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1. Gli interventi sostitutivi dello Stato in relazione alle attività regionali di adempimento degli obblighi comunitari prima della modifica del Titolo V, Parte II, della Costituzione; 1.1. Premessa; 1.2. Brevi precisazioni; 1.3. L’attuazione in via sostitutiva degli obblighi comunitari nella prima giurisprudenza della Corte Costituzionale (1972-1979); 2. La disciplina legislativa del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni nelle ipotesi di inadempimento di obblighi comunitari prima della modifica del Titolo V, Parte II, della Costituzione; 2.1. La sostituzione amministrativa; 2.1.1. La disciplina del D.P.R. n. 616 del 1977; 2.1.2. La disciplina della sostituzione amministrativa nella legge “La Pergola”; 2.1.3 La funzione di indirizzo e coordinamento; 2.1.4. L’art. 5 del D.Lgs. n. 112 del 1998. 2.2. La disciplina del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni nelle ipotesi di inadempimento di obblighi comunitari prima della modifica del Titolo V parte II della Costituzione. La sostituzione legislativa; 3. L’istituto dei poteri sostitutivi nella recente modifica del Titolo V, Parte II, della Costituzione; 3.1. Introduzione; 3.2 L’art. 117, comma 5, Cost. e il suo problematico rapporto con l’art. 120, comma 2, Cost.; 3.3. La sostituzione legislativa nell’art. 117, comma 5, Cost.; 4. La sostituzione legislativa: la disciplina della legge n. 11 del 2005; 4.1 Caratteri generali; 4.2. L’attuazione regolamentare di direttive comunitarie in materie di competenza delle Regioni e delle Province autonome, 4.3. Le misure urgenti per l’adeguamento agli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario. 5. La sostituzione amministrativa nell’art. 8 della legge n. 131 del 5 giugno 2003. Rinvio. 6. Il potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle inerzie delle Regioni e delle Province autonome nel sistema degli obblighi internazionali; 6.1 Il potere sostitutivo dello Stato a garanzia del rispetto degli obblighi internazionali; 6.2. Poteri sostitutivi statali e potere estero delle Regioni

1. Gli interventi sostitutivi dello Stato in relazione alle attività regionali di adempimento degli obblighi comunitari prima della modifica del Titolo V, parte II, della Costituzione.

1.1. Premessa.

L’art. 11 della Costituzione stabilisce che “l’Italia (…) consente, in condizioni di

parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a questo scopo”. Nel 1948 le limitazioni di sovranità indicate dalla

norma erano da intendersi come riferite principalmente ad operazioni di tipo militare, in un contesto in cui l’Italia, appena uscita dalla seconda guerra mondiale, rinunciava formalmente all’uso della forza bellica, e sceglieva di inserirsi nell’ambito dei meccanismi di risoluzione delle controversie che l’ONU aveva predisposto, di cui accettava i relativi condizionamenti.

Nonostante questa fosse la ratio dell’art. 11 Cost., ed in assenza di un appiglio costituzionale più saldo, la norma venne interpretata ed applicata dalla giurisprudenza1 della Corte costituzionale anche per consentire le forti limitazioni di sovranità derivanti dai Trattati istitutivi, nell’ambito delle materie nelle quali gli Stati membri avevano attuato i trasferimenti di competenze a favore delle Istituzioni comunitarie2.

1

Si veda ad es. Corte Costituzionale, sentenza n. 14 del 7 marzo 1964, in www.giurcost.org.

2

L’oggetto della presente indagine è costituito le problematiche connesse all’inadempimento dei cd. “obblighi comunitari” da parte delle Regioni e degli altri soggetti dotati di autonomia. Soltanto in via incidentale ci si occuperà anche dei diversi problemi connessi all’inadempimento dei cd. “obblighi internazionali”.

In queste materie, tali limitazioni concernono non solo l’attività legislativa dello Stato, ma anche l’attività amministrativa e giurisdizionale. In conseguenza della stipulazione dei Trattati comunitari, i cittadini si trovano perciò soggetti, oltre che alle autorità nazionali, anche ad un altro sistema di poteri, estraneo ed indipendente rispetto ad esse.

Le limitazioni di sovranità a carico degli Stati membri non discendono soltanto dalle norme dei Trattati istitutivi (che costituiscono il cd. diritto comunitario originario), ma derivano anche da altri atti che risultano immediatamente vincolanti per gli Stati membri, come ad es. le direttive, i regolamenti, le decisioni (che costituiscono il cd. diritto comunitario derivato), ognuno dei quali presenta caratteristiche sue proprie ed un differente regime di applicabilità.

