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Kymaion Politeia

K YMAION P OLITEIA

2 morav W ijcquvou W 3 kuna; ejsqivein aujtovn W

Blakika: cose ingenue, stolte, sciocche, da un pesce chiamato blax, simile al siluro,

inutile al punto da non essere commestibile nemmeno per un cane.

S e c o n d o a l t r i , l a p a r o l a d e r i v a d a l l u o g o n e i p r e s s i d i C u m a , l a

B l a k e i a .

Il fr. 1 è attestato, senza significative variazioni testuali, sotto le voci blavx o blavka di numerosi lessici bizantini (Etym. Gen. s.v. blavx; PHOTIUS s.v. blavka; Etym.

Magn. s.v. blavx; Suda s.v. blavka), che attribuiscono espressamente ad Aristotele la menzione di una regione chiamata Blakeia nei pressi di Cuma. Tra questi, i testi più antichi, da cui dipendono in buona parte i lessici successivi, sono l’Etymologicum genuinum (la cui rubrica è qui classificata come fr. 1a) e il Lessico

190 di Fozio (fr. 1b), a loro volta basati su fonti comuni390. Il frammento compare,

inoltre (fr. 1c) — con una piccolissima variazione testuale e senza il riferimento nominale ad Aristotele contenuto nei lessici — in uno degli scholia vetera al

Politico di Platone (PLAT., Polit. 307c), atto a illustrare il significato del termine

blakikav, usato dal filosofo come connotazione di senso dispregiativo di atteggiamenti indolenti (possibile deriva negativa della sophrosyne, quando l’occasione richieda un comportamento più improntato all’andreia).

Il fr. 1a è tramandato dall’Etym. Gen. AB s.v. blavx in forma pressoché identica ai frr. 1b e 1c ma all’interno di un contesto più ampio e articolato. Il compilatore dell’ Etymologicum genuinum illustra, con i tre termini eujhvqh", ajrgov", ajnovhto" (l. 1), il significato essenzialmente duplice della parola blavx: eujhvqh" e ajnovhto" si riferiscono infatti allo stesso ambito semantico dell’ingenuità/stoltezza, ajrgov", invece, a quello della inattività/pigrizia. Dopo la definizione sintetica, il lessicografo riporta due citazioni, ciascuna pertinente a uno dei due campi semantici: ad Aristofane ascrive l’accostamento dell’aggettivo bla'ke" a fugergoiv391, scansafatiche (l. 2); a seguire, cita — senza esplicitarne la fonte — una

390 Come intuito per la prima volta da REITZENSTEIN 1897, pp. 1-2, l’Etymologicum Genuinum è il

più antico degli etimologici bizantini. Esso è tramandato in due epitomi trasmesse nei codici A e B, derivanti dallo stesso archetipo. Le forti affinità riscontrabili tra il lessico di Fozio e l’Etymologicum Genuinum sembrerebbero dipendere dal comune utilizzo della cosiddetta Sunagwgh; levxewn crhsivmwn, un lessico alfabetico di fine VIII-inizio IX secolo, basato sul glossario di parole rare erroneamente ascritto a Cirillo di Alessandria (cfr. RANCE 2007, p. 205). Il Levxikon

JRhtoriko;n, citato come fonte nel lemma del Genuinum qui in esame, fu inizialmente identificato da WENTZEL 1895, pp. 484-486, e REITZENSTEIN 1897, pp. 60-62, con il lessico di Fozio stesso; in

seguito REITZENSTEIN 1907, pp. XLVIII, ipotizzò che esso costituisse piuttosto una fonte del

lessico del patriarca. Contro l’ipotesi di Reitzenstein, condivisa da ADLER 1931, col. 692, WENDEL

1949, col. 2408, ERBSE 1950, p. 33, ALPERS 1981, pp. 76 s., si è espresso THEODORIDIS 1982, il quale ha riproposto la tesi di una perfetta coincidenza tra Levxikon JRhtorikovn e lessico di Fozio, senza tuttavia riuscire a spiegare in maniera convincente tutte le divergenze intercorrenti tra i due lessici (cfr. TOSI 1984, p. 192). Il Levxikon JRhtorikovn viene attualmente considerato un lessico strettamente imparentato con Fozio (TOSI 1984, p. 192), con molta probabilità derivante da un

ampliamento della suddetta Sunagwgh; levxewn crhsivmwn (RANCE 2007, p. 205). Per una sintesi

del problema cfr. DEGANI 1995, pp. 526-527.

