3.1 - Il Comune di Milano e l’avvio dell’attività edilizia per l’istruzione
Fu a partire dagli anni successivi l’Unità che venne avviata indipendentemente da alcune città italiane una vera e propria sperimentazione di modelli edilizi che nel giro di un ventennio verranno codificati in alcune tipologie riconoscibili, tra le quali emergerà un prototipo di derivazione tedesca che verrà convalidato dalle norme tecnico-igieniche del 1888. Solitamente il ruolo di precorritrice in questo ambito viene attribuito a Torino, che come si è detto, a partire dagli anni ’40 dell’Ottocento e per tutto il resto del secolo, si è dimostrata essere la città italiana più attiva nella lotta contro l’analfabetismo e nella predisposizione di tutti i servizi necessari a tale scopo, mettendo a punto delle soluzioni poi traslate nella normativa ufficiale. In realtà è stato il Comune di Milano, fra i grandi centri del Nord, la prima amministrazione a preoccuparsi delle condizioni degli ambienti in cui si svolgeva l’insegnamento pubblico, nonché della persistente carenza delle aule occorrenti per ospitare una popolazione studentesca in costante crescita, provvedendovi mediante la costruzione di alcuni tra i più antichi esempi di grandi fabbricati scolastici.
Grazie al contributo di Luisa Finocchi263 è possibile ricostruire le particolari circostanze che
indussero l’amministrazione milanese a intraprendere una serie di azioni in favore dell’edilizia scolastica: nel 1860 il Consiglio comunale nominò, come prescritto dalla Legge Casati, un’apposita Commissione per gli studi, guidata da Carlo Tenca264, incaricandola di
“studiare e ringiovanire gli ordini dell’istruzione pubblica comunale”265. Fra i compiti
primari affidati ai membri della Commissione spiccava l’analisi delle condizioni materiali delle scuole cittadine: già nella sua prima relazione presentata dinnanzi al Consiglio, Tenca sottolineò come tale questione fosse di estrema urgenza, poiché non solo le aule presenti in
263 L. Finocchi, Edilizia scolastica a Milano dal 1860 al 1885, in “Storia urbana”, II, n. 6, settembre-dicembre
1978, pp. 85-129.
264 Carlo Tenca (Milano 19 ottobre 1816- 4 settembre 1883). Fu un letterato, un politico ed un giornalista
collaboratore e direttore di importanti testate. Grande osservatore degli sviluppi della scuola in Italia, oltre a presiedere la Commissione degli studi di Milano occupandosi della riorganizzazione del sistema d’insegnamento del capoluogo lombardo, fece parte del Consiglio della Pubblica Istruzione. Voce Tenca, Carlo, in Enciclopedia Biografica Universale, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2007, vol. 18, p. 650.
265 I. Giustina, Istruzione, cultura, assistenza. La nuova architettura pubblica della città, in G. Rumi, A. C. Buratti, A.
città erano ormai in numero insufficiente per accogliere tutti i nuovi iscritti, ma anche perché buona parte delle aule esaminate erano risultate:
«squallide, anguste, molte eziandio umidicce, quasi tutte spoglie d’ogni istrumento del sapere […] collocate in case disadatte, sparse in più piani, in contatto di numeroso vicinato, fra disagi ed inconvenienti inevitabili, chiedenti di essere trapiantate altrove»266.
La soluzione che nell’immediato apparve più semplice ed efficace fu quella di aumentare la quantità di locali presi in affitto presso stabili privati. Fin da subito questa iniziativa venne però accompagnata da critiche riguardanti gli svantaggi in termini economici e qualitativi che tale scelta comportava267.