Le limitazioni di sovranità si traducono perciò in obblighi a carico degli Stati membri nei confronti delle Comunità Europee, che impongono di adeguare i loro ordinamenti giuridici alle norme dei Trattati e delle altre fonti comunitarie.

Gli obblighi di adeguamento operano nei confronti dello Stato complessivamente inteso, e si rivolgono perciò non solo agli organi centrali (Parlamento, Governo, ecc.),

Sebbene, soprattutto dopo la modifica del Titolo V, parte II della Costituzione, obblighi comunitari ed obblighi internazionali vengano frequentemente assimilati, la loro rilevanza sul piano dell’ordinamento interno è profondamente diversa. Senza entrare nel merito di un problema che richiederebbe un ampio approfondimento, è necessario rilevare che, nei rapporti internazionali, vale il cd. principio della separazione degli ordinamenti, per cui le norme dell’uno non passano automaticamente nell’altro ordinamento, ma necessitano per esplicare i loro effetti, di appositi atti normativi statali. In particolare, l’adempimento da parte dello Stato degli obblighi internazionali, richiede, al di fuori del caso previsto dall’art. 10 Cost. (“L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto

internazionale generalmente riconosciute”), uno specifico atto normativo interno di esecuzione, che pone

le norme interne a ciò necessarie. Quanto alla posizione nel sistema delle fonti delle norme di esecuzione degli obblighi internazionali, la conclusione prevalente in dottrina e in giurisprudenza prima della riforma del Titolo V della Costituzione, era nel senso che essa discende dalla natura dell’atto con il quale esse vengono poste. Da ciò ne conseguiva che la loro modificabilità e derogabilità ad opera di atti successivi del medesimo tipo o d rango superiore. Queste conclusioni non valevano ovviamente nell’ipotesi di rinvio da parte della Costituzione a norme o a fonti internazionali (art. 10 Cost.), oppure nel caso delle Regioni a Statuto speciale ed ordinario e delle Province autonome, le cui potestà legislative erano obbligate al rispetto degli obblighi internazionali dello Stato. Infine, l’esecuzione degli obblighi internazionali era attribuita allo Stato a livello nazionale, mentre le Regioni e gli Enti locali possono dare esecuzione ai Trattati nelle materie di loro competenza.

La materia è stata in gran parte modificata dopo la riforma del 2001. Le norme che rilevano sono: l’art. 117, comma 1, (“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”); art. 117, comma 1, lett. a) (“lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea”); art. 117, comma 3 (“Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni”); art. 117, comma 5 (“Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.”); art. 117, comma 9 (“Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato”).

Per un commento sulle novità introdotte dalla l.c. n. 3 del 18 ottobre 2001, si vedano sul punto: Fiorilli M., Le Regioni e le relazioni internazionali e comunitarie, in www.giustitizia-amministrativa.it; Sorrentino F., I vincoli dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, in www.federalismi.it, 19, 2004.

ma anche alle Regioni e alle Province autonome, limitatamente alle materie che appartengono alla loro competenza esclusiva o concorrente.

Nel caso in cui gli atti sopra menzionati (direttive, regolamenti, ecc.) incidano su materie che, sul piano interno, sono attribuite alla competenza esclusiva o concorrente delle Regioni e delle Province autonome, sorge evidentemente il problema di individuare il soggetto che, nel nostro ordinamento giuridico, è competente a recepire sul piano legislativo e a dare attuazione sul piano amministrativo alle disposizioni comunitarie. In linea di principio, la soluzione più immediata dovrebbe essere quella secondo cui, nelle materie di competenza regionale, tale potere è attribuito alle stesse Regioni in quanto esse godono di una competenza costituzionalmente riconosciuta e garantita in relazione alla disciplina di determinati settori dell’ordinamento giuridico.

Sennonché, questa conclusione si scontra con il costante orientamento3 della Corte di Giustizia, che attribuisce al singolo Stato membro la responsabilità finale in ordine all’adempimento degli obblighi che derivano dall’appartenenza alle Comunità Europee4, e considera del tutto indifferente la ripartizione interna dei poteri e delle competenze5.

