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Le Municipalità nel Triennio giacobino italiano tra democratizzazione e anarchie

Nel documento Biblioteca di Storia 13 (pagine 151-163)

Marina Scola

Il 12 agosto 1789, traendo occasione da alcuni disordini scoppiati nelle pro-vince, il giornalista e politico girondino Brissot de Warwille pubblicava, sul numero XIV del «Patriote François», un Avis au peuple françois. Sur les Municipalités & sur les Administrations Provinciales à former immédiatement.

Dopo aver constatato che «Il existe une insubordination générale dans les provinces» poiché «elles ne sentent plus le frein du pouvoir exécutif»1, Bris-sot riteneva necessario «graduer pour le Peuple son passage de l’esclavage à la liberté»2. Il pubblicista francese ascriveva alle Municipalità un ruolo im-portante da questo punto di vista: infatti, nella Lettre a M. le Comte de Mi-rabeau, pubblicata nella stessa rivista, sosteneva che «les Cités ont le droit de se constituer municipalement par elles-mêmes»3. Municipalità e Assemblee provinciali, leggiamo poco dopo nel Plan de la Municipalité, «formeront le boulevard le plus solide contre le despotisme e l’anarchie», ma esse «doivent être entiérement conformes aux principes de la Constitution Nationale»4. Il Plan di Brissot rientrava nell’ordine di quelle teorie politiche che individua-vano «nelle communes», come scrive Fausto Proietti, «il possibile elemento democratico di una monarchia costituzionale»5, anche se, «con la proclama-zione della repubblica», venuto meno l’elemento monarchico, esse saranno

1 J.P. Brissot De Warwille, Avis au peuple françois. Sur les Municipalités & sur les Administra-tions Provinciales à former immédiatement, «Le Patriote François», n.°XIV du mercredi 12 Août 1789, p. 4.

2 Ivi, pp. 3-4.

3 J.P. Brissot De Warwille, Lettre a M. le Comte de Mirabeau, «Le Patriote François», n.°XVI du vendredi 14 Août 1789, pp. 3-4.

4 J.P. Brissot De Warwille, Plan de la Municipalité, «Le Patriote François», n.°XIX, du mar-di 18 Août 1789, p. 4.

5 F. Proietti, Il tema del Comune nel dibattito politico francese (1807-1830), CET, Firenze 2002, p. 40.

percepite «come fattori di disgregazione rispetto alla Repubblica maggiore»6. La proclamazione della repubblica costituirà, infatti, uno spartiacque decisi-vo anche nella percezione del ruolo dei comuni nella strategia ridecisi-voluzionaria, essendo concepito l’elemento insurrezionale come una forma di esercizio im-mediato della sovranità, soprattutto in fase costituente.

In Italia, durante il triennio giacobino, il tema del comune si intrecciò con due altre questioni: la mancanza di un quadro istituzionale unitario di riferimento e il regime di occupazione militare francese. In relazione al pri-mo punto, una soluzione provvisoria, per ovviare al vuoto di potere creatosi con la fine delle strutture politiche preesistenti l’occupazione francese, parve l’ampliamento dei poteri delle municipalità «così da estenderli dal campo am-ministrativo al politico»7. La democratizzazione dei corpi intermedi aveva la funzione di ricostituire secondo forme legittime il vuoto istituzionale venu-tosi a creare man mano che i corpi civici d’antico regime venivano deposti. La dinamica municipale offriva la possibilità di operare la liberalizzazione delle istituzioni più vicine al popolo. In tale quadro, esse divenivano il fulcro del-la repubblicanizzazione, attraverso un metodo di conquista che le poneva al centro della dinamica rivoluzionaria, rappresentando il luogo immediato della mobilitazione popolare e il fulcro del consenso. Le varie località venivano poi progressivamente conquistate alla rivoluzione secondo il criterio dell’acqui-sizione militare-territoriale o quello della spontanea adesione, attraverso un processo di tipo federativo, che da un verso garantiva la democratizzazione im-mediata e diretta delle istituzioni politiche e, dall’altro, favoriva la campagna di occupazione delle forze militari francesi. Questo piano operativo, prevedendo un’azione concertata tra armate francesi e patrioti, non era tuttavia scevro di contraddizioni, in quanto creava veri e propri conflitti di attribuzioni in merito alla «determinazione dei poteri che la Francia intendeva riservati a se stessa»8.

