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Come ho notato all’inizio, i gruppi mafiosi non sarebbero stati in grado di incidere sull’economia nel modo capillare che ho cercato di descrivere se avessero potuto contare solo sulle loro forze. Era necessario che altri apparati (la c.d. “zona grigia”) integrassero, con la loro azione, quella delle mafie.

Nel corso della presentazione dello «Studio sui pericoli di con- dizionamento della pubblica amministrazione da parte della cri- minalità organizzata», curato dal CNEL, il prefetto straordinario di Reggio Calabria ha cosí descritto la situazione: «La Pubblica Amministrazione nelle regioni meridionali e, in particolare, in Calabria, è assolutamente inaffidabile. Non c’è un problema di infiltrazione della criminalità organizzata, ma di vera e propria sostituzione. L’inefficienza della Pubblica Amministrazione dà ampio spazio alla criminalità organizzata, all’interno di un sistema assolutamente inefficiente… ».

Quanto il Prefetto ha rappresentato trova chiara evidenza, tra l’altro, nella corruzione che, come ha rilevato di recente la Corte dei Conti, continua ad allignare nella Pubblica Amministrazione e nel fatto che spesso la raccomandazione, in zone di mafia, si è sostituita all’esercizio del diritto ed al riconoscimento del merito nelle assunzioni negli apparati amministrativi.

Una situazione di vantaggio per le imprese mafiose risiede, poi, nel fatto che esse vengono avviate (si pensi all’economia som- mersa, gestita dalla camorra che prospera a “Las Vegas”, quel complesso di comuni che circondano Napoli, cosí denominato da Saviano) senza dover percorrere la “via crucis” che un’impresa legale deve sopportare per iniziare le proprie attività, richiedendo, in media, 68 autorizzazioni, contattando 15 uffici, con l’impegno di 63 giorni lavorativi («Il Sole», 9 gennaio 2007).

Un’economia sommersa che secondo l’ultimo rapporto ISTAT valeva, già nel 2004, tra i 230 e 246 miliardi di euro, rispettiva- mente il 16,6 ed il 17,7 % del PIL e la cifra confermata per il 2006 è di 230 miliardi.

Ancora: ben 46 consigli comunali sono stati sciolti, nel Mezzo- giorno, dal 6 dicembre 1992 in seguito all’emergere di indizi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la crimi- nalità organizzata o di forme di loro condizionamento, che com-

promettono la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento della pubblica amministrazione.

Tra gli enti disciolti anche aziende sanitarie.

Illuminante, in proposito, è quanto riporta la Relazione conclu- siva del 25/03/2006 redatta dalla Commissione Ministeriale dopo gli accertamenti svolti sulla azienda sanitaria locale n.9 di Locri, in seguito all’omicidio del dott. Francesco Fortugno, Vice Presidente del Consiglio Regionale della Calabria..

Si legge: «… la presenza, all’interno dell’azienda sanitaria, di personale, medico e non, legato da stretti vincoli di parentela con elementi di spicco della criminalità locale o interessato da prece- denti di polizia giudiziaria per reati comunque riconducibili ai consolidati interessi mafiosi, ha permesso di verificare non solo la presa di contatto tra le organizzazioni malavitose e l’azienda, bensí una vera e propria infiltrazione in quest’ultima…Il quadro che emerge fa ragionevolmente presumere che forze mafiose locali si siano infiltrate nell’area dell’istituzione sanitaria e, sovrapponen- dosi ai rispettivi organi, abbiano potutto minacciare la serenità delle scelte decisionali di fondo…» con la conseguenza che «… i settori della spesa pubblica sono stati dirottati verso strutture pri- vate accreditate che hanno potuto indebitamente beneficiare di introiti talvolta pari anche al triplo di quello determinato con i tetti sanitari». La Commissione conclude: « In estrema sintesi … si è riscontrata una arbitraria occupazione da parte della criminalità locale e una compressione dell’autonomia della azienda sanitaria la cui volontà è risultata fortemente diminuita».

La vicenda appena riferita non è isolata, ad ulteriore dimostra- zione dell’interesse della criminalità mafiosa anche per le strutture sanitarie.

