Queste sezioni vogliono essere anzitutto delle sezioni di materiali. Vi seguiremo la Nachträglichkeit, dal suo primo apparire sino alla sua ultima comparsa e oltre, ripercorrendo, anche testualmente, le sue vicende. L’evoluzione del concetto di Nachträglichkeit è scandita grossomodo da tre periodi: quello dei primi scritti freudiani (1886-1898), un testo dell’Interpretazione dei sogni e il caso clinico dell’Uomo dei lupi (1914-1917) e quello degli ultimi scritti (1934-1938). Il cammino della sua concettualizzazione è dunque solo in parte determinato dai tre passi della teoria delle pulsioni. Il prototipo per coglierlo può essere per certi aspetti quello della nozione di Dürcharbeitung (“working through”, “perlaboration”, “perlaborazione”), concetto utilizzato a tre sole riprese, ogni volta in corrispondenza di uno dei passi: 1895; 1914; 1925. Ma la Nachträglichkeit segue di fatto un altro percorso: sostantivato da Freud nel 1897, utilizzato nei suoi lavori a 6 riprese fino al 1917, il termine è successivamente abbandonato a favore di una metapsicologia del processo, metapsicologia che, in quanto terzo passo, segna anche il “momento di concludere di Freud”348 (momento inaugurato nel 1920 da Al di là del principio di piacere ed estesosi fino agli ulti scritti del ’37-‘38).
Da un punto di vista storiografico, nachträglich come avverbio della temporalità, si iscrive nel punto di vista genetico della ricerca eziologica di Freud. La nozione di “ritorno” introduce infatti una dinamica temporale discontinua sulla via progressiva. Il tentativo di datazione della scena primaria da parte di Freud, assieme all’indagine sulla sua presunta realtà, ne costituiranno l’apogeo, in relazione con l’importanza ch’egli accorda alla nozione di “periodo” fin dal Progetto del 1895. Tuttavia, come si è accennato, un netto scarto si rileva tra l’uso che Freud fa di termini costruiti a partire da nachträglich e il suo frequente riferirsi al fenomeno. Nel Progetto, ad esempio, solo l’avverbio è utilizzato. Nel caso di Emma, Freud insite infatti sulla precocità dello “slegame” (déliason) sessuale e sulle sue conseguenze après-coup. Poi, nel 1896, parla di “azione postuma di un trauma infantile”. Nel piccolo Hans, le sue interpretazioni seguono la logica dell’après-coup senza ch’egli lo nomini. Lo stesso, di nuovo, nel 1925, quando articola la distinzione tra “visto” e “inteso” del complesso di castrazione assieme al diniego della sua realtà, distinzione già presente in alcune lettere a Fliess scritte a cavallo tra il 1896 e il 1897.
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La sparizione del sostantivo dopo il 1917 è ciò che fa pensare ogni analista. L’elaborazione di una qualità fondamentale della pulsione, la regressività estintiva, è infatti secondo alcuni (soprattutto Chervet), determinante in questa scomparsa. Il significato progressivo si completerebbe in questo periodo di un altro che accorda un ruolo maggiore alle aspirazioni regressive: il dopo-indietro è, cioè, dal 1917, la qualità del movimento pulsionale e ciò fa si che Freud senta la necessità di rivedere la nozione di “ritorno”, addossata fino a quel momento a quella di una “tendenza spontanea a divenire cosciente”. Questi ritorni rispondono infatti alla regressività pulsionale che limitano e mutano in regressione. Ne deriva una riflessione possibile sul colpo e sul lavoro psichico che articola la regressività a un contraccolpo promotore di ritenuta, mutazione e iscrizione. L’elaborazione delle nozioni di regressività pulsionale e imperativo processuale, sullo sfondo del trio pulsioni di vita/pulsione di morte/super Io, rende troppo approssimativo il sostantivo Nachträglichkeit. Ecco forse perché Freud vi rinuncia.
