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L'assegnazione del credito nell'espropriazione presso terzi.

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1 INDICE

INTRODUZIONE 5

CAPITOLO I

L’EVOLUZIONE STORICA DELL’ESPROPRIAZIONE FORZATA PRESSO TERZI, DAL PROCESSO ROMANO FINO

ALLE RECENTI RIFORME LEGISLATIVE

1.1. Il pignoramento dei crediti dal processo

romano al procedimento francese del saisie-arret. 8

1.2. Il pignoramento di crediti dal codice

del 1865 a quello del 1942. La tesi di Satta e Gorla. 12

1.3. Le riforme del biennio 2005/2006. 16

1.4. La riforma di Natale: la legge di

stabilità 2013 (l. n. 228/2012). 19

1.5. L’espropriazione preso terzi dopo

la riforma del 2014. 28

1.6. L’espropriazione forzata dopo la

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2 CAPITOLO II IL PIGNORAMENTO

DI CREDITI NEL VIGENTE CODICE DI PROCEDURA CIVILE: UNA FATTISPECIE A

FORMAZIONE PROGRESSIVA 2.1. Premessa all’istituto dell’espropriazione

presso terzi. 46

2.2 La competenza per territorio: il foro relativo all’espropriazione forzata di

crediti, art. 26 bis c.p.c. 47

2.3. Modalità di pignoramento di crediti. 51

2.4. Il principio della domanda e l’oggetto

del pignoramento di crediti. 58 .

2.5. Il perfezionamento del pignoramento:

la dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c. 85

2.6. Il perfezionamento del pignoramento: la mancata

dichiarazione del terzo ex art..548 c.p.c. 104

2.7. Il perfezionamento del pignoramento: la

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CAPITOLO III

IL TEMPO DEGLI EFFETTI DEL PIGNORAMENTO DI CREDITI

3.1. Le ragioni di uno studio autonomo sulla tematica del tempo degli effetti

del pignoramento di crediti. 146

3.2. La posizione di custode del terzo ai sensi dell’art. 546 c.p.c. 1° co. c.p.c. e

il tempo degli effetti del pignoramento di crediti. 147

3.3. Gli effetti del pignoramento ai

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CAPITOLO IV

DELL’ ORDINANZA DI ASSEGNAZIONE DEL CREDITO EX ART. 553 C.P.C.

4.1. Premessa 161

4.2. La disciplina dell’art. 553 c.p.c. 162

4.3. L’assegnazione come figura di datio in solutum con effetti liberatori per

il debitore assegnante 165

4.4. La natura del diritto dell’assegnatario 167

4.5. L’assegnazione giudiziale come successione in un rapporto

obbligatorio: la tesi di Gorla. 176

4.6. I rapporti tra i soggetti interessati dall'assegnazione: in particolare

tra assegnatario ed assegnante 179

4.7. La natura dell’ordinanza di assegnazione. 185

CONCLUSIONI 193 BIBLIOGRAFIA 199

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INTRODUZIONE

Che, sotto il profilo della funzione, cui il pignoramento presso terzi è preordinato, nel più ampio quadro dell'iter di attuazione della sanzione espropriativa a carico dell'esecutato, non abbiano a manifestarsi differenze salienti rispetto alle altre forme di pignoramento, parrebbe, a dire il vero, cosa ovvia: per ciò solo che anche quello presso terzi è una figura di pignoramento, mediante il quale «si inizia» (art. 491 c.p.c.) l'espropriazione forzata.

E quindi potrebbe sembrare perfin superfluo star qui a ricordare che, mentre adempie alla funzione di individuare e vincolare all'esecuzione i beni che ne son colpiti, il pignoramento (anche presso terzi) contrassegna un momento saliente nell'attuazione della sanzione esecutiva: quello cioè in cui, dalla soggezione 'potenziale' di tutti i beni del debitore all'eventualità dell'esecuzione, si passa alla 'destinazione specifica' all'esproprio dei beni pignorati; il momento, in altri termini, che segna il passaggio da una situazione di responsabilità all'effettivo assoggettamento di singoli beni alla sanzione in atto.

Ma se questi son connotati comuni ad ogni figura di pignoramento, occorre piuttosto esaminare come l'anzidetta funzione possa venir soddisfatta e quali sian le vie che si dischiudono per pervenirvi, nelle singole figure di pignoramento e, dunque, in particolare, in quella qui considerata.

Ed è a questo proposito che torna a reclamare attenzione la figura del terzo, 'presso' il quale vien condotto il pignoramento pur non attuandosi 'contro' di lui alcuna sanzione.

Or, per quel che attiene alla individuazione del bene da colpire, è manifesto che il problema vien qui a porsi in termini diversi e peculiari, rispetto alle altre forme di pignoramento.

Se invero oggetto dell'esecuzione è il credito, di cui sia titolare il debitore esecutato, non è concepibile alcuna forma di «apprensione», né giuridica né men che meno materiale, né quindi l'esatta individuazione della res pignorata può conseguirsi per tal via; tanto più, sino a quando non si sappia se il «preteso» credito, che si afferma esistere nel patrimonio dell'esecutato, sia effettivamente sussistente (qui a nemo scit, dicevano gli antichi); talché, o si rinuncia a ravvisare nella specifica individuazione del

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bene una delle fondamentali caratteristiche del pignoramento, ammettendosi che quest'ultimo possa compiersi anche su quel che solo si «suppone» esistente e che potrà rivelarsi un nulla, ovvero è d'uopo convenire che l'attuazione del pignoramento non può prescindere da una fase preordinata a sincerarsi dell'esistenza del bene, venendo nel contempo a individuarlo esattamente nelle sue componenti essenziali. La prima è la via seguita dagli ordinamenti germanici, i quali (a parte le più o men precise indicazioni fornite dal pignorante, cui ne vien addossato l'onere) configurano non solo il pignoramento, ma addirittura anche l'assegnazione del credito così come «affermato» dall'istante, talché l'uno e l'altra possono poi rivelarsi compiuti «a vuoto»; mentre la seconda è la via percorsa dagli ordinamenti francese e italiano, quali che sian poi le divergenze, anche profonde, che essi vengon tosto a rivelare. D'altro canto, nell'ipotesi di pignoramento di cose mobili del debitore in possesso del terzo, val quanto già notato: mentre cioè l'«apprensione» del bene nel pignoramento mobiliare diretto trova ragione nell'immediata disponibilità su di esso da parte dell'esecutato, valutata in guisa di sufficiente indice esteriore d'appartenenza, nulla di consimile è dato di ripetere allorché il bene si trovi presso un terzo, a favor del quale, se mai, giocherebbe il menzionato indice d'appartenenza così come esteriormente rivelato dalla disponibilità; talché torna a profilarsi l'esigenza di sincerarsi dell'esistenza del bene nel patrimonio dell'esecutato.

Se poi si pon mente all'altro e fondamentale aspetto (cui la stessa individuazione del bene è strumentale), e cioè al vincolo di «destinazione esecutiva» che, sul bene individuato, il pignoramento è volto a imprimere, ancor più chiaramente si appalesano le peculiari esigenze del pignoramento presso terzi, a fronte delle altre figure di pignoramento. In breve: per attuare quella «destinazione», accanto e al di là del diritto del debitore esecutato sul bene oggetto dell'espropriazione, occorre necessariamente «superare» l'obbligo del terzo, e quindi occorre incidere sulla di lui situazione giuridica onde impedirgli e in pari tempo legittimarlo ad 'astenersi da un comportamento altrimenti dovuto'; in difetto di che la destinazione esecutiva del bene non ha modo di attuarsi, trovando ostacolo nell'un caso (credito) addirittura nel venir meno del bene medesimo, e nell'altro (cose mobili «dovute» dal terzo) nell'eventualità del rientro nella disponibilità del debitore esecutato.

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Ed ecco palesarsi l'ovvia necessità, che non a caso si presenta come una «costante» nella storia dell'istituto, di agire anche nei confronti del terzo appunto per impedirgli il compimento d'un atto altrimenti dovuto e, nell'àmbito d'una espropriazione condotta contro il debitore esecutato, giovarsi della cooperazione del terzo a pro dell'espropriazione stessa, anziché della soddisfazione dell'esecutato soggetto alla sanzione.