391 Il frammento, che KASSEL-AUSTIN 1984 classificano come fr. 672 tra le fabulae incertae,

potrebbe appartenere, sulla base di Anecd. Gr., p. 84, ll. 4-6 (blavx, blakeuvein, blakeuvesqai, kai; blavke~ kai; blakikw`~: Plavtwn Gorgivaó, oJ aujto;~ Eujqudhvmwó, jAristofavnh~ Plouvtwó), al Pluto I,

191 frase della Ciropedia (I 4, 12) di Senofonte, in cui Ciro, adolescente, lamenta la

propria improvvisa inettitudine ed esprime il timore di diventare blavx ed hjlivqio",

stolto (l. 2).

Il compilatore propone poi (ll. 2-4) un’etimologia del termine già variamente attestata (Schol. in Plat. Grg. 488a; OLYMP., in Plat. Grg. Comment. 27, 8, 3;

ORION GRAMM., Etym. s.v. blavx): la derivazione da malakov" (molle), attraverso il

suo diminutivo mavlax — non altrimenti noto, al di fuori che in contesti di tipo lessicografico o grammaticale —, per successivi mutamenti linguistici di sincope (mavlax > mlavx) e passaggio da m a b (mlavx > blavx).

Il lessicografo procede poi nella compilazione della rubrica, riferendo altre due possibili etimologie del termine.

La prima (ll. 4-6), che l’autore dice di aver attinto al Lessico retorico392 — una

delle fonti più spesso menzionate nell’Etymologicum Genuinum —, fa derivare l’aggettivo blavx da una specie ittica inutile perché immangiabile (come chiarisce

Schol. in Plat. Polit. 307c) persino per i cani. La stessa etimologia è attestata anche da Schol. in Plat. Rp. 432d6: passo del IV libro della Repubblica di Platone, che il compilatore del lemma cita — forse non a caso — subito dopo (ll. 6-7). Nel passo platonico a parlare è Socrate, intento in una conversazione con Glaucone volta a definire il concetto di giustizia; in particolare, con la frase riportata dall’Etym.

Gen. s.v. blavx «quel che ci accade è blakikon», il maestro lamenta l’incapacità

propria e del suo allievo di accorgersi che di fatto la giustizia era stata oggetto di tutto il loro discorso: essi dunque non coglievano l’evidenza ormai lampante del concetto su cui si interrogavano. Alla citazione platonica, il compilatore dell’Etymologicum Genuinum aggiunge un’osservazione non immediatamente

commedia di cui possediamo scarni frammenti, la cui esistenza è attestata dall’argumentum del

Pluto II e dallo scolio al verso 173 della stessa commedia (così KOCK 1880, pp. 505-6).

192 chiara (l. 7): come se si dicesse pleumonia dal pesce marino che è privo di percezione.

La considerazione diventa più perspicua alla luce di ARISTOT., Part. anim.

681a17-20393, in cui si menziona un animale marino chiamato pleumon, che si

caratterizza per il non avere alcuna percezione, al pari di un vegetale. È possibile, allora, che la considerazione come se si dicesse pleumonia dal pesce marino che è

privo di percezione volesse suggerire un processo di derivazione etimologica di

pleumonia da pleumon, analogo a quello che legava blakikos a blax. Resta la

difficoltà di comprendere il senso di una simile osservazione in rapporto a PLAT.,

Rp. 432d6: la parola pleumonia, infatti, ha generalmente il significato di malattia

polmonare, appunto da pleumon, polmone. In questo contesto particolare, però, in cui pleumon è il nome dell’animale marino noto anche ad Aristotele, si può pensare che il compilatore volesse intendere che la mancanza di facoltà percettive propria del pleumon potesse conferire alla parola pleumonia un significato volto ad esprimere proprio una incapacità di percezione, in modo perfettamente analogo, anche sul piano semantico, al rapporto tra l’aggettivo

blakikos e l’animale blax.

