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LA NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA D

Nel documento Sistema di Dublino e rifugiati (pagine 33-139)

Sezione I: la direttiva 83/2004/EU – Direttiva qualifiche.

Dopo aver analizzato le norme dettate dalla Convenzione di Ginevra rivolgiamo ora l’attenzione alla normativa in materia di asilo emanata in ambito europeo. Cominciamo questo studio con la cosiddetta “nuova direttiva qualifiche”1

, recepita dagli Stati Membri entro il 21 Dicembre 2013, data in cui è stata abrogata la direttiva 2004/832 di cui ha preso il posto. La nuova direttiva non si applica però a Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca: le prime due rimangono vincolate alla direttiva 2004/83 mentre la Danimarca non è vincolata da nessuna delle due direttive3.

La direttiva è fondata sull’articolo 78, paragrafo 2, lettere a e b4

, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che incarica il Parlamento Europeo ed il Consiglio di adottare misure volte alla realizzazione di un Sistema europeo comune d’asilo.

Gli obiettivi della direttiva 2011/95 sono chiaramente indicati dall’articolo 1 rubricato proprio “obiettivo” dove si dispone che “La presente direttiva stabilisce norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché

1

Direttiva 2011/95/UE, reperibile online al seguente indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-

content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32011L0095.

2 Direttiva 2004/83/CE, reperibile online al seguente indirizzo http://eur-

lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:304:0012:0023:IT:PDF.

3

Queste esclusioni si giustificano in ragione dell’articolo 3 del Protocollo 21 “Sulla posizione del

Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà sicurezza e giustizia” e degli articoli 1 e

2 del Protocollo 22 “Sulla posizione della Danimarca”; entrambi i protocolli si trovano annessi al Nuovo Trattato sull’Unione Europea ed al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, reperibili online al seguente indirizzo http://www.isaonline.it/mag/UE-Trattati-Protocolli.html.

4 Articolo 78 del TFUE, paragrafo 2, lettere A e B: “Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo

e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa:

a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l'Unione;

b) uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il beneficio dell'asilo europeo, necessitano di protezione internazionale”.

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sul contenuto della protezione riconosciuta”. Prima di addentrarci nello studio delle disposizioni della direttiva è però opportuno soffermarci sui considerando posti in apertura dell’atto stesso dove si fissano alcuni principi meritevoli di essere qui richiamati.

Innanzitutto dalla lettura dei considerando risulta immediatamente percepibile come la “nuova direttiva qualifiche” risulti fondata sui principi dettati dalla Convenzione di Ginevra del 19515, tanto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata in favore di un’interpretazione della direttiva “nel rispetto della Convenzione di Ginevra nonché degli altri trattati pertinenti contemplati dall’articolo 78, paragrafo 1, TFUE […]e nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”6

. L’indicazione della Corte implica che si debba tener conto anche dell’interpretazione che dà l’UNHCR delle previsioni della Convenzione pur non essendo questa idonea a vincolare le corti nazionali7.

Sempre nei considerando si legge come il processo di armonizzazione posto in essere con la direttiva in esame sia volto ad assicurare l’applicazione di criteri comuni per l’identificazione dei soggetti bisognosi di protezione, ad assicurare un livello minimo di prestazioni in tutti gli Stati Membri8 nonché a ridurre i movimenti secondari dei richiedenti protezione dovuti a differenze a livello giuridico esistenti fra gli Stati Membri9.

Il considerando 21 conferma poi che, anche per la normativa europea, “Il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto ricognitivo”.

Proprio dall’articolo 1 si evince una delle modifiche introdotte rispetto alla direttiva 2004/83: la disposizione si riferisce infatti a “stabilire norme” e non più norme minime come invece prevedeva la vecchia direttiva10. Ciò non impedisce

5

Si vedano i considerando numero 4, 23 e 24 in apertura della Direttiva 2011/95/UE.

6 CGUE, Warendorf e Osso contro Alo e Region Hannover, C-443/14 e C-444/14,

EU:C:2016:127, reperibile online al seguente indirizzo

http://www.europeanrights.eu/public/sentenze/Sentt._C-443_2014_e_C-444_2014_in_ingl..pdf.

7

Cfr. H. DÖRIG in K. HAILBRONNER e D. THYM, EU Immigration and Asylum Law, C. H. BECK, 2016, pag. 1118.

8 Considerando numero 12 in apertura della Direttiva 2011/95/UE. 9 Considerando numero 13 in apertura della Direttiva 2011/95/UE. 10

Direttiva 2003/83/CE, articolo 1, “La presente direttiva stabilisce norme minime

sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”.

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agli Stati Membri di introdurre o mantenere in vigore norme più favorevoli come previsto dall’articolo 3.