Tuttavia, prima di intraprendere il nostro cammino sulle tracce del fantasma di Freud, è doveroso rendere ragione del titolo che abbiamo dato a questa prima sezione di materiali: Nachträglichkeit:
hysteria di un concetto inventato. Sul fatto che la Nachträglichkeit sia un’invenzione di Freud, come
concetto non meno che come sostantivo e su quello, ad esso correlativo, per cui una simile circostanza ci abbia permesso di articolarne una lettura filosofica abbiamo insistito abbondantemente nell’introduzione. D’accordo con Deleuze sul fatto che la filosofia non possa che fabbricare dei mostri in qualità di nuovi concetti, abbiamo infatti costruito la nostra proposta speculativa muovendo dalla considerazione che, quando crea i suoi concetti, Freud è un filosofo. La metapsicologia essendo null’altro che la filosofia di Freud, la sua cornice operativa e speculativa. La sua fabbrica dell’orrore, la sua strega, unico appiglio cui peraltro si è potuto aggrappare nei momenti davvero decisivi e più critici del suo percorso teorico. Avevamo invece solamente accennato a questa metamorfosi della historia in hysteria, o sarebbe meglio dire, a questa conversione. Prima di esplicitarne il senso ci pare nondimeno necessario incorniciare il nostro suggerimento entro un contesto, questo sì storico, di più ampio respiro, contesto dal quale però, come per magia, quella conversione sembrerà risultare “naturalmente”. D’altronde, se è vero che il termine nachträglich fa parte del linguaggio corrente, è altrettanto vero, e su questo sono d’accordo quasi tutti i commentatori, che Nachträglichkeit è invece un’invenzione di Freud, invenzione che appare assai presto nei suoi scritti e che noi proponiamo di intendere come una creazione in senso deleuziano. Più precisamente è grazie alla cura delle prime pazienti isteriche e alle relative teorizzazioni in psicopatologia che questo termine viene, anch’esso, “naturalmente” sotto la penna di Freud. È quindi di questo avverbio che dovremo occuparci tra poco, dopo aver tracciato la nostra cornice storica e prima di trovarci costretti ad assecondare un certo movimento
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isterico caratteristico, come vedremo, della concettualizzazione della Nachträglichkeit ma solo perché inerente a ogni processo di pensiero. In superficie la Nachträglichkeit appare infatti senza che vi sia alcun segnale o preavviso. Senza far rumore, come atona, muta e priva di segnali lessicali, la Nachträglichkeit appare all’improvviso in una lettera a Fliess. Ed è in certa misura così che resterà lungo tutta la ricerca di Freud: come un termine banale, ossia evidente, che non necessita di una giustificazione pur possedendo una sua specifica durata e una certa, forse consustanziale, capacità di irrompere all’improvviso. Ma, appunto, in superficie perché tra i testi e nella criticità di ogni nuova conquista metapsicologica, la Nachträglichkeit è presente sin dall’inizio e in questa sezione, mettendoci sulle sue tracce sin dai Martedì della Salpêtrière, riusciremo forse a mostrare la lenta e lunga genesi, che questo concetto ha avuto. Una genesi sotterranea, intercalata, talvolta spuria, ma nondimeno capace di far luce su un lavorio sotterraneo e un’esistenza virtuale, ogni volta precedente e successiva rispetto alle sue apparizioni istantanee e fulminee sulla superficie del pensiero.
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Capitolo 1: Il trauma dell’hysteria
Par. 1. Breve historia della psicoanalisi
La psicoanalisi è nata nel XX secolo ma non è saltata fuori dal nulla né tantomeno è piovuta dal cielo. Nasce nel mezzo, come tentativo di intercettare il fattore psichico, vero segreto delle nevrosi e soprattutto dell’isteria, enigma che fungeva da modello per l’intera tipologia. La psicoanalisi nasce nel XX secolo e cresce su un terreno circoscritto intorno a un unico scopo: comprendere qualcosa della natura delle malattie nervose cosiddette “funzionali” nel tentativo di superare l’impotenza che, fino a quel momento, i medici avevano mostrato nel trattamento di questi stati morbosi. Per questo sviluppa concezioni più antiche e, collegandosi a esse, ne sviluppa le sollecitazioni più importanti.
Come ricorda Freud nel Compendio di psicoanalisi, al tempo della neurologia a essere degni di considerazione e studio approfondito erano soprattutto i dati di fatto chimico-fisici e patologico- anatomici. Sotto l’influenza delle scoperte di Hitzig e Fritsch, Ferrier, Goltz e altri, si cercava di individuare con massima esattezza il legame tra certe funzioni e certe parti del cervello e questo sforzo attestava l’ignoranza del fattore psichico che restava in-colto, misconosciuto: abbandonato ai “filosofi e ai mistici” perché non era scientifico occuparsene. Invero, quando nell’inverno 1885-1886 Freud frequentò la Salpêtrière, le paralisi isteriche erano ancora interpretate come l’effetto di leggeri disturbi funzionali di determinate parti del cervello che, in caso di lesione grave, avrebbero provocato la corrispondente lesione organica. “Localizzazione” era quindi sinonimo di “corrispondenza” e la verità era garantita univocamente da questa adequatio rei et intellectus peraltro quasi mai raggiunta. Ovviamente una simile mancanza di comprensione non poteva non avere effetti sulla terapia che, per questo, consisteva per lo più in misure ricostituenti che andavano dalla somministrazione di farmaci, ai più disparati tentativi di influenzare il paziente psichicamente. L’elettroshock, ad esempio, annunciato come terapia scientifica degli stati nervosi, mostrava, non appena lo si applicasse secondo le prescrizioni dettagliate di W. Erb, quanto spazio veniva lasciato alla fantasia anche nella presunta, ma tenacemente difesa, possibilità di una scienza esatta349.