Comprese dunque la ragioni alla base del successo di questa forma di espropriazione, pare allora giusto prendere le mosse da un excursus storico dell’istituto.

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CAPITOLO I

L’EVOLUZIONE STORICA DELL’ESPROPRIAZIONE FORZATA PRESSO TERZI, DAL PROCESSO ROMANO FINO

ALLE RECENTI RIFORME LEGISLATIVE

Sommario: 1.1. Il pignoramento dei crediti dal processo romano al procedimento

francese del saisie-arret. – 1.2. Il pignoramento di crediti dal codice del 1865 a quello del 1942. La tesi di Satta e Gorla. - 1.3. Le riforme del biennio 2005/2006. - 1.4. La riforma di Natale: la legge di stabilità 2013 (l. n. 228/2012). – 1.5. L’espropriazione preso terzi dopo la riforma del 2014. – 1.6. L’espropriazione forzata dopo la riforma estiva del 2015.

1.1. Il pignoramento dei crediti dal processo romano al procedimento francese del saisie-arret

Il lungo e articolato processo che ha condotto all’attuale fisionomia del pignoramento dei crediti è magistralmente sintetizzato da Colesanti1 così:

<< il significato stesso dell’evoluzione storica del pignoramento di crediti va colto nell’affermarsi del principio che l’attuazione di quella figura di pignoramento, benchè non disgiunta dall’esercizio di una attività nei confronti del terzo debitore, prescinde però dalla soggezione di quest’ultimo all’esecuzione. Correlativamente l’esecuzione sui crediti si svincola dai presupposti richiesti per procedere contro il terzo, per essere invece consentita quante volte sia conseguito in sede esecutiva un semplice accertamento del credito del debitore esecutato >>. L’affermazione si comprende non appena si consideri che nel diritto romano il pignoramento dei crediti poteva essere autorizzato dal magistrato - a condizione che non vi fossero altri beni dell’esecutato, mobili o immobili, utilmente aggredibili: secondo il principio dell’ordo executionis – in relazione ai soli nomina la cui esistenza nel patrimonio dell’esecutato fosse comprovata da una confessione resa dal terzo debitore anteriormente alla pignoris capio.

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La ragione della necessità di una confessione del terzo all’avvio dell’esecuzione è stata rinvenuta nella esigenza di non alterare, a vantaggio del creditore procedente, quella che è la condizione giuridica del terzo di fronte al suo creditore diretto (debitore esecutato): il debitor debitoris, cioè, non deve trovarsi in una situazione più gravosa o ricever pregiudizio per il semplice fatto che si procede in executivis contro il suo creditore diretto e che costui è privo di beni mobili e immobili.

Come l’esecutato non avrebbe potuto agire contro il proprio debitore se non sul fondamento della confessione (che nel diritto romano era dotata di efficacia esecutiva nei confronti del confitente) da quest’ultimo resa, allo stesso modo il creditore procedente, che intendesse pignorare il credito dell’esecutato verso il terzo (i.e.: ottenere la solutio di quest’ultimo), avrebbe dovuto preliminarmente procurarsi una confessione del debitor debitoris.

Detta confessione, d’altronde, rappresentava per il terzo la migliore garanzia del fatto che la sua posizione non sarebbe stata in alcun modo pregiudicata dall’azione esecutiva intrapresa contro il suo creditore: egli avrebbe potuto, ritenendolo conveniente, confessare, e così assoggettarsi spontaneamente alla sanzione esecutiva, ma avrebbe altresì potuto negare l’esistenza del credito, con la conseguenza di rendere senz’altro improcedibile l’esecuzione.

Nel silenzio delle fonti, deve ritenersi che l’invito a confessare rivolto al terzo fosse un atto del magistrato romano, il quale, ravvisata la necessità della confessione per concedere l’autorizzazione a procedere sul credito, e avvalendosi dei propri poteri d’imperio, conveniva dinanzi a sé il debitor debitoris onde consentirgli di confessare (o eventualmente di negare) Per effetto dunque della confessione resa dal terzo debitore, il credito pignorando risultava già aliunde <<confessato>>, e il problema di una sua determinazione in sede esecutiva non aveva neppure il modo di porsi. La confessione del terzo non solo dava piena certezza dell’esistenza del credito, ma forniva oltretutto al creditore procedente un titolo esecutivo contro il debitor debitoris, il quale assumeva in tal modo la qualità di soggetto passivo dell’espropriazione al pari dell’esecutato.

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Con l’avvento del processo comune la progressiva equiparazione del nomen agli altri beni del debitore e la svalutazione dell’ordo executionis ad essa seguita determinarono un temperamento del rigore di tale soluzione, ammettendosi la possibilità di sopperire all’assenza della confessione o alla dichiarazione negativa del terzo (che rendeva improcedibile l’esecuzione) tanto nel corso di un ordinario giudizio di cognizione condotto contro tale soggetto, quanto nell’ambito dello stesso processo esecutivo allorchè, il creditore fosse in grado di provare senza indagini particolarmente complesse la falsità della negazione del terzo, ovvero il credito da espropriare già risultasse munito di praeceptum. Infatti assai diffuso era l’impiego di processi apparenti in cui il debitor debitoris (il c.d. terzo), presentandosi sua sponte davanti al giudice, riconosceva il proprio debito, a tale confessione seguiva la pronuncia di un praeceptum immediatamente esecutivo, in base al quale il creditore poteva avviare l’esecuzione forzata senza la necessità di ulteriori adempimenti.

Talora, poi, il riconoscimento del debito era effettuato dal terzo, già all’atto della conclusione del negozio con il debitore esecutato, dinanzi al giudice: in conseguenza della confessio, il magistrato inseriva nell’atto il praeceptum de solvendo, in virtù del quale, ove il terzo non avesse adempiuto l’obbligazione entro il breve termine (di solito 10 giorni) assegnatogli, il creditore avrebbe potuto senz’altro aggredire i suoi beni (executio parata).

A partire dal XIII secolo, con l’affermarsi del ruolo dei notai, tale prassi fu sostituita dalla redazione di un atto notarile munito di clausola di guarentigia, in cui il terzo riconosceva in forma pubblica il proprio debito nei confronti del debitore esecutato, come se lo avesse confessato dinanzi al magistrato; sicchè, in caso di inadempimento, il creditore – previa esibizione di siffatto documento confessionato o guarentigiato – poteva essere autorizzato dal giudice ad avviare l’esecuzione forzata senza dover preventivamente instaurare un processo di cognizione per l’accertamento del diritto dell’esecutato verso il terzo.

L’atto dunque munito del precetto di guarentigia spiegava gli stessi effetti di una sententia definitiva munita della forza di res iudicata

Veniva così a profilarsi il problema degli strumenti mediante i quali conseguire in sede esecutiva l’accertamento (non più demandato ad una

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fase cognitiva anteriore all’inizio delle attività espropriative) del credito pignorando.

Ma è soltanto con la procedura di saisie- arret francese – quale forgiata dall’antico droit coutumier e confluita nelle codificazioni successive agli articoli 557-559 ancien c.p.c.) – che la confessione e il suo equivalente offerto dal giudicato di condanna cessano definitivamente di rappresentare una condizione di procedibilità dell’esecuzione.

La procedura prendeva l’avvio – su iniziativa del creditore procedente- mediante una intimazione di non disporre rivolta dall’ huissier de justice al debitor debitoris (il quale da tale momento era tenuto a non prestare al proprio creditore diretto, per non essere in seguito costretto a rinnovare la solutio in favore del procedente che avesse ottenuto la convalida dell’arresto), e, dunque senza necessità di una preventiva autorizzazione del magistrato, sotto la cui direzione si svolgeva invece il successivo giudizio di convalida della saisie.

