(1911)
2.1 - La legge Casati e il governo della Destra (1859-1876)
Giunti alle soglie dell’Unità, la mancanza nel testo ufficiale della legge Casati118 di un
qualsiasi riferimento diretto alla selezione o all’adattamento degli ambienti da destinarsi all’insegnamento primario, può essere inteso come un chiaro segnale del disinteresse del Governo ad affrontare e risolvere un insieme di problematiche in gran parte già lucidamente individuate che iniziarono ad emergere con una pressione crescente nel momento in cui il decreto piemontese venne esteso a tutto il nuovo Regno.
Nel testo legislativo informazioni sulla modalità di gestione di questo aspetto sono deducibili solo in maniera indiretta tra gli articoli che compongono il titolo V, dedicato all’istruzione elementare.
Decisiva fu per i futuri sviluppi della scuola primaria italiana, fu innanzitutto la scelta di ribadire l’affidamento agli enti locali dell’intero riparto finanziario del settore (art. 344). Nuovamente tale decisione non venne accompagnata da alcuna forma di sostegno per agevolare i comuni a rispettare tutti gli oneri imposti. Solamente gli artt. 345 e 346 fanno cenno all’esistenza di blandi stanziamenti a favore delle comunità più disagiate; i sussidi concessi dallo Stato furono infatti pensati unicamente per contribuire al pagamento dello stipendio agli insegnanti. Solo qualora le province avessero deciso di stanziare delle somme a favore dell’insegnamento primario, queste sarebbero state preferibilmente utilizzare per sostenere le «spese occorrenti pel primo stabilimento delle scuole e pel mantenimento del relativo materiale». La mancanza di direttive più precise in merito alla natura, alla consistenza e alla modalità di erogazione degli stessi sussidi, fanno però apparire questi articoli come degli enunciati dal semplice valore teorico; principalmente interessanti per studiare e comprendere le linee d’azione successive intraprese dal Governo.
Una norma che verosimilmente dovette avere un riflesso più incisivo sulla selezione degli ambienti scolastici, è quella contenuta nell’art. 323 che fissa a 70 il numero massimo degli alunni che ogni scuola può «conservare simultaneamente». La norma tuttavia viene
sminuita dalla disposizione contenuta nell’ultimo capo dell’articolo che tenendo conto della variabilità stagionale dell’affluenza scolastica, soprattutto nelle zone rurali, permette alle scuole composte da una sola classe di avere un numero di allievi eccedente questa cifra, ma non superiore al centinaio. Nel caso in cui tale limite venga «oltrepassato per una certa parte dell’anno», l’articolo impone ai municipi di aprire una seconda scuola o di suddividere la sede utilizzata in classi distinte, ognuna con il proprio locale119. L’intenzione alla base di
queste contraddizioni fu probabilmente quella di venire incontro alle possibilità dei comuni meno abbienti che già faticavano a tenere aperta un’unica sede ed a stipendiare un solo maestro, ma in questo modo venne altresì concessa un’ampia libertà nel predisporre la scuola.
È nel capo III, Stipendi e sussidi, del regolamento d’attuazione della legge Casati, approvato il 15 settembre 1860, che si rinvengono le prime direttive emanate dallo stato unitario in materia di edilizia scolastica, malgrado gli articoli che vi sono dedicati sono molto pochi e solo tre si occupano di definire i requisiti in base ai quali effettuare la selezione e la sistemazione dei locali scolastici120.
L’art. 137 stabilisce che «le Scuole debbono essere salubri, con molta luce, in luoghi tranquilli e decenti per ogni riguardo, e adatte per ampiezza al numero degli allievi obbligati dalla Legge a frequentarle». Vengono quindi riproposte delle caratteristiche già indicate dagli ordinamenti degli stati preunitari analizzati, ma esposte in modo molto più sintetico. Ad esempio non viene espressa alcuna considerazione in merito alla scelta del sito: in confronto il decreto del 12 luglio 1858 del Regno Lombardo-Veneto appare accurato. L’articolo successivo ritorna a ribadire la separazione dei locali per i due sessi. Nessuna soluzione pratica è prevista nel caso dell’impossibilità degli enti responsabili a disporre di una seconda aula (per l’istruzione femminile), limitandosi semplicemente a prescrivere l’apertura di due ingressi distinti quando i due ambienti siano attigui.
