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Una volta asserita la portata normativa dell’art. 2645-ter c.c. in termini di disposizione volta a disciplinare tanto la fattispecie primaria – sebbene, come già osservato, di fattispecie in senso proprio si fatichi a parlare – quanto la fattispecie secondaria, resta da vedere quale sia la relazione di coordinamento tra le medesime.

In particolare, occorre indagare se dalla disciplina della fattispecie primaria discendano situazioni di natura reale od obbligatoria e come queste dialoghino con la regola di opponibilità contenuta nel dato normativo. In altri termini, è d’uopo fissare l’attenzione dapprima sulla natura del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e poi sul ruolo della pubblicità del vincolo medesimo.

L’importanza che riveste la distinzione tra situazioni reali e situazioni personali non è di poco momento76, specie avendo riguardo alle vicende circolatorie dei beni vincolati o alle tutele azionabili dai soggetti coinvolti nel fenomeno destinatorio. L’indagine sulla natura del vincolo risulta quindi direttamente correlata a quella sulle posizioni giuridiche soggettive che sorgono dall’imposizione del vincolo medesimo, questione che è spesso rimasta sullo sfondo delle riflessioni dottrinarie77 e che verrà approfondita più oltre.

Prima di esporre le ragioni per le quali, lo si anticipa, riteniamo di dover concludere per la natura obbligatoria del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 112, il quale sostiene che “da un lato v’è

l’introduzione di una regola di opponibilità, con rilievo reale, e, dall’altro, come la chiama Paolo Spada, una regola di fattispecie”.

76 Sull’importanza pratica della distinzione fra situazione reale e situazione personale v. COMPORTI M., Diritti reali in generale, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu A. e Messineo F. e continuato da Mengoni L., Vol. VIII-1, Milano, 1980, pp. 209 ss. Il tema è affrontato altresì, con la consueta lucidità sistematica, da BELFIORE A., Interpretazione e dommatica nella

teoria dei diritti reali, cit., passim.

77 Come non ha mancato di osservare CEOLIN M., La posizione soggettiva del beneficiario dell’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c., in Studium iuris, 2010, p. 883.

c.c.78, appare altamente opportuno sgombrare il campo da possibili equivoci sul piano semantico e precisare preliminarmente che i concetti di realità e opponibilità viaggiano su binari distinti79.

Per quanto spesso si sia fatto riferimento alla realità in funzione di opponibilità80 – probabilmente per la stretta connessione che indubbiamente i due concetti presentano nella teoria dei diritti reali – la prima attiene al fenomeno di diritto sostanziale, connotando il diritto, mentre la seconda concerne l’aspetto pubblicitario, essendo volta alla conoscibilità di un effetto che si è già prodotto81. Per riprendere la dicotomia tra fattispecie primaria e secondaria, la realità sarebbe predicato della fattispecie primaria, diversamente, l’opponibilità della fattispecie secondaria.

Sicché, è la fattispecie primaria a dover essere indagata per arrivare a sostenere la realità o l’obbligatorietà della fattispecie destinatoria. La regola di opponibilità, trovando il suo fondamento nella fattispecie primaria – che come già precisato, ne costituisce al contempo presupposto e oggetto – è ontologicamente inidonea a snaturare la situazione giuridica che con la stessa viene resa conoscibile ai terzi.

Quanto premesso sarebbe probabilmente già sufficiente per respingere la tesi che asserisce la realità del vincolo di destinazione, intesa come inerenza sulla cosa del vincolo medesimo, come tale idonea a incidere sulla pienezza del dominio. Ma vi è di più.

78 Concludere per l’obbligatorietà del vincolo non significa apprezzare positivamente la conclusione. In altri termini, in assenza di una idonea disciplina di riferimento, che il carattere obbligatorio sia quello più rispondente al sistema ordinamentale non significa condividere la bontà della soluzione (inconsapevolmente o meno) adottata dal legislatore.

