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E

poi vero tutto questo? L' accanimento

ne!

male non

avrebbe riscontro, o per

meglio

dire, il suo contrapposto in

una

specie di accanimento nel bene? e questo

non

potrebbe essere anche

maggiore

di quello nelle co-scienze

mosse

dai più alti ideali etici, inspi-rate dai più intensi e delicati sentimenti di simpatia e quindi

vivamente

sensibili alle sof-ferenze altrui e anche alla semplice idea <Ielle possibili sofferenze?

Ma

qui

non

è il caso di

un paragone

obbiettivo fra le due cose.

Don Abbondio,

col suo occhio

ombroso

e preoccu-pato, con una coscienza quasi inaccessibile ai sentimenti teneri, allorché è

dominato

dalla paura, s' ingrandisce

enormemente uno

dei termini del

paragone

e perciò

vede

lacostanza la perseveranza, l'accanimento solo

da una

parte, dalla parte del male. Coloro che fanno

il male, sono per lui persone che le studiano tutte pur di nuocere,

sempre

all'erta,

non

hanno

requiee

non

perdono nessuna occasione, perchè

appuiUo

egli ha da temere da queste

168 IL SENTIMENTO DEL DOVEKE

e

non

da quegli altri.

La

passione

ha sempre

bisogno di nutrire il fuoco, che deve alla sua volta alimentarla, d' ingrandire le cause, che giustificano il sentimentoe il sentimento opera perciò

sempre una

selezione a suo esclusivo vantaggio.

Non

è quindi questione di fatti,

ma

d'impressioni e le impressioni, in tal caso,

danno

al male una oculatezza,

una

attività,

una

persistenza, che

non

si possono

neppur

lon-tanamente

paragonare con quelle che operano nella via del bene.

Onde

il

problema

che ora tormenta

don Abbondio

èquello di sottrarsi alle possibili ire di

don

Rodrigo; e per sottrarvisi, cercare di fargli

comprendere

che egli

non ha

avuto

al-cuna

parte attiva nella spedizione.

Come

fare?

Andare

a dire che egli è andato per

comando

espresso del suo superiore e

non

di sua pro-pria volontà ?

Ma

a questo si

oppone un

sen-timento interno, che

non

è

un

chiaro

senti-mento

del dovere, si bene un sentimento che

potremmo

chiamare di pudore del -proprio do-vere. Egli sente che, operando a quel

modo,

lascerebbe credere di « tenere dalla parte dell' iniquità » e questo pensiero gli provoca perciò

un

sentimento di protesta: «

Oh,

santo

LA SPEDIZIONI': CON

U

INNOMINATO 169

cielo! Dalla parte dell' iniquità io !

Per

gli spassi che la

mi

».

Ma non

capisce che si

può

tenere dalla parte della iniquità in diversi

modi

e per

di-verse vie.

Obbedire

alle ingiunzioni degli ini-qui, preoccuparsi tanto della propriapelle, da sacrificare così facilmente gli altri ai capricci di coloro, è, né più, né

meno,

che tenere dalla parte dell' iniquità.

A

questo peraltro egli

pensa così poco,

da

indursi perfino a trovare di fronte alla propria coscienza

una

provaasuo favore, dove avrebbe invece dovuto trovare un'accusa; poiché è

appunto

in quei tali spassi che apparisce,

come

egli si sia

messo

dalla parte di essa.

Ma

egli è convinto del contrario

ed

è tanto convinto, che desidererebbe anche negli altri, questa

medesima

convinzione.

Non

è semplicemente per paura della pub-blica opinione, delle critiche del pubblico, ch'egli vorrebbe divisa dagli altri questa sua convinzione,

ma

perchè egli la ritiene

piena-mente

conforme alla verità, Kgli è convinto

di avere agito

sempre

da galantuomo, d'aver

sempre

fatto il proprio dovere e vorrebbe che

tutti lo ritenessero

un

galantuomo; ma, d'altra parte, vorrebbe anche si capisse che. in quella

170 1I> SENTIMENTO DEL DOVERE

maledetta spedizione, eg'i

non

ci è entrato per nulla, vi

ha

solo rappresentato

una

parte

puramente

passiva.

E

questa forse una di quelle tante conciliazioni, di quei mezzi

ter-mini a cui si appigliano e di cui si contentano

le coscienze medie, le coscienze accomodanti?

Potrebbe sembrare,

ma non

è.

Lo abbiamo

già detto, le coscienze,

come

quella di

don Abbondio,

sono cedevoli più che accomodanti.

Esse, in

buona

fede, ritengono di

non

venir

meno

al proprio dovere

quando

la paura

im

pedisce d'adempierlo; perchè allora e la causa

che

genera la paura e

non

la propria coscienza che opera. Esse

non hanno

la forza di deter minarsi in

modo autonomo

per

mancanza

di energia interna e ne attribuiscono tutta la colpa alle cause esteriori.

Non

è quindi que-stidnc di

una

vera e propria conciliazione,

ma

piuttosto di

un

termine che esclude 1' altro :

la paura esclude il dovere,

ma

ciò non toglie che questo possa operare allorché cessa la

paura.

La

soluzione cui si appiglia

don Abbondio

è la sola più rispondent'3 al suo carattere :

sottrarre, cioè,

come

al solito, la sua persona, affidando a Perpetua il compito di far capire

LA SPEDIZIONE CON

V

INNOMINATO 171

come

stanno le cose; e intanto, ritirarsi nella sua parrocchia, ed evitare possibilmente 1' in-contro col cardinale, a cui potrebbe venire

« il grillo di far qualche pubblicità, qualche scena inutile » e metterci dentro

anche

lui,

don Abbondio.

Lasciando stare che potrebbe venire « anche curiosità a

monsignore

di saper tutta la storia » e gli « toccasse a render conto

dell'affare del matrimonio! »

Ma,

e Lucia?

Piantarla così in

mano

di estranei, di gente sconosciuta, senza

neppure una

parola di con-forto, senz'aspettare

almeno

la venuta della

madre

! - Tutte queste cose,

suppongono

1' a-zione di quei sentimenti teneri, che

don

Ab-bondio allora

non può

provare, onde, a tal riguardo, resta nella sua coscienza la logica pura, la logica delle idee e questa gli dice :

« Lucia è

bene

appoggiata; di

me non

e' è più di bisogno; e

dopo

tant' incomodi, posso pretendere anch' io d'

andarmi

a riposare ».

E

se ne torna alla cura, senz' altro desiderio che quello di sottrarsi ad ogni pubblicità e col triste presentimento che i suoi ultimi anni

ha

« da passarli

male

».

IL

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