I termini della questione, che si è posta concretamente soltanto a partire dall’inizio degli anni ’70, con l’istituzione delle Regioni a Statuto ordinario, possono essere così sintetizzati6. Se il potere di dare attuazione sul piano legislativo ed amministrativo alle disposizioni comunitarie in materia di competenza regionale fosse stato attribuito in via esclusiva allo Stato, anziché alle Regioni, queste avrebbero subito una ulteriore compressione della sfera di competenze ad esse attribuita, in quanto essa avrebbe subito i condizionamenti derivanti sia dalla normativa comunitaria sia da quella nazionale di recepimento. Se, invece, tale potere di attuazione fosse stato attribuito alle Regioni, una eventuale violazione o mancata attuazione delle norme comunitarie da parte di esse, sarebbe stata comunque imputabile allo Stato, che, come detto, è il solo soggetto responsabile di eventuali inadempimenti davanti alle Istituzioni comunitarie, il quale si sarebbe trovato ad essere sprovvisto di strumenti idonei a fare fronte ad una inerzia delle Regioni.

La questione si era posta a causa di una “omissione dei nostri padri costituenti”7, i quali non avevano previsto strumenti che consentissero allo Stato di rimediare

3

Tra le numerose sentenze della Corte di Giustizia si vedano: Commissione c. Paesi bassi, del 25 maggio 1982, causa n. 96/81 in Racc., 1982, p. 1791; Commissione c. Italia, del 28 maggio 1985, causa 272/83, in Racc., 1985, p. 1057; Commissione c. Belgio, del 14 giugno 1988, cause riunite 227- 230/85, in Racc., 1988, p. 1.

4

Sulla nozione di obblighi comunitari si veda: Barbati C., Inerzia e pluralismo amministrativo, Milano, 1992, p. 90, secondo cui “quando si parla di obblighi comunitari ci si riferisce, ellitticamente, a

quell’insieme di attività, legislative ed amministrative, necessarie ad assicurare alle norme emanate degli organi delle Comunità Europee quella esecuzione, all’interno degli Stati membri, imposta dall’adesione ai trattati istitutivi delle Comunità”.

5

Su questo tema si è soffermato in particolare Cuocolo F., Competenze regionali e ordinamento

comunitario, in Quad. Reg., 1989, 1, p. 5 ss.

6

Sui rapporti tra Regioni e diritto comunitario nei primi anni di attuazione del sistema regionale si vedano: Scudiero M., Attuazione delle direttive comunitarie e Regioni, Napoli, 1977; Caretti P.,

Ordinamento comunitario e autonomia regionale, Milano, 1979; Strozzi G., Regioni e adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, Milano, 1983.

7

La citazione è di D’Atena A., Prospettive del regionalismo nel processo di integrazione

europea. (Il problema dell’esecuzione e dell’attuazione delle norme comunitarie), in Giur. Cost., 1989,

X, p. 2158 ss., il quale rileva che i nostri Padri costituenti, pur avendo tratto larga ispirazione dal federalismo europeo, non hanno comunque previsto nel nostro ordinamento giuridico uno strumento assimilabile alla “esecuzione federale o “bundesexekution”.

unilateralmente all’inerzia delle Regioni, legittimandolo ad adottare, in luogo di queste ultime, gli atti ad esse riservati dalla Costituzione nelle materie indicate nell’art. 117 Cost..

A causa della mancanza di strumenti di questo tipo, era stato inizialmente sostenuto che l’adesione dell’Italia all’ordinamento comunitario aveva inciso sul riparto costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni fissato dalla Costituzione, attraendo nell’orbita del primo poteri e funzioni che ordinariamente spettano alle seconde. Secondo questa ricostruzione, ne conseguiva che le Regioni non avrebbero avuto competenze in materia di esecuzione ed attuazione del diritto comunitario, anche se incidente in materie ad esse attribuite. Questa era peraltro la posizione originariamente assunta dalla Corte costituzionale8, che aveva dedotto dalla esclusiva responsabilità dello Stato nei confronti delle istituzioni internazionali o comunitarie, la riserva ad esso delle competenze relative all’esecuzione, all’interno, degli obblighi assunti nei rapporti internazionali con altri Stati, e la conseguente espropriazione delle relative competenze spettanti alle Regioni.

