L’ordinanza di assegnazione è il provvedimento conclusivo di una fattispecie a formazione progressiva, a cui si può giungere seguendo una delle tre vie:
a) La dichiarazione del terzo
b) La mancata dichiarazione del terzo c) La contestata dichiarazione del terzo
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Si può dunque parlare di una triplice natura dell’ordinanza, la cui natura è direttamente legata ai contenuti che essa recepisce in funzione della condotta tenuta dal terzo nell’attuazione della sanzione esecutiva.
A) Ordinanza di assegnazione nel caso di dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c.
Qualora il terzo manifesti una condotta collaborativa - mediante comunicazione della dichiarazione via posta raccomandata o p.e.c., o mediante dichiarazione orale resa in udienza, in caso di successiva fissazione di una nuova udienza per mancato invio precedentemente della dichiarazione – l’atto di pignoramento si perfeziona per specificazione del suo oggetto.
E l’oggetto dell’atto di pignoramento perfezionato, sarà anche quello dell’ordinanza di assegnazione.
In tal caso come già detto in precedenza, l’unica possibilità in chiave di rimedio per il terzo può essere la possibilità di una revoca della sua dichiarazione ex art. 2732 c.c. e sostituzione con una nuova dichiarazione, qualora sia incorso in una erronea rappresentazione o percezione della realtà, oppure nel caso in cui la sua dichiarazione sia estorta con la minaccia o violenza.
Come abbiamo avuto modo di dire nel capitolo 2°, è ipotizzabile quale causa di revoca anche un errore che avesse per oggetto l’interpretazione e l’applicazione di una disposizione di legge. Per quanto attiene il referente temporale entro cui il terzo si debba attivare per revocare la sua precedente dichiarazione, la Cassazione sul punto ha detto che:
“nell'ipotesi di dichiarazione positiva ex art. 547 c.p.c., resa per errore incolpevole, il terzo pignorato può revocare la dichiarazione medesima sino all'emissione dell'ordinanza di assegnazione, mentre, se l'errore emerga successivamente, ha l'onere di proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso tale provvedimento. In mancanza di opposizione, l'ordinanza di assegnazione è irretrattabile e, nell'esecuzione forzata iniziata sulla base di essa, il terzo pignorato, assunta la qualità di debitore
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esecutato, può proporre solo contestazioni fondate su fatti sopravvenuti”71.
In altra sentenza, sempre la Cassazione ha esplicato quale sia il rimedio a cui il terzo può tendere qualora nonostante la sua revoca della dichiarazione precedente e sostituzione con una nuova dichiarazione, il g.e. abbia ugualmente emesso l’ordinanza di assegnazione, dicendo che:
“In tema di pignoramento presso terzi, ove la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. sia inficiata da errore di fatto, il terzo può sempre revocarla e sostituirla con altra ritenuta corretta, ma solo se l'errore sia a lui non imputabile (o sia comunque scusabile) e a condizione che ciò avvenga entro l'udienza al cui esito il giudice dell'esecuzione abbia provveduto o si sia riservato di provvedere. Pertanto, qualora lo stesso giudice abbia, ciononostante, emesso ordinanza di assegnazione ai sensi dell'art. 553 c.p.c. sulla base della prima dichiarazione, il terzo può proporre opposizione agli atti esecutivi avverso la stessa ordinanza per farne valere l'illegittimità, derivante dalla mancata considerazione degli effetti della revoca tempestivamente effettuata dal terzo stesso”72.
B) Ordinanza di assegnazione nel caso di mancata dichiarazione del terzo ex art. 548 c.p.c.
L’interrogativo della natura dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 548 c.p.c, è direttamente ricollegabile alla novella del 2012.
Infatti con la novella del 2012, l’art. 548 c.p.c. prevede che:
“qualora il terzo non compaia alla seconda udienza fissata – alla luce della mancata comunicazione della dichiarazione al creditore procedente – il credito pignorato nei termini indicati dal creditore si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione”.
71Cass. 5 maggio 2017, n. 10912 in Riv. Esec. Forzata, 2017. 72Cass. 25 maggio 2017, n. 13143 in Riv. Esec. Forzata, 2017.
