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Una «storiografia del contemporaneo»

2. I Viceré: un romanzo di fine secolo

2.3. Storia e famiglia nel romanzo: I Viceré verso una nuova concezione

2.3.1. Una «storiografia del contemporaneo»

svolge secondo una struttura qualsiasi, ma assume l’impianto genealogico e a blocchi del romanzo di famiglia, dispositivi dotati di significati non trascurabili in sede di analisi. Per questi motivi si ritiene ragionevole ipotizzare una lettura del romanzo che sia di tipo familiare e generazionale: solo in questo modo, infatti, ossia calando i problemi appena individuati nel contenitore mimetico finale, la famiglia, potremmo avvicinarsi ad un’interpretazione che si vuole globale del testo.

Prima di vedere più da vicino queste questioni, rimane da inquadrare il problema con cui è stato aperto questo paragrafo, quello delle trasformazioni che interessarono la rappresentazione della storia al momento del passaggio dal romanzo storico di area romantica al romanzo naturalista e verista, passaggio che in Italia ebbe come fulcro il rigetto del romanzo risorgimentale da parte dei nuovi narratori, che si diressero verso nuove soluzioni per la rappresentazione del vero sociale.

2.3.1. Una «storiografia del contemporaneo»

Sulla spinta delle traduzioni delle opere di Walter Scott224 e naturalmente sulla scorta del successo dei Promessi sposi, a cui contribuì la vitalità dei circuiti editoriali definitivamente usciti dai ritmi produttivi dell’ancien régime225, la narrazione a carattere storico si impose nel mercato e nell’immaginario della nazione all’inizio dell’Ottocento: la moda del romanzo storico avrà, tra gli effetti, il consolidamento di quei «topoi letterari» e «stilemi convenzionali» di lunga durata legati al modello teatrale e alla descrizione d’ambiente, tutti aspetti successivamente «trasmessi al romanzo d’appendice e a quello sentimentale».226

224 In questi anni, Walter Scott detiene «la maggioranza relativa, quando non assoluta, rispetto all’intero corpus delle traduzioni». Nel 1821 i suoi romanzi compaiono in traduzione nella collana milanese «Romanzi storici di Walter Scott», presso l’editore Vincenzo Ferrario, lo stesso della Ventisettana dei

Promessi sposi. Oltre ai romanzi, le riviste italiane più impegnate, tra cui l’«Antologia», ospitano articoli

in traduzione dello scrittore scozzese. (FRANCESCO DE CRISTOFARO, Il romanzo importato. Sentieri della

ricezione nel primo Ottocento, in Il romanzo in Italia. II L’Ottocento, pp. 115-7). Sulla circolazione del

romanzo storico scottiano e la sua ricezione sono fondamentali i lavori di FRANCO MORETTI, Atlante del

romanzo europeo (1800-1900), Einaudi, Torino 1997 e SERGIO LUZZATTO,GABRIELE PEDULLÀ (a cura di),

Atlante della letteratura italiana, Einaudi, Torino 2012, in particolare il vol. III, Dal romanticismo a oggi,

a cura di Domenico Scarpa.

225 Per ragioni di pertinenza, non sarà possibile approfondire le dinamiche che riguardano il passaggio ad un sistema editoriale di stampo industriale, nei primi due decenni dell’Ottocento. Ad ogni modo, si rimanda al saggio di MAURO NOVELLI, La circolazione del romanzo, in Il romanzo in Italia. II L’Ottocento, per una sintesi della questione e le principali indicazioni bibliografiche.

226 MARGHERITA GANERI, Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico dalle origini al postmoderno, Manni, Lecce 1999, p. 58.

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All’interno dell’ampio corpus di opere pubblicate nei primi trent’anni dell’Ottocento si possono distinguere da un lato romanzi semplicemente «concepiti con l’intento di divulgare la storia romanzandola», ed è il caso del pisano Giovanni Rosini227; dall’altro, troviamo romanzi che alludono, attraverso l’ambientazione del racconto nel Medioevo o nel Rinascimento, al presente italiano. Nasce il cosiddetto romanzo risorgimentale, un sottogenere che si fonda sull’immissione più o meno velata, a livello del paratesto o del contenuto, delle idee liberali che prepararono i moti insurrezionali. Rientrano in questa categoria romanzi come Ettore Fieramosca, o la Disfida di Barletta (1833) del nobile torinese Massimo d’Azeglio, La Battaglia di Benevento (1827) e L’assedio di Firenze (1836) del livornese Francesco Domenico Guerrazzi, e il romanzo di stampo manzoniano

