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Uso legittimo delle armi e immigrazione clandestina

4. IPOTESI DI USO LEGITTIMO DELLE ARMI PREVISTE

4.3 Uso legittimo delle armi e immigrazione clandestina

La materia dell’immigrazione clandestina, e il problema ad essa legata della gestione dei flussi migratori, è da sempre oggetto del diritto penale, che in varie modalità si è approcciato al tema.

Le conseguenze aberranti, dal punto di vista dei diritti umani, a cui può condurre un uso indiscriminato delle armi, dovrebbero essere scolpite nella memoria collettiva: un caso su tutti –per non concentrare la nostra attenzione sulla situazione interna e su quella delle nostre coste- sono le tragiche vicende legate alle uccisioni compiute dalle guardie di

                                                                                                                                                                                                                                                                      ufficiali di pubblica sicurezza o, in loro assenza, dagli ufficiali o dai sottufficiali dei carabinieri».

11 «Qualora l’invito rimanga senza effetto, è ordinato il discioglimento con tre distinte formali intimazioni, preceduta ognuna da uno squillo di tromba»

frontiera della DDR, seppur in applicazione della normativa all’epoca vigente, disciplinante l’illegale superamento dei confini dello Stato.12 Nell’ordinamento italiano, l’art. 158, 3 comma TULPS sancisce che: «È autorizzato l’uso delle armi, quando sia necessario, per impedire i passaggi abusivi attraverso i valichi di frontiera non autorizzati». Ci spostiamo, in questo caso, nella categoria più ampia, e sicuramente oggi di grande attualità, dell’immigrazione clandestina.

Questa disposizione deroga assolutamente ai requisiti dell’art. 53 c.p. poiché per fare uso legittimo delle armi è sufficiente la circostanza che non sia altrimenti impedibile al soggetto passivo il passaggio della frontiera.

Il comma in questione è comprensibile leggendolo in combinato disposto con i primi due commi dell’art. 158, che vietano l’espatrio clandestino determinato da motivi politici, sia da qualsiasi altra ragione.

Il Legislatore dell’epoca non si è, infatti, limitato a comminare due sanzioni penali, ma ha voluto ricalcare la severità della reazione autorizzando le forze di Pubblica Sicurezza a fare uso delle armi contro colui che nel tentativo o nella flagranza del reato non desista dal suo proposito.

                                                                                                               

12 Un’interessantissima ricostruzione è quella di E. MEZZETTI, Uso legittimo delle armi, in “Digesto delle discipline penalistiche”, XV, 1999 pag. 140.

Una legge interna della DDR, del 1982, consentiva alle guardie di frontiera l’utilizzazione delle armi da fuoco per evitare il superamento dei confini, uso giustificato per impedire l’imminente realizzazione in modo diretto di un illecito penale e la sua continuazione, che avesse, secondo le circostanze, le caratteristiche di un delitto (e l’illegale attraversamento dei confini, nelle ipotesi più gravi ossia realizzato con armi, con l’impiego di mezzi o metodi pericolosi, lo era).

A questa disposizione dobbiamo aggiungere l’art. 2 della l.18 aprile 1940, n. 494 che recita: «Agli effetti dell’applicazione dell’art. 158 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, i predetti militari, quando scorgono persone che tentato di oltrepassare clandestinamente la linea di confine, devono intimare l’alt con ogni mezzo idoneo a manifestare l’intimazione. Contro le persone cui l’intimazione è fatta, che persistono nel tentativo di oltrepassare la frontiera, il militare in servizio può fare uso delle armi».