Detta conformazione del procedimento vedeva l’assenza di una fase processuale – anteriore all’avvio delle attività esecutive – preordinata all’accertamento del credito, accertamento de quo che non poteva che essere rinviato alla successiva fase di convalida, nella quale l’intervento del giudice era invece obbligatorio.

La peculiare struttura di tale istituto consentiva di avviare l’esecuzione sulla base delle sole allegazioni del procedente, e dunque senza aver acquisito alcuna preliminare certezza quanto all’esistenza del credito; mentre la dichiarazione del terzo si inserisce nella successiva fase di convalida del già efficace arresto, e lungi dall’assumere natura confessoria, costituisce null’altro che una forma di obbligatoria collaborazione del dichiarante (non più soggetto passivo dell’esecuzione ma mero <<ausiliare del processo>>), volta da un canto a soddisfare l’esigenza dell’esatta determinazione del credito assoggettato alla saisie, e a rendere direttamente efficace nei suoi confronti la sentenza – emessa contro l’esecutato – che definisce il giudizio di convalida.

Ecco dunque delinearsi i due capisaldi della moderna esecuzione sui crediti, variamente rinvenibili in tutti i vigenti sistemi processuali: l’attuazione del pignoramento prescinde dall’assoggettamento del terzo alla vis executiva del titolo (essendo la collaborazione di tale soggetto prevista al solo fine di conseguire l’individuazione della res pignoranda,

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oltre che di consentire la realizzazione del credito da parte dell’assegnatario) ; a ciò si aggiunge che la certezza intorno all’esistenza del credito è ormai solamente relativa, vuoi perché non condiziona in alcun modo l’avvio delle attività espropriative, vuoi perché si consegue all’interno dello stesso processo esecutivo e non rileva che ai fini e per gli effetti di esso.

Così mentre nelle legislazioni processuali modellate su quella francese il coinvolgimento del terzo si atteggia a momento tipico ed essenziale della vicenda esecutiva, provocando una dichiarazione del debitor debitoris quanto all’esistenza e alle condizioni del suo obbligo, gli ordinamenti germanici costruiscono quell’invito come una formalità del tutto eventuale e accessoria, che in nessun caso condiziona lo svolgimento e la conclusione dell’iter esecutivo, e che può, anzi, addirittura seguire l’assegnazione del credito.

1.2. Il pignoramento di crediti dal codice del 1865 a quello del 1942. La tesi di Satta e Gorla

Come tutte le leggi processuali 2derivate dalla codificazione napoleonica, anche il codice di procedura civile italiano del 1865 costruiva l’accertamento del credito pignorando, conseguito vuoi mediante una dichiarazione del terzo, vuoi in via giudiziale, come una fase tipica e necessaria dell’iter espropriativo.

Mentre nel sistema francese il pignoramento di crediti andava ad evolversi nel senso della progressiva svalutazione del ruolo dell’accertamento, che sarebbe culminata – con l’avvento della saisie- attribution – nella completa degiurisdizionalizzazione di tale forma espropriativa, in Italia la perdurante influenza della tradizione romanistica e di diritto comune aveva impresso all’istituto un carattere ben più marcatamente cognitivo.

Il procedimento prendeva avvio con la notificazione al debitore e al terzo – il quale a partire dal tale momento restava soggetto a tuti gli obblighi

2 Tota, Il problema della determinazione dell’oggetto dell’espropriazione forzata

dei crediti, in Individuazione e accertamento dei crediti nell’espropriazione forzata presso terzi, Napoli 2014, p.28;

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della legge imposti ai depositari e sequestratari giudiziali (art. 612 c.p.c.), e non poteva quindi più adempiere in favore del debitore esecutato, suo creditore diretto – di un atto avente la forma delle citazioni (art. 611,1° comma c.p.c.) e recante, tra l’altro, l’indicazione almeno generica dei mobili che sono presso il terzo, o delle somme da queste dovute, e la citazione del debitore e del terzo a comparire davanti il pretore del mandamento, in cui il terzo ha la residenza o il domicilio, affinchè esso dichiari i mobili che presso di lui si trovano o le somme da lui dovute al debitore, e questi, se voglia sia presente alla dichiarazione e agli atti ulteriori ( art. 611,2° comma, nn.2 e 6, c.p.c.).

Dopo la notificazione dell’atto di pignoramento poteva accadere che: a) Il terzo rendesse una dichiarazione positiva – a mente dell’art. 613

c.p.c., trattandosi di somme dovute, la dichiarazione doveva indicare la causa e l’importare del debito, i pagamenti fatti a conto, il tempo dell’esigibilità, l’atto e la causa della liberazione se il credito si pretenda estinto – riconoscendo l’esistenza del proprio debito nei confronti dell’esecutato;

b) Il terzo non comparisse all’udienza stabilita o, comparendo ricusasse di rendere la dichiarazione (art. 614 c.p.c.);

c) Sulla dichiarazione resa sorgessero controversie, che non fossero di pura forma, ossia relative all’esistenza, al modo di essere e alla pignorabilità del credito (art. 616 c.p.c.).

Nel primo caso, il pretore disponeva senz’altro l’assegnazione in pagamento, salvo esazione, delle somme pignorate (art. 619 c.p.c.); nel secondo il terzo che aveva omesso di collaborare poteva essere dichiarato, ex art. 614,2° comma, c.p.c., debitore puro e semplice delle somme da lui dovute e condannato a farne pagamento, mentre nell’ultimo caso il pignoramento poteva perfezionarsi solamente previa instaurazione, ad istanza della parte interessata, di una vera e propria controversia di merito avendo ad oggetto l’esistenza dell’obbligo del terzo, come tale sottratta al pretore e rimessa alla decisione dell’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente, se il dichiarante fosse stato citato direttamente dal proprio creditore (art. 616 c.p.c)

Quale che fosse l’esito della fattispecie a formazione progressiva, non si dubitava che il provvedimento conclusivo dell’iter espropriativo avesse natura di sentenza; con il corollario logico che la forma della citazione prescritta per l’atto introduttivo e quella della sentenza imposta al

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provvedimento finale consentirono la ricostruzione del procedimento de quo fedelmente modellata sul processo contenzioso ordinario, favorendo l’elaborazione del peculiare istituto del giudizio di assegnazione, nella quale a una domanda di merito al debitore e al terzo seguiva invariabilmente una sentenza c.d. di assegnazione avente efficacia a un tempo cognitiva ed esecutiva, poiché recante sia l’accertamento giudiziale dei rapporti intercorrenti tra i due convenuti, sia il trasferimento coattivo del credito accertato in favore del pignorante-attore.

Quindi in definitiva permaneva il convincimento che tale forma di espropriazione postulasse un accertamento con efficacia di giudicato del credito aggredito, e che, il terzo debitore assumesse la qualità di parte necessaria del procedimento al pari dell’esecutato.

Il superamento di tali teorie – dalle quali scaturiva la necessità di qualificare come confessione giudiziale provocata l’eventuale dichiarazione con cui il terzo si fosse riconosciuto debitore dell’esecutato – fu opera di Satta, il quale, muovendo dall’identificazione formale e sostanziale tra vendita forzata e assegnazione, per primo scorse nel provvedimento di assegnazione del credito pignorato un atto esecutivo e dunque sprovvisto di contenuto decisorio ancorchè emesso in forma di sentenza.

Egli non disconobbe la necessità di una cognizione sul credito preliminare all’assegnazione; ma ritenne che nel procedimento aperto con la citazione del terzo dovesse ravvisarsi null’altro che un accertamento del tutto particolare al processo esecutivo, e ai fini di questo unicamente preordinato.

Un accertamento conseguibile tanto mediante la positiva dichiarazione del debitor debitoris, quanto all’esito di un vero e proprio giudizio cognitivo, e che avrebbe avuto un valore limitato alle parti in causa, e non decisivo di fronte al debitore esecutato, oltre che un oggetto neppure parzialmente coincidente con quello di un ordinario giudizio sull’appartenenza del credito.

L’esclusione della configurabilità del c.d. giudizio di assegnazione recava con sé anche una diversa ricostruzione del nesso esistente tra la vocatio in jus del terzo, contenuta nell’atto di pignoramento, e l’eventuale dichiarazione affermativa da costui resa.