L’art. 139 stabilisce che nelle scuole dove si svolgano le lezioni con orario continuato, venga allestita una sala o costruita una tettoia per la ricreazione degli allievi e, quando ci sia dello spazio disponibile, si apra un cortile fornito «dei principali attrezzi occorrenti agli esercizi ginnastici»: delle disposizioni che possono essere ricollegate, ma con finalità
119 In questo secondo caso, l’insegnamento della classe inferiore può essere affidato a un sotto-maestro,
supervisionato dal maestro principale e retribuito con uno stipendio ancora più esiguo di quello di un normale insegnante.
120 Le prescrizioni del regolamento si riferiscono alla singola aula che come chiarisce Mario Daprà, nella
terminologia in uso nella metà del XIX secolo, viene indicata con il termine “scuola”. Secondo lo studioso il fatto che l’attenzione del legislatore fosse rivolta alla sola aula può essere considerato un indizio dell’impossibilità a quella data, di “ipotizzare la disponibilità di organiche strutture edilizie per dare sede all’attività scolastica”. Cfr. Daprà, La fondazione dell’edilizia scolastica in Italia (parte prima), in “Edilizia scolastica e culturale”, n.1, gennaio-aprile 1986, pp. 77-96: 77.
abbastanza diverse, alle soluzioni proposte una quarantina di anni prima dai fautori del mutuo insegnamento e che possono essere interpretate anche come il primo segnale dell’attenzione rivolta agli aspetti collaterali alle lezioni teoriche.
Altri articoli inclusi nel capo III riguardano più propriamente la gestione della scuola: l’art. 136 torna a ricordare alle amministrazioni locali l’obbligo di «provvedere alle spese del materiale per lo stabilimento e la conservazione delle Scuole nella sede principale, ed anche in quelle delle borgate»; mentre l’art 143 aggiunge che i comuni debbono occuparsi anche della “custodia”, della “decenza” e della “pulitezza” della scuola. Vengono quindi stabiliti in modo molto generico dei doveri relativi al mantenimento ed all’igiene delle aule121.
La vigilanza sul rispetto di tali direttive viene affidata all’Ispettore di Circondario che nei casi di inadempienza ha inoltre il compito di incentivare il comune a rimediarvi. Se il suo invito non ottiene alcun riscontro positivo, egli deve rivolgersi all’Intendente Sotto-prefetto affinché venga avviato un procedimento ufficiale per risolvere il problema. Il giudizio su tutte le controversie «intorno alla convenienza del casamento scolastico» spetta, secondo l’art. 148, al Consiglio provinciale sopra le scuole.
Le mansioni svolte dagli ispettori in realtà vennero precisate successivamente in un’apposita Istruzione ministeriale122, ma il loro ruolo appare importante perché ad essi,
oltre a occuparsi di far rispettare ad ogni comune del proprio circondario scolastico l’obbligo di istituire una scuola maschile ed una femminile123, spettava il compito di vigilare
sulla qualità dell’ambiente scolastico: durante le sue visite, l’ispettore è infatti incaricato di prestare una particolare attenzione alle condizioni dell’aula e alla fornitura delle suppellettili, rilevandone tutte le mancanze e i difetti. Secondo il capo 19 dell’Istruzione egli deve valutare se l’ambiente:
«sia sano ed adatto, vale a dire non umido, lontano da nocive esalazioni, abbastanza rischiarato, e protetto nell’estate dagli ardori del sole, se capace per tutti i ragazzi che accorrono alla scuola, cosicché vi stiano senza disagio e separati nelle varie sessioni».
Deve altresì segnalare quando:
«il locale della scuola presenti qualche pericolo di cadute nell’entrare e nell’uscire degli allievi; che il camino o la stufa siano in troppa prossimità dei banchi; che la scuola non sia tenuta con mondezza, e che non si usi la dovuta attenzione pel rinnovamento
121 Gli artt. 140-142 e 144 forniscono un elenco dettagliato di tutti gli oggetti di cui ogni scuola dovrebbe
essere dotata, suddividendoli in base ai gradi delle classi. Vengono inoltre stabilite le responsabilità inerenti il rifornimento di determinati materiali quali l’inchiostro e la legna per il riscaldamento.
122 Doveri ed attribuzioni degli Ispettori scolastici- Degli Ispettori, Istruzione Ministeriale del 28 febbraio 1862,
riportata in B. Amante, Manuale di legislazione scolastica vigente, ovvero Raccolta di leggi, regolamenti, circolari e programmi
sulla pubblica istruzione emessi dal 1860 a tutto il 1879, Stamperia reale, Roma 1880, pp. 717-725.
dell’aria. Inoltre esaminerà se la scuola sia collocata in sito centrale; se si trovino unite in un sol fabbricato scuole maschili e femminili, ed in questo caso se ciascuna scuola abbia un ingresso proprio».
