Christian Zendri
In una nicchia posta sulla facciata della grande basilica di Santa Maria degli Angeli alla Porziuncola, alle pendici del monte Subasio, su cui sorge Assisi, è posta una statua di san Francesco, ai cui piedi si legge un’epigrafe che recita:
«Pater legiferus», Padre legislatore.
Il testo dell’epigrafe rimanda senza dubbio all’attività di Francesco d’As-sisi in quanto autore della Regola dei Minori, e quindi legislatore della Frater-nità minoritica, o altrimenti, potremmo dire con un linguaggio più consono al modo medievale di intendere il diritto, legislatore di ius proprium. In questo senso, senza dubbio san Francesco è legislatore e si colloca (suo malgrado, a dire il vero1) alle origini di una fiorente tradizione interpretativa che ha al suo centro la Regola minoritica e che conta, nel suo seno, alcuni fra i più impor-tanti giuristi già a partire dalla prima metà del secolo XIII, ivi compresi taluni Pontefici2.
D’altro canto, il carattere del tutto speciale del carisma francescano, e la sua nuova insistenza sulla questione della povertà, ha sollecitato molto per tempo una serie di complesse riflessioni intorno al problema del dominium,
1 Si veda ad esempio il Testamentum di Francesco: «Et omnibus fratris meis clericis et laicis precipio firmiter per obedientiam, ut non mittant glossas in Regula neque in istis verbis dicen-do: “Ita volunt intelligi”; sed sicut dedit michi Dominus simpliciter et pure dicere et scribere Regulam et ista verba, ita simpliciter et pure sine glossa intelligatis, et cum sancta operatione observetis usque in finem». Il testo si legge ora in Francesco d’Assisi, Scripta, critice edidit C.
Paolazzi OFM, Editiones Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, Grottaferrata (Roma) 2009, Test., IV, p. 402.
2 Come non ricordare Bartolo da Sassoferrato, autore di un Tractatus Minoritarum, per cui rinvio ad A. Bartocci, Ereditare in povertà. Le successioni a favore dei frati minori e la scienza giuridica nell’età avignonese (1309-1376), Jovene, Napoli 2009, pp. 95-129. Per i Pontefici, occorre ricordare almeno Gregorio IX, Niccolò III, e, necessariamente, Giovanni XXII.
della proprietà, da parte dei giuristi dell’età intermedia3, come anche di filosofi e storici del diritto4.
Nello stesso tempo, storici di diversa formazione hanno tentato di offrire un’interpretazione complessiva ed equilibrata della vita e del pensiero di Fran-cesco, compresi i suoi rapporti con la dimensione giuridica5.
Tuttavia, da quest’ultimo punto di vista, tali tentativi non hanno portato a conclusioni del tutto soddisfacenti.
Da un lato, la storiografia giuridica si è occupata non tanto di Francesco, quanto del Francescanesimo, nello sforzo di comprendere il significato che la rivoluzione francescana6 ha avuto per l’evoluzione del diritto, con un riguardo quasi esclusivo alla questione della povertà7.
Dall’altro lato, la storiografia più generalmente medievistica, suo malgra-do occorre dire, ha lasciato in sostanza da parte i problemi storico-giuridici, abbandonandoli alla storiografia giuridica, senza tentarne un approfondi-mento8. La storiografia modernistica, poi, anche recentemente, si è occupata di temi francescani dal punto di vista prevalente del Francescanesimo, senza andare oltre, in sostanza, un rinvio tralatizio ai contributi storico-giuridici poc’anzi ricordati9.
3 I riferimenti sono necessariamente ancora quelli della nota precedente.
4 Il pensiero va naturalmente ai nomi di Giovanni Tarello e di Paolo Grossi. Ora si occupa di questi problemi A. Bartocci, Ereditare in povertà, cit.; per la bibliografia in particolare p. 4 nota 4 e p. 135 nota 16.