L’articolo 2 della direttiva si occupa di fornire le definizioni dei termini più rilevanti: alla lettera d viene data la definizione di rifugiato. La direttiva ricomprende sotto la definizione di rifugiato solo soggetti provenienti da Paesi terzi od apolidi prevedendo quindi una restrizione non contemplata dalla Convenzione di Ginevra11. Molto si è discusso sull’ammissibilità di questa restrizione alla luce dell’articolo 42 paragrafo 1 della Convenzione stessa che dispone che le riserve alla Convenzione non possano essere fatte all’articolo 1. Il considerando 20 però precisa che la direttiva si applica nel rispetto del Protocollo sull’asilo dei cittadini degli Stati Membri dell’Unione allegato ai Trattati12

nel quale si prevede che gli Stati Membri debbano essere considerati Paesi sicuri nell’analisi di domande di asilo e che domande provenienti da cittadini di uno Stato Membro debbano essere prese in considerazione solo nei casi previsti dal Protocollo stesso.

Il rifugiato viene definito come “cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12”.

Per quanto riguarda la definizione di timore fondato si può qui richiamare quanto detto in fase di analisi della Convenzione di Ginevra13. La Corte Europea di Giustizia ha evidenziato come per valutare la sussistenza o meno del fondato timore14 le autorità competenti debbano accertare se le circostanze siano tali da

11

Supra, pag. 17 e ss.

12 Protocollo N. 24 al Trattato sull’Unione Europea ed al Trattato sul Funzionamento dell’Unione

Europea, reperibile online al seguente indirizzo: http://www.isaonline.it/mag/UE-Trattati-

Protocolli.html#protocollo24.

13

Supra pag. 18 e ss.

14 CGUE, Y e Z contro Germany, C-71/11 e C-99/11, EU:C:2012:518, reperibile online al seguente

indirizzo

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costituire una minaccia tale che il richiedente possa ragionevolmente temere, alla luce della sua situazione individuale, di essere oggetto di atti di persecuzione. L’articolo 3, come abbiamo già ricordato, permette agli Stati di “introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli […] purché siano compatibili con le disposizioni della presente direttiva”. Questa norma solleva qualche dubbio se si pensa all’obiettivo di realizzare un Sistema europeo comune d’asilo: un ampio potere in materia di riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria concesso agli Stati sembra infatti porsi in contrasto con gli intenti di armonizzazione che sono alla base della direttiva stessa, come esplicitamente affermato nei considerando 12 e 1315. Proprio per questo pare inevitabile imporre delle restrizioni al potere degli Stati di accordare protezione internazionale a soggetti non qualificabili come idonei a ricevere tale protezione ai sensi della direttiva16.

L’articolo 4 si preoccupa di dettare norme in materia di “Esami dei fatti e delle circostanze” e prevede che il richiedente asilo sia tenuto a presentare quanto prima gli elementi volti a supportare la propria domanda. Si noti come l’articolo non faccia riferimento alla necessità che i fatti presentati vengano provati dal richiedente asilo. La valutazione della fondatezza della richiesta è un dovere condiviso di Stato e richiedente asilo: la Corte Europea di Giustizia ha infatti sottolineato come, in determinati casi, lo Stato possa trovarsi in una posizione più agevole per ottenere documenti e come debba dotarsi di informazioni precise ed aggiornate sulla situazione del Paese d’origine del richiedente17

. La Corte, sempre nella sentenza M.M., ha affermato come sussista, sia in capo allo Stato che in capo al richiedente, un dovere condiviso di raccogliere gli elementi necessari e di valutarli sulla base delle prove ottenute18. Questo dovere di cooperazione implica che, nel caso in cui i dati forniti dal richiedente non siano completi o aggiornati lo Stato è tenuto a cooperare attivamente con il richiedente per raccogliere tutti gli

9c1f9317b537705.e34KaxiLc3eQc40LaxqMbN4Pa3qLe0?text=&docid=126364&pageIndex=0& doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=202549.

15 Supra, pag. 34.

16 Cfr. H. DÖRIG in K. HAILBRONNER e D. THYM, op. cit., pag. 1128.

17 CGUE, M.M. contro Minister for Justice, Equality and Law Reform, Ireland and Attorney

General, C-277/11, EU:C:2012:744, reperibile online al seguente indirizzo

http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=130241&pageIndex=0&doclan g=en&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=202813.

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elementi necessari19. Il processo di valutazione avviene in due diversi momenti: il primo passaggio consiste nel determinare i fatti e le circostanze di prova idonei a motivare la domanda; il secondo consiste invece nella valutazione delle conclusioni tratte dalle prove portate a supporto della domanda20. Sempre l’articolo 4, al paragrafo 3, dispone che l’esame della domanda debba essere effettuato su base individuale tenendo conto di una serie di profili soggettivi indicati dalle lettere da a) ad e).

