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Le ragioni di un insuccesso: il romanzo in Italia fra Ottocento e Novecento

2. I Viceré: un romanzo di fine secolo

2.1 Ricezione dell’opera e breve storia della critica

2.2.1. Le ragioni di un insuccesso: il romanzo in Italia fra Ottocento e Novecento

possono essere non solo motivati prendendo in esame le dinamiche che interessano la ricezione di opere letterarie in Italia negli anni Novanta dell’Ottocento, ma circoscrivono anche la fisionomia di un testo fin da subito resistente alla classificazione. Nel prossimo paragrafo si tenterà di fornire una panoramica del primo problema, per spostare lo sguardo dalla ricezione immediata del romanzo verso l’orizzonte di attesa del pubblico e dell’editoria di allora.

2.2.1. Le ragioni di un insuccesso: il romanzo in Italia fra Ottocento e Novecento

Negli ultimi tre decenni dell’Ottocento l’editoria italiana è letteralmente invasa dalle opere di autori francesi contemporanei, tradotte in massa e pubblicate nelle appendici di quotidiani e riviste. Questa invasione della narrativa francese «interessa soprattutto la letteratura che si può considerare più commerciale»200, o che comunque sapeva coniugare «intrattenimento e prestigio pedagogico»201, come nel caso di Jules Verne, che si conferma, con 183 traduzioni identificate, l’autore più tradotto in Italia per il trentennio 1886-1913.202 Dopo di lui, si impongono nelle classifiche i roman feuilleton di Dumas padre e figlio, Xavier de Montépin e Pierre-Alexis Ponson du Terrail, le cui opere determinano la fortuna della casa editrice milanese Sonzogno e in particolare del suo quotidiano «Il Secolo».203 Altri editori italiani, pur contando sui feuilletonistes francesi per consolidare il proprio fatturato, si interessano anche agli scrittori che in questi anni sono impegnati in progetti innovativi sul fronte del romanzo. Questo «duplice orientamento»204 dell’editoria – in parte attenta ai fenomeni letterari destinati al grande pubblico, in parte impegnata in un’attività di ricerca e promozione di romanzi di rottura rispetto alla tradizione – è ben esemplificato dall’editore Treves, che nel 1889, rispettivamente a maggio e a dicembre, dà alle stampe Il piacere di Gabriele D’Annunzio

200 VALENTINA PEROZZO, Romanzi, romanzieri, società in Italia alla fine dell’Ottocento: una banca dati e

un progetto di ricerca, in «La Fabbrica del libro», 2013, 1, p. 31.

201 PIERLUIGI PELLINI, Il romanzo attraverso i francesi, in Il romanzo in Italia, II L’Ottocento, p. 324.

202 RAPHAËL MULLER, La diffusione del libro francese nell’Italia liberale, in «La Fabbrica del Libro», 2013, 1, p. 35.

203 Ibidem, pp. 30-31. Creato nel 1866 da Sonzogno, il quotidiano «Il Secolo» arrivò «fino a 130.000 esemplari al giorno nel 1883. […] Lanciati con un’intensa pubblicità, questi romanzi non erano tuttavia quelli pubblicati in volume da Sonzogno», ma facevano parte di collane specializzate, come la “Biblioteca romantica illustrata” o la “Biblioteca romantica tascabile”. Talvolta «i volumi della casa erano offerti a coloro che si abbonavano al Secolo» (ivi, pp. 36-7).

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e Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga, per pubblicare poi, solo tre anni dopo, La

scimitarra di Budda di Emilio Salgari.205

Prima di affrontare direttamente il tipo di «coincidenze editoriali antitetiche»206 esemplificato dalle opere di D’Annunzio e Verga, sarà bene ricordare che in ambito italiano, oltre al fenomeno delle traduzioni, va affermandosi il romanzo parlamentare, un sottogenere che fiorisce negli ultimi decenni dell’Ottocento e che si esaurisce presto, attestandosi poco oltre la soglia del secolo. Incentrato sulle vicende nazionali più recenti e in generale legato tematicamente alle disfunzioni della democrazia rappresentativa, questo filone letterario mescola la «condanna della politica parlamentare» all’incapacità di sondare gli intricati meccanismi del potere.207 Romanzi come Diamante nero (1897) di Anton Giulio Barrili, Onorevole Paolo Leonforte (1894) di Enrico Castelnuovo,