Un recente rapporto della Guardia di Finanza, relativo questa volta all’Asl di Vibo Valentia, evidenzia, tra l’altro, che numerosi affiliati ai clan calabresi erano stati assunti dalle ditte aggiudicatici

di appalto; che altri presiedevano addirittura le gare e che nume- rosi dirigenti della struttura sanitaria erano, anch’essi, espressione di famiglie mafiose. Ne conseguivano: la trattativa privata come regola consolidata; la prassi del ricorso a rinnovi e proroghe di contratti per eludere le gare; l’aggiudicazione dei lavori o dei ser- vizi alle stesse ditte; il frazionamento delle commesse in piccoli lotti per disapplicare le norme antimafia.

«Intorno a Locri e non solo – è sempre il Prefetto di Reggio Calabria che parla – intorno all’indotto di cliniche, laboratori e studi medici, continuano a gravitare gli interessi delle cosche».

A Palermo, poi, è in corso un processo per il reato di associa- zione di tipo mafioso, nei confronti di un importante imprenditore nel settore della sanità privata che, secondo le prospettazioni del- l’accusa, era il punto di congiunzione tra gli interessi economici di Bernardo Provenzano e quelli di alcuni settori del mondo politico e della borghesia professionale. Le società che facevano capo a tale imprenditore sono state sequestrate ed il loro valore stimato in 500 milioni di euro.

Per quanto concerne i rapporti mafia – politica, la legge li ha, per cosí dire, attestati (ex facto oritur jus) sia pure con grave ritardo e li sanziona.

La L. 7 agosto 1992, n.356 ha infatti introdotto, tra le finalità dell’associazione di tipo mafioso, punita fin dal settembre 1982, quella di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sè o ad altri in occasione di consultazioni eletto- rali, completando cosí, in una triade, gli obiettivi dell’aggregato criminale, fondato su forza di intimidazione, assoggettamento ed omertà: commissione di delitti, gestione e controllo delle attività economiche, manipolazione del voto.

Con la stessa legge fu introdotto nell’ordinamento penale, sia pur con una formulazione restrittiva e non soddisfacente, il delitto di «Scambio elettorale politico mafioso» del quale risponde chi

ottiene la promessa di voti «in cambio della erogazione di denaro».

Del resto, come è stato piú volte notato, la mafia è tale solo se ha un rapporto con il potere politico (ora soprattutto a livello degli enti locali ai quali è affidata, in gran parte, la gestione del territo- rio e delle risorse economiche) tanto che essa è stata sintetica- mente, ma efficacemente, indicata come una «moderna organizza- zione criminal-politica» (Violante, Non è la piovra).

Il rapporto collusivo mafia – politica (che solo in drammatiche occasioni, come le stragi del 1992 e del 1993, è destinato a tra- sformarsi in collisione) si forma o si estende quando singoli poli- tici o gruppi politici ritengono di non poter prescindere dal soste- gno mafioso per l’esercizio del loro potere e la mafia, a sua volta, ha interesse a fornire il sostegno perché ha necessità della politica per lo svolgimento delle proprie attività illegali.

Quanto ho detto trova un significativo riscontro nella circo- stanza che, nell’anno appena passato, le procure distrettuali pugliesi e siciliane hanno avanzato undici richieste di rinvio a giu- dizio per il delitto di associazione di tipo mafioso con riferimento a rapporti collusivi tra mafia e ambienti politico-amministrativi, mentre circa quaranta sono stati i provvedimenti di custodia cau- telare in carcere, che hanno coinvolto un numero assai piú ampio di soggetti, per gli stessi fenomeni, in quelle due regioni ed anche in Calabria e Campania.

Un esempio, tra i tanti, delle collusioni tra Cosa Nostra e settori rilevanti della politica e dell’amministrazione siciliana è offerto dalla lettura di una sentenza del luglio 2005 del tribunale di Palermo. In essa si fa riferimento al ruolo svolto da un politico per l’organizzazione di riunioni strategiche tra personaggi di vertice di Cosa Nostra e soggetti istituzionali disponibili a collaborare con il sodalizio criminale; al controllo di attività economiche in varie

fasce territoriali; all’organizzazione di forme di cooperazione tra imprenditori, politici e mafia.