Nel caso in cui vi siano elementi che portino a ritenere che i fatti presentati dal richiedente potrebbero non essere veritieri l’autorità competente deve valutare la credibilità del soggetto: la situazione descritta dal richiedente per essere considerata credibile deve essere sufficientemente dettagliata e coerente durante tutto il procedimento. Il racconto deve essere presentato da parte del richiedente prontamente e dovrebbe essere coerente con le informazioni che lo Stato possiede sul Paese d’origine21

. Quando emergano delle discrepanze durante il processo di valutazione si deve comunque consentire al richiedente di essere sentito su quei punti e le sue dichiarazioni devono essere tenute in considerazione al momento della decisione finale.

Il paragrafo 4 richiama poi la previsione della Convenzione di Ginevra secondo cui aver subito precedentemente persecuzioni, danni gravi o minacce di tali atti costituisca un serio indizio della fondatezza del timore del soggetto. Perché la previsione più favorevole contenuta in questo paragrafo possa applicarsi è necessario che la ragione per cui il soggetto teme di essere sottoposto a persecuzione o danno grave sia la stessa per cui già era stato vittima di tali abusi; la norma inoltre non si applica quando vi sia fondato motivo di ritenere che la persecuzione non si ripeta22.

19

Ibidem.

20

Ibidem.

21 Gli standard internazionali in materia sono stati riassunti da Baldinger di concerto con la

International Association of Refugee Judges in D. BALDINGER, Rigorous Scrutinity versus

Marginal Review, Wolf Legal Publisher, 2013, pag. 382. Si veda anche International Association

of Refugee Law Judges, Assesment of Credibility in Refugee and Subsidiary Protection claims

under the EU Qualification Dirctive, 2012, reperibile online al seguente indirizzo http://www.iarlj.org/general/stories/Credo/Credo_Paper_March2013-rev1.pdf.

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Il paragrafo 5 dell’articolo 4 si applica solamente quando gli Stati si avvalgono dell’opzione contenuta nel primo paragrafo dell’articolo23

. Secondo questa norma il richiedente non è tenuto a provare determinati elementi tra cui la sua età, il suo background, la sua identità, la rotta del suo viaggio e le ragioni per cui richiede protezione internazionale quando rispetti determinate condizioni elencate in maniera esaustiva dallo stesso articolo24.

L’articolo 5 regola la situazione di quei soggetti il cui bisogno di protezione internazionale sia sorto fuori dal paese d’origine, che, come abbiamo visto, vengono identificati come rifugiati “sur place”25

. Il timore può essere conseguente ad avvenimenti verificatisi successivamente alla partenza del soggetto (§1) o ad attività svolte dal richiedente dopo la partenza dal Paese d’origine (§2). Il paragrafo 3 si occupa poi dei cosiddetti bootstrap refugees26

: soggetti che presentano una domanda successiva quando il rischio di persecuzioni sia fondato su circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la partenza dal paese di origine. Si dispone che gli Stati possano respingere una richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato quando il rischio di persecuzioni posto a fondamento della stessa sia basato su circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la partenza dal suo Paese di origine27. Le attività poste in essere dopo la fuga che non sono l’espressione o la continuazione di convinzioni od orientamenti già tenute nel Paese d’ origine non sono necessariamente abusive. Rientrano tra queste quelle situazioni in cui il richiedente non fosse ancora in

23 Direttiva 2011/95/UE , articolo 4, paragrafo 1 “Gli Stati membri possono ritenere che il

richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale…”

24 Direttiva 2011/95/UE, articolo 4, paragrafo 5 “Quando gli Stati membri applicano il principio in

base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a) il richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;

b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone;

d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto buoni motivi per ritardarla; e

e) è accertato che il richiedente è in generale attendibile.”

25

Supra, pag. 28.

26 Cfr. F. CHERUBINI, op. cit., pag. 199.

27 Per una valutazione della possibile conflittualità di questa disposizione con il divieto di

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grado di stabilire le proprie convinzioni a causa della propria età28. In ogni caso anche quando la richiesta di asilo sia fondata su elementi che non sono espressione o continuazione di convinzioni ed orientamenti già tenuti nel Paese d’origine questa potrà essere respinta solo laddove non si rilevi un pericolo di persecuzione.

In caso di una richiesta successiva, inoltrata dopo una precedente decisione definitiva sulla domanda di protezione internazionale, il terzo paragrafo dell’articolo 5 consente agli Stati di non riconoscere di norma lo status di rifugiato29. Questa presunzione è destinata a cadere quando il richiedente asilo sia in grado di dimostrare che, dopo il respingimento della prima domanda, non ha intensificato od iniziato tali attività al solo fine di vedersi riconoscere lo status di rifugiato.