5 Oltre al classico P. Sabatier, Vie de S. François d’Assise, Fischbacher, Paris 192646, pp. 307-327, cfr. C. Frugoni, Vita di un uomo:Francesco d’Assisi, Einaudi, Torino 1995; J. Le Goff, San Francesco d’Assisi, Laterza, Roma-Bari 2000 (edd. origg. 1999 e 1998), e, molto di recente, A.
Vauchez, Francesco d’Assisi. Tra storia e memoria, ed. it. a c. di G.G. Merlo, Einaudi, Torino 2010 (ed. orig. 2009), e naturalmente quello che, a giudizio di chi scrive, resta il punto di par-tenza indefettibile per qualsiasi ricerca su san Francesco d’Assisi: Raoul Manselli San France-sco d’Assisi, editio maior, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, che resta unico per la capacità di penetrazione, direi per certi versi mistica, dello spirito di Francesco.
6 Uso questa espressione senza alcuna intenzione né di forzare né di provocare. Mi pare, sem-plicemente, che anche dell’apporto di Francesco e del Francescanesimo si debba tener conto nel valutare il significato e le conseguenze di quella serie di eventi che sono stati chiamato rivoluzione papale e che hanno impresso una nuova direzione alla storia occidentale (H.J.
Berman, Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, trad. it. di E.
Vianello, Il Mulino, Bologna 1998, soprattutto pp. 83-135). Non si devono dimenticare le preziose osservazioni di Manselli, San Francesco d’Assisi, cit., pp. 53-54: «San Francesco d’As-sisi ed il francescanesimo [...] hanno, senza violenza ed in virtù solo del loro esempio di vita devozionale, comportato un vero e proprio mutamento di concezione dell’esistenza e, quindi, di civiltà».
7 Cfr. supra, nota 4.
8 Cfr. Frugoni, Vita di un uomo, cit.; Le Goff, San Francesco d’Assisi, cit.; Manselli, San France-sco d’Assisi, cit., poi, molto di recente, cit. Vauchez, FranceFrance-sco d’Assisi. Tra storia e memoria, cit.
9 A. Musco (a cura di), I Francescani e la politica, I-II, Atti del Convegno internazionale di studio (Palermo, 3-7 Dicembre 2002), Biblioteca Francescana Officina di studi medievali, Palermo 2007, passim.
Infine, nessun serio tentativo è stato fatto dagli storici, giuristi e non giuri-sti, per comprendere la consapevolezza che del diritto aveva Francesco d’Assisi in persona10, limitandosi in generale ad affermare una sua sostanziale estranei-tà, e anzi avversione al diritto e alle sue tecniche ermeneutiche11.
Questo studio vorrebbe essere un primo tentativo per colmare questa la-cuna, restituendo, si spera, un’immagine del Poverello che includa anche una certa sensibilità per i problemi giuridici, che per certi versi pare sorprendente.
Una simile indagine, però, anche se solo agli inizi, non può esimersi dal fare i conti, una volta ancora, con la questione francescana, che è, anzitutto, questione di fonti12. Trattandosi di uno studio dedicato esclusivamente, lo si tenga presente, a san Francesco stesso, assume una particolare importanza il problema dell’autenticità delle fonti, nel senso evidentemente della loro riferi-bilità – quanto a tenore letterale e, se del caso, contenuti – a Francesco stesso.
Occorre quindi, preliminarmente, distinguere fra i testi attribuibili con certezza al Poverello d’Assisi – pochi, come si sa, ma fondamentali, come ve-dremo nel corso dell’indagine – e testi che di Francesco certamente non sono, ma conservano, o pretendono di conservare, le sue parole, il suo pensiero, il ricordo di vicende che lo hanno visto protagonista.
Dato il carattere necessariamente limitato del seguente contributo, si ter-rà conto, oltre che degli scritti francescani nel senso più proprio, soltanto di quelle fonti indirette che, per le loro caratteristiche, sembrano consentirci di attingere nel modo più immediato e verificabile alle parole e ai gesti di san Francesco. In particolare, fra le fonti francescane, si è scelto di privilegiare quei testi, o meglio a quelle pericopi, che il compianto Raoul Manselli ha segnalato e raggruppato sotto il comune segno distintivo e autenticatorio racchiuso nel-la testimonianza dei nos qui cum eo fuimus13.