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E infatti, dovendo riguardarsi la citazione non quale domanda introduttiva di un processo cognitivo, ma unicamente come provocatio ad declarandum del terzo, volta a conseguire la necessaria specificazione dell’oggetto del pignoramento, la stessa qualificazione come confessione giudiziale dell’atto con cui il terzo si fosse dichiarato debitore restava priva di fondamento.

Occorreva cioè ritenere che il debitor debitoris, non destinatario di una domanda giudiziale, né dunque, convenuto in giudizio, non avesse altro ruolo che quello di cooperare all’esecuzione, consentendo quell’accertamento del credito in sede esecutiva, necessario e al tempo stesso sufficiente a perfezionare il pignoramento.

Sviluppata e completata da Gorla, la tesi Sattiana viene infine trasfusa nel codice processuale del 1940, che disciplina l’espropriazione presso terzi agli art. 543ss.

Il nuovo procedimento esecutivo sul credito si configura quale fattispecie a formazione progressiva, che prende avvio con la notificazione al debitore e al terzo di un atto complesso recante l’ingiunzione e l’intimazione di non disporre, ma si perfeziona solamente quando, con la dichiarazione positiva e non contestata del debitor debitoris (il quale ai sensi dell’art.547 c.p.c. deve specificare di quali somme è debitore e quando ne deve eseguire il pagamento) ovvero all’esito del giudizio di accertamento suo obbligo, il credito espropriando risulti compiutamente individuato.

Rispetto al passato scompare la previsione circa la forma delle citazioni riferita all’atto di pignoramento, e viene colmata la lacuna relativa alla forma del provvedimento conclusivo.

Nel superare le antiche dispute circa il contenuto e gli effetti della sentenza di assegnazione, il nuovo codice distingue il provvedimento che, in sede esecutiva e in forma di ordinanza, dispone l’assegnazione o la vendita del credito pignorato dalla sentenza che, nelle sole ipotesi previste dall’art. 548 c.p.c. (ovvero se il terzo non compare all’udienza stabilita, o se comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, o se intorno a essa sorgono contestazioni), accerta l’esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo (art. 549 c.p.c.).

Si delinea in tal modo la divaricazione tra il procedimento esecutivo in atto, il cui epilogo è segnato dall’ordinanza che trasferisce coattivamente il

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credito, e la eventuale fase cognitiva che può sul primo innestarsi, ponendo capo a un giudicato sull’obbligo del terzo, ogni volta che la dichiarazione in sede esecutiva di costui sia mancata o abbia dato luogo a contestazioni. Si chiarisce inoltre che il ruolo della citazione a comparire, contenuta nell’atto di pignoramento (art. 543,2° comma, n.4, c.p.c.), non è che quello di sollecitare la collaborazione del terzo debitore in vista della determinazione della res pignoranda, laddove una domanda giudiziale potrà ravvisarsi unicamente nella successiva istanza con la quale, al ricorrere delle condizioni legislativamente previste, il creditore promuova il giudizio di accertamento di cui all’art. 548 c.p.c.

1.3. Le riforme del biennio 2005/2006

Venendo alle riforme3 più recenti a partire dalla prima decade del nuovo secolo, in ordine troviamo le riforme del processo esecutivo avvenute nel biennio 2005-2006, che hanno inciso sulla disciplina dell’istituto dell’espropriazione presso terzi.

In particolare il legislatore con la l. 52/2006, ha modificato il n.4 dell’art. 543,2° co., c.p.c., aggiungendo alla previsione precedente che:

<< l’atto di pignoramento deve contenere la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice dell’esecuzione del luogo di residenza del terzo, affinchè questi faccia la dichiarazione di cui all’art. 547 e il debitore sia presente alla dichiarazione e agli atti ulteriori, con invito al terzo a comparire quando il pignoramento riguardi crediti di cui all’art. 545, commi terzo e quarto, e negli altri casi a comunicare la dichiarazione di cui all’art. 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo di raccomandata >>.

Correlativamente a tale innovazione, è stata modificata la previsione di cui al 1° comma dell’art 547 c.p.c., sancendo che:

<< con dichiarazione all’udienza o, nei casi previsti, a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente, il terzo, personalmente o a mezzo procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale,

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deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna >>.

1.3.1 Nuove modalità di dichiarazione del terzo

La modifica al 1° comma dell’art. 547 c.p.c., ha determinato la possibilità che il terzo possa eseguire la propria dichiarazione anche mediante raccomandata, con la soppressione di ogni occasione di incontro, rappresentato dall’ udienza, tra il debitor debitoris e il giudice, che non è destinatario della dichiarazione del primo.

Infatti poiché, la dichiarazione inviata dal terzo a mezzo raccomandata non va indirizzata al giudice dell’esecuzione, ma al creditore procedente, in mancanza di attività da parte di questo soggetto per portare a conoscenza del giudice quanto dichiarato dal terzo mediante raccomandata, l’organo giudicante è destinato a rimanere del tutto ignaro del fatto che una dichiarazione vi sia stata, senza possibilità di conoscenza alcuna.

Ma a quanto detto si aggiungerebbe una seconda considerazione, ovvero che con la dichiarazione suddetta, il pignoramento si perfezionerebbe e sarebbe insensibile a ogni vicenda successiva, nonostante il processo esecutivo sia ancora in corso.

Infatti qualora l’obbligo del terzo si esaurisse nell’invio della raccomandata, mancando un obbligo di dichiarazione del terzo all’udienza, questi non avrebbe alcuna sede per poter rendere noto il fatto sopravvenuto, il che contrasta con la struttura dell’espropriazione presso terzi.

Infatti dato che all’udienza possono sorgere delle contestazioni sulla dichiarazione del terzo, con conseguente instaurazione del giudizio di cui all’art. 548 c.p.c., è pacifico ritenere che la fattispecie del pignoramento sia ancora in corso di formazione e che si perfezioni solo con la sentenza prevista dall’art. 549 c.p.c., sicchè ritornano rilevanti i fatti sopravvenuti sino a quel momento.

Visto dunque che la dichiarazione a mezzo raccomandata non esaurirebbe l’obbligo del terzo, ma costituirebbe una mera anticipazione di quella da rendere all’udienza, tutto ciò indurrebbe a ritenere che:

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<< il pignoramento non possa che perfezionarsi in tale momento - o nelle successive fasi processuali qualora sorgano contestazioni – confermando dunque che anche nel nuovo sistema l’udienza rimanga un momento centrale>>. Escluso dunque che il pignoramento presso terzi si perfezioni con il semplice invio della raccomandata, anche l’obbligo di custodia del terzo non si limita a quanto esistente al momento dell’invio della raccomandata, ma si estende alle somme di cui egli divenga debitore verso l’esecutato successivamente a tale momento, cioè fino a che la fattispecie del pignoramento non si sia conclusa con l’udienza, o con l’accertamento dell’obbligo del terzo.

La l. n. 80/2005 introdusse in tal senso una novità, giacchè non tutte le somme sopravvenute erano sottoposte a vincolo di indisponibilità. Infatti ai sensi del novellato 1° comma dell’art. 546, c.p.c., il terzo è soggetto agli obblighi del custode dal giorno in cui gli è stato notificato l’atto previsto dall’art. 543 c.p.c., << nei limiti del credito precettato aumentato della metà>>, dal quale si desume che oltre tale limite, non opererà alcun vincolo per il terzo e le somme sopravvenute saranno liberamente disponibili dal loro titolare, nonostante il pignoramento sia ancora in itinere.

Per comprendere il portato della novità è utile tracciare il quadro in cui si muoveva il legislatore della riforma.

Infatti sulla questione non vi era uniformità di vedute fra giurisprudenza e dottrina.

Quest’ultima sosteneva l’idea secondo la quale il vincolo esecutivo avrebbe dovuto coincidere con il quantum della pretesa creditoria, a differenza della giurisprudenza che sosteneva l’insensibilità del vincolo esecutivo rispetto al quantum della pretesa creditoria.