Daniele Cortis di Antonio Fogazzaro e La conquista di Roma di Matilde Serao, questi

ultimi usciti entrambi nel 1885, ottengono un buon successo, sia di pubblico che di critica, determinando l’apprezzamento da parte di quella piccola e media borghesia cittadina di cui questi autori si fanno «tranquillizzanti cantori».208 Più raro è l’interesse degli autori di talento per questa forma, che di fatto rimane, salvo qualche eccezione, limitata all’attività di scrittori oggi ritenuti minori; da ricordare, tuttavia, sono due eccezioni di rilievo: il progetto di romanzo parlamentare di Giovanni Verga, l’Onorevole Scipioni, che avrebbe dovuto costituire, secondo il quadro delineato nel 1878209, il quarto volume della serie dei Vinti, e il romanzo L’imperio di Federico De Roberto, che esce postumo nel 1929 e che già nel 1894 viene rubricato, dallo stesso autore, tra i suoi «romanzi di costume» ancora in cantiere e destinato a rimanere incompiuto.210

L’arco di tempo interessato dalla fortuna del romanzo commerciale d’Oltralpe e dalla diffusione, seppur di breve durata, di sottogeneri molto popolari, come il romanzo

205 GIANCARLO ALFANO,op. cit., p. 270.

206 GINO TELLINI, Il romanzo italiano dell’Ottocento e Novecento, Mondadori, Milano 1998, p. 211.

207 CLOTILDE BERTONI, Il romanzo parlamentare, in Il romanzo in Italia. II L’Ottocento, pp. 435-6.

208 V.PEROZZO, op. cit., p. 31.

209 Il piano della serie dei Vinti compare in una lettera a Salvatore Paola Verdura del 21 aprile 1878, ora in GIOVANNI VERGA, Lettere sparse, a cura di G. Finocchiaro Chimirri, Bulzoni, Roma 1979, pp. 79-80.

210 U.OJETTI, op. cit., p. 112. Nel 1894 l’autore afferma di aver trascorso «parecchi mesi» a Roma per raccogliere materiali su un «romanzo di vita parlamentare». La stesura del romanzo è particolarmente complessa, benché l’idea arrivi presto (già in una lettera all’amico Ferdinando De Giorgi nel 1891 lo scrittore afferma di voler scrivere «un romanzo sull’Italia politica contemporanea»); nonostante i soggiorni nella capitale, il primo nel 1894, il secondo tra il 1908 e il 1910 e il terzo, più breve, nel 1913, De Roberto riuscirà a riprendere a stento l’opera, dopo quindici anni dalla stesura dei primi cinque capitoli (avvenuta tra il 1893 e il 1895), riuscendo a completare soltanto altri quattro capitoli. (A. CAVALLI PASINI, pp. 81-2).

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parlamentare o finanziario, è anche quello in cui si svolge la parabola del verismo italiano, le cui opere vedono la luce in un quadro editoriale che scommetteva principalmente sulla fruizione di massa di schemi narrativi tradizionali e consolatori, improntanti ad una lettura d’evasione. Il successo del romanzo di stampo feuilletonistico, «sulla scia dei romanzi dannunziani», ebbe tra l’altro il ruolo

da un lato, di ammortizzare le tensioni al miglioramento sociale e le eventuali spinte eversive di quella classe subalterna (gli operai e, per molti versi, le donne in quanto tali) appena avviata, attraverso la progressiva alfabetizzazione di massa, a una lettura autonoma; […] dall’altro, di soddisfare il desiderio di “ordine” sociale coltivato da una borghesia in ascesa.211

L’editore Treves pubblica I Malavoglia nel 1881: il romanzo rimarrà «un libro di nicchia, rivolto a una cerchia (per lo più milanese) di letterati anticonformisti», ma soprattutto solleverà qualche perplessità tra le file della critica a proposito della veste linguistica e sintattica considerata «radicalmente antiletteraria».212 Il secondo volume dei Vinti,