Dell’opera di Manselli noi dovremo avvalerci costantemente, nelle pagine che seguono, tanto più perché i criteri da lui evocati della Formgeschichte e del Sitz im Leben si palesano irrinunciabili a questo studio, che certamente deve fare i conti con testi fondamentalmente differenti da quelli consueti della scienza giuridica medievale. In questo senso la forma letteraria assunta dalle fonti francescane, tanto quelle riconducibili a Francesco stesso, quanto quel-le attribuibili ai nos qui cum eo fuimus costituisce un primo problema, che
10 Cfr., per tutti, Bartocci, Ereditare in povertà, cit.
11 Cfr. Frugoni, Vita di un uomo, cit., pp. 109-111; Le Goff, San Francesco d’Assisi, cit., pp. 39, 46-52, 91-95; Manselli, San Francesco d’Assisi, cit., pp. 341-372; Vauchez, Francesco d’Assisi, cit., pp. 101-113.
12 Per la “questione francescana” si vedano le illuminanti riflessioni di R. Manselli, Nos qui cum eo fuimus. Contributo alla questione francescana, Istituto storico dei Cappuccini, Roma 1980, specialmente pp. 5-57; Id., San Francesco d’Assisi, cit., pp. 15-49, nonché, più di recente, Vauchez, Francesco d’Assisi, cit., pp. XIII-XIX.
13 Manselli, Nos qui com eo fuimus, cit., p. 1.
non potremo eludere, ma anche una preziosa occasione, che cercheremo di sfruttare.
Quanto ai testi attribuibili con certezza a Francesco, anche in questo caso occorre distinguere differenti profili problematici. Il padre Thaddée Matura, introducendo l’edizione degli scritti di Francesco per la serie delle “Sources Chrétiennes”14, che riprende, sostanzialmente, il testo dell’edizione del padre Esser15, ha proposto una ricca e particolareggiata distinzione, che però, in cer-to qual modo, ci sembra perdere un po’ di importanza in ragione della forza spirituale propria di Francesco. Anche quando il suo pensiero è fortemente intriso della cultura spirituale del suo tempo, nondimeno l’originalità emerge potente, attraverso le scelte (e le omissioni) che Francesco compie16. Come ha scritto il padre Matura, «déjà une simple lecture attentive entraîne la convic-tion d’entendre, à travers chaque écrit, une voix unique, et de pressentir une personalité humaine et chrétienne hors pair»17.
Raoul Manselli, d’altro canto, pur ammettendo l’intervento di altri nella redazione e nella concezione di quei testi (anzitutto le Regulae), ammette però il loro essenziale legame con san Francesco18:
Di sicuro [...] può dirsi che, comunque, è indubbio che esse [le Regulae], malgrado tutto, rispecchiano nei loro aspetti essenziali la volontà e le esigenze di colui che for-malmente ne è considerato l’autore.
Secondo Manselli, lo studio comparativo della Regola del 1221 e di quella del 1223, ha evidenziato la natura composita della prima, «risultato di una serie di decisioni prese successivamente nel tempo o di istruzioni date dalla Curia romana in seguito ad opportunità organizzative dell’Ordine», e la pre-valente impostazione giuridico-normativa della seconda, «anche se proprio in questa affiora, affermandosi energicamente [...] san Francesco con espressioni quali “moneo et exhortor”, oppure “praecipio firmiter” ed altre analoghe, che si presentano come dirette manifestazioni di una volontà imperiosa ed inequi-vocabile nell’affermare precisi e specifici ideali di vita spirituale»19.
I testi attribuibili (pur con tutti i problemi cui si è fatto cenno) a san Fran-cesco possono essere raggruppati in alcuni nuclei: Regole e Ammonizioni;
14 T. Matura, Introduction, in Francesco d’Assisi, Écrits, par T. Desbonnets, T. Matura, J.-F.
Godet, D. Vorreux, Les Éditions du Cerf, Paris 1981 (Sources Chrétiennes, 285), pp. 9-81:
20-21.