In questo stato dell’arte, il legislatore della riforma decise di seguire una via di mezzo, stabilendo che nel caso in cui il credito pignorando fosse superiore a quello del credito del creditore procedente, il vincolo esecutivo sarebbe stato limitato ad un importo pari a quello per cui si procede ad esecuzione aumentato della metà, determinando così una proporzione tra credito per cui si procede e beni aggrediti.

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<< nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell’art. 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi; il giudice dell’esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza non oltre venti giorni dall’istanza>>.

La ragione di questa aggiunta partiva dalla presa di coscienza della difficile applicazione dell’art. 496 c.p.c. – sulla riduzione del pignoramento eccessivo - all’ espropriazione presso terzi.

Infatti la norma dell’art. 496 c.p.c. non aveva una sostanziale possibilità di applicazione giacche prima dell’udienza si ignorava quale sarebbe stato il tenore della dichiarazione del terzo, e quindi se ci si trovasse in presenza di un cumulo eccessivo.

Ma anche qualora si fosse attesa la dichiarazione del terzo e dunque l’udienza, per sapere se il pignoramento avesse avuto esito positivo o no, la norma era inapplicabile, poiché anche laddove il giudice avesse avuto contezza dell’esito positivo del pignoramento eccessivo, avrebbe disposto l’assegnazione al creditore nei limiti del suo diritto, di uno dei crediti, liberando così automaticamente gli altri, a prescindere dalla previsione sull’eccessività del pignoramento.

La pratica aveva però escogitato l’espediente di una dichiarazione scritta del terzo, che anticipava quanto lo stesso avrebbe dichiarato all’udienza, consentendo di fatto l’applicazione del potere di riduzione quasi esclusivamente in caso di accordo tra le parti.

1.4. La riforma di Natale: la legge di stabilità 2013 (l. n. 228/2012) La legge di stabilità per il 20134 (l n. 228/2012) attraverso alcune modifiche degli art. 543,546,5487,549 del c.p.c. ha ridisegnato in modo sostanziale il rito del processo di espropriazione presso terzi, influendo in modo non marginale sulla natura stessa del tipo espropriativo.

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Storto A., Riforma Natalizia del pignoramento presso terzi: le instabili conseguenze della “stabilità”, in Riv. esec. forzata 1/2013;

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In primo luogo, la legge di riforma allinea alcuni aspetti del processo di espropriazione presso terzi alle modifiche che la stesa legge di stabilità detta in materia di comunicazioni e di notificazioni elettroniche.

Così viene innanzitutto addizionato l’art. 543 c.p.c., prevedendo che nel contenuto dell’atto di pignoramento venga inclusa, oltre alla dichiarazione di residenza o all’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente, anche l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del creditore procedente (2° co., n.3).

Simmetricamente lo stesso articolo è innovato al numero 4 del 2° co laddove, vengano azionati esecutivamente crediti diversi da quelli degli art. 545, 3° e 4° co., c.p.c., l’invito al terzo sarà quello di far pervenire al creditore la dichiarazione, alternativamente a mezzo di raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata.

L’innovazione introduce, peraltro sul pano generale una equivalenza tra il mezzo della raccomandata e quello della p.e.c., ma non senza limiti. È chiaro che il nuovo meccanismo della trasmissione della dichiarazione col mezzo telematico resta praticabile solo ove il creditore, o il suo legale indicano la propria p.e.c. nell’atto di pignoramento notificato al terzo. Diversamente non resterà altro da fare che ricorrere alla vecchia raccomandata, ovvero attendere di essere convocato all’udienza secondo quanto dispone il 2° dell’art. 548 c.p.c.

Non solo, ma dato che la mancata indicazione nell’atto di pignoramento della p.e.c. non determina l’invalidità dell’atto – poiché la mancanza non impedisce allo stesso di raggiungere lo scopo e cioè dotarsi del proprio oggetto – l’unico effetto sarà quello di complicare l’attività dichiarativa del terzo, privandolo di uno strumento di semplificazione che può ridondare, ove questo non utilizzi o non riesca per tempo ad utilizzare la raccomandata postale, nella necessità di comparire in udienza per rendere la tradizionale dichiarazione al giudice, con sostanziale evaporazione del beneficio da ultimo introdotto.

Infine anche in caso di invito a rendere la dichiarazione mediante raccomandata, o via p.e.c. laddove questa risultasse negativa, parziale, non sottrarrebbe il terzo dal compartire in udienza ex art. 547 c.p.c., laddove la situazione migliorasse in meglio fino al giorno dell’udienza,

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estendendosi l’effetto del pignoramento anche alle somme che dovessero sopravvenire.

Ma la vera rivoluzione copernicana della riforma sta nei nuovi effetti della mancata dichiarazione da parte del terzo.

È noto che la posizione di estraneità del debitor debitoris rispetto al processo espropriativo aveva indotto il legislatore delle origini all’adozione di particolari cautele che garantissero il minor numero di oneri in capo a questo soggetto, coinvolto in un meccanismo processuale nel quale non assume mai la qualità di parte.

E così con apposita norma (art. 26 c.p.c.), il giudice competente per l’espropriazione di crediti è stato individuato in quello territorialmente più vicino a lui, ovvero il luogo dove risiede il terzo debitore.

Inoltre è stata impedita l’aggressione diretta del patrimonio del terzo, dovendo invece la pretesa creditoria essere filtrata dalle regole e dalle garanzie dell’accertamento. Pertanto ove il terzo il terzo invitato a dichiarare non fosse comparso o comparendo avesse rifiutato di dichiarare, o dichiarando fosse stato contestato, non si sarebbe prodotto alcun automatismo in ordine all’accertamento dell’oggetto del pignoramento, ma anzi soltanto a richiesta di parte e attraverso un vero e proprio processo di cognizione si sarebbe potuti arrivare ad accertare l’an e il quantum del credito vantato dall’esecutato nei confronti del terzo debitore del debitore. In questo modo mediante la mediazione di un processo ordinario e la conseguente assunzione ad opera del terzo della qualità di parte sarebbe stato possibile far scattare, in caso si silenzio perdurante, meccanismi come quello della mancata risposta ad interrogatorio formale di cui all’art. 231,1° co, c.p.c., espressamente richiamato in termini di pura facoltà dal previgente art 548,2° co. c.p.c., in ragione del fatto che la norma in materia di interrogatorio formale rimette al prudente apprezzamento del giudice di ritenere come ammessi fatti dedotti sui quali però è mancata ingiustificatamente la risposta della controparte.

Questo quadro è stato profondamente mutato dall’intervento in esame, con un obiettivo chiaro, ovvero evitare la parentesi cognitiva del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo tutte le volte che quest’ultimo non rende la dichiarazione, anticipando nel giudizio esecutivo e secondo

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forme di produzione automatica l’effetto della non contestazione, prima conseguibile solo in quella parentesi di cognizione.

Il principio era dunque quello per cui la mancata comparizione in udienza per rendere la dichiarazione equivale a non contestazione del credito come affermato nell’atto di pignoramento dal creditore procedente.

Questo principio di non contestazione, in realtà non era una novità dal punto di vista sistematico, esistendo già nell’ordinamento dei referenti normativi.

In primo luogo troviamo il 1° comma dell’art. 115 c.p.c., secondo il quale il giudice pone a fondamento della decisione sia le prove proposte dalle parti e dal pubblico ministero, sia i fatti non contestati specificamente dalla parte costituita.

In secondo luogo, troviamo il comma 6 dell’art. 499 c.p.c., alla stregua del quale i crediti azionati dai creditori intervenuti non titolati, se il debitore non compare nell’apposita udienza, si intendono riconosciuti, con un effetto di non contestazione che rileva ai soli effetti dell’esecuzione.

Si tratta dunque di meccanismi idonei a produrre autentiche prove da sottoporre al prudente apprezzamento del giudice ai sensi dell’art. 116,1° co. c.p.c. e non a creare una vera e propria ficta confessio nei termini duna prova legale, e dunque sottratta alla valutazione giudiziale.