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Con la novella del 2015, il d.l. n. 83, è stato però aggiunto che l’effetto non contestativo è però subordinato alla possibilità che l’allegazione del creditore consenta effettivamente l’identificazione dell’obbligo del terzo nei confronti dell’esecutato, e che dunque solo a questa condizione il giudice possa provvedere all’assegnazione del credito con ordinanza che ha natura oltre endoprocedimentale, ma anche esterna di titolo esecutivo.
In questo caso l’ordinanza di assegnazione recepisce e si fonda su una non contestazione, e solo l’inquadramento normativo di questo effetto può dare un contributo positivo sui rimedi avversi all’ordinanza di assegnazione esperibili da parte del debitor debitoris.
Sul punto la dottrina, alla ricerca di un referente normativo si è divisa:
a) Briguglio73 alla ricerca di un referente normativo, rintraccia dei possibili referenti all’interno del processo di cognizione, attraverso due possibilità ricostruttive.
L’una o l’altra possibilità ricostruttiva non è esente da conseguenze in ordine ai rimedi esperibili dal terzo, infatti:
I) Assimilazione all’art. 115,1° co. c.p.c.: secondo l’art 115,1 ° co. c.p.c. la mancata contestazione dei fatti costitutivi avversari determina una inversione dell’onere della prova rispetto a questi.
Questa chiave ricostruttiva determina la possibilità che il fatto pur non contestato sia poi successivamente oggetto di smentita o prova contraria, non essendo in alcun modo vincolato il giudice ai fini della decisione a ritenere vero quel fatto.
L’estensione analogica dell’art 115 c.p.c. all’art. 548, delinea lo scenario dei possibili rimedi di cui può avvalersi il terzo debitore. Il terzo potrebbe esperire:
1) Azione di ripetizione dell’indebito: ex art. 2033 c.c. 2) L’azione di arricchimento senza causa: ex art. 2041 c.c.
Infatti ciascuno dei due rimedi possibili tengono fede al fatto che l’ordinanza di assegnazione non contiene alcuna cognizione, ma una
73Briguglio, Note brevissime sull’onere di contestazione” per il terzo pignorato
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mera non contestazione – corrispondente a una presunzione semplice – che opera solo nel processo di esecuzione, ma che è passibile di prova contraria in fase cognitiva.
II) Assimilazione alla figura della
fictio confessio
: qualificando la mancata dichiarazione come fictio confessio si renderebbe la situazione irreversibile, essendo suffragata da una prova legale l’ammontare del credito, e con effetti anche al di fuori del processo esecutivo. In questa ottica ricostruttiva il terzo si troverebbe a non avere alcun rimedio esperibile, salvo l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 548 c.p.c.In realtà entrambi gli scenari sono contestati da altra dottrina – Borghesi74 – che ricordandoci che sia il principio di non contestazione che ala fictio confessio appartengono al terreno del processo cognitivo, evidenzia come l’attribuzione del valore di prova alla non contestazione ex art. 548 c.p.c. dimentichi che nel processo esecutivo non vi sia nulla da provare, non avendo il processo esecutivo alcuna funzione accertativa.
b) A detta di Borghesi la non contestazione da parte del terzo ex art. 548 c.p.c., avrebbe un effetto particolare, ovvero determinare una preclusione processuale in capo al terzo, a tutela del processo esecutivo.
Infatti al terzo non solo è preclusa la possibilità di attivare l’accertamento del proprio obbligo nei confronti del debitore esecutato all’interno del processo esecutivo, ma anche la possibilità di promuovere l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. rispetto all’ordinanza di assegnazione verso il creditore, potendo solo alle condizioni previste al 2° co. dell’art. 548 c.p.c. agire con l’opposizione agli atti esecutivi.
La preclusione processuale però esaurirebbe i suoi effetti con la chiusura del processo, e il terzo avrebbe davanti a sé la possibilità di agire contro l’ex creditore con l’azione di ripetizione dell’indebito.
In questa accezione dunque l’art. 548 c.p.c rappresenterebbe una sintesi fra due esigenze opposte, quello del creditore procedente a poter conseguire
74 Borghesi, Il silenzio del terzo pignorato, in Liber amicorum Romano Vaccarella,
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la realizzazione del suo diritto e quello del terzo a non subire una obbligazione inesistente.
c) Infine si colloca la posizione di altra dottrina tra cui Monteleone75, il quale sostiene che l’ordinanza di assegnazione avrebbe la natura di titolo esecutivo, nel quale però non vi sarebbe di fatto alcun accertamento dell’esistenza effettiva dell’obbligo del terzo nei confronti del debitore esecutato.