Svolta l’ispezione e comunicati ai responsabili tutte le irregolarità rinvenute, si fa carico all’ispettore di prodigarsi acciocché si provveda a correggere ogni segnalazione, offrendosi come referente e fornendo, qualora glielo venga richiesto, tutti «gli opportuni consigli circa la qualità, ampiezza e distribuzione del locale, e circa la qualità e quantità degli arredi di cui devono essere provviste le scuole» 124.
Durante la prima fase della vita della scuola pubblica italiana, le competenze inerenti l’ambiente scolastico furono quindi in buona parte affidati alle capacità e all’esperienza (personale) degli ispettori distrettuali125.
Ritornando al decreto del 15 settembre 1860, a supporto delle amministrazioni comunali l’art. 135 prevedel’erogazione di sussidi da destinarsi «principalmente alle spese occorrenti per istabilire le scuole e mantenere ogni materiale», concessi dal Consiglio provinciale amministrativo mediante il Consiglio provinciale sopra le scuole quando il consiglio comunale inoltri una chiara richiesta126. Ancora una volta all’affermazione di tale principio
non fa seguito alcun capoverso che illustri la prassi da intraprendere per ottenere il beneficio, chi ne può beneficiare, in quale misura e tutte le informazioni utili affinché la direttiva abbia un’effettiva efficacia: un’ulteriore prova della noncuranza del governo nei confronti delle difficoltà degli enti locali e per i problemi che affliggevano l’istruzione primaria, in particolar modo quelli legati all’edilizia scolastica.
Con la circolare del 1 maggio 1862 vennero stabiliti dei criteri più precisi per l’assegnazione dei sussidi127, ma solo con il Regio Decreto del 23 marzo 1868 ne venne regolamentato il
meccanismo di distribuzione, gestito da un’apposita commissione ministeriale formata dai provveditori centrali e da altri dodici componenti nominati annualmente e presieduta dal
124 § 13-14; parte I. § 18. Parte II-Delle visite e del modo di eseguire le medesime, in Doveri ed attribuzioni…,
cit.
125 L’Istruzione del 28 febbraio 1862 incaricò gli ispettori di redigere, alla fine del ciclo di visite condotte nel
proprio circondario scolastico, una relazione corredata da “riassunti statistici” che doveva servire al Governo ed al Parlamento per dedurre un quadro generale delle condizioni e delle necessità dell’istruzione primaria. Purtroppo quest’intento non venne mai perseguito completamente poiché non tutti gli ispettori dimostrarono lo stesso zelo nell’intraprendere tale mansione e soprattutto mancò un metodo uniforme secondo cui raccogliere ed ordinare i dati statistici. Perciò si rese necessaria la compilazione da parte del Ministero di istruzioni più ampie e precise emanate il 30 luglio 1864. Cfr. F. Torraca, Relazione a S. E. il Ministro
dell’Istruzione Pubblica, sull’istruzione elementare nell’anno scolastico 1895-96, in “Bollettino Ufficiale del Ministero
della Pubblica Istruzione”, anno XXIV, 1897, 29 novembre, vol. II, Supplemento al n. 47, pp. 1-259: 3-4.
126 G. F. Ferrari, Stato ed enti locali nella politica scolastica: l’istituzione delle scuole da Casati alla vigilia della Riforma
Gentile, Cedam, Padova 1979, p. 28.
127 I sussidi vennero concessi in via prioritaria alle comunità le cui entrate risultassero insufficienti per coprire
tutte le spese richieste dalla scuola, ai centri colpiti da calamità, a quelli formati da molte borgate popolose distanti le une dalle altre, ed infine ai comuni che si erano dimostrati “più zelanti ed attivi nel promuovere l’istruzione elementare d’ambo i sessi”. Cfr. Ivi, p. 28 e nota 74.
Ministro stesso: la loro mansione principale consisteva nello statuire delle norme uniformi per ripartire e somministrare i sussidi e nel provvedere direttamente alle assegnazioni in base alle segnalazioni inoltrate dai consigli scolastici provinciali. Con il decreto del 1868 e le numerose norme successive in materia, quelli che nella legge Casati erano inizialmente intesi solo come degli interventi finanziari a sostegno dei comuni per l’istituzione del servizio d’insegnamento pubblico, vennero direttamente trasformati in “sussidi in favore dell’istruzione primaria e popolare”, volti ad incentivare lo sviluppo del sistema scolastico128.