Inoltre tali principi operano sol nel caso in cui la parte su cui grava l’onere di contestazione si sia costituita e non anche per il caso di contumacia.

Ciò detto è facile cogliere la profonda differenza tra i modelli evocati e il nuovo art.548 c.p.c..

Infatti la mancata comparizione all’udienza del terzo produce un vero e proprio effetto confessorio, la cui operatività non è in alcun modo rimessa alla valutazione giudiziale, e a prescindere dal concetto di contumacia, che non trova equivalenti nel processo esecutivo, tanto più nei confronti di un soggetto estraneo alla pretesa esecutiva.

A ciò si aggiunge che tale effetto si produce nel rapporto tra la procedura esecutiva e un soggetto che non è parte di essa e non sembra poterlo

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diventare per il solo dato della ricezione dell’invito a dichiarare o a comparire per rendere la dichiarazione in udienza.

Venendo all’analisi contenutistica del nuovo art. 548 c,p.c., giova notare come il principio di non contestazione è stato declinato a seconda del tipo di dichiarazione prevista.

Per i crediti salariali (ovvero quelli previsti dagli art. 545,3° e 4° co., c.p.c.) posto che la dichiarazione potrà essere resa dal terzo solo nella apposita udienza, si dispone quindi che la mancata comparizione in tale udienza del terzo produce l’effetto per cui il credito pignorato nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553 (1° co.).

Per tutti gli altri crediti, per i quali è da farsi la dichiarazione mediante posta raccomandata o elettronica certificata, se il creditore dichiara in udienza di non aver ricevuto alcuna dichiarazione, il g.e. fisserà una nuova udienza, pronunziando un’apposita ordinanza notificata al terzo almeno dieci giorni prima dell’udienza. In caso di mancata comparizione del terzo alla nuova udienza, si verificherà il medesimo effetto di non contestazione stabilito nel 1° co. (2° co.).

L riforma del 2012 quindi si colloca sulla stessa linea della riforma del 2006 che aveva imposto la distinzione fra crediti di lavoro e altri crediti, sulla base di un diverso meccanismo dichiarativo, nell’ un caso, in udienza dal giudice, e nell’altro a mezzo di raccomandata indirizzata al creditore. La riforma in esame dunque rappresenta una conseguenza meccanica rispetto alle premesse di allora.

Infatti se la dichiarazione si fa per la prima volta in udienza, l’effetto di non contestazione non può che discendere dalla mancata dichiarazione in udienza.

Se invece non è resa la dichiarazione producibile per raccomandata o p.e.c. sarà comunque necessario accertare tale circostanza, con il filtro dell’udienza, confermando così come l’udienza destinata alla dichiarazione, conservi tutta la sua centralità.

In questo ultimo caso inoltre, la necessità di un’apposita udienza di comparizione del terzo e delle parti vale anche a disinnescare definitivamente il pericolo di una possibile mendace o erronea

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attestazione del creditore in ordine alla mancata ricezione della dichiarazione via posta, o per incolpevole difettosa trasmissione o ricezione della dichiarazione resa col mezzo telematico.

Resta peraltro una criticità sullo sfondo per quanto attiene i pignoramenti sui crediti di lavoro, posto che mentre per glia altri crediti ben due avvisi raggiungeranno il debitor debitoris prima del fatale effetto ricognitivo, questo si verificherà automaticamente per i primi a seguito della mancata comparizione all’udienza ex art.547 c.p.c. quale unica sede assegnata per rendere la dichiarazione.

Da ciò nasce spontanea la necessità, non sicuramente inopportuna, di rendere edotto il terzo di quali nefaste conseguenze giuridiche lo attendono in caso di tenuta di un comportamento leggero.

Rispetto all’ambito applicativo del novellato art. 548 c.p.c., si notano profonde differenze rispetto alla disposizione previgente, la quale sotto la rubrica << Mancata o contestata dichiarazione del terzo>> contemplava rispettivamente sia la mancata comparizione in udienza del terzo, il rifiuto di questi, ancorchè comparso, di fare la dichiarazione e la contestazione della dichiarazione resa>>.

Ora l’intervento legislativo in commento ha distinto tra due evenienze, occupandosi all’art. 548 c.p.c. della mancata dichiarazione e al successivo art. 549 c.p.c. delle contestazioni insorte intorno alla dichiarazione. In questa divaricazione normativa si è perduto ogni riferimento al caso del terzo che pur comparendo in udienza si rifiuta di dichiarare.

Il terreno interpretativo vede due possibili vie ricostruttive.

La prima via vedrebbe sotto la sigla della non comparizione ogni ipotesi di dichiarazione mancata, inclusa quella rifiutata dal terzo.

La seconda via, invece – non foriera di complicazioni – escluderebbe il caso del terzo che comparendo si rifiuti di fare la dichiarazione nell’ambito applicativo della norma, con conseguenze irragionevoli, per le quali il non comparire per dichiarare avrebbe il valore di riconoscimento del credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, mentre il comparire e rifiutare di dichiarare equivarrebbe ad una sorta di dichiarazione negativa da contestare ai sensi dell’art. 549 c.p.c.

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Il punto più critico della riforma resta però l’oggetto della non contestazione.

Il co. 1 dell’art. 548, fissa il perimetro del riconoscimento tacito, quanto all’oggetto, con riguardo al credito pignorato, nei termini indicati dal creditore.

A questa previsione non è corrisposta tuttavia la modifica dell’art. 543,2°, n. 2, c.p.c. alla stregua del quale ancora oggi l’atto di pignoramento presso terzi è sufficiente che contenga l’indicazione, almeno generica, delle cose e somme dovute.

Il senso della disposizione si ricollega a una funzione di alleggerimento della posizione del creditore procedente, che essendo estraneo al rapporto creditorio aggredito col pignoramento, è sollevato dall’incombenza di compiere approfondite indagini in proposito.

Da ciò discende l’intera configurazione del pignoramento presso terzi in termini di fattispecie a formazione progressiva, nella quale all’effetto preliminare di arresto del credito, determinato dalla notifica dell’atto impositivo del vincolo che contiene l’ingiunzione al debitore e l’intimazione al terzo di non disporre senza ordine del giudice, seguono quelli ricollegabili al perfezionamento dello stesso attraverso specificazioni del suo oggetto, da conseguirsi mediante l’accertamento del credito.

Stando così le cose, in caso di pignoramento contenente una indicazione solo generica del credito aggredito, è giocoforza chiedersi, intorno a cosa si abbia l’effetto del riconoscimento del credito conseguente alla mancata comparizione del terzo nell’apposita udienza.

È possibile formulare tre soluzioni diversificate a seconda del grado di determinatezza del contenuto del pignoramento.

Laddove il creditore individui con precisione nell’atto di pignoramento il titolo giuridico del credito e il quantum dovuto, il riconoscimento avrebbe un suo oggetto assolutamente idoneo alla pronuncia dell’ordinanza di assegnazione.

Laddove invece l’indicazione sia assolutamente generica, non potrà operare assolutamente il meccanismo della non contestazione. In questo caso l’unico modo per superare lo stallo non può che essere quello di seguire il meccanismo di risoluzione delle contestazioni previsto dall’art.

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549, estendendo nella nozione di “dichiarazione contestata” anche le mancate dichiarazioni, oppure il caso del terzo che comparendo abbia rifiutato di rendere la dichiarazione.

Infine laddove il creditore individui il titolo giuridico del credito, ma non il quantum, si avrebbe certamente il riconoscimento del credito per effetto della mancata dichiarazione in udienza, ma l’assenza del quantum delle somme dovute oltre il tempo del loro pagamento, farebbe sì che l’ordinanza di assegnazione difetti di alcuni dei requisiti indicati dall’art. 474 c.p.c. per fondare la successiva esecuzione forzata.

In questo caso laddove il giudice dovesse rifiutare di pronunciare l’ordinanza di assegnazione, al creditore andrà riconosciuta la possibilità di valersi ancora una volta dell’art. 549 c.p.c..