79 L’art. 2645-ter c.c. nel suo essere disposizione volta a regolare tanto profili di natura sostanziale quanto profili pubblicitari si presta agevolmente a essere fonte di equivoco sul concetto di “realità”.

80 In tal senso sembra operare PETRELLI G., La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 190, il quale asserisce, con riferimento alla trascrizione prescritta dall’art. 2645-ter c.c., che la “formulazione letterale sembrerebbe inequivoca nell’attribuire alle parti interessate la scelta in ordine al tipo di efficacia che si vuole assegnare al vincolo di destinazione (reale oppure meramente obbligatoria)”.

81 FERRI L.-ZANELLI P., Della trascrizione, Trascrizione immobiliare in Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja A.– Branca G., Libro sesto, sub artt. 2643-2696, Bologna-Roma, 1995, pp.

195 ss.; sul punto v. anche COMPORTI M., op. ult. cit., pp. 96 ss.; CARNEVALI U., Appunti di diritto

Se per vincolo su un determinato bene si intende il peso posto su questo volto a comprimere le facoltà dominicali del proprietario, di riflesso a questa compressione dovrebbe corrispondere il sorgere di un diritto di pari estensione in capo a un altro soggetto. In altri termini, una volta ridotte le facoltà che competono al proprietario del bene, rimarrebbe uno spazio vuoto nel quale necessariamente deve inserirsi il diritto di un altro soggetto.

Orbene, è evidente che nella misura in cui si sostenga la realità del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. – e coerentemente (anche se non sempre così è parso82) la realità dei diritti soggettivi a seguito del vincolo – ne consegue inevitabile il confronto con i principi del numerus clausus e della tipicità dei diritti reali.

Prima di giungere alle argomentazioni secondo le quali, nonostante tutto, si ritiene ancora di dover credere in detti principi83, vale la pena di fissare l’attenzione sul dettato legislativo, che fa espresso riferimento alla locuzione “vincolo di destinazione”.

Una volta inquadrato, come sopra visto, il fenomeno destinatorio nell’orizzonte di senso della destinazione a uno scopo meritevole di tutela frutto di una dichiarazione di volontà negoziale, giova chiedersi a quale vicenda il legislatore volesse fare riferimento utilizzando il lemma “vincolo”; quest’ultimo si presta, infatti, ad assumere una valenza semantica evocativa tanto dell’impegno per un determinato soggetto, quanto del peso imposto su un determinato bene volto a perimetrare le facoltà dominicali del proprietario. Sul piano esemplificativo, è dato dell’esperienza che il nostro ordinamento conosca vincoli tanto di natura obbligatoria (e.g. il divieto di alienazione ex art. 1379 c.c.), quanto di natura reale (e.g. le servitù prediali ex artt. 1027 c.c. e ss.).

82 cfr. ANZANI G., Atti di destinazione patrimoniale: qualche riflessione alla luce dell’art. 2645 ter cod. civ., cit., p. 403, il quale, a fronte dell’asserita realità del vincolo, sostiene che “l’appagamento

dell’interesse del beneficiario, comunque, non sembra transitare per l’acquisto da parte sua di un diritto di natura reale come effetto immediato della stipulazione dell’atto di destinazione, ma semmai di un’aspettativa o di un credito verso il gestore”.

Focalizzando l’attenzione sui vincoli reali, ai quali la dottrina che appare prevalente84 – pur con le perplessità destate dalla confusione dei piani di realità e opponibilità – sembra ricondurre il vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., questi consistono, secondo la definizione fornita da autorevolissima dottrina85, nella imposizione di un peso o di un onere su un bene determinato. L’art. 2645-ter c.c. avrebbe pertanto coniato una figura di vincolo connotata da una pretesa realità, in ragione dell’essenza della destinazione come fenomeno idoneo a comprimere la proprietà sul piano reale, il che, a parere di alcuna dottrina86, troverebbe ulteriore conferma nella previsione legislativa che oggetto del vincolo possono essere soltanto beni immobili o mobili registrati, vale a dire “cose specificamente individuate, escludendo che la destinazione possa riguardare, in generale, attività patrimoniali, o una parte non specificata del patrimonio del soggetto”87. La natura reale e non già obbligatoria sarebbe altresì corollario del portato dell’attribuzione a qualsiasi interessato della facoltà di agire per la realizzazione della destinazione88.

