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I. Ferrara nel Seicento: storia e società

3. La società ferrarese

3.3. Nobiltà

Una piccola parte della nobiltà ferrarese, legata alla famiglia Estense per rapporti di parentela o clientelari, al momento della Devoluzione seguì il duca, trasferendosi a Modena. Coloro che mantennero la scelta e non tornarono a Ferrara furono pochi: giunti nella nuova sede incontrarono le stesse difficoltà economiche di Cesare d'Este e le loro speranze di rinnovata gloria furono disattese. La gran parte della nobiltà restò in città, fedele ai duchi d'Este e in contatto con la famiglia, e ben fu assorbita dal nuovo sistema di governo che la incluse nei suoi organi. Alcuni esponenti ritenuti pericolosi per la stabilità del nuovo governo vennero cacciati dalla città insieme agli Este; un esempio è Ippolito Bentivoglio, appartenente ad una famiglia di spicco dell'antica nobiltà e padrona di grandi ricchezze in città, il quale si era dimostrato convinto difensore dei diritti dei duchi su

89 Frizzi, 1791, V, p. 116.

90 Per la monetazione e il conio di moneta a Ferrara nel XVII secolo si vedano: Bellini V., 1761, Delle monete di

Ferrara, Rinaldi Ed., Ferrara; Bassanelli Tugnoli P., 1981, La monetazione ferrarese in età estense e i tipi di monete ferraresi nel Seicento, in La Chiesa di San Giovanni Battista e la cultura ferrarese del Seicento, 1981, Milano, pp.

184-186; Gulinelli M.T., 1981, L'attività della Zecca di Ferrara come Zecca pontificia in ivi, pp. 187-190; Morelli A., 1981, I procedimenti di coniazione e le monete in circolazione a Ferrara nel Seicento, in ivi, pp. 191-215. 91 Baruffaldi, 1700, p. 49.

Ferrara.

In generale la ricchezza della classe derivava dai possedimenti territoriali fuori città e dalla produzione delle loro ville; ancora padrona della città, la nobiltà godette per tutto il Seicento di ampi privilegi e benefici che il mandato troppo breve dei legati non riuscì mai a ridimensionare o scalfire: molte delle imposte gravanti sull'intera popolazione delle provincia legatizia non erano di loro pertinenza perciò andarono a opprimere ancora di più la parte più indigente della popolazione la quale continuava ad aumentare e a cui occorreva porre rimedio. Spesso erano alcuni membri resiedenti a Roma che non permisero che le loro antiche e nobili famiglie venissero a perdere diritti di nascita, facendo pressioni su ecclesiastici vicini al pontefice92. Molte famiglie nel corso del

secolo rischiarono di estinguersi per la mancanza di eredi e per evitare che i patrimoni venissero perduti e frazionati spesso si mescolarono, imparentandosi tra loro: nella sua Istoria l'Ubaldini riporta un elenco completo delle famiglie ancora presenti in città, quelle estinte e quelle che si sono fuse93. Attraverso i matrimoni Ferrara acquisì anche cittadini di diversa provenienza come il

vicentino conte Scroffa e il conte Roverelli da Cesena, ma a volte nemmeno queste unioni furono in grado di salvare dalla miserie le antiche casate, che sempre più spesso erano clienti dei Monti di Pietà: nel 1699 Giovanni Boiardi Susena abbandonò la città alla volta di Modena seguito da moglie e figli in condizioni di povertà estrema94; molti altri nobili all'esilio preferirono la vita ritirata

all'interno di un convento. Quella di rifugiarsi presso un'autorità ecclesiastica era la soluzione preferita anche per salvarsi durante un scontro risoltosi nel sangue; spesso accadeva che i nobili si scontrassero direttamente e in maniera privata, onorando le antiche leggi cavalleresche piuttosto che rivolgersi alle autorità competenti e ai tribunali: i motivi dei duelli, il più delle volte simulazioni teatrali, furono i più disparati da questioni di precedenza tra le vie della città alla lotta per conquistare l'ambita carica di Giudice dei Savi95 alla corsa per essere colui che accompagnava

nell'entrata o nell'uscita dalla città il cardinale Legato o per far parte del suo seguito nelle visite ufficiali96.