L’esegesi dell’articolo 548 si conclude con il suo 3° comma, il quale prevede che:

<<il terzo può impugnare nelle forme e nei termini di cui all’ art 617,1° co, l’ordinanza di assegnazione dei crediti adottata a norma del presente articolo, se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore>>.

La norma ha sollevato vari dubbi. Infatti posto che non esiste un termine perentorio specificamente stabilito per la notificazione, e più in generale per la comunicazione al terzo dell’ordinanza di assegnazione, non si spiega la portata della remissione nei termini che la norma sembra prevedere.

E ancora meno si spiegherebbe le ragioni per cui è ammissibile l’opposizione agli atti esecutivi. Infatti dato che è stato posto in capo al terzo un vero e proprio onere di dichiarare, laddove questi non assolva a tale onere scientemente, perde il potere di contestare gli esiti dell’accertamento conseguiti per silentium.

L’intento di accelerazione del processo e di sgomberare il più possibile il campo da possibili impugnazioni successive finisce per blindare un sistema che non si limita più a coinvolgere il terzo, ma ve lo trascina dentro con la forza ammonitrice di possibili conseguenze per lui durissime e definitive.

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Che un estraneo al perimetro processuale possa essere collocato in una posizione così deteriore redta un fatto la cui sostenibilità costituzionale non tarderà ad essere verificata.

La riforma si completa per mezzo del novellato art. 549 c.p.c. in tema di contestata dichiarazione del terzo.

Dispone la norma che <<se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell’esecuzione le risolve, compiti i necessari accertamenti, con ordinanza. L’ ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617>>.

La novità assoluta consiste nell’abrogazione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo che la norma previgente delineava quale parentesi cognitiva, attivabile su istanza di parte e definita con sentenza, soggetta gli ordinari mezzi di impugnazione.

Ora invece, tutte le contestazioni che insorgono relativamente alla dichiarazione del terzo dovranno essere risolte, con ordinanza, direttamente dal giudice dell’esecuzione all’interno del processo esecutivo.

L’intenzione dei conditores è quella di evitare che i diversi gradi dell’abrogato giudizio di accertamento possano determinare il differimento sine die del perfezionamento del pignoramento presso terzi. L’obiettivo è stato raggiunto solo in parte, posto che per l’ordinanza con cui il g.e. risolve le contestazioni è comunque espressamente prevista l’impugnabilità con l’opposizione di forma, definita con sentenza a sua volta ricorribile in cassazione ai sensi dell’art. 111, 7° co, della Costituzione.

La norma cosi novellata pone anche un secondo problema, ovvero rispetto alla posizione del terzo.

Ora - come sotto la vigenza del vecchio art. 549 c.p.c. - le parti del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo restano quelle originarie del processo esecutivo (creditore e debitore) e il terzo debitor debitoris unite da un litisconsorzio necessario, e la degradazione del processo a incidente dell’esecuzione non ha mutato oggetto dell’accertamento demandato al g.e. e nemmeno la sua efficacia.

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Quindi il terzo nonostante resti un estraneo al processo esecutivo mantiene la sua posizione di litisconsorte necessario con riguardo alle contestazioni intorno alla sua dichiarazione.

La vera novità del novellato art 549 c.p.c. sta nel venire meno della istanza di parte necessaria per instaurare il giudizio, che di fatto viene reso deformalizzato; un giudizio nel quale sarà rimesso al giudice di stabilire di volta in volta la declinazione sufficiente del principio della domanda, nonché forme e tempi di chiamata in causa del terzo idonei a renderlo edotto con precisione dell’oggetto dell’accertamento e a consentirgli di intervenire tempestivamente e con la dovuta assistenza tecnica.

Concludendo l’analisi si può dunque registrare che le norme riformulate pongono più di un problema originale, sia sotto il profilo del coordinamento con la cornice processuale, che sul piano dell’efficacia deflattiva.

Esse inoltre disegnano un nuovo ruolo per il terzo che da soggetto estraneo all’espropriazione diventa di fatto il cardine dell’efficienza di un processo che non avrebbe dovuto riguardarlo, gravato da un nuovissimo onere di dichiarare ed esposto da conseguenze pregiudizievoli in caso di mancata comparizione.

Infine da ultimo la degradazione dell’accertamento dell’obbligo del terzo a mero incidente di esecuzione, testimonia il fatto che il legislatore della riforma ha infranto di fatto il mito codicistico della separazione tra cognizione ed esecuzione, con modalità foriere di un possibile contagio delle altre opposizioni esecutive.

1.5. L’espropriazione preso terzi dopo la riforma del 2014

1.5.1. La modifica in tema di competenza per territorio.

Il d.l. 12 settembre 2014, n. 132 recante5 misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile, convertito con modificazioni

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D’alessandro E., L’espropriazione presso terzi alla luce della legge 10 novembre 2014, n.162, in AA.VV. Processo civile efficiente e riduzione dell’arretrato, a cura di F.P. Luiso.Torino,2014;

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con legge 10 novembre 2014, n. 162, ha apportato significative modifiche alla disciplina dell’espropriazione presso terzi. Le modifiche sono destinate ad essere applicate ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, dunque dall’11 dicembre 2014.

In primis l’art. 19 della l. 162/2014 è intervenuto modificandole, sulle regole di competenza territoriale per l’espropriazione di crediti.

Segnatamente, l’art.19,1° co., lett. a) ha sostituito il comma 2 dell’art. 26 c.p.c., attualmente riguardante la competenza territoriale per l’espropriazione forzata di crediti.

La formulazione dell’art. 26, 2° co.,c.p.c.,- ante riforma 2014 - infatti sanciva la competenza del giudice dell’esecuzione del luogo di residenza del terzo debitor debitoris , competenza inderogabile così come venne affermato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza del 13 febbraio 2013, n. 3615.

La ratio della previsione è stata costantemente ravvisata nella necessità di favorire la partecipazione del terzo – ossia un soggetto che non è assoggettato al processo esecutivo ma la cui collaborazione è necessaria per la fruttuosa riuscita dell’espropriazione forzata – all’udienza per rendere la dichiarazione circa l’esistenza del diritto di credito pignorato ovvero circa l’esistenza, presso di sé, di una res mobile del debitore esecutato.

Poiché l’art. 543, n.4 c.p.c., così come modificato dall’art. 19 della l. 162/2014, non prevede più che il terzo debba essere citato a comparire, assieme al debitore ad un’apposita udienza, dovendo egli – di regola – rendere la dichiarazione a mezzo di raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata, è conseguentemente venuta meno la necessità di mantenere siffatto criterio di competenza territoriale.

Considerato dunque che l’unico soggetto tenuto a comparire all’udienza di cui all’art. 543, n.4, c.p.c. sarà il debitore esecutato, contestualmente alla modifica dell’art. 26, 2 ° co. c.p.c. (che, nella nuova formulazione, riguarderà l’esecuzione forzata di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi) è stato introdotto nel codice di rito l’art. 26- bis c.p.c. il quale prevede che per l’espropriazione forzata di crediti sia competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o, qualora non si tratti di persona fisica, la sede.

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IL luogo di residenza, domicilio, dimora, o nel caso di persona giuridica, della sede del terzo continua ad avere valore ai fini della individuazione del giudice territorialmente competente soltanto nell’ipotesi in cui il debitore sia una pubblica amministrazione, a meno che le leggi speciali non stabiliscano diversamente.

La ragione sottesa a siffatta eccezione è illustrata dalla Relazione al decreto legge n. 132/2014 e consiste nella volontà di preservare l’efficienza del sistema di tutela giurisdizionale, evitando che i tribunali di alcune grandi città, tipicamente sedi di P.A, siano gravati da un eccessivo numero di procedimenti di espropriazione presso terzi.

La previsione generale di cui all’art. 26- bis, 2° co., c.p.c., oltre ad essere coerente con le modifiche apportate alle modalità con cui il terzo è tenuto a rendere la dichiarazione, ossia – di regola – per iscritto, ha l’ulteriore pregio di consentire la realizzazione del simultaneus processus in caso di pluralità di terzi.