Per quanto concerne l’inquinamento mafioso negli appalti e nelle opere pubbliche, nella Relazione della Commissione Parla- mentare Antimafia, presentata al termine della precedente legisla- tura, al capitolo 5, dal significativo titolo «Alterazione del libero mercato e lesione della concorrenza», si legge, tra l’altro, che quel settore è contrassegnato da un pesante coinvolgimento di politici e di pubblici funzionari non solo per gestire le diverse fasi di mani- polazione illegale degli appalti, ma anche per accertare l’esistenza di eventuali investigazioni in corso per poter adottare adeguate contromisure. Nel contempo la mafia mette in campo nuove pro- fessionalità al proprio interno che si va progressivamente diversifi- cando, nella struttura culturale e sociale, dalle strutture precedenti. In documenti giudiziari si legge, per quanto riguarda la mafia siciliana, che il settore degli appalti si conferma come un ambito primario dell’operatività di Cosa Nostra, sintomatico della sua strategia di inabissamento e di controllo sistematico dei rapporti economici e produttivi. Esso evidenzia le molteplici occasioni di collegamento affaristico con soggetti istituzionali in una prospet- tiva di arricchimento illecito e di diffuso parassitismo. Conseguen- temente si rafforza un’area di fiancheggiamento e convivenza che costituisce un forte fattore di stabilità degli equilibri di potere mafioso. La proiezione di tale specifico contesto criminale sul piano degli assetti istituzionali comporta la perpetuazione e l’e- spansione di un tessuto di relazioni che può essere considerato l’e- spressione di una vera e propria politica di infiltrazione di Cosa Nostra negli apparati amministrativi ed istituzionali. In questa prospettiva il dato piú significativo è dato dalla scoperta dell’esi- stenza di veri e propri reticoli informativi al servizio dei mafiosi la cui stabilità ed entità lascia trasparire una strategia criminale com- piuta e sofisticata ed un elevatissimo rischio per le istituzioni pub-

bliche ed in particolare per le stesse strutture investigative.

Ed ancora, riprendendo le dichiarazioni del mafioso Antonino Giuffrè: «Sugli appalti Cosa Nostra aveva messo a punto un con- gegno perfetto con parte del mondo politico e della classe impren- ditoriale: su questo c’era una spartizione capillare. Dopo il 1998 questo meccanismo, che era stato controllato ampiamente da Angelo Siino, fu migliorato. Fu costituito il cosiddetto tavolino al quale prendevano parte personaggi molto importanti… Salamone fu uno di quelli che ebbe un ruolo importantissimo, tramite l’ing. Bini, il tecnico che si occupava di calcestruzzi per conto della Fer- ruzzi e che divenne il punto di collegamento con i mafiosi e con i politici. Quello fu il momento della saldatura tra la mafia e parte della politica e dell’imprenditoria».

Il mafioso ha definito questo sistema «un meccanismo perfetto che verrà poi copiato ed applicato in diverse parti di Italia, il fiore all’occhiello di Cosa Nostra. Molti anni dopo, posso dire che è ces- sato il tavolino, ma non il legame tra i politici, gli imprenditori ed i mafiosi…in questo modo è venuta meno la concorrenza impren- ditoriale. I ribassi si sono ridotti e non di poco. La mafia dava sicu- rezza e in cambio otteneva il 2%».

Per quanto riguarda la camorra, sempre in atti giudiziari, si legge: «La penetrazione camorristica nel sistema degli appalti uti- lizza soggetti che costituiscono l’interfaccia tra mondo politico- economico e mondo criminale in ragione della loro posizione pro- fessionale o delle relazioni personali di cui sono dotati».

Analoghe considerazioni sono svolte dal Ministero dell’Interno per la ‘ndrangheta: le organizzazioni criminali calabresi conti- nuano a rivolgere grande interesse verso le infiltrazioni negli appalti, realizzate anche attraverso l’inquinamento delle relazioni politico-amministrative a livello locale.

In Puglia, una tra le varie indagini su questo tema, ha messo in luce la struttura di una organizzazione di tipo mafioso tesa ad

assicurasi l’egemonia nelle attività economiche ed imprendito- riali, anche controllando l’attività della pubblica amministra- zione.

È infine da notare che, nel 2006, sono stati iniziati, in Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata, alcune decine di indagini per il delitto di scambio elettorale politico-mafioso.