15 K. Esser, Die Opuscula des hl. Franziskus von Assisi. Neue textkritische Edition, Collegii S.
Bonaventurae ad Claras Aquas, Grottaferrata 1976.
16 Matura, Introduction, in Francesco d’Assisi, Écrits, cit., p. 21.
17 Ivi, p. 56.
18 Manselli, San Francesco d’Assisi, cit., p. 18.
19 Ivi, p. 19.
Lettere; Preghiere20. Di particolare importanza, ai fini che qui ci siamo prefis-si, è naturalmente il primo gruppo. Al suo interno, assolutamente fondamen-tali sono certamente le due Regole, la Regula non bullata (1221) e la Regula bullata (1223). Specialissima importanza ha poi il Testamentum, anche senza voler entrare nella questione dei Testamenti di san Francesco21.
Soffermiamoci anzitutto sulla prima Regola, del 1221. In realtà è ben noto che non si tratta del primo testo che Francesco abbia concepito per regolare la vita dei Minori. Il primo propositum presentato a Innocenzo III fra il 1209 e il 1210 non è giunto sino a noi22. Si ritiene però che esso sia in qualche misura contenuto nella Regula del 122123. In fondo, che le cose stiano così, sembra suffragato dalla testimonianza offerta dal prologo della Regola stessa24:
Hec est vita quam frater Franciscus petiit a domino papa concedi et confirmari sibi; et ille concessit et confirmavit eam sibi et suis fratribus habitis et futuris.
Non entriamo qui nella discussione sulla consistenza dell’approvazione pontificia, la quale certamente non si riferisce al testo del 1221, che in quanto tale non fu mai approvato, sebbene siano probabilmente state approvate, in qualche forma, delle ‘redazioni intermedie’ fra il primo propositum e la Regula non bullata25. Ciò che preme sottolineare è anzitutto che questa Regola non si presenta affatto come una Regola. Essa è, e vuole essere, soltanto la «vita evangelii», come si legge in una variante dello stesso prologo26. La storiografia ha sottolineato la riottosità di Francesco nell’adattarsi a dare una Regola ai suoi frati, ricordando il rifiuto del Santo di adottare una qualsiasi delle regole precedenti27. Ha anche ricordato che comunque Francesco si accinse a pensare a un testo, che fu appunto quello del 1221, e che solo la mancata approvazione di esso lo indusse a formulare quello del 1223, il quale fu peraltro approvato da
20 Seguo le linee tracciate da Matura, Introduction, cit., p. 23. e sostanzialmente riprese in Francesco d’Assisi, Scripta, cit.
21 Cfr. R. Manselli, Dal Testamento ai Testamenti di san Francesco, in Id., Francesco e i suoi compagni, cit., pp. 315-326. Cfr. anche Matura, Introduction, cit., pp. 29-31.
22 Sulla vicenda Manselli, San Francesco d’Assisi, cit., pp. 179-194; Vauchez, Francesco d’Assisi, cit., pp. 54-62.
23 Così C. Paolazzi OFM, La Regula non bullata dei Frati Minori (1221). Dallo “stemma codicum” al testo critico, Archivum Franciscanum Historicum, Grottaferrata (Roma), 2007, p. 5.
24 Regula non bullata (d’ora in poi 1 Reg.), [Prologus], 2 (le citazioni dei testi di Francesco sono tratte da Francesco d’Assisi, Scripta, cit.; per la Regula non bullata si veda lo studio criti-co di C. Paolazzi OFM, La Regula non bullata dei Frati Minori, cit.).
25 Il punto sulla questione delle Regole in Vauchez, Francesco d’Assisi, cit., pp. 110-113, e in Paolazzi OFM, La Regula non bullata, cit., pp. 5-6; ampiamente anche Manselli, San France-sco d’Assisi, cit., pp. 341-358
26 1 Reg., [Prologus], 2. var. 2.