In seguito, la Corte costituzionale modificò la propria impostazione originaria affermando che la presenza di obblighi internazionali o comunitari non avrebbe dovuto comportare alcuna deroga alla ripartizione costituzionale delle competenze, tra le Regioni e lo Stato, né tanto meno determinare l’attribuzione in capo allo Stato di tutte le competenze legislative ed amministrative concernenti l’esecuzione degli obblighi comunitari, ma avrebbe inciso soltanto sui poteri attribuiti alle Regioni e sul contenuto degli atti, che avrebbero dovuto conformarsi agli obblighi imposti dai trattati internazionali e dalle norme comunitarie. Ne sarebbe derivata l’esistenza di un vincolo, a carico delle Regioni e delle Province autonome, nell’esercizio dei poteri legislativi ed amministrativi attribuiti nelle materie di loro competenza, al rispetto degli obblighi internazionali e comunitari applicabili nell’ordinamento italiano9.

Il riconoscimento della possibilità per le Regioni e le Province autonome di partecipare all’attuazione del diritto comunitario si affiancava però alla previsione di meccanismi di recupero atti a scongiurare eventuali inconvenienti (innanzitutto, la responsabilità dello Stato italiano di fronte alle istituzioni comunitarie) connessi agli inadempimenti degli Enti territoriali.

L’assenza di una norma costituzionale, che disciplinasse espressamente il potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni che non avessero puntuale attuazione agli obblighi comunitari nelle materie ad esse attribuite, costrinse la Corte costituzionale a colmare in via interpretativa la lacuna presente nell’ordinamento giuridico attraverso una copiosa giurisprudenza, che ha definito progressivamente i presupposti e i requisiti dell’istituto.

Ne è derivata una continua ricerca di un difficile punto di equilibrio tra l’esigenza di unitarietà ed unicità della responsabilità dello Stato sul piano internazionale e comunitario, e la tutela delle prerogative costituzionalmente riconosciute alle Regioni, che ha trovato la propria sintesi nella previsione, prima a livello giurisprudenziale, poi a livello legislativo, di un potere sostitutivo dello Stato nei

8

Corte costituzionale, sentenza n. 46 del 11 luglio 1961, in www.giurcost.org., ove si afferma

testualmente che “è incontrovertibile il potere che affida allo Stato, e solo ad esso, l’esecuzione

all’interno degli obblighi assunti in rapporti internazionali con altri Stati”.

9

Corte costituzionale, sentenza n. 49 del 3 aprile 1963; sentenza n. 120 dell’8 luglio 1969; sentenza n. 172 del 14 luglio 1971, reperibili su www.giurcost.org.

confronti delle Regioni in relazione alle attività legislative ed amministrative poste in esecuzione di obblighi comunitari.

Inizialmente, la previsione del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni era stata circoscritta dalla Corte costituzionale al settore dell’inadempimento degli obblighi internazionali e comunitari10, nell’ambito del quale essa avrebbe dovuto esclusivamente operare. In seguito, esso è stato esteso a tutti i casi di inadempimento delle Regioni nell’esercizio delle funzioni proprie ad esse attribuite dalla Costituzione11, creando non pochi problemi relativi alla compatibilità della suddetta previsione con il sistema costituzionale delineato dagli art. 117 e 118 Cost.

La modifica costituzionale del 2001 ha tentato di colmare la lacuna inserendo due previsioni relative al potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni e delle Province autonome in relazione alle funzioni legislative ed amministrative ad esse attribuite dagli artt. 117 e 118 Cost.: si tratta dell’art. 117, comma 5, Cost., che sembra riferirsi esclusivamente alle inerzie legislative nell’attuazione degli obblighi comunitari, e dell’art. 120, comma 2, che sembra riferirsi invece alle inerzie amministrative.

1.2 Brevi precisazioni.

Prima di esaminare i caratteri che il potere sostitutivo assume nella giurisprudenza della Corte costituzionale e nella legislazione statale in relazione al settore degli obblighi comunitari, è bene fare alcune precisazioni preliminari.

E’ infatti necessario distinguere il piano, legislativo o amministrativo, sul quale opera l’intervento sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni, dal tipo di atti, legislativi o amministrativi, in cui esso si sostanzia. Questa precisazione è importante in quanto non è infrequente nella dottrina una certa confusione tra il piano della sostituzione e gli atti in cui essa si esplica.

Gli obblighi comunitari incombono sullo Stato e sulle Regioni che sono tenuti a dare attuazione alle direttive ed ai regolamenti in relazione al proprio ambito di competenza. L’adempimento degli questi obblighi può richiedere allo Stato e alle Regioni lo svolgimento di un duplice tipo di attività, legislativa (rectius normativa) ed amministrativa.

10

Sul punto si veda Corte costituzionale, sentenza n. 182 del 22 luglio 1976, che ha stabilito che il potere sostitutivo “è previsto con espresso ed esclusivo riferimento alle attività di attuazione delle

direttive comunitarie”. La sentenza è reperibile su www.giurcost.org.