349 Nell’Autobiografia Freud racconta che, seguendo le sue prescrizioni, si rese presto conto che ciò che riteneva essere
il risultato di precise osservazioni, in realtà non era altro che una costruzione della fantasia. “Il manuale di Erb – scrive-assomigliava ai libri dei sogni egizi”. La sua frequentazione lo aiutò tuttavia a demolire una parte di “quell’ingenua fiducia nelle autorità dalla quale non ero ancora del tutto immune” (S. Freud, Autobiografia in Compendio
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La svolta decisiva avvenne quando, grazie ai lavori di Liébault, Bernheim, Heidenhain e Forel, l’ipnotismo tentò di (ri)guadagnare terreno scientifico. Una volta riconosciuta l’autenticità dei fenomeni ipnotici restavano infatti da compiere solo due ulteriori ma significativi passi: 1) convincersi che certe alterazioni corporee manifeste fossero il risultato di influenze psichiche attivatesi durante l’ipnosi e 2) ammettere l’esistenza di processi psichici che potevano essere chiamati soltanto “inconsci”. Fu in altri termini con l’ipnosi che l’inconscio divenne reale, tangibile “materia di esperimento” e, inoltre, la somiglianza tra alcuni fenomeni ipnotici e le manifestazioni di alcune nevrosi prometteva successi terapeutici maggiori rispetto a quelli ottenuti in precedenza. L’ipnosi si rivelò cioè un valido mezzo per lo studio delle nevrosi, soprattutto dell’isteria. In particolare Jean-Martin Charcot, che dell’ipnosi fece in certo senso IL metodo, aveva supposto che certe paralisi, comparse in seguito a un trauma, fossero di natura isterica e che dunque era possibile, mediante la suggestione del trauma, provocare artificialmente nell’ipnosi paralisi con gli stessi caratteri. E tuttavia, se si riproduceva l’incidente era solo nella misura in cui si credeva, come vedremo, che il tempo non facesse nulla e che l’inconscio non esistesse. Nondimeno, da quel momento in poi, l’aspettativa circa la partecipazione delle influenze traumatiche nella formazione dei sintomi isterici non smise di trovare conferme, seppur di vario tipo. Charcot non si impegnò oltre nella comprensione psicologica della nevrosi isterica350 ma il suo allievo Pierre Janet riprese questi studi e riuscì a dimostrare che le manifestazioni morbose dell’isteria erano strettamente dipendenti da certi pensieri inconsci, le cosiddette idées
fixes. E lo fece grazie all’ipnosi. Nello specifico, Janet descrisse l’isteria come una incapacità, da lui
ritenuta costituzionale, di tenere uniti i processi psichici e in questa incapacità individuava la causa della disgregazione o dissociazione della vita psichica così spesso riscontrata nei pazienti isterici. La psicoanalisi gestisce quindi un’eredità che ha ricevuto dall’ipnotismo e tuttavia, non appena nasce, prende le distanze sia dalle idee di Charcot che del suo allievo Janet. Freud non manca mai di ribadirlo. Per essa fu determinante l’esperienza di un medico viennese, Josef Breuer che, indipendentemente da influenze straniere, studiò e guarì, con l’aiuto dell’ipnosi, “una ragazza di grande talento affetta da isteria”. I lavori di Charcot e Janet sulla formazione dei sintomi isterici non erano ancora stati compiuti e a seguito della collaborazione con Freud i risultati di questo trattamento “nuovo” vennero pubblicati, ben 15 anni più tardi però. La peculiarità del caso
trattamento elettrico erano, prima ancora che sull’argomento si pronunciasse Mobius, dovuti infatti alla suggestione del medico.