27 Vauchez, Francesco d’Assisi, cit., p. 131.
papa Onorio III con la bolla Solet annuere, adottando la finzione giuridica di ritenerlo niente più che il testo approvato da Innocenzo III circa tredici anni prima, allo scopo di non disattendere le disposizioni del Concilio Lateranense IV (1215) le quali vietavano di approvare regole nuove rispetto a quelle esisten-ti in quel momento28.
In realtà, forse le cose sono più complesse. Anzitutto, non trovo giusto parlare di una finzione a proposito della Solet annuere. Francesco non avreb-be certo accettato una finzione. L’ideale di vita della fraternità minoritica era stato sicuramente approvato (seppure oralmente) da Innocenzo III, e questo doveva avere per il Poverello un’importanza decisiva (com’era, del resto). La Regola del 1221 si presenta in realtà come quella approvata da In-nocenzo III, di cui certamente è un ampliamento, ma non vi è dubbio che, per Francesco, non si tratti affatto di un testo nuovo. E neppure quella del 1223 lo è, nemmeno per il papa che, significativamente, non la approva, ma la conferma. Essa sembra essere una interpretatio del testo ‘innocenziano’ e di quello del 1221. Farò un esempio solo, che mi pare però decisivo. Nel pri-mo capitolo del testo del 1221 si legge che «regula et vita istorum fratrum hec est, scilicet vivere in obedientia, in castitate et sine proprio, et Domini nostri Jesu Christi doctrinam et vestigia sequi»29. Nel testo del 1223 invece leggiamo: «Regula et vita Minorum Fratrum hec est, scilicet Domini no-stri Jesu Christi sanctum Evangelium observare, vivendo in obedientia, sine proprio et in castitate»30. Non vi sono sensibili differenze, come si vede.
Ciò che differisce è il seguito, perché il testo del 1221 prosegue con alcune pericopi evangeliche, mentre quello del 1223 con la promessa di obbedienza di Francesco al papa e alla Chiesa romana e dei frati a Francesco stesso e ai suoi successori31.
Più che una differenza di contenuto, mi pare si debba constatare una certa differenza di stile, e soprattutto una presenza permanente: il Vangelo.
Questa presenza è stata costantemente notata dalla storiografia. Molto di recente, André Vauchez ha parlato, a proposito del testo del 1221, di «una mi-scela di esortazioni, di considerazioni spirituali e di norme di comportamento, arricchito di numerose citazioni bibliche. In realtà, Francesco lo concepisce non come un documento giuridico, ma come un richiamo ai principî fonda-mentali della vita nella minoritas, accompagnato da qualche indicazione sui mezzi per metterli in pratica e per evitare gli errori»32. Secondo Vauchez, il
28 Ivi, pp. 111-112; il testo conciliare è il canone 13 del Concilio Lateranense IV, per cui cfr.
G. Alberigo et al. (a cura di) Conciliorum Oecumemicorum Decreta, Edizioni Dehoniane, Bo-logna 1991, p. 242.
29 1 Reg., [1], 1.
30 Regula bullata (d’ora in poi 2 Reg.), [1], 1.
31 1 Reg., [1], 2-5; 2 Reg., [1], 2-3.
32 Vauchez, Francesco d’Assisi, cit., pp. 111-112.
testo sarebbe stato giudicato non soddisfacente dal punto di vista del diritto canonico, e per questo il papa non l’avrebbe approvato.
Raoul Manselli ci offre un giudizio molto più sfumato. Secondo questo studioso, la Regola del 1221 «ha un andamento discorsivo, più che propria-mente normativo, con un tono che oscilla tra il consiglio ed il comando»33. Sarebbe perciò il risultato di un lungo lavoro preparatorio, certamente con-cluso dall’intervento di un’ultima mano, e non approvato perché forse coloro stessi che lo redassero non ne erano soddisfatti, oppure perché la curia papale desiderava qualcosa di carattere più spiccatamente normativo34. Nondimeno, essa fu utilizzata ampliamente anche da chi poi commentò la Regola del 1223.