A fronte di ciò, il terzo potrà sempre promuovere l’accertamento negativo, essendo sia l’an che il quantum del credito pignorato rimasti impregiudicati, e potendo davanti all’azione esecutiva del creditore fondata sull’ordinanza, opporre opposizioni di merito al creditore assegnatario succeduto al debitore originario esecutato.
Giova comunque ricordare che ai sensi dell’art. 548,3° co. c.p.c.:
“Il terzo può impugnare con l’opposizione agli atti esecutivi, l’ordinanza di assegnazione di crediti, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore”.
Dunque l’unica via che il legislatore propone al debitor debitoris è legata a tutti quei casi in cui per un fatto indipendente dalla volontà, questi non abbia avuto contezza dell’esistenza di un processo esecutivo in atto e non abbia dunque potuto porre in essere alcuna condotta collaborativa, condotta che avrebbe potuto tenere eventualmente qualora fosse stato reso edotto della pendenza di un processo esecutivo nei confronti del suo creditore.
C) Ordinanza di assegnazione nel caso di contestata dichiarazione del terzo ex art. 549 c.p.c.
Per effetto della novella del 2015, è stato ridimensionato il portato del principio di non contestazione, stabilendo che anche qualora a
75 Monteleone, Semplificazioni e complicazioni nell’espropriazione presso terzi, in
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causa della mancata dichiarazione del terzo non sia possibile identificare il credito oggetto del pignoramento, il giudice dell’esecuzione debba provvedervi con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contradditorio delle parti e con il terzo. La novella del 2012 alla stregua della modifica ex art. 548 c.p.c., ha stabilito che l’ordinanza di accertamento abbia natura di titolo esecutivo, risolvendo una annosa questione sul punto.
L’ordinanza alla pari di quanto prevede l’art. 548 c.p.c. è impugnabile mediante l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.
Senza ripetere qui, quanto detto in precedenza sulla riforma del processo di accertamento per effetto della novella del 2012, occorre dire che la dottrina si è interrogata sulla natura dell’ordinanza di assegnazione che recepisce l’accertamento avvenuto ai sensi dell’art. 549 e dell’eventuale sentenza emessa al termine del giudizio di opposizione agli atti che in caso di accertamento positivo stabilizzi gli effetti dell’ordinanza emessa nell’ accertamento sommario.
Anche in questo caso sono stati immaginari diversi scenari ricostruttivi alla luce dei rimedi esperibili dal terzo avverso il creditore assegnatario:
a) Secondo Bove76, l’ordinanza di assegnazione per effetto della novella del 2012, avrebbe natura di titolo esecutivo. Il che significa che in caso di inadempimento del debitor debitoris, il creditore esecutante previa notifica del precetto e titolo esecutivo, potrebbe iniziare una azione esecutiva nei suoi confronti.
A detta dell’autore però il terzo potrebbe mettere in discussione l’esistenza dell’obbligo oggetto di accertamento nell’ordinanza, mediante opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. nella forma dell’opposizione a precetto, con citazione dinanzi al giudice
76Bove, Modifiche in materia di espropriazione del credito nel d.l. n. 132 del 2014
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competente, giudice il quale qualora ricorrano gravi motivi, previa istanza di parte deve sospendere gli effetti esecutivi del titolo. Questa ipotesi ricostruttiva poggia le sue basi sulla natura sommaria dell’accertamento effettuato dal g.e., accertamento che giova ricordare è un accertamento meramente strumentale all’assegnazione del credito e che non pregiudica in nessun modo l’an e il quantum dell’oggetto dell’accertamento, essendo un accertamento avente ad oggetto una situazione processuale con efficacia endoprocedimentale.
b) Più prudente è invece la tesi di Russo77 il quale seguendo alla lettera l’art. 549 c.p.c., sostiene che l’unico rimedio di cui possa giovarsi il terzo sia quello dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.
Infatti una volta accertata l’esistenza del credito dell’esecutante verso il terzo da parte del g.e., questi potrebbe procedere all’assegnazione del credito salvo che entro i successivi 20 giorni non venga promosso il giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c. Per effetto dell’apertura del giudizio oppositivo, gli effetti dell’accertamento e dell’eventuale ordinanza di assegnazione restano sospesi ex art. 618,2° co. c.p.c.