Marco Visconti. Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel secolo (1834) di

Tommaso Grossi. Pur con le dovute distinzioni, questi testi condividono lo stesso bacino tematico, quello afferente ad alcuni momenti particolarmente esaltanti del passato nazionale, in cui condottieri valorosi, poi parte di una vera e propria «mitografia risorgimentale»228, si scontrarono contro eserciti stranieri, vincendo o promettendo un riscatto futuro: è il caso della Battaglia di Benevento di Guerrazzi, che ripropone il celebre scontro tra il re Manfredi e l’esercito angioino; nel romanzo di d’Azeglio, invece, attraverso una serie di omologie, Fieramosca si presenta «come una sorta di paladino dell’indipendenza italiana violata dalla presenza di eserciti stranieri»229, durante la

Disfida che oppose, nel 1503, francesi e spagnoli per il possesso del Mezzogiorno

italiano.

Sebbene non vi sia in questi testi una vera e propria prospettiva politica orientata all’impegno attivo, l’ispirazione patriottica è presente nella forma di un «sentire comune», orientato alla costruzione di «un’epica del sacrificio»230: in questo senso, poiché esaltano il gesto eroico e il coraggio in nome di una collettività, questi romanzi valgono soprattutto come «anticipazione di risorgimento e libertà politica»231, condotta

227 Tra le sue opere si ricordano Luisa Strozzi. Storia del secolo XVI (1833), Il conte Ugolino della

Gherardesca e i Ghibellini di Pisa (1843), ma soprattutto La monaca di Monza. Storia del secolo XVII

(1829), in cui l’autore si impegna nella ricostruzione della storia di Gertrude, fondamentalmente inventata, e tuttavia sorretta dalla descrizione, storicamente fondata, del mondo fiorentino del Seicento.

228 CLAUDIO GIGANTE, Il romanzo di fronte alla Storia, in Il romanzo in Italia, II L’Ottocento, p. 63

229 Ibidem, p. 62

230 Ibidem,pp. 64-5.

231 MARINELLA COLUMNI CAMERINO, Il narratore dimezzato. Legittimazioni del racconto nel romanzo

storico italiano, in Storie su storie. Indagine sui romanzi storici (1814-1840), a cura di Enrica Villari, Neri

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nelle forme divulgative del romanzo storico d’inizio secolo, fondate sull’onniscienza del punto di vista e sul rapporto fiduciario tra autore e lettore, che viene dunque posto in una condizione molto vicina a quella del discente. Già verso gli anni Quaranta, tuttavia, questo impianto cominciò a dare i primi segnali di stanchezza, o perlomeno cominciò a dimostrarsi insufficiente: compare nel 1840 Ca’ dei cani, cronaca milanese cavata da un

manoscritto di un Canattiere di Barbarò Visconti di Carlo Tenca, le cui cronache non

sono altro che una parodia del genere.

Nonostante la fase di crisi degli anni Quaranta, i presupposti ideologici del racconto a carattere risorgimentale influenzarono anche autori che vissero la fase dei moti e dell’unificazione da giovanissimi, e che, pur non prendendo parte attivamente al processo in corso, si formarono in una stagione di entusiasmo politico, di diffusione delle idee liberali e quasi di culto per la figura di Garibaldi. La frequentazione di questo genere ormai inflazionato da parte di un giovanissimo Giovanni Verga, ad esempio, può essere vista, secondo quanto osservato da Giacomo Debenedetti, come un percorso attraverso il quale l’autore prenderà coscienza dei propri punti deboli, come l’incapacità «di fabbricare un intreccio a regola d’arte»232 o lo sforzo nel sovraccaricare di senso patriottico le azioni dei suoi personaggi. Tutti questi aspetti fanno parte di un

sistema di posti di blocco che egli va costruendosi inconsapevolmente, per lasciarsi libero unicamente l’accesso alla propria strada […] Egli modifica via via la maschera di romanziere, correggendola con sempre nuovi lineamenti, prelevati da ciò che i signori «tutti» intorno a lui mostrano di amare: i salotti, l’eleganza, le donne vittime, le donne fatali, gli eroi romanticamente falliti. […] Il Verga via via getta e muta quelle maschere che sente in qualche modo insopportabili. Alla fine, quando le ha gettate tutte, e il volto del suo vero Io viene fuori, succede questo fatto veramente straordinario: che sotto le successive maschere del romanziere, c’era stato un volto di romanziere.233

