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The National Black Feminist Organization

ANALISI DELLE PRIME ESPRESSIONI ORGANIZZATIVE DEL "BLACK FEMINISM" E LORO COSTRUZIONE TEORICA

3.2. The National Black Feminist Organization

La National Black Feminist Organization (NBFO) fu fondata nel 1973 a New York, e rimase operativa fino al 1977 con l'obiettivo di rappresentare le istanze delle donne nere che restavano inespresse tanto nel movimento per i diritti civili nero, quanto in quello per la liberazione delle donne bianche e di classe media.

L'idea della creazione di un'organizzazione che riuscisse ad unire le femministe nere, emerse nel maggio del 1973, quando le attiviste Florynce (Flo) Kennedy43

, Margaret Sloan44

e la scrittrice Doris Wright convocarono in una riunione alcune femministe, così da poter discutere le esperienze delle donne afroamericane in rapporto al razzismo interno al movimento di liberazione femminile bianco e il significato della specifica condizione delle donne nere e femministe. Il 30 novembre 1973 a New York, durante la Eastern Regional Conference, la National Black Feminist

Organization fu ufficialmente fondata. Fra i presenti si contavano Shirley Chisholm45, Alice Walker,

Eleanor Holmes Norton, e le già citate Flo Kennedy e Margaret Sloan (prima e unica presidentessa della NBFO). La National Black Feminist Organization, a differenza della Third World Women's

Alliance, oltre a dichiararsi apertamente anti-razzista, anti-sessista e anti-classista, accolse anche la

causa omosessuale, impegnandosi a combattere contro l'omofobia dilagante sia nella comunità bianca sia in quella nera. Mentre, infatti, la TWWA, abbiamo visto, aveva preso la decisione di trascurare la questione dell'omosessualità preferendo concentrare la propria attenzione sulle altre fonti di oppressione, nella NBFO la difesa dell'omosessualità diventava un fattore fondante. Proprio perché non si poteva pensare di trascurare nemmeno un solo fattore che contribuiva all'oppressione

42 M. Williams, Black Women and the Struggle for Liberation, cit., pp. 17-18.

43 Florynce (Flo) Kennedy (1916-2000) era un'avvocatessa afroamericana. Impegnata nelle cause per la liberazione dei neri e delle donne, fu rappresentante legale delle Black Panthers e membro della National Organization for Women fino al 1970. Perfettamente consapevole della multifocalità dell'oppressione delle donne afroamericane, sostenne la necessità di una lotta che si dirigesse verso tutti gli assi da cui proveniva la dominazione, che unisse, quindi, le questioni della razza, del sesso e della classe.

44 Margaret Sloan-Hunter (1947-2004) era un'attivista, femminista, lesbica e nera; da questa sua condizione particolare prese forma la sua resistenza, fortemente situata nella consapevolezza dell'intersezionalità dell'oppressione.

45 Shirley Chisholm (1924-2005) era una politica, attivista e femminista statunitense. Fu la prima donna nera ad essere eletta al Congresso degli Stati Uniti quando, nel 1968, divenne membro della Camera dei Rappresentanti per lo Stato di New York.

delle donne nere, non si poteva nemmeno evitare di considerare l'esperienza di quelle donne che, oltre ad essere nere e povere, erano anche lesbiche. Nell'esperienza delle lesbiche nere, infatti, l'eterosessismo, un altro fattore fondante della società patriarcale e capitalista bianca, si aggiungeva nell'intreccio della razza, del sesso e della classe. Per questo non era assolutamente possibile trascurare la loro esperienza, se si voleva perseguire l'obiettivo che ci si proponeva: la liberazione di tutti gli oppressi.