Mastro-don Gesualdo, viene pubblicato, come abbiamo visto, nello stesso anno in cui

vede le stampe Il piacere di D’Annunzio, e sarà definito dal suo stesso autore un colossale «fiasco» di pubblico: per questo motivo l’anno 1889 può essere considerato particolarmente significativo nel momento in cui si debba dar conto della sovrapposizione di esperienze letterarie e culturali che, pur convergendo cronologicamente, divergono per presupposti ideologici e stilistici e per il rapporto tra forma letteraria e Storia. In questo periodo, accanto alla linea verista, decisamente estranea alle classifiche delle vendite, corrono parallele quella dello spiritualista Antonio Fogazzaro e dell’esteta D’Annunzio: questi progetti letterari sono da vedere come «fenomeni distinti, eppure omologhi perché funzionali a un’energica volontà di rivincita dinanzi allo squallore del presente».213

211 A.CAVALLI PASINI, op. cit., p. 110-1.

212 PIERLUIGI PELLINI, Verga, il Mulino, Bologna 2012, p. 104. Quella del rapporto di implicazione tra il «prevalente interesse sociologico degli scrittori naturalisti» e la «trascuratezza formale» della loro scrittura costituirà uno dei grandi luoghi comuni della critica ottocentesca a proposito del naturalismo, considerato per lungo tempo «un’appendice attardata del grande realismo d’inizio Ottocento» e dunque incapace «di innovare le strutture del genere romanzesco» (PIERLUIGI PELLINI, Naturalismo e verismo, La nuova Italia, Scandicci 1998, pp. 1-2).

213 G.TELLINI, op. cit., p. 211. A questo «squallore» generalmente percepito contribuiscono sicuramente la sfiducia nella democrazia rappresentativa negli anni del trasformismo, la depressione economica (1888-1893), la crisi agraria e la conseguente repressione delle lotte sociali, tra cui anche i Fasci siciliani (1893). Sul piano esclusivamente filosofico, un nuovo elemento è l’insufficienza delle teorie positiviste, che vivono una stagione di crisi, prima di essere duramente criticate nell’ambito di una svolta antipositivista che attraversa l’Italia e l’Europa.

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A caratterizzarli, oltre ad una forma di «autobiografismo trasposto», è un impianto romanzesco il cui il ritorno al narratore onnisciente impedisce qualsiasi tipo di delega al mondo rappresentato: perlopiù «monologica», l’onniscienza di romanzi come Il piacere si fonda «sulla solidarietà tra voce narrante e protagonista», quest’ultimo acquisendo di fatto il ruolo di «portavoce ufficialmente autorizzato» dell’ideologia dell’autore.214

Rientra nello stesso vortice di reazione al naturalismo il romanzo Malombra (1881) di Fogazzaro, che oltre all’onniscienza recupera e pone a fondamento della propria struttura narrativa l’interesse per le popolari filosofie “irrazionalistiche”, come lo spiritismo e l’ipnotismo, sfociate nel secondo Ottocento in una forma di «sincretismo culturale» trasversale alle classi sociali: l’interesse di fine secolo per i fenomeni psichici e paranormali costituirebbe una risposta, nell’ambito di una generale svolta antipositivista, «al ridimensionamento delle risposte tradizionali della fede sui destini individuali […]».215

Il contesto culturale negli anni a cavallo dell’esperienza verista, dunque, è segnato da un lato dal «dominio, nell’immaginario diffuso, del modello melodrammatico» che ancora si impone nel grande pubblico grazie all’importazione di romanzi d’appendice216; dall’altro dalla spinta antirealistica dannunziana e dalla circolazione di teorie irrazionalistiche, più o meno impegnate nel rovesciamento degli assunti positivisti. Non è inatteso, allora, alla luce di questa breve panoramica sulle attese del pubblico medio, l’insuccesso degli scrittori veristi e in particolare di un romanzo come I Viceré, a lungo considerato un esempio estremo di impersonalità, che non concede nulla all’empatia verso i personaggi, che fa persino a meno del patetismo di Verga, il quale aveva posto in chiusura a I Malavoglia un finale consolatorio: la riacquisizione della casa del nespolo da parte di Alessi e Nunziata che sembra poter compensare, in positivo, l’altro finale, l’allontanamento definitivo di ‘Ntoni da Aci Trezza; e tuttavia la ricomposizione del

