dei viaggiatori e dei geografi e uomini di cultura contemporanei, avrebbe senza dubbio precisato che nel Cinquecento esistevano ormai non uno ma più luoghi dove si potevano passare i monti per giungere in Francia21, e che essi costituivano non solo il punto di transito ma anche quello di passaggio, nel senso di svolta, cambiamento tra il qui e il là, di frattura interna a una serie di percorsi che dipartendosi da luoghi diver- si avevano differenti origini ma che, dopo aver collegato tratti comuni a più percorsi con tratti autonomi, mostravano di avere, giungendo quasi sempre in uno stesso luogo, un solo (o principale) punto di arrivo, costituito dalla città di Lione (Lyon), vero ‘capolinea’ dei viaggi dall’Italia, punto di partenza per i viaggi in Francia.

Due erano i percorsi pedemontani dall’Italia verso la Francia, il primo dei quali prevedeva il passaggio dei monti al Passo del Moncenisio («le mont Senys»), la cui ripida ascesa («monte Roide»), si affrontava partendo da Susa, «città», «terra grossa» o «castello» («Suze ville» secondo il francese Char- les Estienne22, «Susa, Terra grossa», ma anche «Susa. castello» secondo l’ita- liano Giovanni da Elba) all’imbocco dell’omonima Valle23 dove si era giunti per via di Torino e Rivoli (punto di congiunzione con la strada che via Ver- celli-Novara raggiungeva Milano, dove fece tappa, giungendo nella direzione opposta, anche l’esercito di Carlo VIII diretto ad Asti)24, per giungere infine, dall’altra parte dei monti, a Lione. Da Susa piegando a nord per 4 miglia, si

21 Dei passi e dei passaggi dell’arco alpino occidentale (uno spazio che va dal sud-est della

Francia alla Svizzera della cui definizione spaziale si tenta però una serie di precisazioni geo- storiche) utilizzati nei «viaggi civili» si occupa É. Bourdon, Le voyage et la connaissance des Alpes occidentales en France et en Italie de la fin du XVe siècle au début du XVIIIe siècle 1492- 1713, dir. G. Bertrand, Thèse de doctorat en Histoire, soutenue le 23 juin 2006, Université

de Grenoble II (Jury: M. le Prof. G. Bertrand, M. le Prof. F. Lestringant, M. le Prof. D. Nord- man, M. le Prof. C. Reichler), 2 voll., vol. I, pp. 245-295. Ringrazio Daniel Nordman che mi ha messo a disposizione la sua copia del lavoro durante un soggiorno parigino. La thèse è

uscita in volume (É. Bourdon, Le voyage et la découverte des Alpes. Histoire de la construction d’un savoir 1492-1713, préface de D. Roche, Paris, Presses Universitaires de Paris Sorbonne)

nell’autunno 2011, il che mi ha reso impossibile consultarla in questa nuova versione al mo- mento in cui ho licenziato il presente lavoro. Ringrazio però l’autore che mi ha messo a di- sposizione il nuovo indice. Si tratta di un lavoro fondamentale, centrato sul binomio viaggio/ conoscenza, che privilegia l’analisi delle relazioni tra pratica e teorizzazione delle Alpi come spazio fisico/viario e come spazio geo-storico, e che meriterebbe certamente di essere presto tradotto in Italia.

22 Cfr. Charles Estienne, La guide des chemins de France, cit., p. 164.

23 Cfr. Poste per diverse parti del mondo. Et il viaggio di S. Iacomo di Galitia, con tutte le Fiere notabili, che si fanno per tutto ’l mondo. Con una narratione delle cose di Roma, & massime delle sette Chiese, brevemente ridotta, in Vinegia, appresso Domenico Farri, mdlxiiii, f. 12r; f. 16v;

f. 20v; f. 30r; f. 51r. Sull’attribuzione dell’opera cfr. ivi, ff. 2r-v (Alli Lettori): «Cherubinus de

Stella hoc opus scripsit, & in parte composuit de mandato praedicti D. Ioannis de Helba».

24 Cfr. Philippe de Commynes, Mémoires, VII, 6, éd. par J. Blanchard et M. quereuil, Paris,

poteva raggiungere il «villaggio» de «la Novarese» (Novalesa), che «questo loco è à piè della Montagna de Monsinis», poi «Luneborgo», (Lanslebourg), e, percorrendo la valle del fiume Arc prima piegando a sud e poi a nord/nord- ovest, il «Castello» di «San Michele» (Saint-Michel-de-Maurienne), «San Giovan de Moriana» (Saint-Jean-de-Maurienne), «Ciambra» (La Chambre), «Ciamberi» («Chambéry»), «Ponte bonvisin» (il Ponte Belvicino), per giungere infine, ancora una volta, a Lione25.

Più a sud, sempre in territorio piemontese, un secondo Passo varcava le Alpi in direzione della Francia, quello del Monginevro, e serviva a chi volesse «passare i monti» in direzione di Avignone. Le due strade, che percorrevano in comune almeno il tratto da Torino, si dividevano a Susa da dove quella per il secondo dei due passi piegava verso sud in direzione di «Ysiges» (Sauze d’Oulx), «Susana» (Cesana), «Abriascon» (Briançon) e, proseguendo sul corso del fiume Durance, «Ambrun» (Embrun), «Chiorges» (Chorges), Carpentras, Avignone26. I due rami viari, a dire il vero, si sarebbero ricongiun- ti anche «al di là dei monti», attraverso quel tratto della Route des Alpes che in dodici giorni collegava Avignone a Lione e, seguendo il corso e la valle del fiume Rodano e attraversando una sola volta il corso della Durance, univa im- portanti città della Gaule romaine come Montélimar, Valence, Vienne27.

Purtroppo, la migliore descrizione che abbiamo del tratto montano di

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