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Tra naturalismo e modernismo: De Roberto sulla soglia del Novecento

2. I Viceré: un romanzo di fine secolo

2.5. Concezioni del moderno: cultura della crisi e rinuncia al romanzesco

2.5.1. Tra naturalismo e modernismo: De Roberto sulla soglia del Novecento

Per quanto riguarda invece la rinuncia al romanzesco e l’avvicinamento ad una poetica dell’«insignificanza»325, il senso dell’attribuzione dell’Illusione e in generale dell’opera di De Roberto al modernismo per certi versi si complica: attorno alla categoria qui discussa, infatti, si affollano le interpretazioni e i tentativi di storicizzazione da parte di diversi settori della critica italiana. Di seguito sarà offerta una panoramica dei diversi schieramenti, con l’unica intenzione di toccare, anche solo brevemente e in chiusura al capitolo, il problema della continuità tra naturalismo e modernismo.

2.5.1. Tra naturalismo e modernismo: De Roberto sulla soglia del Novecento

Il dibattito sulla categoria di modernismo in riferimento alla letteratura primonovecentesca è relativamente recente in Italia: i primi contributi critici risalgono infatti alla fine degli anni Novanta e ai primi anni Duemila e rispondono, in modi molto diversi, ad una nuova necessità di periodizzazione.326 Ritenuta ormai insufficiente l’etichetta di decadentismo, sulla scorta di una radicale diversità degli autori associati a questa fase, si è tentato di scioglierne il significato distinguendo tra di loro i diversi fenomeni che vi confluivano, con conseguente svuotamento della categoria e perdita della sua funzione. Questa operazione di distinzione è stata condotta soprattutto sulla base del rapporto che i vari fenomeni letterari intrattennero, all’inizio del Novecento, con la tradizione ottocentesca: si è proseguito, dunque, e da punti di vista diversi, col

325 M. GANERI, Le cicatrici dell’adulterio, in op. cit., p. 63. Nell’affermare questo la studiosa si riallaccia alle osservazioni che Romano Luperini fa in L’incontro e il caso: narrazioni moderne e destino dell’uomo

occidentale (Laterza, Roma 2007): l’adulterio, infatti, potrebbe essere considerato come una «variante

interna» della categoria dell’incontro romanzesco; il fatto che entri in una fase di declino, in quanto tema, proprio nelle grandi opere del modernismo italiano – mentre aveva costituito una costante nella fase di formazione degli autori – può essere attribuito alla sua svalutazione in quanto esperienza che trasforma il soggetto: nel romanzo del primo Novecento gli incontri tra i personaggi, di cui l’adulterio è un caso particolare, perdono la loro capacità strutturante, ossia non orientano più la trama. Un aspetto, quello del passaggio all’insignificanza dell’incontro, che Luperini indaga già a proposito dell’Éducation sentimentale e che ritroveremo nei Viceré in forme del tutto particolari.

326 Tra i primi contributi: alcune considerazioni già presenti in Naturalismo e verismo (1998) di PIERLUIGI PELLINI, il primo in Italia a porre la questione del modernismo; per un decisivo inquadramento del problema, il suo successivo In una casa di vetro. Generi e temi del naturalismo europeo (entrambi già citati in questa tesi); Italian Modernism: Italian culture between decadentism and avant-garde (2004) di LUCA SOMIGLI e MARIO MORONI, studiosi dell’Università di Toronto; cui seguono le brevi annotazioni di ROMANO LUPERINI in Verga moderno (2005), in polemica rispetto all’idea pelliniana di una sostanziale continuità di fenomeni tra naturalismo e modernismo; infine RAFFAELE DONNARUMMA con Gadda

modernista (2006) e la redazione della rivista «Allegoria» che dedica alla questione un intero numero nel

2011 («Allegoria», 63) e partecipa alla scrittura di un volume collettaneo nel 2012 (il già citato Sul

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contrapporre i gesti di aperta rottura col passato, o di messa in discussione forte, a quelli che invece praticano, sul piano delle forme e dei temi, un’idea della letteratura ancora fiduciosa nella centralità dell’intellettuale in quanto erudito.