Un episodio inventato dell’indipendenza americana, al centro di Amore e patria (1856-7), e le lotte dei carbonari che si opposero ai Borboni nel primo decennio dell’Ottocento, alla base del romanzo I carbonari della montagna (1862), rispettano assai fedelmente i dettami dell’immaginario risorgimentale, anche se possiamo notare, soprattutto per

232 GIACOMO DEBENEDETTI, Verga e il naturalismo, Garzanti, Milano 1976, p. 68.

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quanto riguarda il secondo testo, un attraversamento in chiave attualizzante degli episodi che precedettero l’Unità.234

Queste prime prove di Verga si collocano in un momento in cui il dibattito sul romanzo storico, così attivo nella prima metà del secolo, intercetta la ricezione delle prime opere di stampo positivistico in Italia: è del 1864 la prima edizione italiana de L’origine delle

specie di Charles Darwin, uscito in Inghilterra nel 1859; mentre è del 1866 La filosofia positiva e il metodo scientifico, il saggio di Pasquale Villari che fece approdare le nuove

idee nei circuiti accademici ed intellettuali. Due grandi effetti dell’evoluzionismo darwiniano in letteratura furono «il materialismo della concezione della storia e il ferreo determinismo»235 delle leggi di causa-effetto iscritte nell’ambiente di provenienza sociale con cui i romanzi naturalisti analizzavano, scientificamente, appunto, la realtà contemporanea.

La ricezione delle opere francesi, in particolare di Zola, avviene proprio sotto l’occhio vigile ed eclettico di Luigi Capuana, futuro teorico del verismo, ma che in questa fase è impegnato, attraverso numerosi articoli e interventi, a promuovere la necessità anche per il romanzo italiano di farsi «contemporaneo» e di rinnovarsi «rielaborando» il metodo scientifico «nei modi tipici dell’arte».236 Forte è nel critico la preoccupazione che la letteratura italiana possa trovarsi in una posizione di «retroguardia» in Europa, «attardata in forme non più corrispondenti alle conoscenze contemporanee»237: nelle sue parole, la transizione al naturalismo ha più le sembianze della necessaria accettazione di uno stato di cose.238 Gli appelli di Capuana vanno a buon fine: dagli anni Ottanta diventa dominante la tendenza del romanzo a disegnare una «storiografia del contemporaneo»239, anziché

234 G.DEBENEDETTI, op. cit., p. 74. Come nota Debenedetti, il giovane scrittore «avrà supposto che quelle

stesse forze che egli metteva di fronte, i generosi carbonari patrioti e i perfidi Borboni reazionari, erano forze ancora in atto […] sempre ancora, sconfitti i Borboni, esistevano i reazionari borbonici, vogliosi di una restaurazione […] contro questi retrivi occorreva che i patrioti di adesso, 1862, rimanessero vigilanti, si sentissero eredi dei carbonari».

235 AMBRA CARTA, La scienza del romanzo, in Il romanzo in Italia. II L’Ottocento, p. 340.

236 ANNA STORTI ABATE, Introduzione a Capuana, Laterza, Bari 1989, p. 62. È soprattutto il ruolo di Capuana come critico al «Corriere della Sera», a partire dal 1877, a consentirgli di perseguire una vera e propria opera di mediazione di Zola e dei naturalisti in Italia, recensiti praticamente a ridosso della pubblicazione. I suoi interessi, tuttavia, furono molto vari: spaziavano dal romanzo alla poesia contemporanea, fino alla recensione di opere sullo spiritismo o a carattere storiografico.

237 Ibidem, p. 63.

238 È una preoccupazione che Capuana rivolge al complesso degli studi umanistici, non ultima la stessa critica letteraria, che tenterà di praticare affinando gli strumenti di analisi del testo, soprattutto sugli scritti di Verga. (A.STORTI ABATE, pp. 63-65).

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chiudersi nell’ambientazione del passato. E pur nella sua condizione di genere minore, lo stesso romanzo parlamentare, di cui si è parlato poco sopra, interpreta una parte in questa fase di ridefinizione del contenuto romanzesco.