Ciò emerse sin dal «primo esperimento costituzionale d’Italia»9, la re-pubblica d’Alba, che, proclamata negli ultimi giorni di aprile del 1796, era il risultato di un’attività cospirativa iniziata con la fallita congiura del 1794.

Bonafous e Ranza, animatori indiscussi del rivoluzionarismo piemontese, ne furono i maggiori artefici, ma ad essi si erano uniti gli esuli meridionali scam-pati all’inquisizione regia dopo la congiura del 1794.

Il 6 maggio, i due esuli napoletani Andrea Vitaliani e Matteo Galdi, dopo aver provocato la sollevazione del Borgo San Dalmazzo, arrivarono ad Alba, mentre la Repubblica veniva sottoposta all’autorità francese10. Il 27 maggio,

6 Ibidem.

7 S. Pivano, Albori costituzionali d’Italia (1796), Fratelli Bocca, Torino 1913, p. 211.

8 Ivi, p. 212.

9 Ivi, p. 67.

10 S. Pivano, Il primo esperimento costituzionale d’Italia. La municipalità repubblicana di Alba, in Miscellanea di studi storici in onore di Antonio Manno, Opes, Torino 1912, pp. 11-45.

Galdi metteva l’agente diplomatico francese Villetard al corrente della rivo-luzione di Cortemiglia, trasmettendogliene il rapporto: dopo la deposizione della municipalità preesistente «infetta di aristocratismo», interpellato sul da farsi dal popolo di Cortemiglia, Galdi aveva risposto «che non apparteneva ad alcun impiegato, o agente della Repubblica Francese» prendere decisioni di questo tipo, poiché «solamente si sarebbe lasciata ai popoli la libertà di ag[ire]

conformemente alle loro idee politiche». Galdi consigliò quindi la deputazione

«di riunire il popolo in Assemblea primaria» dando istruzioni «del come do-vea formarsi»11. Per cui, «il popolo ormai geloso della sua libertà» aveva eletto

«due tribuni, specie di suoi rappresentanti che comunicheranno i suoi voti alla municipalità, l’istruiranno de’ suoi dritti, faranno che niuno gli usurpi»12. Ne scaturiva una organizzazione politica che, nei suoi riferimenti alla repubblica romana, non spiaceva a Galdi: «In breve se la Municipalità si consideri come Senato, il popolo come Assemblea primaria, i due rappresentanti come Tribu-ni, il governo di Cortemiglia è dei più belli fra i governi rivoluzionarj»13.

I ripetuti tentativi di isolare gli aristocratici e di provocare una rivoluzione democratica crearono un inevitabile attrito tra Villetard, forse troppo accon-discendente nei confronti dei patrioti italiani che lo spingevano ad agire in tal senso, e i capi dell’esercito, che invece seguivano le direttive provenienti da Parigi e tendevano ad un atteggiamento più prudente, determinando con ciò il fallimento della Repubblica albese14.

Il rammarico per l’insuccesso non scoraggiò però la volontà dei patrioti di portare avanti un programma politico-rivoluzionario perfettamente coerente con il fallito tentativo albese, puntando questa volta sulla Lombardia, verso la quale si indirizzavano anche gli interessi concreti dei Francesi. Anche in questo caso, il ruolo delle amministrazioni locali nel processo di rivoluzione e democratizzazione fu decisivo. Se si legge un passo del Primo grido della Società popolare di Milano all’arrivo delle Armate Francesi in Lombardia, si può constatare come la democratizzazione delle amministrazioni locali fosse avvertita quale primo passo necessario verso una costituzione democratica:

Noi vogliamo condannare alla pubblica esecrazione tutt’i satelliti della tirannide mi-nisteriale […] il primo pegno, che noi aspettiamo della vostra fratellanza si è l’imme-diata deposizione di tutt’i corpi civici15.