E comunque, come lo studio di Manselli poi dimostra, non mancano nel te-sto del 1221 veri e propri comandi, sebbene temperati da un tono che vuole essere esortativo35. Insomma, secondo Manselli tale testo doveva rispondere
«alla mentalità di Francesco quale strumento che desse ai frati non una serie di doveri da compiere, ma piuttosto un impegno ed uno stimolo ad agire ... ma certo non poteva essere accetta ad uomini di curia»36; si trattava di un testo
«indubbiamente apprezzabile e valido come manifestazione di un’anima san-ta, ma giuridicamente debole, tale che, proprio per la confusione fra la parte normativa e quella espositiva, avrebbe immediatamente comportato – è un fatto addirittura evidente – la distinzione che aveva già, su altri piani, creato il contrasto fra consiglio e precetto; era capitato alla parola di Gesù Cristo, non si sarebbe certo salvato Francesco d’Assisi»37.
Manselli ricorda anche che il testo del 1221 dovette servire come base di partenza per l’elaborazione di quello del 1223, ma respinge l’idea secondo cui la Regola del 1223 sarebbe una distorsione del pensiero di Francesco, in segui-to alle pressioni della curia38.
La cosa che però mi pare non sia stata messa in luce, è il significato giuridi-co della presenza, nel testo del 1221, delle numerosi perigiuridi-copi neotestamentarie che ne intessono la struttura. Se tutto sommato per Vauchez esse testimonia-no lo spirito testimonia-non giuridico che animava il Santo (diversamente dalla curia romana)39, Manselli, molto finemente, ritiene che quei passi evangelici «do-vessero avere la funzione appunto di precisare le varie norme e prescrizioni, di renderle più stimolanti ed attive, di dar loro quella capacità di spinta in avanti che Francesco, appunto, desiderava»40. Insomma, l’inserimento di quei passi
33 Manselli, San Francesco d’Assisi, cit., p. 343.
34 Ibid.
35 Ivi, pp. 343-349.
36 Ivi, p. 349.
37 Ibid.
38 Ivi, pp. 349-350.
39 Vauchez, Francesco d’Assisi, cit., pp. 111-112.
40 Manselli, San Francesco d’Assisi, cit., p. 312.
per Manselli doveva servire a far emergere le norme della Regola dal Vangelo stesso, anziché da una pur veneranda tradizione giuridica, senza tuttavia che questa fosse rifiutata, ma solo rinnovata e approfondita spiritualmente41.
A questo punto credo sia possibile fare un passo in più. Non dobbiamo dimenticare infatti che per gli uomini del tempo di Francesco (e probabilmente per Francesco stesso), la Scrittura aveva un carattere non solo di esortazione morale e riflessione spirituale, ma anche necessariamente e costituzionalmente giuridico, esaltato dalle riforme dell’età gregoriana e dalle vicende della Rivo-luzione papale, per dirla con Harold J. Berman42. Lo stesso incipit della più im-portante compilazione canonistica uscita dalla Rivoluzione papale, e testo di riferimento per i giuristi (canonisti e non solo) proprio negli anni di Francesco, la Concordia discordantium canonum grazianea, ci offre qualcosa che somiglia certamente all’andamento della Regula non bullata, con l’accostamento di passi normativi e pericopi evangeliche, ma soprattutto ci mostra il significato schiettamente giuridico che alle stesse pericopi scritturali era riconosciuto43.
In questo senso (e Francesco e i suoi dovevano saperlo) l’inserimento di passi evangelici nella Regola, non doveva avere affatto un ruolo meramente esortativo. Essi erano, per tutti e anche e soprattutto per Francesco, vere e pro-prie norme, di diritto divino, nientemeno!
Che questa fosse l’idea del Poverello è testimoniato, credo, da un altro atteggiamento di Francesco. Di fronte alle resistenze dei frati ad alcune norme
Che questa fosse l’idea del Poverello è testimoniato, credo, da un altro atteggiamento di Francesco. Di fronte alle resistenze dei frati ad alcune norme