214 G.TELLINI, op. cit., pp. 222-3.

215 UGO M.OLIVIERI, Le culture dell’irrazionalismo, in Il romanzo in Italia. II L’Ottocento, p. 379.

216 P.PELLINI, Il romanzo attraverso i francesi, in op. cit., p. 335. Con «modello melodrammatico» si vuole fare riferimento a quel modo mimetico, dominante nel primo Ottocento e mutuato dal teatro francese, che mette al centro della scena l’azione risolutiva di personaggi scossi da forti passioni, che si muovono e parlano in un ambiente in cui «ogni cosa è antropocentrica, estroflessa e ingigantita». Il naturalismo, pur volendo disciplinare il romanzo in altro senso, privandolo delle scene madri e dell’onniscienza, non potrà fare a meno di attingere all’immaginario melodrammatico per piegarlo a nuove soluzioni narrative, spesso disforiche. Ad ogni modo, si ricorda che «la narrativa popolare, la narrativa midcult, il cinema di consumo contemporanei sono ancora oggi fondati sul melodramma, oltre che sul romance», a testimoniare la longevità presso il grande pubblico di tale forma narrativa. (MAZZONI, pp. 276-8).

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nucleo familiare posta a chiusura del romanzo determina una «fuoriuscita» del testo dai vincoli della scrittura naturalista».217

Anche I Viceré, per certi versi, vanno verso una doppia conclusione – i due discorsi speculari di Consalvo – tuttavia questa rimane interna all’idea di assenza di una palingenesi sociale: se palingenesi c’è, è solo quella resa possibile dalla manipolazione della parola a uso e consumo della classe dominante.

Il mancato successo del romanzo deve molto al gusto di un’epoca letteraria divisa tra puro intrattenimento di massa e culto dell’opera letteraria: poste sullo stesso piano, il verismo, il romanzo d’appendice e l’estetismo dannunziano potrebbero essere visti, allora, come risposte divergenti allo stesso problema, quello della definitiva liquidazione degli ideali risorgimentali e della graduale coscienza di un processo di industrializzazione irreversibile. A fronte della caduta di quegli ideali e in reazione a quella stagione storica, il romanzo sfodera metodi inconciliabili, oscilla cioè tra critica del reale, abuso di costruzioni narrative tradizionali (che tentano di rivitalizzare, in forma commerciale, le strutture del grande realismo) e rifugio nelle tendenze estetizzanti. Le rette parallele rappresentate da queste diversissime idee di romanzo ben esemplificano la tendenza del campo letterario a evolversi attraverso sovrapposizioni, continuità e rotture: alcuni critici fanno coincidere con l’«eclettismo» degli anni Novanta, con questa compresenza di tradizione e sperimentazione, una delle fasi più ambigue di un processo di metamorfosi del romanzo218, processo che è cominciato nel secondo Ottocento in seno alla disgregazione del naturalismo e culminato nelle nuove strutture del modernismo primonovecentesco.219

Prima di occuparci direttamente di questo – ossia dei legami tra naturalismo e modernismo – in relazione a De Roberto e al suo capolavoro, sarà tuttavia necessario prendere in esame una questione ancora tutta interna al romanzo di fine di secolo e legata allo sgretolamento e alle trasformazioni del romanzo storico: si tratta delle modalità con

217 P.PELLINI, Verga, p. 100.

218 Nella critica di fine secolo, in particolare francese, questa metamorfosi assume piuttosto le sembianze di una radicale «crisi del romanzo», fondamentalmente irreversibile e originatasi all’interno dello stesso naturalismo, pochi anni dopo la pubblicazione del Roman expérimental (1880) da parte di Zola. Questo il punto di vista di MICHEL RAIMOND e del suo saggio La crise du roman. Des landemains du Naturalisme

aux années vingt (Corti, Paris 1966, poi ristampato nel 1985) – le cui riflessioni sono alla base dei lavori

del critico Pierluigi Pellini.

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cui il romanzo della fin de siècle rappresenta la Storia, una questione che ha particolarmente segnato – spesso in negativo – il dibattito critico sul genere dei Viceré.