A questo combinato disposto è necessario aggiungere altresì gli artt. 1013 (rubricato “Respingimento”) e 10bis14 (rubricato “ingresso e                                                                                                                

13 Art. 10: «1. La polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato. 2. Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri: a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendoli ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo; b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso. 3. Il vettore che ha condotto alla frontiera uno straniero privo dei documenti di cui all'articolo 4, o che deve essere comunque respinto a norma del presente articolo, è tenuto a prenderlo immediatamente a carico ed a ricondurlo nello Stato di provenienza, o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio eventualmente in possesso dello straniero. Tale disposizione si applica anche quando l'ingresso è negato allo straniero in transito, qualora il vettore che avrebbe dovuto trasportarlo nel Paese di destinazione rifiuti di imbarcarlo o le autorità dello Stato di destinazione gli abbiano negato l'ingresso o lo abbiano rinviato nello Stato. (1) 4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 e quelle dell'articolo 4, commi 3 e 6, non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari. 5. Per lo straniero respinto è prevista l'assistenza

soggiorno illegale nello Stato”) del d. lgs. 286/1998, ossia il Testo                                                                                                                                                                                                                                                                      

necessaria presso i valichi di frontiera.

6. I respingimenti di cui al presente articolo sono registrati dall'autorità di pubblica sicurezza».

14 Art. 10bis: «1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’articolo 162 del codice penale. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 1. 3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32- bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274. 4. Ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’articolo 13, comma 3, da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento di cui all’articolo 10, comma 2, all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato. 5. Il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall’articolo 13, comma 14, si applica l’articolo 345 del codice di procedura penale. 6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.

unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

Entrati in tema di immigrazione clandestina non si può poi prescindere dal citare un passo della Convenzione di Schengen del 14 giugno 1985: «Tra gli stati membri di Schengen è altresì possibile –sempre a severe condizioni- il cosiddetto inseguimento transfrontaliero. Si tratta del potere degli agenti di polizia di inseguire oltre la frontiera un indiziato in fuga, e di trattenerlo in fermo fino a quando gli agenti dello Stato in cui il fuggiasco è riparato sono in grado di procedere al suo arresto. Se la persona deve essere consegnata al Paese da cui è fuggita, in applicazione di una procedura formale, occorre una richiesta di estradizione formale».

Ma non è di certo sufficiente il contrasto alle frontiere per rendere più efficace la lotta contro l’immigrazione clandestina.

Una volta entrati in Italia, gli immigrati clandestini senza casa, senza lavoro, senza mezzi di sussistenza spesso vanno ad ingrossare le file della manovalanza della criminalità, diffusa su tutto il territorio. La recente e citata legge sull’immigrazione ha previsto che, contrariamente a quanto avveniva in passato, i clandestini che non declinano le loro generalità possono essere trattenuti in un campo di raccolta sino a che, scoperte le loro identità e nazionalità, sia possibile l’espulsione verso il Paese di provenienza. Il punto nodale rimane sempre quello di individuare i concetti di violenza e resistenza, ma soprattutto di fuga, presupposti per l’uso legittimo delle armi.

Rimandando a quanto già precisato per la fuga, nel caso dei così detti “scafisti” che, scoperti nel tentativo di introdurre in Italia clandestini, si diano alla fuga, la legislazione speciale già permette l’uso delle armi, che deve essere commisurato al tipo di condotta posta in essere e al tipo di bene giuridico che tale condotta lede o espone a pericolo. Se lo “scafista” semplicemente si limita a fuggire nella direzione opposta

rispetto ai confini nazionali, appare eccessivo cercare di fermarlo sacrificando o ponendo in pericolo la sua vita. Qualora lo stesso cerchi di assicurarsi la fuga, gettando in mare il suo carico di “clienti”, appare indubbio che tale modalità di fuga debba essere fermata, anche a costo della vita dello stesso scafista. Se poi ancora lo scafista fugge con l’intenzione di introdurre se stesso e il suo “carico” entro i confini nazionali, secondo quanto previsto dall’art. 2 della l. n. 494/1940, è legittimo l’uso delle armi solo per arrestarne la corsa.

Parimenti legittima è l’azione consistente nell’impedire l’ingresso nel territorio nazionale interponendo il mezzo militare alla traiettoria dello “scafista”.

4.4 Uso delle armi per impedire l’evasione dei detenuti o violenza