11

In proposito, la sentenza che segna il punto di arrivo della giurisprudenza costituzionale sul potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni e la definitiva estensione di esso all’ambito delle funzioni proprie è n. 177 del 18 febbraio 1988. Si vedano su di essa Mezzanotte C., Interesse nazionale e

scrutinio stretto, in Giur. Cost., 1988, p. 631 ss.; Trimarchi Banfi F., Nuovi risvolti positivi dell’interesse nazionale?, in Giur. Cost., 1988, 3, p. 727 ss.

Sulla stessa scia si pone Corte Costituzionale, sentenza n. 101 del 9 marzo 1989, che ha dettato una specie di decalogo del potere sostitutivo “affinché lo Stato possa sostituirsi alle Regioni nell’esercizio

di una funzione ad esse spettante, occorre: a) che lo Stato disponga di un potere di vigilanza nei confronti di attività regionali prive di discrezionalità nell’an, ora perché sottoposte a termini perentori, ora perché l’inerzie della Regione metterebbe in serio pericolo l’esercizio di funzioni fondamentali o la cura di interessi affidati alla responsabilità finale dello Stato; b) che il potere di sostituzione sia strettamente strumentale all’adempimento di obblighi o al perseguimento di interessi tutelati come limiti l’autonomia regionale; c) che il potere sostitutivo sia esercitato da un’autorità di Governo, nello specifico senso definito dall’art. 92 Cost.; d) che l’esercizio del controllo sostitutivo sia assistito da garanzie, sostanziali procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa i rapporti tra Stato e Regioni e, specialmente, al principio di leale cooperazione”.

L’adempimento degli obblighi comunitari può consistere, innanzi tutto, nello svolgimento di attività di tipo normativo. E’ il caso, ad esempio, dell’attuazione delle direttive comunitarie12. In linea di principio, le direttive non sono efficaci negli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri fino a quando esse non vengono recepite dagli organi nazionali competenti13. Le direttive indicano un termine entro il quale gli Stati membri devono procedere al recepimento, il cui mancato rispetto determina l’inadempimento dell’obbligo comunitario ed espone lo Stato a responsabilità internazionale.

Nel nostro ordinamento giuridico, l’attuazione delle direttive può aver luogo in via legislativa, mediante l’adozione di fonti di rango primario (ad es. leggi, decreti legislativi) o in via amministrativa, mediante l’adozione di fonti di rango secondario (ad es. regolamenti o altri atti amministrativi). Spetta al legislatore statale o regionale, ciascuno in relazione al proprio ambito di competenza, il compito di provvedere all’attuazione delle direttive, individuando le relative modalità.

Nel caso in cui una Regione non provveda, lo Stato, sul quale incombe la responsabilità finale nell’ipotesi di mancato adempimento degli obblighi comunitari davanti alle istituzioni comunitarie, può intervenire in via sostitutiva nei suoi confronti. Poiché l’attuazione delle direttive può aver luogo attraverso l’adozione di fonti primarie e secondarie, l’intervento sostitutivo dello Stato si attuerà a sua volta attraverso l’adozione di leggi o di atti ad esse equiparati (leggi, decreti legge o decreti legislativi), o di atti amministrativi (ad es. regolamenti o atti amministrativi generali).

Come vedremo, la sostituzione legislativa è generalmente disciplinata come un intervento “cautelare”, finalizzato ad impedire un eventuale inadempimento da parte delle Regioni, ancora prima che esso possa concretamente verificarsi. Le norme poste dallo Stato sono emanate in via preventiva, ma entrano in vigore soltanto alla scadenza del termine fissato dalle direttive e si applicano esclusivamente a quei soggetti che non abbiano provveduto all’adempimento. Tali norme assumono perciò un carattere suppletivo e cedevole rispetto a quelle adottate dalle Regioni.

La sostituzione legislativa può essere però anche una sostituzione successiva, che presuppone perciò il mancato tempestivo adeguamento della Regione alle direttive, e ha la funzione di porre rimedio ad un inadempimento o ad un non esatto adempimento dopo che esso si è verificato. Ed è in questi casi che lo Stato ricorre normalmente a provvedimenti in via d’urgenza, per evitare di essere chiamato a rispondere della propria inadempienza nei confronti delle Istituzioni comunitarie.

L’adempimento degli obblighi comunitari può consistere inoltre nello

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