Le argomentazioni addotte non appaiono convincenti. Quanto alla prima, è vero che il vincolo debba riguardare beni specificamente individuati, ma la circostanza che il legislatore abbia contemplato espressamente beni immobili o mobili registrati non è di per sé indice della realità del vincolo, posto che si tratta di una bipartizione non esaustiva delle entità suscettibili di essere oggetto di diritti reali; l’indicazione legislativa sembra più rivolta nel senso di individuare beni sottoposti a un adeguato regime pubblicitario, come tale idoneo a rendere conoscibile il vincolo. Altrimenti, anche beni mobili non

84 La natura reale del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. è riconosciuta da numerosi autori, fra i quali AZARA A., Atto di destinazione ed effetto traslativo, cit., p. 721; PALERMO G., I

negozi di destinazione nel sistema di diritto positivo, cit., p. 88; PETRELLI G., La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 187; RUSSO E., Il negozio di destinazione di beni immobili o di mobili

registrati (art. 2645 ter c.c.), in Vita not., 2006, p. 1247; contra GAZZONI F., Osservazioni sull’art. 2645-ter c.c., cit., p. 166; BARALIS G., Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c., cit., pp. 139 ss.; NICOLAI M., Il negozio di destinazione e la segregazione del patrimonio, cit., pp. 65 ss.; MOSCATI E., Il

testamento quale fonte di vincoli di destinazione, in Riv. dir. civ., 2015, spec. pp. 272-273.

85 GAZZONI F., La trascrizione immobiliare, in Il codice civile, Commentario diretto da Schlesinger P., II, artt. 2646-2651, Milano, 1993, pp. 166-167.

86 RUSSO E., Il negozio di destinazione di beni immobili o di mobili registrati, cit., p. 1247. 87 Ibidem.

registrati potrebbero risultare specificamente indicati, ma come tali esulano (forse) dall’ambito di applicazione della norma. Del pari, sembra ultroneo ricavare dall’attribuzione a qualsiasi interessato della facoltà di agire per la realizzazione della destinazione una pretesa natura reale. Una tale attribuzione si muove sul piano della legittimazione ad agire per un interesse proprio (anche lato sensu) per l’attuazione di un diritto altrui. A ben vedere, una tale scissione tra titolarità della pretesa e legittimazione a farla valere si riscontra altresì nella figura dell’onere (testamentario o donativo), ma ciò non ne fa dubitare in ordine alla natura obbligatoria89. Ciò posto, le critiche più forti che possono muoversi a una tale ricostruzione si fondano ancora sui tradizionali principi del numerus clausus e della tipicità dei diritti reali90, sui quali si ritiene ancora di dover credere, nonostante le varie aperture che si sono nel tempo registrate in dottrina circa l’anacronismo di tali categorie91; in sintesi, non sarebbe concesso all’autonomia negoziale né di ampliare il novero dei diritti reali, né tantomeno di alterarne i contenuti, e ciò essenzialmente per garantire un corretto svolgimento dei traffici giuridici, in particolare modo per ciò che concerne la circolazione dei beni.