Nell'introduzione di Beverly Guy-Sheftall all'antologia di scritti femministi afroamericani di cui è curatrice, Words of Fire, possiamo leggere, in merito alla nascita della National Black Feminist

Organization:

«The National Black Feminist Organization officially began November 30, 1973, at an Eastern Regional Conference in New York City at the cathedral of St. John the Divine. This was a historic gathering of the first explicity black feminist organization committed to the eradication of sexism, racism, and heterosexism. Workshops focused on a variety of issues – child care, the church, welfare, women's liberation, lesbianism, prisons, education, addiction, work, female sexuality, and domestic violence.»46

Nel loro breve statuto, lo Statement of Purpose47

, le fondatrici dell'organizzazione presentano la condizione della donna afroamericana a partire dal suo rapporto con i fratelli del Black Power

Movement e con le sorelle bianche del Women's Movement. In riferimento al Women's Movement e

alla sua indifferenza nei confronti della condizione delle donne nere statunitensi viene notato che:

«The Movement has been characterized as the exclusive property of socalled white middle-class women and any black women seen involved in this movement has been seen as selling out, dividing the race, and an assortment of nonsensical epithets. Black feminist resent these charges and have therefore established The National Black Feminist Organization, in order to address ourselves to the particular and specific needs of the larger, but almost cast-aside half of the black race in America, the black woman. […]

As black feminists we realized the need to establish ourselves as an independent

46 B. Guy-Sheftall, Introduction, in B. Guy-Sheftall (a cura di), Words of Fire: An Anthology of African-American

Feminist Thought, The New Press, New York, 1995, p. 15; il corsivo è mio.

47 National Black Feminist Organization, Statement of Purpose, 1973; il testo è disponibile in Internet al sito: http://www.personal.umd.umich.edu/~ppennock/doc.BlackFeminist.htm

black feminist organization.»48

L'appello per un maggior coinvolgimento delle donne nere viene rivolto anche agli uomini neri, impegnati nella lotta contro il razzismo. La NBFO non fu fondata con uno scopo esclusivamente anti-sessista, il suo obiettivo era lottare per riuscire finalmente a portare le voci delle donne all'interno del movimento anti-razzista per la liberazione dei neri, perché se ad essere liberata fosse stata solamente metà della razza non si avrebbe potuto parlare di vittoria. Lo statuto afferma, infatti:

«We will strenghten the current efforts of the Black Liberation struggle in this country by encouraging all of the talents and creativities of black women to emerge, strong and beautiful, not to feel guilty or divisive, and assume positions of leadership and honor in the black community. We will encourage the black community to stop falling into the trap of the white male Left, utilizing women only in terms of domestic or servile needs. We will continue to remind the black Liberation Movement that there can't be liberation for half the race. We must, together, as a people, work to eliminate racism, from without the black community, which is trying to destroy us as an entire people; but we must remember that sexism is destroying and cripping us from within.»49

Nello statuto vengono poi criticati i temi che abbiamo già più volte affrontato in questo lavoro. Prendendo le mosse dalla critica alla società simultaneamente razzista e sessista che circonda le donne afroamericane, queste femministe affermavano la propria resistenza ad entrambi i sistemi. Lo sfruttamento economico, sessuale e gli attacchi razzisti che caratterizzarono la loro storia avevano lasciato tracce di consapevolezza profonde che non potevano essere cancellate. La loro storia non era stata caratterizzata solo ed esclusivamente dalla molteplice oppressione; esse dovettero sviluppare un enorme coscienza di resistenza per riuscire a far sopravvivere loro stesse e la loro famiglia.

Ecco perché ora potevano ribellarsi a tutte quelle costruzioni sociali ed ideologiche che da secoli erano state applicate ai loro corpi e alle loro menti da una società razzista e patriarcale. Il mito del matriarcato nero, che le accusava di essere le vere responsabili della degenerazione della loro comunità e le condannava agli occhi dei loro uomini; la diffusione di un unico modello estetico “giusto”, verso cui tutte, indipendentemente dal colore della loro pelle, venivano portate e che

48 Ibidem.

comportava per le donne nere il frustrante e nevrotico tentativo di modificare la propria negritudine nel tentavo inconscio di annullarla; la propaganda della promiscuità delle donne nere; tutti questi temi sono affrontati nello statuto con l'obiettivo di riuscire finalmente a superarli, a sollevare le coscienze delle donne afroamericane e renderle, così, abili a fornire un'autodefinizione delle loro persone:

«Black women have suffered cruelly in this society from living the phenomenon of being black and female, in a country that is both racist and sexist. […] history, past or present, rarely deals with the malicious abuse put upon the black woman. […] The black woman has had to be strong, yet we are persecuted for having survived. We have been called matriarchs by white racist and black nationalists; we have virtually no positive self-images to validate our existence. Black women want to be proud, dignified, and free from all those false definitions of beauty and womanhood that are unrealistic and unnatural. We, not white men or black men, must define our self-image as black women and not fall into the mistake of being placed upon the pedestal which is even being rejected by white women.»50

Le esperienze e i sentimenti che condussero le coscienze delle donne nere alla consapevolezza della necessità di creare un'organizzazione indipendente e schierata contro il sistema oppressivo di cui erano vittime, si trovano perfettamente rappresentate da Michele Wallace, femminista appartenente alla NBFO, nel suo Anger in Isolation: a Black Feminist's Search for Sisterhood51

.

In questo scritto l'autrice, al tempo della stesura ancora ventitreenne, critica il sessismo degli uomini neri e la misoginia espressa nel Black Power Movement, attraverso un racconto autobiografico che inizia dai suoi sogni e dalle sue aspettative di bambina e termina con il momento della presa di coscienza femminista e della fondazione della National Black Feminist Organization.

Nata ad Harlem, New York, nel 1952, Wallace racconta il suo sogno di bambina che “da grande” avrebbe voluto diventare la presidentessa degli Stati Uniti. Ben presto, però, dovette affrontare la realtà determinata dal colore della sua pelle e dal suo genere in rapporto con la società bianca, che rappresentava il modello al quale tutti si sarebbero dovuti adeguare. La giovane racconta dei suoi giochi di bambina, dai quali si comprende quanto fosse radicato nelle donne nere il desiderio di appartenenza alla società bianca, manifesto negli innumerevoli tentativi di assecondare i canoni

50 Ibidem; il corsivo è delle autrici.

51 M. Wallace, Anger in Isolation: a Black Feminist's Search for Sisterhood, in Words of Fire: An Anthology of

African-American Feminist Thought, cit., pp. 220-227. L'articolo apparve sul settimanale Village Voice, 28, luglio

estetici bianchi, frustrando la loro negritudine. Ricorda infatti:

«On rainy days my sister and I used to tie the short end of a scarf around our scrawny braids and let the rest of its silken mass trail to our waists. We'd pretend it was hair and that we were some lovely heroine we'd seen in the movies. There was a time when I would have called that wanting to be white, yet the real point of the game was being feminine. Being feminine meant being white to us»52

.

Come si può leggere in gran parte delle testimonianze fornite dalle donne afroamericane riguardo ai loro sforzi per apparire più conformi ai modelli estetici bianchi, il vero problema per le donne nere erano i capelli. Queste donne, fin da quando erano piccole, si sottoponevano a lunghissime sedute di stiratura per lisciare i loro caratteristici capelli ricci e crespi, i cosiddetti capelli “afro”. Per questo motivo il rifiuto di stirarsi i capelli e l'adozione della pettinatura afro divenne uno dei primi simboli della soggettività femminile nera e della ribellione delle donne nere. Esibendo i loro capelli naturali, le donne afroamericane affermavano la fierezza della loro razza, la loro negritudine e fornivano un simbolo immediatamente visibile della loro lotta. Purtroppo però, nota Wallace, non era sufficiente portare i capelli afro e offrirsi di combattere fianco a fianco nella lotta per la liberazione per riuscire ad essere accettate dai loro fratelli neri e per sradicare dalla loro comunità e dalle loro menti la struttura patriarcale e sciovinista che la caratterizzava:

«It took me three years to fully understand that Astokely was serious when he'd said my position in the movement was “prone”, three years to understand that the countless speeches that all began “the black man...” did not include me. I learned. […] and as I pieced together the ideal that was being presented for me to emulate, I discovered my newfound freedoms being stripped from me, one after another. No, I wasn't to wear makeup, but yes, I had to wear long skirts that I could barely walk in. No, I wasn't to go to the beauty parlor, but yes, I was to spent hours cornrolling my hair. No, I wasn't to flirt with or take shit off white men, but yes, I was to sleep with and take unending shit off black men. No, I wasn't to watch television or read Vogue or Ladies' Home Journal, but yes, I should keep my mouth shut. I would still have to iron, sew, cook, and have babies.»53