Alle linee seguenti (ll. 8-9) — e siamo al nostro frammento —, il lessicografo riporta la terza etimologia del termine blavx, di cui non rivela la fonte: Secondo

altri, [la parola deriva] dal luogo nei pressi di Cuma, la Blakeia, che ricorda anche

Aristotele. Infine (ll. 9-10), viene riferita la notizia di una tassa blakennomion pagata dagli astrologi ad Alessandria, che prenderebbe il nome dalla stoltezza dei loro clienti (!).

La testimonianza aristotelica, dunque, viene riportata a garanzia dell’esistenza di un luogo nei pressi di Cuma chiamato Blakeia.

393 ARISTOT., Part. anim. 681a17-20: Ta; de; kalouvmena oJloqouvria kai; oiJ pleuvmone~, e[ti de; kai;

e{tera toiau`t j ejn th`ó qalavtthó mikro;n diafevrei touvtwn tw`ó ajpoleluvsqai· ai[sqhsin me;n ga;r oujdemivan e[cei, zh`ó de; w{sper o[nta futa; ajpolelumevna.

193 Secondo G. Ragone394, l’interpretazione lessicografica del toponimo in rapporto

etimologico con blax, come figura antonomastica della stupidità, sarebbe in relazione al filone scommatico anticumeo attestato dal Philogelos e dalla diffusa aneddotica testimoniata, tra gli altri, da Strabone (XIII 3,6), Diodoro (XV 18, 2- 4) e dal Bios Homerou pseudo-erodoteo, in cui potrebbero essere confluiti materiali arcaici, verosimilmente nati in ambiente ionico all’indomani della

conquista colofonia di Smirne395. Non sappiamo se ad Aristotele risalga solo

l’attestazione del toponimo o anche la sua valenza scommatica; i giudizi aristotelici sulla costituzione della città eolica appaiono diversificati: in ARISTOT.,

Pol. II 1268b-1269a (passo che K. Giesen mette in relazione con PLUTARCH.,

Quaest. Gr. 2, 291e7-f6, di cui Aristotele è quasi certamente fonte) le disposizioni processuali sui phoniká in vigore a Cuma vengono addotte a esempio di rozza semplicità degli archaioi nomoi; viceversa, l’excerptum tradito da Eraclide Lembo (HERACL., Exc. Pol. 38 Dilts) enfatizza l’efficacia della legislazione sui klopimaia in

vigore nel periodo precedente alla conquista persiana.

La variante lessicografica che fa derivare il termine blax dal nome di una specie ittica del tutto inutile, in quanto immangiabile persino per i cani, riportata dal

compilatore alle ll. 5-6, rivela un interesse zoologico che induce G. Ragone396 a

postularne la dipendenza da Aristotele: in questa prospettiva, si potrebbe ipotizzare che lo Stagirita sia fonte dell’intero lemma etimologico e non solo del mero dato toponomastico; in assenza di elementi probanti, tuttavia, appare più prudente ascrivere alla Kymaion Politeia solo la notizia relativa alla regione nei pressi di Cuma chiamata Blakeia.

394 RAGONE 2006, pp. 141-2.

395 La conquista dell’eolica Smirne da parte di fuoriusciti colofoni è datata su basi archeologiche

alla metà dell’VIII sec. ca. mentre la completa ionizzazione della città sarebbe avvenuta entro la fine dello stesso secolo (COOK-NICHOLLS 1998, pp. 54-58). PAUS. V 8, 7 fornisce un termine ante

quem al 688.

194

Fr. 2? (525b Rose) — PLUTARCH., Quaest. Gr. 2 (Mor. 291E7-F7): Tiv" hJ para; Kumaivoi" ojnobavti"É Tw'n gunaikw'n th;n ejpi; moiceiva/ lhfqei'san ajgagovnte" eij" ajgora;n ejpi; livqou tino;" ejmfanh' pa'si kaqivstasan: ei\q≠ ou{tw" ajnebivbazon ejp≠

3

o[non kai; th;n povlin kuvklw/ periacqei'san e[dei pavlin ejpi; to;n aujto;n livqon katasth'nai kai; to; loipo;n a[timon diatelei'n, ojnobavtin prosagoreuomevnhn. To;n de; livqon ajpo; touvtou ouj kaqaro;n nomivzonte" ajfwsiou'nto.

6

4 o[non nx aAdnE, edd. : o[nou vz 5 katasth'nai aAdnE, edd. : katastaqh'nai nvzx 6 kaqaro;n