La lettura di Romano Luperini e del gruppo di «Allegoria» tende a distinguere innanzitutto il modernismo in quanto «generica tendenza culturale»327 e «categoria interpretativa»328 dall’insieme delle avanguardie storiche, che della linea modernista rappresentano solo un «momento unilaterale»329 ed estremo. Pur essendo concomitanti, avanguardia e modernismo si distinsero per il diverso rapporto con la tradizione letteraria: la prima, infatti, decisa a operare una rivoluzione dell’arte che partisse dalla «distruzione cinica»330 di ciò che è venuto prima, rifiuta il rapporto coi classici; gli scrittori modernisti, invece, maturano un atteggiamento «critico e dialettico» nei confronti della realtà ma soprattutto mostrano una «volontà instaurativa» all’interno del campo letterario. Questi ultimi, cioè, mirano a classicizzarsi muovendo dalla critica al concetto di «trasparenza della forma narrativa rispetto al mondo»331, tipica del paradigma ottocentesco: pur continuando a porsi come narrazione realistica in senza auerbachiano332, il modernismo non condivide col realismo à la Balzac l’idea dell’opera letteraria in quanto forma che rispecchi fedelmente il reale; al contrario, l’opera d’arte è sempre una costruzione formale, un artificio: la verità, piuttosto, vi compare come qualcosa da cercare (le indagini irrisolte di Gadda) o vi passa nella forma intermittente e momentanea delle epifanie. Le due fasi del modernismo storico – la prima distinta dalla concomitanza con l’avanguardia, la seconda attraversata da un’istanza di classicizzazione e normalizzazione all’interno del campo letterario – si collocherebbero dunque tra il 1904 e il 1939333; successivamente,

327 ROMANO LUPERINI, Il modernismo italiano esiste in Sul modernismo italiano, p. 7.

328 RAFFAELE DONNARUMMA, Tracciato del Modernismo italiano in Sul modernismo italiano, p. 15.

329 Ibidem, p. 16.

330 Ibidem.

331 R.DONNARUMMA, Tracciato del modernismo italiano in op. cit., p. 26.

332 Il modernismo è realista nella misura in cui non rinuncia ad una rappresentazione seria della vita quotidiana e a proporre una narrazione all’altezza dei tempi: semplicemente, com’è stato già detto (ivi, p.15), per via di una «metamorfosi percettiva» del modo di intendere l’esistenza, è la vita psicologica a diventare oggetto di una mimesi della particolarità. (MAZZONI, p. 309).

333 Secondo la periodizzazione per opere decisive utilizzata da Raffaele Donnarumma, la prima fase va dal 1904 (Il fu Mattia Pascal) al 1925, data di pubblicazione della prima edizione degli Ossi di seppia di Eugenio Montale; la seconda fase va dal 1925 al 1939, l’anno di Conversazioni in Sicilia. Lo studioso si rifà in parte ai limiti fissati da RICCARDO CASTELLANA (Realismo modernista in «Italianistica», 1, 2010, pp. 23-45), in parte a MASSIMILIANO TORTORA (La narrativa modernista italiana in «Allegoria», 63, 2011, pp. 84-5): rispettivamente 1915-1925 (considerati «troppo costrittivi») e 1904-1929, il cui termine finale corrisponde all’anno in cui escono Gli indifferenti di Moravia (DONNARUMMA, p. 21, nota).

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con l’uscita di Conversazioni in Sicilia (1938-1939) di Elio Vittorini sembra schiudersi una nuova fase, quella del neorealismo, oltre la quale la linea modernista si ripresenterà in forme isolate oppure nelle vesti in parte rinnovate della metà degli anni Sessanta.334

Dalle valutazioni di Luperini e del gruppo di «Allegoria» un aspetto emerge su tutti: la soglia d’inizio secolo non può essere ignorata in fase di periodizzazione, sia in termini di ricadute sull’immaginario collettivo sia per una radicale destrutturazione degli ordini narrativi, che con Il fu Mattia Pascal si presentano, per la prima volta, in modo compiuto, ossia insieme a tutti gli elementi che oggi riteniamo pienamente modernisti: il relativismo filosofico, il narratore inaffidabile, lo svuotamento dell’idea di identità, la realtà come proiezione del soggetto, il ricorso al soliloquio e all’incursione del saggismo nella forma romanzo. Il coagularsi di tutti questi aspetti è dovuto alla coscienza di una soglia, di un passaggio definitivo alla modernità. Un atteggiamento in aperta polemica con questo tentativo di storicizzazione è quello di Pierluigi Pellini, il quale svaluta il passaggio di secolo per attribuire già al romanzo naturalista e verista dei requisiti di modernità. Tali requisiti permetterebbero di allargare la categoria di modernismo in quanto «atmosfera culturale in cui si sviluppa un’articolata pluralità di diversi movimenti letterari»335; esso si estenderebbe dal secondo Ottocento a tutta la prima metà del Novecento e accomuna, senza abolirne le differenze, scrittori come Verga, Marinetti e Svevo nella misura in cui questi, insieme ad altri, si oppongono con le loro poetiche al romanticismo e alle convenzioni del primo Ottocento. La rinuncia al romanzesco e agli eventi narrativi dotati di capacità strutturante, la desublimazione del sentimento amoroso, della morte e di altri avvenimenti antropologicamente rilevanti, le infrazioni alla coerenza psicologica dei personaggi, la cui Bildung risulta spesso svuotata o segnata da involuzioni e cambi di passo repentini336: tutti questi aspetti già presenti in Flaubert e Zola si affermerebbero pienamente solo nel Novecento, quando il romanzo si farà carico «definitivamente della