11 Da Cortemiglia Galdi al cittadino Villetard (8 pratile anno IV), Archive du Ministère des Affaires Étrangères Paris (d’ora in poi A.E.P.), Correspondance politique/Rome, vol. 920, ff.

53-54: 53.

12 Ivi, f. 54.

13 Ibidem.

14 Pivano, Il primo esperimento costituzionale d’Italia, cit., p. 45.

15 Primo grido della Società popolare di Milano. All’arrivo delle Armate Francesi in Lombar-dia, A.E.P., Correspondance politique/Milan, vol. 55, f.35.

Ma quando il 19 maggio venne istituita dai Francesi l’Agenzia militare della Lombardia e creata la nuova Municipalità di Milano, quest’ultima si auto-investì di compiti che andavano ben oltre le mansioni meramente am-ministrative che i Francesi si aspettavano esercitasse, ponendosi da subito la questione costituzionale non solo per Milano, ma per l’intera Lombardia. Per questo, il comandante della Lombardia Despinoy pensò fosse opportuno riba-dire la vera natura delle istituzioni create dai Francesi e l’11 giugno richiamò all’ordine i municipalisti con una lettera piuttosto dura, in cui veniva precisata la natura di ‘provincia conquistata’ della Lombardia16.

In un contesto di occupazione militare, le iniziative autonome non sem-pre davano l’esito sperato, come avvenne, ad esempio, nella sollevazione del 14 novembre, in seguito alla quale molti patrioti legati al gruppo che gravitava intorno al «Termometro politico della Lombardia», periodico fondato dal milanese Carlo Salvador, subirono l’arresto17.

Uscito in numero doppio, nei giorni successivi, per compensare una mo-mentanea sospensione, il «Termometro politico» mantenne un prudente si-lenzio sugli avvenimenti del 14 novembre18, limitandosi, nel numero doppio uscito il 19 novembre, a riportare la circolare del generale comandante della Lombardia, Baraguey d’Hilliers. Egli attribuiva i disordini scoppiati il 14 no-vembre ad «alcune centinaja di cittadini eccitati da alcune teste riscaldate, o deviati da alcuni uomini perfidi», specificando che «fra le alterazioni del vino, e per un pretesto patriottico questa frazione di cittadini composta ge-neralmente della classe la più indigente e la più facile ad essere sedotta si è trasportata al segno di dirsi e d’installarsi con atto pubblico il Popolo lombar-do è sovrano, d’insultare al rispetto lombar-dovuto alle autorità del governo francese, confermando i poteri e le autorità ch’egli ha costituite nella Lombardia», ma

«non dichiarandole che provvisorie»19.

Il fatto dovette suscitare una certa impressione anche a Parigi, se a distan-za di due mesi il «Termometro» ritenne opportuno tornare sull’accaduto.

La sommossa aveva avuto, secondo i redattori del «Termometro», un’origine puramente patriottica. «Nel giorno 21 di brumajo» si erano infatti sparse voci allarmanti sugli esiti della campagna d’Italia. Molti Milanesi non ave-vano esitato nella risoluzione di prendere le armi e per questo si erano diretti

«coll’ordine più tranquillo, dal general Baraguey d’Hilliers». Ma, «il gen.

d’Hilliers, che non era in Milano, ritornando nel giorno seguente, accolse il coraggio e la riconoscenza de’ patriotti, e lor consigliò di ordinarsi in com-pagnie patriottiche sotto de’ capi, eletti da’ loro medesimi […]». Sempre più

16 Pivano, Albori costituzionali d’Italia, cit., pp. 232-234.

17 Cfr. Termometro politico della Lombardia, a cura di V. Criscuolo, 4 voll., Istituto italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma 1989-1996.