Ai fini della stabilizzazione degli effetti dell’ordinanza ex art. 549, si può seguire due vie, ovvero o l’estinzione del giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c. oppure l’eventuale conclusione dell’opposizione con l’accertamento dell’esistenza dell’obbligo del terzo contenuta nella sentenza definitiva.
Sentenza che potrebbe essere impugnata solo ai sensi dell’art. 111 della Cost. per violazione della legge.
L’ accertamento dunque stabilizza gli effetti dell’ordinanza che funge da titolo esecutivo nei confronti del terzo, e ne preclude sia l’opposizione all’esecuzione contro l’ordinanza di assegnazione. Il che milita a favore dell’unicità del rimedio del terzo, che si sostanzia nell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.
77Russo, La tutela del terzo nel procedimento di espropriazione di crediti dopo la
legge 24 dicembre 2012, n. 228, in Processo Esecutivo. Liber amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, 867 ss.
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CONCLUSIONI
La progressiva e crescente importanza del credito come bene ha contribuito al fiorire dell’istituto dell’espropriazione dei crediti, il che ha determinato un sempre maggiore coinvolgimento della figura del debitor debitoris.
Il vero problema che si è posto è stato dunque quello dei limiti di questo coinvolgimento, alla luce della ricerca di un sistema normativo equilibrato che sappia tener conto di alcuni principi quali:
- il debitor debitoris per la sua posizione di diritto sostanziale non può non esser coinvolto nell’iter di attuazione della sanzione esecutiva a carico del suo creditore diretto, soggetto a esecuzione;
- egli è però terzo estraneo alla sanzione medesima, per cui egli amerebbe soltanto di essere “lasciato in pace”, senza doversi addossare responsabilità, oneri e doveri, non avendo alcuna implicazione con l’adempimento di un debito altrui.
Sembra lecito osservare come nelle pur continue, incessanti, tumultuose riforme processuali, per molti decenni l’espropriazione di crediti fosse stata sostanzialmente lasciata in disparte, con solo qualche sporadico intervento su una normativa rimasta per lo più inalterata.
Ora negli ultimi anni l’istituto in esame è divenuto oggetto della “mania” riformatrice del legislatore.
Già nel 2006 e poi nel 2012 – nella cosiddetta riforma di Natale – la disciplina dell’espropriazione di crediti ebbe a subire notevoli mutamenti; talora chiarificatori di più antiche ma perduranti incertezze, per altri aspetti forieri di aggravio alla condizione del debitor debitoris, pur estraneo alla vicenda esecutiva.
La prima delle recenti innovazioni a meritare attenzione è quella concernente la competenza territoriale per l’espropriazione di crediti. Il nuovo art. 26 bis indica quale foro competente, non più quello del debitor debitoris, ma quello in cui il debitore esecutato ha la propria residenza, dimora o domicilio
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Nella stessa norma viene peraltro ribadita la competenza del foro del terzo debitore allorchè l’esecuzione sia promossa nei confronti una delle pubbliche amministrazioni indicate nell’art. 413, comma 5°.
Ora non appare molto chiara la ragione sottesa alla menzionata duplice previsione.
Quanto è dato vedere addotto come ratio giustificativa, e cioè la preoccupazione di evitare un eccessivo numero di espropriazioni presso terzi negli uffici giudiziari delle grandi città, in realtà non spiega nulla, ovvero può lasciare perplessi circa l’opportunità di modificare l’anteriore art. 26 c.p.c.
Certo il localizzare l’espropriazione di crediti presso il debitore titolare del credito corrisponde a quanto previsto anche in altri ordinamenti; e può forse anche dirsi in armonia col disposto dell’art. 1182 c.c. in ordine al luogo di adempimento dell’obbligazione pecuniaria.
Non va però dimenticato come temporibus illis l’aver fissato la competenza nel luogo di residenza del terzo debitore fosse salutato con compiacimento, come manifestazione di rispetto verso chi pur essendone necessariamente coinvolto, non deve subire pregiudizio dall’attività esecutiva intrapresa contro altri, si da non venire distolto dal suo giudice naturale.
Tutto questo anche alla luce del venir meno del c.d giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, sia della concentrazione presso il giudice dell’esecuzione della soluzione delle contestazioni insorte su quanto dichiarato, per non dire delle conseguenze della mancata collaborazione.