Anche a Ferrara ci fu bisogno dell'intervento delle leggi suntuarie per limitare il lusso che era ormai dilagante sia tra l'aristocrazia sia tra la classe borghese emergente. Il rapporto tra le due fu difficile e a volte contrastato tale fu la potenza e la fermezza con cui i borghesi si proposero di giungere al pari per prestigio e importanza all'interno della Legazione. Molte sono le testimonianze scritte che

92 Paliotto, 2006, pp. 263-265.

93 Ubaldini, cc. 88v-89v. Cft. Borsetti Ferrante, 1735, Historia almi Ferrariae gymnasii, c. 97 r-v; Conti F., 1852,

Illustrazioni delle più cospicue e nobili famiglie ferraresi tanto estinte quanto viventi fino all'anno 1800, Tipografia

delle Pace, Ferrara.

94 Paliotto, 2006, pp. 267-269.

95 Cft. Baruffaldi G., 1700, Dell'istoria di Ferrara, Pomatelli, Ferrara.

chiariscono quella che fu la situazione in città: il Maresti scrive «vedendo che le moglie de gli artegiani portavano collane d'oro & andavano così pompose, che le moglie di alcuni cittadini non potevano uguagliarle, non che superarle, & altri cittadini per il contrario faceano andare con tanti sfogi le loro moglie, che sembravano dame delle più principali, dal che ne riusciva sensibilmente la distruttione e ruina di molte famiglie, tanto più che questo male cominciava a serpire anche negli huomini stessi. Geloso il Fiaschi del ben commune procurò in Roma appresso il Pontefice a fine di ottenere una pragmatica, mediante la quale si ponesse freno a gl'inconvenienti»97.

Si venne a creare una gara dove per i borghesi il modello fu lo stile di vita dell'aristocrazia che in breve tempo di osservazione, grazie ai capitali derivati dalle loro attività, furono in grado di emulare e in molto casi di superare; da qui la corsa aristocratica alla ricerca dell'oggetto di lusso in grado di ribadire e riaffermare il proprio status insuperabile. Spesso si commissionarono oggetti di un valore tanto alto da essere inaccessibile (a volte anche a loro che per ottenerli ricorrevano a prestiti che li avrebbero condannati alla rovina) o che rispecchiassero la storia e l'antichità della famiglia, qualità che anche il più ricco dei borghesi non avrebbe potuto comprare. A tutela furono appunto istituite le leggi suntuarie, che a poco però servirono come riporta la fonte: «gli huomini, di natura sono tanto vani & ambitiosi, che i plebei a gara col vestir di parer nobili; & i nobili di parer principi si sforzano: ne ponendo il lor studio in altro che ad una certa apparenza esteriore, non si curano di vedersi in casa mendichi pur che in piazza paiano ricchi»98. In merito intervenne direttamente il

pontefice in quanto la richiesta e il consumo di beni di lusso provocò conseguenze sul piano economico della città: materie prime che vennero importate ed esportate, nuovi rapporti commerciali da regolamentare e tassare; per porre rimedio fu nominata una speciale commissione dal Consiglio99.

Sicuramente ci fu un campo in cui l'aristocrazia fu imbattuta: la devozione fu, infatti, affare esclusivamente nobile: le famiglie dimostrarono il loro rango costruendo monumenti, cappelle e arche funebri che portarono il loro nome all'interno delle numerose chiese cittadine, per le quali fu necessario la licenza concessa direttamente dalla Santa Sede, oltre che partecipando con generose offerte e contribuiti alle principali processioni sacre. Inoltre a questa sola classe sociale fu affidato il compito di ospitare i vari personaggi di passaggio o invitati in città dal cardinale Legato: «nonostante l'indisponibilità economica va segnalata la magnificenza dell'ospitalità (che comportava certamente un notevole aggravio) accordata a personaggi di rilievo che transitavano per Ferrara. Non solo la famiglia Bentivoglio […] si addossava queste spese, ma anche altre casate

97 Maresti, 1683, pp. 119-120. 98 Romei, 1591, p. 259.

99 Alcune testimonianze e pareri dei membri della commissione speciale, nominata dal Consiglio, in merito all'utilizzo dei beni di lusso da parte dei cittadini di Ferrara sono riportate in Paliotto, 2006, pp. 275-277.

nobiliari […] nell'aprile del 1652 l'arciduca Ferdinando Carlo d'Asburgo, di passaggio per Ferrara, viene alloggiato in casa del marchese Federico Mirogli e ha con sé 400 cavalli e altrettanti uomini armati, alloggiati nelle stalle del duca di Modena e nelle stalle comuni»100.

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