18 Cfr. V. Criscuolo, Introduzione a Termometro politico della Lombardia, cit., vol. I, p. 32.

19 Termometro politico della Lombardia, cit., vol. I, p. 449.

entusiasta, il popolo, il quale «a ragione che si unisce, sente la sua forza e i proprj diritti», reclama la propria indipendenza, chiedendo la convocazione di «assemblee primarie per la scelta de’ suoi rappresentanti»20. Ma «sotto un governo militare […] il gen. Baraguey d’Hilliers dovette corrispondere alle prime impressioni, ed arrestare la più bella effervescenza, che il genio della libertà avesse risvegliata in Milano»21.

Il rammarico dei redattori del «Termometro politico», quasi tutti impli-cati nei fatti del 14 novembre, si espresse sia nei confronti delle autorità costi-tuite «della municipalità e dell’amministrazione», che per qualche «specie di modestia e di deferenza» erano rimaste inerti, mancando una bella occa-sione per la «rigenerazione della Lombardia», sia nei confronti di Baraguey d’Hilliers, sempre disposto, in passato, «a favorire e secondare i voti e le ope-razioni de’ patriotti»22.

Anche l’Amministrazione generale della Lombardia, creata in sostituzione dell’Agenzia militare, non godette di particolare autonomia rispetto alle diret-tive provenienti da Parigi; per questo, a fronte delle numerose difficoltà che si opponevano al loro programma, i patrioti più resoluti nel domandare una co-stituzione democratica sostenevano la necessità di isolare gli elementi moderati all’interno delle istituzioni provvisorie create dai Francesi, al fine di assumere la guida della rivoluzione e gestire anche il successivo processo costituzionale della Lombardia. Basti a renderne l’idea l’indirizzo all’Amministrazione ge-nerale pubblicato da Gaetano Porro il 31 dicembre del 1796 sul «Termometro politico della Lombardia». Avendo preso atto della immobilità dell’Ammini-strazione generale di Lombardia, della quale Porro stesso faceva parte, il patrio-ta propose un ‘rimpasto’ della stessa e della municipalità di Milano in senso più democratico. Porro chiese quindi che i membri dell’Amministrazione aumen-tassero di numero, ma che ne fossero esclusi gli elementi del cui rigore demo-cratico non si fosse più che sicuri. Ad essere messa in discussione era soprattutto l’immobilità dell’Amministrazione, che non sembrava in grado di procedere nella «marcia rivoluzionaria». Il programma da seguire doveva invece essere rigoroso: «Si dee in primo luogo cercare di purgare la municipalità dello stato di quei soggetti, che per interesse, per nascita o per ispirito di corpo sono con-trarj al nuovo ordine di cose». A questo scopo, «bisogna nella scelta preferire coloro che hanno manifestato i loro pensieri liberi nel tempo dell’antica tiran-nia ai patriotti divenuti tali dopo l’arrivo delle armate repubblicane»23.

Porro riteneva necessario imprimere un indirizzo più deciso alla rivolu-zione, preferendo nelle elezioni «quegli che professano opinioni forti, ed oso

20 Termometro politico della Lombardia, cit., vol. II, p. 31.

21 Ivi, p. 40.

22 Ivi, p. 41.

23 Ivi, vol. I, p. 554.

anche dire esagerate, a coloro che non hanno, che idee deboli, e mancanti di energia»24. Il riferimento è probabilmente rivolto agli exagerées, che in Francia avevano sostenuto un programma democratico radicale. Porro proponeva di far nascere dalla municipalità e dall’Amministrazione generale una Conven-zione che redigesse una CostituConven-zione democratica. È evidente che Porro non escludeva la possibilità di un processo costituente spontaneo, così come stava avvenendo per la Confederazione cispadana, formata dalle quattro municipa-lità repubblicane di Bologna, Modena, Reggio Emilia e Ferrara che, proprio il giorno prima l’intervento di Porro sul «Termometro politico», avevano dato vita alla Repubblica cispadana. Il controllo della municipalità, considerata come la base su cui incardinare una rivoluzione democratica di ampio respiro, rappresentava un condizione necessaria nella fase costituente e il primo passo verso una espansione della democrazia su tutto il territorio nazionale, ma pre-supponeva la possibilità di reggere le redini della repubblica anche dopo la fase più strettamente costituente, poiché, «se uno vuole un governo puramente democratico, arriverà almeno ad ottenere una democrazia rappresentativa; ma se uno comincia col domandare un governo misto, combattuto dagli ostacoli, finirà nel contentarsi di un re costituzionale»25.