52 Ivi, p. 220; il corsivo è dell'autrice. 53 Ivi, p. 221; i corsivi sono dell'autrice.

Oltre a dover riuscire ad evadere dai modelli bianchi, quindi, le donne afroamericane si trovarono a doversi emancipare anche dalle rappresentazioni che i loro fratelli davano di loro. È in questo contesto esperenziale che prende piede la necessità della fondazione di un'organizzazione femminista indipendente nera, che si proponesse di combattere contro il razzismo e contro il sessismo simultaneamente. La continua e multipla frustrazione dei bisogno di libertà e di affermazione delle donne nere comportò la nascita della National Black Feminist Organization. L'incontro che avrebbe poi dato il via all'organizzazione, abbiamo già visto, ebbe al centro la discussione circa il mancato coinvolgimento delle donne nere nel Movimento Femminista bianco e pose l'accento sulla questione lesbica, largamente trascurata anche da molte sorelle nere. Wallace, che partecipò a questo incontro preliminare, ricorda:

«In the spring of 1973, Doris Wright, a black feminist writer, called a meeting to discuss “Black Women and Their Relationship to the Women's Movement”. The result was the National Black Feminist Organization, and I was fully delighted until, true to Women's Movement form, we got bogged down in an array of ideological disputes, the primary one being lesbianism versus heterosexuality. Dominated by the myths and facts of what white feminists had done before us, it was nearly impossible to come to any agreement about our position on anything; and action was unthinkable.»54

L'autrice evidenzia, quindi, la problematicità che emerge dalla volontà di unire delle donne che fino a quel momento erano state escluse dalla scena pubblica e che avevano visto le loro coscienze svilupparsi passivamente, assecondando i modelli che venivano loro imposti tanto dai bianchi, uomini e donne che fossero, quanto dagli uomini neri. Finché le donne afroamericane non fossero state in grado di sottoporre a rigorosa critica analitica la costruzione della loro persona e della loro soggettività e non fossero state in grado di comprendere la storicità che le caratterizzava come individui, non avrebbero potuto riconoscersi fra loro e, quindi, unire le proprie esperienze in progetti che si proponessero la reale emancipazione delle loro coscienze.

Secondo Wallace, fra le donne che si incontravano nei gruppi di consciousness-raising erano poche quelle che riuscivano a superare l'immagine della donna che veniva distribuita dalla società. Per molte di queste donne, ad esempio, l'obiettivo principale delle loro azioni restava quello di riuscire a trovare un uomo in modo da poter completare la loro esistenza, che altrimenti, in base a quello che

ci si aspettava tradizionalmente da una donna, sarebbe rimasta incompiuta55

.

La giovane donna, però, si mostra disillusa dall'effettiva possibilità che le donne nere potessero costituire un movimento unitario femminista, anzi non esita ad affermare che nel 1975, anno in cui scrive l'articolo, non si potesse ancora parlare di un vero movimento che riunisse le donne nere nella lotta per l'emancipazione razziale e sessuale, nonostante la National Black Feminist Organization esistesse già da due anni e molte femministe nere fossero comunque impegnate nella lotta come singoli individui. Nelle ultime battute del suo lavoro, dopo aver evidenziato le criticità dell'organizzazione, Wallace lancia un appello alle donne che come lei sentivano premere su di loro la necessità della libertà:

«Despite a sizable number of black feminists who have contributed much to the leadership of the women's movement, there is still no black women's movement, and it appears there won't be for some time to come. […] Perhaps a multicultural women's movement is somewhere in the future.

But for now, black feminists, of necessity it seems, exist as individuals – some well known, like Eleanor Holmes Norton, Florynce Kennedy, Faith Ringgold, Shirley Chisholm, Alice Walker, and some unknown, like me. We exist as women who are black who are feminist, each stranded for the moment, working independently because there is not yet an environment in ths society remotely congenial to our struggle – because, being on the bottom, we would have to do what no one else has done: we would have to fight the world.»56