I due articoli successivi, 6 e 7, definiscono rispettivamente i responsabili della persecuzione o del danno grave ed i soggetti che possono offrire protezione. L’articolo 6 individua i possibili soggetti responsabili negli Stati (lettera a), nei partiti o nelle organizzazioni che controllano lo Stato od una parte rilevante del suo territorio (lettera b) o nei soggetti non statuali, qualora si dimostri che “i responsabili delle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire la protezione contro persecuzioni o danni gravi di cui all’articolo 7” (lettera c). All’interno dei Paesi europei sussistevano due differenti orientamenti riguardo ai soggetti persecutori: Francia e Germania adottavano la “accountability theory”, secondo la quale un individuo può essere riconosciuto come rifugiato solamente qualora la persecuzione possa essere attribuita ad uno Stato. Numerosi altri Paesi europei, già prima della Direttiva 83/2004, adottavano invece la “protection theory” ripresa dall’articolo 6 della direttiva, che afferma come la persecuzione posta in essere da un soggetto non statale sia riconosciuta nel caso in cui lo Stato del richiedente non voglia o non sia in grado di offrire protezione30. Nella proposta della Commissione numero 510

28 Cfr. H. DÖRIG in K. HAILBRONNER e D. THYM, op. cit., pag. 1144.

29 Direttiva 2011/95/UE, articolo 5, paragrafo 3, “Fatta salva la convenzione di Ginevra, gli Stati

membri possono stabilire di non riconoscere di norma lo status di rifugiato a un richiedente che abbia introdotto una domanda successiva se il rischio di persecuzioni è basato su circostanze determinate dal richiedente stesso dopo la partenza dal paese di origine.”

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del 2001 si legge come la fonte della persecuzione o del danno grave sia del tutto irrilevante. È necessario invece chiedersi se il richiedente possa o meno ottenere una protezione effettiva contro il danno o la minaccia di danno nel Paese di origine. Quindi, quando il danno o la minaccia del danno provengano direttamente dallo Stato il timore del richiedente sarà certamente fondato non avendo egli la possibilità di ottenere protezione nel proprio Paese; nel caso in cui il danno o la minaccia dello stesso siano invece posti in essere da soggetti non statali il timore del richiedente potrà considerarsi fondato solamente se lo Stato di origine non voglia o non possa fornire protezione effettiva.

L’articolo 7 dispone che “la protezione contro persecuzioni o danni gravi può essere offerta esclusivamente dallo Stato o da partiti od organizzazioni internazionali, che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio”.

Su questo articolo si è espresso l’UNHCR secondo il quale non è corretto equiparare la protezione che uno Stato è in grado di fornire con quella che possono garantire soggetti diversi: anche la dottrina ha fatto notare come nel diritto internazionale le entità non statali non abbiano gli attributi di uno Stato e come la loro capacità di garantire la rule of law siano estremamente limitate31. Per queste ragioni in dottrina si considera irrealistico ritenere che un’organizzazione internazionale possa garantire lo stesso livello di protezione di uno Stato32. Nonostante le obiezioni mosse il legislatore europeo ha optato per un approccio flessibile basato sul fatto che sempre più organizzazioni internazionali abbiano assunto funzioni assimilabili a quelle di uno Stato33. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in materia, ha riconosciuto che l’articolo 7 non esclude che la protezione possa essere garantita da organizzazioni internazionali anche attraverso la presenza di una forza di coalizione internazionale sul territorio di uno Stato terzo34.

31

Cfr. J. C. HATAWAY e M. FOSTER, The Law of Refugee Status, Cambridge University Press, 2014, pag. 292.

32 Ibidem..

33 Cfr. H. DÖRIG in K. HAILBRONNER e D. THYM, op. cit., pag. 1153. 34

ECJ, Abdullah e altri contro Bundesrepublik Deutschland, C-175/08 a C-179/08, EU:C:2010:105, reperibile online al seguente indirizzo

http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=75296&pageIndex=0&doclang =en&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=203176.

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Ancora discussa è la possibilità di considerare soggetti idonei a fornire protezione i clan o le tribù eventualmente presenti in un determinato territorio: per l’UNHCR questi soggetti potrebbero essere considerati idonei a garantire protezione solamente se la loro autorità fosse riconosciuta all’interno della regione35, in dottrina ed in giurisprudenza invece si tende a riconoscere la capacità di questi soggetti, così come di eventuali regimi di fatto non riconosciuti, di garantire protezione36. Si tenga infatti conto del fatto che in numerosi Paesi africani arabi ed asiatici clan e tribù hanno una storia ben più antica e radicata rispetto alle strutture statali spesso imposte dai Paesi coloniali o da esigenze commerciali.

I soggetti che offrono protezione per poter essere riconosciuti come tali devono, oltre che essere in grado di garantire protezione, anche essere intenzionati a farlo:

Nel documento Sistema di Dublino e rifugiati (pagine 33-139)

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