Matteo Galdi, che del gruppo politico riunito intorno al «Termometro»

faceva parte, sosteneva una adunanza permanente delle assemblee primarie, notoriamente convocate su base territoriale, così come scrisse nelle «Effe-meridi repubblicane», pubblicate nel 1796, dove, pur sostenendo la necessi-tà di una repubblica unitaria in Italia, mise energicamente in discussione il centralismo autoritario del 1795. Sebbene Galdi riconoscesse la necessità di una repubblica «regolata per mezzo di una rappresentazione nazionale» per conferire alla repubblica un indirizzo politico comune e sebbene considerasse il federalismo un «aggregato mostruoso», bisognava distinguere il momento dell’esecuzione e dell’amministrazione, affidata ai dipartimenti. Infatti, scri-ve, «siccome dalle assemblee primarie dipartimentali, come da tanti ruscelli si formerebbe la gran piena dell’autorità legislativa», allo stesso modo «da questa piena istessa per diversi canali ritornerebbero nuovamente i tanti rivi dell’amministrazione con un moto sempre equabile, ed un’azione sempre co-stante nella origine primitiva»26. Nella soluzione istituzionale immaginata da Galdi, le assemblee primarie costituiscono la fonte principale del potere che, nato dal basso, attraverso una sorta di reductio ad unum, si consolida nell’atto costituzionale e legislativo, per ritornare, attraverso i «tanti rivi dell’ammini-strazione», alla «primitiva origine». Ciò non sminuisce la preferenza per la

24 Ibidem.

25 Ivi, p. 554.

26 M.A. Galdi, «Effemeridi repubblicane», Luigi Veladini stampatore, Milano 1796, tomo I, p. 73.

repubblica una e indivisibile, poiché «quando le autorità costituite diparti-mentali non emanano che da una legge costituzionale solenne, ed espressa», allora «in ogni punto della repubblica può considerarsi l’intera autorità, e l’intera repubblica; come l’anima, secondo Aristotile, si ritrova tutta, in tutto il corpo, e tutta in ciascuna parte di esso»27.

Il riferimento alle assemblee primarie su base locale aveva il semplice scopo di dare inizio al procedimento referendario, e si richiamava al 1793.

Esso non implicava alcun intento federalista, anzi tali misure nascevano dal proposito di introdurre istituti di democrazia diretta in un modello basato sulla rappresentanza politica – necessaria proprio se si optava per l’unità della penisola, sostenuta principalmente dai patrioti legati ai neogiacobini francesi e portata avanti, come sosteneva, non senza preoccupazione, il ministro degli esteri Trouvé, attraverso «quelques journaux et dans le cercle constitutional», raccolta intorno a «quelques têtes exagérées» e a una «moltitude d’étrangers, Piémontais, Toscans, Lucquois et Napolitains»28, i quali volevano «imporre al Direttorio gli ulteriori sviluppi rivoluzionari della campagna d’Italia»29, e che per questo erano tacciati dai loro avversari di essere anarchistes o exagérées.

Probabilmente rispondendo tra le righe all’accusa di anarchie, mossa ai patrioti legati ai gruppi neogiacobini francesi, Galdi afferma che «l’anar-chia può dirsi soltanto che regni là dove è tirannide e potere arbitrario»30. Solo la libertà avrebbe garantito la piena realizzazione della ragione umana, aumentando «l’industria e la popolazione dell’Europa»31, e «quando a pro-porzione de’ progressi de’ lumi e della coltura si spargeranno gli Europei e si moltiplicheranno le nazioni libere» allora sarà possibile realizzare un «Gran Federalismo»32. Del resto, come ha osservato Anna Maria Rao, «il progetto unitario convisse con due diverse tendenze: da un lato quella dell’universali-smo rivoluzionario […] dall’altro lato, le mai sopite tendenze particolaristiche e municipalistiche»33.