334 È ciò che viene chiamato neomodernismo: riguarda in misura maggiore la poesia (alcune opere degli anni Sessanta di poeti come Zanzotto, Luzi, Sereni, Raboni), decisamente meno la prosa; anche in questo caso la linea modernista non è la sola: nel Novecento, dunque, è sempre «complicata da altre linee: quelle dell’avanguardia storica e della neoavanguardia, quella dell’ermetismo e del neorealismo, quella del postmoderno» (DONNARUMMA, p. 37).

335 P.PELLINI, Naturalismo e modernismo, p. 190, nota.

336 Si tratta di fenomeni che lo studioso analizza diffusamente nella sua produzione saggistica, nello specifico: per un’analisi del motivo della desublimazione e, più in generale, sul rifiuto del romanzesco sono centrali L’ultima parola del becchino. Sulla rappresentazione della morte nella narrativa naturalista e verista e Il flâneur nella città dei morti. Cimiteri naturalisti entrambi in In una casa di vetro (2004); sui finali in sordina e sulla generale destrutturazione del romanzo di primo Ottocento, invece, Naturalismo e

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crisi, della frammentazione, della perdita d’identità; quando esplodono i paradossi della poetica naturalista».337 De Roberto, per certi versi, si colloca sulla soglia di questa «esplosione»: L’Illusione, ad esempio, potrebbe essere visto come un tentativo pioneristico di trasferimento «sul terreno dell’analisi psicologica» degli «strumenti conoscitivi elaborati dal naturalismo sociale».338 È ancora un testo di «psicologia sperimentale», da ricollegare all’istanza genericamente laboratoriale che attraversa tutta l’attività dello scrittore.

Più in generale, e secondo la scansione per soglie generiche operata da Mazzoni, l’erosione del paradigma ottocentesco avverrebbe per tappe, sulla base di rapporti di continuità e rottura: tra il 1850 e il 1890 «compimento e dissoluzione si mescolano dentro le opere degli stessi autori»339, e ciò qualifica il secondo Ottocento come un’età di sperimentazione: aspetti come «il rifiuto del finale netto» o l’idea che «non esistano eventi assoluti [in grado di] arrestare il divenire» vedono la luce proprio in questi anni, prima di essere «trasmessi» al modernismo.340 Negli anni Novanta dell’Ottocento, poi, la «rottura» rispetto al passato finisce per prevalere; il processo di destrutturazione del soggetto romanzesco e delle trame si afferma infine come tendenza egemone nei primi quattro decenni del Novecento, in cui «l’arte perde la sua ovvietà e comincia l’epoca del pieno modernismo».341 De Roberto, come il Verga di Mastro-don Gesualdo, è attivo nel momento di massima crisi di un’idea genericamente ottocentesca, che nel naturalismo si era specificata nello studio dell’ambiente: la forma letteraria come via alla conoscibilità del reale. Nei Viceré, invece, domina l’opacizzazione della realtà fattuale, causata dalla «confusione dei discorsi e dei valori» operativa nella voce narrante342 e da una «ridondanza discorsiva che avvolge ogni avvenimento in una rete di narrazioni divergenti e di commenti contrapposti»343: unica struttura di contenimento della dispersione del senso nel romanzo è la genealogia, che si presenta però nelle vesti di una linearità svuotata. Si potrebbe dunque vedere nello schema familiare del romanzo l’ultima, e ormai sbrindellata, attestazione del dispositivo genealogico per come lo aveva concepito Zola:

337 P.PELLINI, Naturalismo e verismo, p. 111.

338 Ibidem, p. 11.

339 G.MAZZONI, op. cit., p. 307.

340 Ibidem.

341 Ibidem.

342 P.PELLINI, Naturalismo e verismo, p. 75.

343 Ibidem,p. 125. Pellini tuttavia riprende in questa sede alcune osservazioni di Marina Polacco (Il romanzo

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in Europa, dopo i Viceré, le grandi opere moderniste si serviranno infatti dell’opera ciclica o della serie per rappresentare le avventure della coscienza.

La coazione a ripetere, la circolarità dei motivi in cui si inceppa il romanzo naturalista nelle sue ultime attestazioni – elementi già rintracciabili, secondo Pellini in Zola344 – sono dovuti ad uno smottamento del piano a cui si colloca la voce del narratore. Su questo terreno, alla fine dell’Ottocento, si scontrano «il teorico positivista» e il «narratore moderno»: De Roberto si colloca ancora dentro questa fondamentale contraddizione.

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3. Le forme del testo: una lettura dei Viceré