Il terzo ora vede tutto ciò svolgersi presso un ufficio giudiziario che non è il suo, con almen qualche evidente disagio, sino a un provvedimento che attuando l’espropriazione a carco dell’esecutato ha l’ambizione di costituire il fondamento di una esecuzione contro di lui terzo.
In tutto ciò è facile scorgere un aggravamento nelle condizioni del terzo. Va però aggiunto un aspetto meritevole di apprezzamento nel mutamento della competenza. In particolare l’attuata concentrazione presso l’ufficio giurisdizionale del debitore esecutato dovrebbe consentire di evitare la pluralità di procedimenti che si avrebbero ove diverse siano le residenze o sedi di una possibile molteplicità di terzi
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asseritamente debitori del medesimo soggetto, con evidenti ricadute anche sull’eventuale riduzione del pignoramento ex art. 546, 2° co. c.p.c. Qualche dubbio può profilarsi sull’incidenza della modifica in tema di competenza sul terreno dei limiti della giurisdizione esecutiva.
In fatti se in passato si riteneva sussistente la giurisdizione esecutiva Italiana sol che il terzo debitore avesse nello Stato la sua residenza, l’aver invece posto il foro dell’esecutato a criterio determinante della competenza potrebbe indurre a conclusioni differenti.
Sembra lecito asserire che la localizzazione del bene credito presso chi ne sia affermato titolare, trae con sé anche la soluzione, fermo restando che se l’obbligazione pur da adempiere all’estero è sorta in Italia, non dovrebbe potersi negare la sussistenza della giurisdizione Italiana. All’innovazione sul terreno della competenza, segue quella per cui il terzo non è più citato a comparire all’udienza indicata dal pignorante, ma semplicemente invitato a comunicare al creditore con raccomandata, p.e.c., la dichiarazione ex art. 547 c.p.c., con l’avvertimento di quel che può succedere nel caso di inosservanza di un tale invito.
L’udienza non necessita della partecipazione del terzo, ma va pur detto che nessun ostacolo pare configurabile alla di lui presenza, non fosse che per il suo interesse a verificare se quanto dichiarato rimane senza alcuna contestazione, e aver conoscenza del provvedimento giudiziale che dovrebbe attuare la sostituzione dell’assegnatario all’espropriato creditore diretto, mutando quindi l’avente diritto alla prestazione dovuta dal terzo.
Tutto questo alla luce della volontà legislativa di estraniare il debitor debitoris dalla vicenda espropriativa riguardante il debitore esecutato, dando così rilievo alla sua qualità di terzo estraneo alla sanzione che si vuol condurre nei soli confronti di chi vi è soggetto. In questo modo si cerca di ridurre al minimo indispensabile l’incidenza dell’esecuzione sul terzo, il quale nulla ha a che fare con le disavventure del suo creditore diretto.
Questo però non riduce a zero un notevole spazio di incidenza dell’istituto sul terzo, il quale è destinatario di una collaborazione coatta corredata dalla previsione di una minaccia di conseguenze non lievi ove l’invito non risulti rispettato – ovvero quello di dichiarare se e quanto
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egli deve al creditore personale- esecutato – e non lo sia nemmeno ad una successiva udienza cui il terzo è tenuto a comparire.
Ove ciò non accada, il credito oggetto di aggressione esecutiva si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e di quanto possa farvi seguito.
Il terzo è o non è tenuto a comparire avanti al giudice a seconda del suo comportamento.
Infatti qualora il terzo effettui la sua dichiarazione, e dunque abbia esaurita la collaborazione richiesta, non sarà necessaria una sua diretta partecipazione all’iter espropriativo.
Per effetto della dichiarazione – che ha come destinatario il creditore procedente – si instaura una relazione diretta fra pignorante e terzo, fra i quali non sussiste alcun rapporto.
La dichiarazione viene recepita nel procedimento senza avere il connotato di atto formale compiuto davanti al giudice. Prima delle recenti novità anche il terzo era citato a comparire all’udienza, e prestando la dichiarazione direttamente al giudice dell’esecuzione egli assumeva un munus publicum.
Ora dopo le recenti riforme non si riesce a comprendere le ragioni del gravoso onere a carico del terzo nei confronti del creditore procedente, che nessun diritto può vantare nei di lui riguardi.
Le cose si complicano poi quante volte l’invito non venga osservato e ne