Di anarchie erano, infatti, accusate anche le istituzioni municipali e dipar-timentali che, sebbene estranee a qualsiasi velleità di carattere federalista e/o municipale in senso moderno, manifestavano una certa ostilità alle decisioni prese dai vertici del potere centrale. L’impulso alla democratizzazione

rappre-27 Ivi, pp. 73-74.

28 Quelques explications sur la République Cisalpine par C.J. Trouvé, in G. Vaccarino, I patrio-ti «anarchistes» e l’idea dell’unità italiana (1796-1799), Einaudi, Torino 1955, pp. 197-206:

198-199.

29 Vaccarino, I patrioti «anarchistes» cit., p.50.

30 M.A. Galdi, Dei rapporti politico-economici tra le nazioni libere, in Giacobini italiani, vol.

II, a cura di D. Cantimori, R. De Felice, Laterza, Bari 1964, pp. 209-364: 323-324.

31 Ivi, p. 289.

32 Ivi, p. 302.

33 A.M. Rao, Triennio repubblicano in Italia napoleonica. Dizionario critico, a cura di L. Ma-scilli Migliorini, Utet, Torino 2011, pp. 449-469: 456.

sentata dalle municipalità nel momento del loro insediamento era destinato, infatti, a creare difficoltà dove esisteva una forte tradizione comunale. È quan-to avvenne nello Staquan-to della Chiesa, dove l’occupazione militare francese, la proclamazione della Repubblica e la sostituzione delle vecchie amministra-zioni con la nuova struttura dipartimentale, propria del costituzionalismo francese, diede vita a numerosi equivoci circa le effettive competenze dei corpi intermedi che, riacquistata una qualche forma di libertà, si illusero di veder ripristinate le antiche libertà comunali.

Anche nella genesi della Repubblica romana l’iniziativa insurrezionale ebbe un ruolo importante, anche se furono poi i Francesi a prendere in mano la situazione, occupando di fatto militarmente lo Stato della Chiesa. La scon-fessione del Trattato di Tolentino fu il risultato di un tumulto scoppiato a Roma, che ebbe come conseguenza la morte del generale francese Léonard Duphot, e in cui un ruolo decisivo, stando alle cronache del tempo, ebbe un avvocato perugino Giovanni Battista Agretti34, che, fuggito da Roma proprio per le responsabilità avute nella sommossa antipapalina, «si rifugiò in Città di Castello; donde a nome del popolo Castellano che non ne sapeva nulla, scris-se una lettera ai Perugini, invitandoli a proclamare la Repubblica; affinché, dovendo venir poi li Francesi, non li trovassero sotto il dominio del Papa»35.

Il 5 febbraio i Francesi entrarono in Perugia, provvedendo immediata-mente a riformare le istituzioni locali, deponendo i vecchi corpi civici e in-sediando una nuova municipalità, poiché, secondo quanto si legge in un processo verbale conservato nell’Archivio di Perugia, l’attuale Municipalità

«era istallata sotto un Governo che più non esiste, e che perciò, non è più nello stato di validità»36. Alla riforma delle municipalità seguì quella delle amministrazioni provinciali trasformate in dipartimenti, causa, al di là del momentaneo entusiasmo promosso dalle varie feste di federazione, di diverse tensioni fra centro e provincia.

Il 5 ventoso dell’anno VI (23 febbraio 1798), ad esempio, proprio Giam-battista Agretti scriveva alla Centralità di Perugia da Roma, dove era stato mandato per sostenere gli interessi della propria città. Dopo aver constatato che

34 Lo zelo repubblicano di Agretti gli valse, al momento della instaurazione della repubblica, un ruolo attivo all’interno delle istituzioni. Fu infatti eletto Vice-Presidente della

34 Lo zelo repubblicano di Agretti gli valse, al momento della instaurazione della repubblica, un ruolo attivo all’interno delle istituzioni. Fu infatti eletto Vice-Presidente della

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