Infatti il creditore, ante riforma 2014, che avesse voluto procedere all’espropriazione di crediti vantati dal proprio debitore nei confronti di più soggetti aventi residenza in circoscrizioni di diversi uffici giudiziari, non poteva citare tutti i terzi debitori a comparire davanti a un unico giudice da lui scelto, in deroga ai criteri di cui agli art. 26 e 543 c.p.c. Per contro egli avrebbe dovuto promuovere distinte procedure esecutive, in quanto l’inderogabilità della competenza stabilita per l’espropriazione forzata presso terzi dall’art. 26 c.p.c. determinava l’inapplicabilità al processo esecutivo dell’art. 33 c.p.c. che consente la deroga alle ordinarie regole di competenza per territorio in caso di cause proposte contro più persone.

L’art. 26-bis, 2° co, c.p.c., invece consentirà il simultaneus processus in caso di espropriazione di crediti.

Come si legge nella Relazione all’art. 19 del d.l. n. 132/2014

“la concentrazione presso un unico foro dei procedimenti di espropriazione di crediti a carico di un unico debitore e rivolti a più terzi debitori muove dall’esigenza di garantire un adeguato livello di tutela dell’esecutato consentendogli un pieno ricorso all’istituto della riduzione del pignoramento ex art. 546, 2° co, c.p.c. che presuppone la pendenza dei procedimenti espropriativi presso un unico giudice. Inoltre il

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simultaneus processus nell’espropriazione forzata di crediti evita ulteriori inconvenienti, quali la necessità di notificare molteplici atti di precetto in presenza di più terzi pignorati in forza di un credito vantato nei confronti dell’unico debitore, nonché l’onere per il debitore di proporre tante opposizioni per quanti sono i processi esecutivi generati da un’unica azione di recupero del credito”.

A tali vantaggi, allorquando il debitore sia una pubblica amministrazione si rinuncia per ragioni di efficienza dell’apparato della giustizia statale. Questi i pregi dell’introducendo art. 26-bis c.p.c.

Accanto a tali pregi, però coesistono alcune perplessità sollevate da D’alessandro.

La prima: per i procedimenti di espropriazione forzata concernenti cose mobili in possesso di un terzo sarà competente il giudice del luogo in cui le cose si trovavano; luogo che non necessariamente coincide con quello di residenza del terzo persona fisica, ovvero la sede del terzo persona giuridica. Ne deriva che per questa tipologia di espropriazione presso terzi, continuerà a mancare la possibilità di realizzazione del simultaneus processus.

La seconda perplessità trae origine da un difetto di coordinamento con il testo dell’art. 678 c.p.c., riguardante l’esecuzione del sequestro conservativo su beni mobili. Tale disposizione – che non è stata modificata dalla l. 162/2014 – dopo aver affermato che il sequestro conservativo su beni mobili e su crediti deve essere eseguito secondo le norme stabilite per il pignoramento presso terzi, stabilisce che

“il sequestrante debba, con l’atto di sequestro, citare il terzo a comparire davanti al tribunale del luogo di residenza del terzo stesso per rendere la dichiarazione di cui all’art. 547”.

Fortunatamente però siffatto difetto di coordinamento sembra agevolmente superabile facendo leva sulla parte inziale dell’art. 678 c.p.c. la quale richiama le norme stabilite per il pignoramento presso terzi comprese quelle sulla competenza di cui agli art. 26 e 26-bis, 2° co., c.p.c. La terza perplessità attiene alla possibile ricaduta che avrebbe l’introduzione dell’art. 26-bis c.p.c. sui confini della giurisdizione italiana.

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Infatti giova ricordare che con riferimento all’introducendo art. 26- bis, 1° comma c.p.cc, la Relazione al d.l. n. 132 afferma che:

“ la modifica dei criteri di competenza territoriale dell’espropriazione dei crediti non intercetta in alcun modo il tema del riparto della giurisdizione esecutiva tra i giudici appartenenti a Stati diversi, posto che il criterio della residenza del terzo di cui all’art. 26, non rileva quale indice di collegamento ex l. n. 218/1995, tenuto conto che il terzo pignorato non è colui che subisce l’azione esecutiva ”.

La precisazione per cui la residenza del terzo non rileva ai fini della sussistenza della giurisdizione esecutiva italiana, lascia intendere che modificando il criterio di competenza territoriale per l’espropriazione di crediti per mezzo dell’art. 26-bis c.p.c. il legislatore non ha in alcun modo inteso incidere sulle regole determinative della giurisdizione esecutiva, i cui limiti sono rimasti invariati. Ciò perché l’art. 26 e 26-bis c.p.c., almeno nelle intenzioni della legge di conversione n. 162/2014, sono soltanto norme sulla competenza territoriale e non anche norme sulla competenza giurisdizionale.

1.5.2. Modifiche rispetto alla legittimazione a dare inizio al procedimento di espropriazione presso terzi

La seconda novità introdotta dalla l. n. 162/2014 concerne la legittimazione a dare avvio, mediante il pignoramento, all’espropriazione presso terzi.

Infatti accanto alla prima via – modificata dalla riforma- del pignoramento presso terzi avviato su impulso del creditore - per effetto dell’introduzione dell’art. 492-bis nel c.p.c., non sarà più soltanto il creditore a poter dare inizio al procedimento esecutivo, potendo essere avviato su autonoma iniziativa dell’ufficiale giudiziario – seconda via -.

1.5.2.1 Pignoramento presso terzi ad iniziativa del creditore (prima via)

Il nuovo testo dell’art. 543 - dopo aver ribadito che il pignoramento presso terzi si perfeziona secondo le modalità introdotte dalla legge 228/2012 – cerca di porre rimedio a talune delle criticità originate dalla riforma del 2012.

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La prima modifica riguarda il c.d. sistema del doppio binario.

La riforma del 2012 aveva operato una distinzione fra crediti da lavoro e crediti di diversa natura.

Infatti mentre nel caso di crediti da lavoro il terzo deve comparire all’udienza per rendere la dichiarazione, nel caso di altri crediti o del possesso di cose mobili, può rendere la dichiarazione per iscritto, o se preferisce direttamente all’udienza. In questa sede se il creditore dichiara di non aver ricevuto alcuna dichiarazione scritta, neppure in via telematica, e neppure il terzo compare all’udienza di cui all’art. 543, n.4, c.p.c., il giudice è tenuto a fissare un’udienza successiva. Se il terzo non compare neppure a tale udienza per rendere la dichiarazione, il pignoramento si perfeziona per effetto dell’inerzia del terzo.

La riforma del 2014 elimina il sistema del doppio binario, cosicchè di regola, la dichiarazione dovrà essere resa dal terzo in forma scritta, personalmente o a mezzo di procuratore speciale o difensore munito di procura speciale ai sensi dell’art. 547 c.p.c. ed inviata per p.e.c. o per lettera raccomandata entro dieci giorni dal momento della ricezione della notifica dell’atto di pignoramento.

Il nuovo articolo 543, n.4 c.p.c, - recependo i suggerimenti contenuti nell’articolato del 3 dicembre 2013 elaborato dalla commissione Vaccarella - prevede che con l’atto di pignoramento notificato al terzo, quest’ultimo debba essere edotto delle conseguenze che la legge collega alla sua omessa partecipazione alla procedura esecutiva, ovvero nel caso di mancata dichiarazione, sarebbe stata pronunciata. In particolare il terzo deve essere avvisato che in caso di mancata dichiarazione – per iscritto ovvero all’udienza di cui all’art. 548 c.p.c. – il credito pignorato o il possesso delle cose appartenenti al debitore, nell’ammontare e nei termini indicati dal creditore, si considerano non contestati ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

Infine ai sensi del nuovo testo dell’art. 543, 4° co. c.p.c., spetterà al creditore, che avrà ricevuto dall’ufficiale giudiziario la consegna dell’originale dell’atto di citazione notificato, depositarne una copia conforme (attestata come tale dall’avvocato del creditore) presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione assieme al titolo esecutivo ed al precetto, nonché alla nota di iscrizione a ruolo, entro trenta giorni dalla

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