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Necessità di vincere una resistenza all’Autorità

2 PRESUPPOSTI E REQUISITI DELL’ART.53 C P

2.1 Presupposti e requisiti oggettivi

2.2.3. Necessità di vincere una resistenza all’Autorità

pongono problemi interpretativi, in merito al supposto rinvio che il termine compierebbe alla fattispecie di cui all’art. 337 c.p.47

Per chiarire subito l’entità del discorso, partiamo dall’affermare che la resistenza consiste, secondo l’interpretazione seguita da questo studio, in una condotta tanto attiva quanto passiva, finalizzata a rendere impossibile, o comunque a ostacolare l’adempimento del dovere d’ufficio o gli atti esecutivi a questa collegati.48

                                                                                                               

47 Art. 337 c.p. “Resistenza a pubblico ufficiale”: «Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni».

48 FIANDACA-MUSCO, opera citata, pag. 255; PAGLIARO, Principi di diritto penale, Milano, Giuffrè editore, 2003, pag. 444; D. PULITANÒ, voce

Il rischio di eccedere nell’interpretazione del termine –come è avvenuto in numerose pronunce- è comunque mitigato dal requisito, seppur non esplicito, della proporzione (che deve essere sempre analizzato e rinvenuto) su cui ci soffermeremo nelle prossime pagine.

Tornando al rapporto tra l’art. 53 c.p. e la fattispecie speciale dell’art. 337 c.p., potremmo basare la scelta di non utilizzare quest’ultima disposizione per delineare il concetto stesso di resistenza, adducendo (come parte della dottrina ha fatto) valutazioni di carattere testuale e letterale, ma tale impostazione critica sarebbe facilmente superabile compiendo un raffronto delle disposizioni su un piano sistematico- concettuale, piuttosto che letterale-esegetico.

Il problema di quest’ulteriore teoria, che dilaterebbe il discorso fino al piano sistematico, si manifesta nel momento in cui, seguendola, si concluderebbe che l’art. 53 c.p. descriva solo comportamenti aggressivi, finalizzati a coartare la libera formazione della volontà degli organi dello Stato; conseguenza inaccettabile sarebbe l’impossibilità di estendere la scriminante anche a casi di reazione a condotte passive.49

La soluzione migliore appare ancora una volta quella fondata sull’interpretazione teleologica della norma; ciò che rileva, nella condotta del soggetto, è la sua finalità di opposizione a un

                                                                                                                                                                                                                                                                      Uso legittimo delle armi, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1994, XXII volume, cit. 3.

49 Che invece sembra essere l’obiettivo dell’opposta dottrina, tesa a trovare le componenti della violenza e della resistenza autonomamente rispetto agli artt. 336 e 337 c.p.

provvedimento dell’Autorità, indipendentemente dalla sua liceità50 o illiceità.51

La giurisprudenza della Suprema Corte, non sempre unanime negli anni52per ragioni di cautela, ha sottolineato, soprattutto                                                                                                                

50 Vero è che solitamente ci troviamo di fronte a illeciti penali o extra penali, ma pensiamo al caso di scuola dell’ordine di sgombero di un ospedale psichiatrico: i ricoverati, essendo incapaci di intendere o volere, non possono realizzare il reato di resistenza. Altro esempio può essere quello di una manifestazione in piazza non autorizzata, posta in essere da minori di 14 anni. Per questi rilievi si è seguito T. DELOGU, L’uso legittimo delle armi o di altro mezzo di coazione fisica in “Archivio penale”, 1972, pag.190.

51 Cass. 26 giugno 2003, n. 35125 CED: «l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria configura violenza ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 337 c.p., e non mera resistenza passiva, quando non costituisce una sorta di reazione spontanea ed istintiva alla costrizione operato dal pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzare l’azione del pubblico ufficiale e a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga».

52 Riportiamo di seguito alcune tra le più rilevanti sentenze della Corte di Cassazione:

-­‐ Cass. Sez. IV, sent. 27 aprile 1989, in “Rivista penale”, 1990, pag. 32: caso del soggetto che all’intimazione dell’alt da parte di pubblico ufficiale si dà alla fuga, realizzando un’ipotesi di disubbidienza passiva, la quale non integra un comportamento idoneo a giustificare l’uso delle armi.

-­‐ Cass. 29 novembre 1991, n. 12137, CED RV. 188684: «nel caso di resistenza posta in essere con la fuga, manca il rapporto di proporzione tra l’uso dell’arma e il carattere non violento della resistenza opposta al pubblico ufficiale. In tale ipotesi il pubblico ufficiale che abbia fatto uso dell’arma non può invocare l’esimente de qua sotto il profilo della putatività, assumendo di aver ritenuto di agire in presenza di una causa di giustificazione, essendo incontrovertibile che l’errore sull’esistenza delle circostanze di

nell’ipotesi di fuga, oltre che nei casi di resistenza passiva, la necessità che tali condotte, per poter scriminare la reazione dei pubblici ufficiali, debbano mettere in pericolo l’incolumità di terzi.53

                                                                                                                                                                                                                                                                      esclusione della pena spiega efficacia scriminante quando investe i presupposti di fatto che integrano la causa di giustificazione o una norma extra penale integratrice di un elemento normativo della fattispecie giustificante, e non quando si risolve in un errore di diritto, sfociante nell’erronea e inescusabile convinzione che la situazione in cui si trova vi sia scusabilità».

-­‐ Cass. Sex. IV, sent. 1 marzo 1995, CED 200978: caso del brigadiere dei carabinieri, il quale dopo aver intimato l’alt ad un veicolo sopraggiungente, vedendo che il veicolo non si arrestava e proseguiva la marcia, ha esploso un colpo di pistola in direzione del mezzo, colpendo a morte il guidatore. La Corte si è espressa così: «Poiché per l’operatività dell’esimente prevista dall’art. 53 c.p. occorrono due condizioni strettamente indipendenti tra loro, vale a dire l’uso legittimo dell’arma e la necessità di vincere una resistenza attiva, nonché un rapporto di proporzione, di modo che, qualora altri mezzi siano possibili per respingere la violenza o vincere la resistenza, il pubblico ufficiale non è autorizzato ad usare le armi, salvo le eccezioni previste da specifiche disposizioni di legge, l’inosservanza dell’ordine di fermarsi impartito dal pubblico ufficiale integra una resistenza meramente passiva, inidonea a giustificare l’uso dell’arma da parte di quest’ultimo».

-­‐ Cass. Sez. IV, n. 35967, 2002: la semplice fuga è caratterizzata dal non essere rivolta all’aggressore e dal non comportare, nemmeno in astratto, un pericolo per l’incolumità della persona.

53 Vedi Cass. 20 settembre 2000, n. 9961, CED RV. 217623: «In tema di uso legittimo delle armi, la fuga del soggetto nei cui confronti il pubblico ufficiale tenuto ad adempiere al dovere del proprio ufficio, non può escludere in assoluto l’esistenza della scriminante, essendo necessario procedere alla valutazione delle modalità con le quali la fuga stessa è

2.2.4. Necessità di impedire la consumazione di gravissimi