Un primo argomento a supporto della tipicità è l’assenza, in tema di diritti reali, di una disposizione analoga all’art. 1322, comma 2, c.c., considerata come lo strumento dell’autonomia contrattuale per ricorrere a figure negoziali non legislativamente tipizzate92. Orbene, non può negarsi come il vincolo di 89 CAPOZZI G., Successioni e donazioni, t. 1, Milano, 2009, p. 898 e richiami ivi effettuati. 90 Per una diffusa trattazione su tali principi si rinvia a COMPORTI M., Diritti reali in generale, cit., pp. 209 ss.; MORELLO U., Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in GAMBARO A.–MORELLO U., Trattato dei diritti reali, I, Proprietà e possesso, Milano, 2008, pp. 67 ss. 91 Per tutti NICOLÒ R., voce Diritto civile, cit., p. 908; COSTANZA M., Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, cit., pp. 421-423. Con specifico riguardo alla destinazione di beni a uno scopo v. LA PORTA U., Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, cit., spec. pp. 82 ss. 92 Di recente peraltro è stata la Suprema Corte (Cass., 4 febbraio 2010, n. 2651, reperibile in Notariato, 2010, p. 364), in tema di servitù, a ribadire che il principio di atipicità contrattuale

sancito dal secondo comma dell’art. 1322 c.c. consentirebbe all’autonomia negoziale la creazione di vincoli obbligatori e non reali; si legge infatti nel testo della decisione che “in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 cod. civ., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori; pertanto, invece di prevedere l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come qualitas fundi, le parti ben possono pattuire un obbligo personale,

destinazione ex art. 2645-ter c.c., il quale, per un verso, è per definizione legislativa “aperto” nei contenuti – in quanto può conformarsi a un indefinito novero di interessi meritevoli di tutela – e, per altro verso, opera un espresso richiamo all’art. 1322, comma 2, c.c., potrebbe aprire una breccia nella solidità del suddetto argomento93. Tuttavia, ciò, a ben vedere, solo se si accolga aprioristicamente la visione del vincolo di destinazione come vincolo di natura reale; a diversa conclusione dovrebbe infatti giungersi ove si inverta il presupposto di partenza.

A favore del principio di tassatività, come in parte già accennato, si prospetta l’esigenza di non intralciare la circolazione giuridica mediante la concessione ai privati del potere di creare arbitrariamente vincoli sulla proprietà, come tali idonei a pregiudicare le facoltà dominicali dei futuri acquirenti, i quali non sarebbero dotati di mezzi adeguati al fine di conoscere a quale tipo di compressione sarebbe soggetto il diritto di proprietà. Sul punto, potrebbe sostenersi che proprio attraverso l’art. 2645-ter c.c. si sia aperta la strada per la creazione di vincoli “atipici” sulla proprietà, e ciò anche a detrimento di eventuali esigenze legate alle vicende circolatorie dei beni vincolati, ma a ben vedere, nuovamente, una tale argomentazione regge nella misura in cui si parta dalla petizione di principio che il vincolo di destinazione sia connotato da realità.

Vi osta, inoltre, l’osservazione operata da autorevole dottrina94, secondo la quale l’art. 1322 c.c. – richiamato dall’art. 2645-ter c.c. – andrebbe letto in coordinamento con l’art. 1372 c.c., con il quale formerebbe un unico corpo normativo disciplinante (unicamente) l’atipicità dei rapporti obbligatori e solo di questi. Sembra, pertanto, che (avvertitamente o meno) il legislatore non abbia inteso attribuire al vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. la capacità di incidere dall’interno sul diritto dominicale, ma di limitare quest’ultimo dall’esterno, vale a dire sul piano obbligatorio95.

configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria”.

93 In tal senso PETRELLI G., La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 187. 94 NATUCCI A., La tipicità dei diritti reali, Padova, 1988, p. 203.

In ultima analisi, posto che le argomentazioni a sostegno dei principi di tipicità e tassatività dei diritti reali sembrano ancora trovare un proprio fondamento nella realtà economica, la domanda che ne risulta è: può il titolare del diritto di proprietà su un determinato bene perimetrare le proprie facoltà dominicali mediante l’apposizione di un vincolo di destinazione (reale) potenzialmente “aperto” nei contenuti?