D’altra parte su quest’ultimo continuava a gravare la decisione di rimettere agli enti locali la gestione del servizio e di tutti oneri degli istituti d’istruzione inferiore e superiore (tranne le università)129; un’ulteriore conferma secondo Ferrari, del perpetuarsi dell’incapacità del
governo sia centrale, sia locale, di comprendere l’importanza dell’istruzione elementare ai fini della crescita sociale e del consolidamento dell’unità appena acquisita130. La scelta di
affidare alle amministrazioni municipali tutte le responsabilità della scuola elementare, derivava infatti dalla concezione di quest’ultima come un servizio di carattere prettamente locale, senza alcun riflesso a livello nazionale. Un disinteresse che secondo Fernando Isabella si ripercuote anche nella fondamentale legge emanata il 20 marzo 1865 (legge Lanza) per regolamentare tutto il settore dei lavori pubblici che in alcun modo accenna all’edilizia scolastica131.
128 Ivi, pp. 28-29. Per la travagliata storia della commissione per i sussidi, si veda pp. 29-30.
129 Si ricorda che le spese per le scuole tecniche, per i ginnasi e i licei, per le scuole normali, spettarono ai
comuni di appartenenza, sui quali gravarono altresì completamente i costi di gestione dei locali e degli arredamenti di tali istituti. Gli aiuti provinciali e statali per l’istruzione secondaria furono rivolti solo al pagamento degli stipendi degli insegnanti. A nulla valsero i tentativi di cambiare questo stato di cose intrapresi dai progetti Farini-Minghetti, i quali prevedevano che l’istruzione elementare fosse ancora di pertinenza locale, ma la gestione dell’istruzione tecnica e secondaria e dell’istruzione superiore, con i relativi oneri edilizi, doveva essere rispettivamente affidata alle province e ai consorzi regionali di province, sgravando così le amministrazioni comunali da molte responsabilità. La nuova legge comunale e provinciale del 20 marzo 1865 propose di assegnare alle competenze della provincia l’istruzione secondaria e tecnica. Però questo principio, per essere attuato, necessitava dell’approvazione di una legge speciale che regolasse il passaggio dell’istruzione pubblica secondaria dallo Stato alle province. Negli anni successivi furono presentati diversi disegni di legge destinati a tal fine, ma nessuno riuscì a superare l’iter approvativo, sicché una simile proposta venne riproposta a lungo, ma senza mai trovare una concreta attuazione. In questo modo i costi e gli oneri edilizi di ogni ramo e grado della pubblica istruzione continuarono a gravare, benché in diversa maniera, sui bilanci delle amministrazioni comunali. Ivi, pp. 10-11, 24-27. Per il progetto Minghetti cfr. anche E. De Fort, Storia
della scuola elementare in Italia, Feltrinelli, Milano 1979, p. 37.
130 Secondo Ferrari il concorso statale nell’assolvimento delle spese, può essere considerato un chiaro indice
della misura dell’interesse dello Stato per i vari “rami” dell’istruzione, perché proporzionale all’intensità dell’importanza che il tipo di istituzione rivestiva ai fini dello Stato stesso. Cfr. Ferrari, Stato ed enti locali…, op. cit., pp. 13-14, 23.
131 F. Isabella, L’edilizia scolastica in Italia. Precedenti e prospettive, La Nuova Italia, Firenze 1965, pp. 3-5. Cfr.
La mancanza di un piano economico di investimenti collaterale alla legge Casati e di sanzioni per gli enti inadempienti132, unita alla fin troppo ottimistica visione che ai fini della
crescita dell’istruzione primaria riteneva bastevoli le iniziative e le capacità finanziarie delle amministrazioni locali, in realtà non fecero altro che accrescere gli squilibri esistenti fra i comuni delle eterogenee province italiane ed incoraggiare un’azione frammentaria, proprio perché non venne tenuto conto delle condizioni differenti in cui versavano i municipi e della disponibilità e delle capacità che essi potevano o volevano mettere a disposizione della scuola per il popolo133.
I risultati di questa politica che venne a consolidarsi in un modello «imperniato sul rapporto tra gli enti locali territoriali come soggetti obbligati e lo Stato operante in funzione di sostegno mediante interventi finanziatori di varia natura ed entità», rivelarono tutta l’insufficienza degli sforzi dedicati all’istruzione elementare rispetto ai crescenti bisogni del paese134.