350 Nondimeno, come ricorda sempre nell’Autobiografia, di Charcot lo impressionarono le ultime ricerche sull’isteria,
che in parte si svolsero mentre Freud era a Parigi. Charcot vi dimostrò che i fenomeni isterici sono autentici e conformi a uno scopo (Introite et hic et nunc dii sunt), che l’isteria è frequente anche negli uomini, che paralisi e contratture isteriche possono essere prodotte dalla suggestione ipnotica e che tali prodotti artificiali manifestano gli stessi caratteri dell’isteria spontanea che sovente sono provocati da un trauma.
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studiato da Breuer e reso noto col nome di Anna O. era che la ragazza si fosse ammalata mentre curava affettuosamente il padre malato che amava. Il quadro sintomatico era multiforme, composto di paralisi, contratture, inibizioni e stati di confusione psichica, ma Breuer dimostrò che tutti i sintomi erano legati a questa situazione di cura del malato, trovando altresì nella stessa relazione la loro spiegazione. Era la prima volta, commenta Freud, «che un caso della enigmatica nevrosi veniva indagato interamente e che tutte le manifestazioni della patologia si rivelavano sensate»351.
La situazione di garde-malade, situazione che successivamente si rivelò così tipica nella storia dei pazienti isterici, esibiva di fatto un carattere generale dei sintomi: essi si formavano in situazioni che racchiudevano un impulso all’azione represso anziché portato a compimento. Nella fattispecie Breuer ipotizzò che i sintomi fossero collegati alle impressioni ricevute nel corso di questo periodo tormentato352 e perciò indusse la paziente, durante uno stato sonnambolico di
tipo ipnotico, a rintracciare questi collegamenti nella sua memoria e a rivivere queste scene patogene in uno svolgimento affettivo (ora) non più inibito. Breuer scoprì così che la paziente poteva essere liberata dalla sua sofferenza se veniva indotta a dare espressione verbale alle fantasie affettive da cui era dominata. I sintomi comparivano infatti al posto di queste azioni incompiute, ne tenevano il luogo e avevano origine dall’energia di un processo psichico che, allontanata dall’elaborazione cosciente, si legava all’innervazione corporea nel cosiddetto fenomeno della “conversione”. «Il sintomo isterico era dunque un sostituto di un atto psichico che
non aveva avuto luogo e una reminiscenza del motivo per cui si era generato»353. Psiche appariva cioè
come un complesso meccanismo di sostituzioni e facilitazioni, aggregazioni e spostamenti: una fabbrica di fantasmi, ritorni e deformazioni; una fucina di impasti e disimpasti. Ed è anzi solo in questo modo che guadagna un volto: prima a rigore neppure appariva. Con un frettoloso e perentorio “sine materia” venivano infatti bollate le strane malattie nervose che affliggevano i pazienti “indifferenti” e Psiche perdeva ogni volta la faccia. Quel “sine” aveva infatti valore di “nihil”: se non c’era materia, sostrato, supporto organico, non c’era “nulla, nulla, nulla, il puro niente’”354.
351 S. Freud, Autobiografia, op. cit., p. 35.
352 In genere le cose si erano svolte così: al capezzale del padre la ragazza era stata costretta a reprimere un pensiero o
un impulso al cui posto, come suo sostituto, era in seguito comparso un sintomo. Di regola però, commenta Freud, “il sintomo non era il sedimento (Niederschlag) di un’unica scena traumatica, ma il risultato di una sommazione (Summation) di numerosi situazioni simili. Quando dunque nell’ipnosi la malata ricordava in modo allucinatorio una di tali situazioni e portava a compimento l’atto psichico a suo tempo represso manifestando liberamente i suoi affetti, i sintomo veniva meno e non si presentava più” (ivi, p. 181).
353 S. Freud, Breve compendio di psicoanalisi in Compendio di psicoanalisi e altri scritti, op. cit., p. 48. 354 A. N. Whitehead, Il processo e la realtà, op. cit., p. 355.