Seppur sommessamente, per le ragioni anzidette, non pare potersi condividere con una visione che porti, inter alia, al riconoscimento della natura reale del vincolo di destinazione, senza per adesso considerare la difficoltà di concepire una scissione tra la natura del vincolo e la natura della posizione giuridica del beneficiario.

Si deve purtuttavia riconoscere come il dato normativo sul punto si riveli particolarmente critico sul piano esegetico, fornendo indici che, se da un lato farebbero propendere per la realità del vincolo (e.g. “beni ... destinati”), dall’altro lato inducono l’interprete verso una ricostruzione della situazione giuridica in termini di obbligatorietà (i.e. legittimazione attiva a pretendere l’attuazione del vincolo). Tuttavia, ove si accolga in tesi il perdurare dei principi di tipicità e del numerus clausus dei diritti reali, non potrà non concludersi come l’art. 2645-ter c.c. renda tipico un modello, ma non i relativi contenuti, rivelandosi inidoneo ad aver coniato un vincolo reale96. In linea generale, la regola dell’inopponibilità di un vincolo obbligatorio ai terzi aventi causa è il frutto dell’assenza di un sistema di pubblicità dichiarativa idoneo a rendere conoscibili tali situazioni giuridiche. Sarebbe, pertanto, proprio nella prevista trascrizione ai fini dell’opponibilità che dovrebbe cercarsi l’elemento di novità rispetto al passato, vale a dire rendere opponibile un vincolo obbligatorio di natura pattizia.

Tuttavia, i piani di opponibilità e realità debbono rimanere ben distinti: non è infatti l’opponibilità di una determinata situazione giuridica a connotarla di realità, in quanto si tratta di concetti che viaggiano su due binari solitamente vicini, ma non coincidenti.

Atti di destinazione del patrimonio e rapporti reali, in Contr. e impr., 2008, p. 1067.

La trascrizione, nella sua funzione dichiarativa non è di per sé strumento idoneo a mutare la natura del diritto sostanziale soggetto a pubblicità, senza peraltro considerare che, per espressa scelta di del legislatore, sono trascrivibili atti aventi ad oggetto tanto diritti reali (per tutti, la proprietà), quanto diritti obbligatori (e.g. locazioni ultranovennali). La regola di opponibilità è (solitamente) funzionale alla risoluzione di conflitti circolatori che riguardano i beni, mentre la realità riguarda l’ontologia della situazione sostanziale97.

È solo dalla tipicità legale che può discendere il carattere reale del vincolo e della destinazione, e non dalla regola d’opponibilità.

In conclusione, sembra allo stato dell’arte doversi respingere la ricostruzione del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. in termini di vincolo connotato da realità, dovendosi forse più appropriatamente propendere per un vincolo che, sebbene dotato di caratteristiche volte a rafforzarne la portata (e.g. peculiare disciplina in ordine all’espropriabilità dei beni vincolati; trascrivibilità), rimane dogmaticamente collocato nell’alveo dei vincoli obbligatori.

Peraltro, se come sostiene autorevole dottrina l’art. 2645-ter c.c. non avesse fatto altro che legittimare e riconoscere una categoria di negozi già presente98, seppur per elaborazione dottrinale, nel nostro ordinamento, per coerenza a fortiori non può attribuirsi alla norma (così per come formulata) il potere di conformare sul piano reale il diritto di proprietà; in altri termini, se l’art. 2645- ter c.c. comporta l’implicito riconoscimento e non già la creazione della categoria dei negozi di destinazione, categoria che poteva esplicare i propri effetti squisitamente sul piano obbligatorio, non si scorge tra le maglie dell’art. 2645-ter c.c. la capacità di stravolgere la natura dell’atto e portarlo, attraverso il meccanismo pubblicitario, dal piano obbligatorio al piano reale.