Necessità che varie inchieste conoscitive varate a pochi anni di distanza dalla promulgazione della legge Casati misero presto in luce. L’inchiesta condotta per l’anno scolastico 1863-1864, pur possedendo una notevole rilevanza per la conoscenza delle condizioni critiche in cui versava la scuola di base in tutta la penisola, non ebbe particolari attenzioni nei riguardi dell’edilizia scolastica. Nemmeno l’inchiesta promossa dal ministro Natoli quando ancora non erano noti i risultati della statistica precedente, volta a una ricognizione prevalentemente qualitativa del sistema, furono importanti per la rilevazione del patrimonio immobiliare della scuola. Scarsa fu infatti l’attenzione dedicata agli ambienti che ospitavano le lezioni: i dati richiesti furono solo di carattere quantitativo per accertare il numero delle scuole e la loro consistenza rispetto ai bisogni della popolazione, e non si soffermarono ad indagarne la qualità135.
Solo l’indagine voluta dalla Commissione parlamentare sullo stato dell’insegnamento primario nel Regno conclusasi nel 1868136, conseguì una rilevazione più precisa sulle
condizioni degli edifici scolastici: anche sotto quest’aspetto emerse una situazione disomogenea e desolante, per quanto dall’Unità in poi molto venne fatto per accrescere
132 Ivi, p. 77-96: 78.
133 Isabella, L’edilizia scolastica in Italia, op. cit., p. 5. 134 Ferrari, Stato ed enti locali…, op. cit., pp. 3, 31.
135 Su queste inchieste e i loro risultati si veda De Fort, Storia della scuola…, op. cit., pp. 42-53. Come evidenzia
chiaramente l’autrice, i dati ottenuti da tali indagini devono essere analizzati con cautela perché insufficienti e approssimativi rispetto alla reale condizione della scuola italiana a pochi anni dall’Unità. Tuttavia essi sono molto utili per la ricostruzione di un quadro d’insieme generale e per l’individuazione delle principali problematiche che affliggevano il sistema.
136 Pubblicata col titolo Documenti sull’istruzione elementare nel Regno d’Italia, Eredi Botta, Firenze-Roma 1868-
quantitativamente il patrimonio edilizio della scuola inferiore. Complessivamente però l’impegno dimostrato dai comuni per fornire alle scolaresche degli ambienti sani fu scarso e il sostegno statale si dimostrò inadeguato, sebbene parte dei fondi messi a disposizione dal governo per l’istruzione primaria vennero appunto destinati alla costruzione e al mantenimento degli stabilimenti, oltreché al miglioramento delle condizioni economiche dei maestri137. Mancò infatti un criterio equo nella distribuzione dei sussidi statali fra le varie
regioni italiane, specialmente di quelli riservati all’edilizia. In questo modo vennero aumentate le diseguaglianze esistenti fra di esse, a svantaggio specialmente delle province meridionali e delle isole, mentre vennero consapevolmente favoriti i comuni più efficienti e, secondo Giuseppe Franco Ferrari, presumibilmente meno bisognosi138. La sperequazione
perpetuata dallo Stato diviene evidente quando si analizzano le modalità di erogazione dei sussidi praticate sino al 1875: non solo fra le amministrazioni da privilegiare figuravano quelle “più zelanti ed attive”, dato che di per sé fa presupporre una preesistente disponibilità di risorse, ma soprattutto i sussidi vennero assegnati a copertura di un solo terzo della spesa preventivata per l’erezione di edifici scolastici, favorendo così i comuni che potevano permettersi di pagare la cifra restante dei costi139.
Nel 1875 si tentò di mutare tale soluzione mediante una circolare140 in cui venne elaborato
un metodo diverso nel sistema di erogazione dei fondi statali in cui la vecchia forma del sussidio venne combinata con quella nuova del mutuo, in modo da avvantaggiare i comuni di minori dimensioni. La bontà di questo provvedimento è dimostrata dalle numerose richieste che in breve tempo inoltrarono le amministrazioni comunali. Come sostiene Ferrari, proprio il successo dell’iniziativa causò, a poco più di un anno dalla sua proposta, la sua stessa cessazione, poiché se si fossero soddisfatte tutte le domande presentate, si sarebbero dovuti aumentare notevolmente gli stanziamenti devoluti all’istruzione elementare che avrebbero in questo modo raggiunto una cifra simile a quella stabilita per l’insegnamento secondario141.
137 Ferrari, Stato ed enti locali…, op. cit., pp. 27-28. 138 Ivi, pp. 31-33.
139 Ivi, p. 33.
140 Circolare n. 411 del 1 luglio 1875, Sussidi e Prestiti per la costruzione di edifizi scolastici, pubblicata in Ministero
della Pubblica Istruzione, “Bollettino Ufficiale” , n. IX, luglio 1875, pp. 659-661.