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Fu quindi grazie al trattamento pioneristico di Breuer che per l’eziologia dei sintomi isterici ci si trovò rinviati, non certo senza difficoltà e perplessità, alla vita emotiva del paziente (affettività) e al gioco delle forze psichiche (dinamismo). E da allora, entrambe queste dimensioni non furono mai più abbandonate. Tuttavia Breuer continuò a paragonare le cause occasionali della formazione dei sintomi ai traumi di Charcot, ossia a quegli eventi scatenanti e/o incidenti improvvisi che, quasi meccanicamente, provocavano la malattia. Ciò che tuttavia era degno di nota è che simili occasioni traumatiche, assieme a tutti gli impulsi ad esse legate, erano perduti per la memoria del malato, come se non fossero mai accaduti (per questo era inutile basarsi sui loro resoconti). I loro effetti, ossia i sintomi, continuavano invece a sussistere immutati: per essi non esisteva alcun logorio da parte del tempo. Tutto ciò provava altrimenti l’esistenza di processi psichici inconsci: inconsci e proprio per questo potenti, operanti, attivi; gli stessi conosciuti per la prima volta nella suggestione post-ipnotica. Su queste basi si comprende come mai la terapia inventata da Breuer e successivamente denominata “metodo catartico” consistesse nell’induzione del malato a ricordare i traumi dimenticati durante lo stato ipnotico e a reagire ad essi con forti manifestazioni affettive che ne permettessero la scarica (la cosiddetta “abreazione”). Durante l’ipnosi la paziente scopriva immediatamente il nesso cercato invano durante la veglia e uno stesso procedimento serviva dunque, contemporaneamente, alla ricerca e all’eliminazione della sofferenza. Anche questa unione così inusuale non fu mai abbandonata dalla psicoanalisi, cui una certa simultaneità sembra essere dunque essenziale.
Gli Studi sull’isteria si prefissero pertanto lo scopo di esporre la teoria che simili esperienze avevano permesso di costruire. Essa comprendeva il sintomo isterico come qualcosa che compare quando l’affetto di un processo psichico carico di un forte investimento emotivo viene allontanato dall’elaborazione cosciente e perciò deviato in una falsa direzione. Nel caso dell’isteria quest’affetto si trasforma, in particolare, in un’insolita innervazione somatica (conversione), ed è solo mediante la riattivazione dell’esperienza che lo ha causato durante l’ipnosi che è possibile indirizzarlo diversamente e così portarlo a compimento (abreazione). La guarigione si ottiene in altri termini con la liberazione dell’affetto deviato e con la sua scarica secondo la via normale (questo era il senso dell’ “abreagiren”). Il termine “catarsi” fu del resto scelto proprio per il riferimento a questa pratica di purificazione e liberazione di un affetto intrappolato. Immediato precursore della psicoanalisi il metodo catartico non era cioè altro che una nuova strada per influenzare medicalmente alcune malattie nervose.
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Par. 2. Lo sguardo di Freud
Fin dagli anni giovanili Freud era mosso «da una specie di brama di sapere che si riferiva però più ai fenomeni umani che non agli oggetti naturali e che, inoltre, aveva riconosciuto il valore dell’osservazione come uso principale mezzo di appagamento»355. In particolare, non sentiva,
com’egli stesso confessa nell’Autobiografia del 1924, nessuna particolare predilezione per la professione medica, né tantomeno la sentì in seguito. Abituato sin dagli anni dell’università al «destino di stare meglio nelle file dell’opposizione e all’ostracismo della “maggioranza compatta”»356, Freud si allenò all’indipendenza di giudizio fin da principio e tuttavia, gli anni trascorsi nel laboratorio di fisiologia di Brucke furono più tranquilli di quelli trascorsi in minorità all’università, marcati da un certo insuccesso nelle materie scientifiche. Lì lavorò come istologo sul sistema nervoso dal 1876 al 1882. Nel 1881 conseguì il titolo di dottore con molta negligenza e un certo ritardo, interessato così scarsamente com’era alle materie mediche, ad eccezione della psichiatria. Lo studio delle malattie nervose continuò all’istituto di anatomia e i frutti di questa attenzione esclusiva al cervello furono i primissimi lavori concernenti le malattie organiche del sistema nervoso. In questo periodo, com’egli stesso confessa, delle nevrosi ancora non capiva nulla. Nel 1885 conseguì la docenza in neuropatologia per i suoi lavori istologici e clinici e, nell’autunno dello stesso anno partì per Parigi dove entrò come élève alla Salpêtrière. Qui si offerse di tradurre le lezioni di Charcot in tedesco e questo gli garantì l’accesso alla cerchia delle persone più vicine al grande Maître visuel di Francia. Dopo Parigi fu la volta di Berlino e degli studi sulle paralisi cerebrali monolaterali e bilaterali dei bambini e poi nuovamente di Vienna, dove nel 1886 aprì uno studio medico come specialista di malattie nervose e sposò Martha357. Ma la notizia del suo apprendistato alla Salpêtrière e delle sue ultime teorie gli costarono l’isolamento e