centrali non rinunciavano a servirsi di queste fonti per mantenere il controllo della periferia,
sebbene non ne trascurassero il loro carattere strumentale. Si instaurava quindi un sorta di
complesso rapporto tra chi si esprimeva con tali mezzi e i diversi organi del regime che
dovevano decidere «sull’attendibilità delle informazioni proposte […] e quindi del loro
successo»
215. Tutto ciò non soltanto costituiva una preziosa arma a disposizione del centro per
intervenire sulla periferia ma, a livello municipale, rappresentava anche un efficace strumento
di lotta politica capace di destabilizzare gli equilibri esistenti tra le diverse fazioni in lotta,
tanto da risultare tra le cause dell’alternanza esistente ai vertici di molti Comuni. A ben
vedere, esposti, dossier, promemoria, si rivelavano tutti costruiti secondo un modello che
faceva proprio, però rovesciandolo, quello che era il discorso pubblico propagandato dal
regime
216. Ecco allora che rispetto a una rappresentazione in cui il podestà, in quanto massima
espressione del regime nel microcosmo comunale, appariva come un esponente della
comunità al servizio della stessa, proprio come era il duce per la nazione, le denunce
portavano invece alla luce un quadro in cui risultava dominante il perseguimento di obiettivi
particolari e personalistici, finalizzati al soddisfacimento di interessi economici o di potere.
Ricorrenti erano le accuse ai podestà di non essere veri fascisti, ma degli opportunisti che
avevano militato nei partiti liberali o peggio sovversivi, i quali solo dopo l’affermazione del
fascismo sarebbero riusciti a infiltrarsi nel partito. Da simili situazioni e personaggi, proprio
come visto in precedenza, sarebbero derivate conseguenze negative per le comunità locali
217.
D’altra parte, il passo dalla sfera politica e degli interessi economici, a quelli più propriamente
legati all’ambito morale, in relazione ai valori esaltati dal fascismo come, ad esempio, le
questioni connesse con i temi della sessualità, risultava breve. Emblematico a questo
proposito si dimostra quanto emerge da un memoriale anonimo, inviato nel dicembre 1932 al
prefetto di Terni, in cui venivano avanzate una serie di pesanti accuse nei confronti del
214 Ibidem.
215 Lupo, Il fascismo, cit., p. 327.
216 Baris, Esperienze locali e ridefinizione del fascismo, cit., pp. 16-17.
217 Così, ad esempio, in una realtà del meridione d’Italia, la provincia di Cosenza, la situazione a livello urbanistico appariva insostenibile. Inoltre, si presentava «fatiscente la situazione igienica e sanitaria [...] allarmante la disoccupazione, le tasse, la fame e la miseria ormai [divenute] insopportabili». Sole, Lettere anonime e lotta fra fazioni nel Cosentino, cit., p. 598.
possidente Leonida Schiaroli, dall’aprile 1928 commissario prefettizio, quindi sino al
novembre 1933 podestà di Alviano. Innanzitutto, se ne biasimava la «scarsa moralità».
Benché sposato, era accusato di intrattenere una relazione con una donna del paese, vedova di
guerra, da cui avrebbe avuto un figlio. Era inoltre ritenuto un opportunista; lo si accusava di
essere stato protagonista di «parzialità nella amministrazione comunale» e di «nepotismo», in
quanto avrebbe approfittato della sua carica per favorire i commerci di un nipote e di amici,
oltre che di «speculazione a proprio vantaggio sulla carica ricoperta»
218. Gli si rimproverava
poi «scarsa fede fascista e mancanza assoluta dello spirito fascista»; era quindi ritenuto
colpevole di boicottare, in accordo con il parroco del paese, considerato «antifascista
subdolo», le iniziative e le organizzazioni del regime, soprattutto dopo che la carica di
segretario politico del Pnf era stata persa dal nipote. Infine, sarebbe stato intimo con i
comunisti locali, alcuni dei quali avrebbe fatto assumere al Comune.
Il prefetto di Terni Le
Pera, si schierava però con il podestà, non dando credito e smontando la maggioranza delle
accuse presenti nel memoriale
219. Alle origini di tali accuse ci sarebbero stati i contrasti
esistenti tra lo Schiaroli e il segretario del fascio locale, il capostazione a riposo Dante
Baccheschi, attorno a cui si era venuta coagulando «una qualche parte della popolazione»
dimostratasi ostile al podestà. Quest’ultimo riuscì comunque a mantenere l’incarico sino alla
scadenza del mandato, alla fine del 1933, quando venne sostituito da Baccheschi
220. Come
218 In particolare, gli si addebitava di essersi «tassato per un reddito di cinquemila lire annue così come per altre modeste famiglie locali, quando invece è risaputo che […] è la persona più facoltosa del paese e che quasi ogni anno fa acquisti di terreni per oltre centomila lire. L’Opera Nazionale per la protezione maternità infanzia ed il Consorzio provinciale antitubercolare hanno messo a disposizione dello Schiaroli delle somme da distribuire a titolo di sussidio ai tubercolotici ed alle varie madri di famiglia del luogo. Lo Schiaroli anziché rilasciare buoni alimentari e sussidi in danaro, fa distribuire ai bisognosi solo latte e niente altro che latte prodotto dalla sua azienda, trattenendosi il corrispettivo in denaro». ACS, MI, DGAC, DAGR, Podestà e Consulte municipali, b. 277, f. 3 “Alviano”, Promemoria anonimo inviato al prefetto di Terni, 2 dicembre 1932.
219 Il prefetto nello scrivere ai superiori, se confermava la voce pubblica che attribuiva al podestà la paternità di un figlio, sottolineava però che quest’ultimo era mantenuto agli studi in un convitto dal podestà e, soprattutto, sosteneva che «gli addebiti denunziati [...] o sono infondati o di poco rilievo». Le accuse di favoritismi a favore del nipote e di amici affinché ottenessero vantaggi economici erano considerate prive di fondamento; così come quelle relative a illeciti arricchimenti ottenuti sfruttando l’incarico ricoperto. Ugualmente infondata era ritenuta l’ostilità del podestà al fascismo; così come l’antifascismo del sacerdote del paese, don Virginio Jaccarelli, considerato invece un sostenitore del fascismo, tanto che avrebbe «erogato del danaro a favore delle organizzazioni del regime». Ivi, Relazione del prefetto di Terni al ministero dell’Interno, Direzione generale amministrazione civile, 5 gennaio 1933.
220 I sostenitori di Baccheschi avrebbero rimproverato allo Schiaroli «una certa lentezza nella decisione e deficienza di iniziativa». Baccheschi rivestì per un anno l’incarico prefettizio, nel corso del quale ebbe anche lui contrasti con il segretario locale del Pnf, che tuttavia furono risolti rendendo così possibile la sua nomina a podestà. Secondo il prefetto Selvi, nell’esercizio dell’incarico aveva «dato prova di una fervida operosità ispirata a un grande attaccamento alla cosa pubblica, a perfetta rettitudine d’intenti e ad un vivo senso di giustizia». Ivi, Lettera del prefetto di Terni al ministero dell’Interno, Direzione generale amministrazione civile, 1 aprile 1935; Lettera del prefetto di Terni al ministero dell’Interno, Direzione generale amministrazione civile e all’Ufficio del personale, 17 marzo 1938.