Per appianare queste problematiche e contemporaneamente, per soddisfare la richiesta di nuove aule scolastiche, Tenca già nel 1861 propose di destinare tutte le cifre stanziate per l’adattamento degli stabili presi a pigione alla costruzione di nuovi ed appositi edifici. Come sottolineato da Finocchi, malgrado l’amministrazione comunale milanese si dimostrò sempre ben disposta a investire fondi per l’istruzione pubblica, affinché la proposta del relatore potesse essere realizzata, occorreva innanzitutto risolvere una serie di questioni pratiche di non facile risoluzione, quali: attendere i tempi richiesti per la scadenza dei contratti d’affitto; la messa a punto di progetti che veramente rispondessero alle necessità scolastiche; procedere al reperimento di terreni edificabili nelle zone dove maggiore era la necessità di nuove sedi, difficoltoso soprattutto nel perimetro interno della città dove venne in parte risolto demolendo vecchi stabili di proprietà comunale. Ma erano nuovamente le difficoltà finanziarie a frenare in modo significativo molte delle iniziative intraprese a favore dell’edilizia scolastica, le quali trovarono un facile rimedio nella pratica dell’appalto che andò perciò consolidandosi268.
266 Citazione tratta dalla Relazione della Commissione per gli studi al Consiglio Comunale, in “Atti del Consiglio
comunale”, seduta del 6 maggio 1861, presente in Ivi, p. 193-228: 193 e in E. Bordogna, Radici tipiche della
architettura scolastica a Milano, in “Hinterland”, anno IV, n. 17, marzo 1981, pp. 68-79: 69.
267 Come venne poi messo in luce nei decenni successivi dalle inchieste ministeriali condotte tra la fine del
XIX e l’inizio del XX secolo, il beneficio che si poteva ottenere dal sistema delle locazioni era solo apparente, poiché le spese richieste dai numerosi e frequenti lavori di riadattamento erano a carico del comune e i canoni d’affitto subivano spesso dei rincari allo scadere dei contratti, ma soprattutto questi ambienti si rivelavano frequentemente poco idonei all’insegnamento. Poteva inoltre accadere che una stessa scuola si ritrovasse a possedere delle aule in edifici diversi e non sempre vicini tra di loro, data la difficoltà di reperire edifici grandi a sufficienza per ospitare tutte le classi, o che una zona della città rimanesse sprovvista del servizio della pubblica istruzione per via della mancanza della disponibilità in loco di fabbricati affittabili, esponendo così il comune alla volubilità ed al profitto dei proprietari privati. Finocchi, Edilizia scolastica a Milano…, op. cit., pp. 85-129: 98-99; Giustina, Istruzione, cultura, assistenza, op. cit., 193-228: 193, nota 5.
268 Per un’analisi di questi fattori e per approfondire il discorso inerente la politica scolastica intrapresa dal
Comune di Milano nei decenni successivi all’Unità, si rimanda a Finocchi, Edilizia scolastica a Milano…, op. cit., pp. 85-129: 88-99.
A dispetto delle numerose difficoltà il Comune di Milano si dimostrò comunque intraprendete, tanto da mettere a punto, autonomamente e in anticipo su qualsiasi direttiva di natura statale, un particolare iter cui sottoporre i progetti relativi alla costruzione degli edifici scolastici. La progettazione delle scuole, così come lo studio dei lavori di ampliamento o riadattamento delle sedi già in uso, era affidata, analogamente ad altre grandi città italiane, agli ingegneri dell’Ufficio Tecnico Municipale che ne dovevano seguire tutte le fasi fino al completamento269.
Questo processo, analiticamente descritto sempre da Finocchi270, prevedeva che il progetto
venisse sottoposto al giudizio di tre commissioni: solo quando avesse incontrato il consenso di questi organi sarebbe potuto comparire dinnanzi al Consiglio comunale per ottenere la definitiva approvazione. Inizialmente tale esame non fu obbligatorio, ma probabilmente venne concepito per assicurare alla futura costruzione una maggiore rispondenza agli scopi che era chiamata ad assolvere.
Il parere più importante proveniva dalla Commissione studi che poteva anche partecipare direttamente alla formulazione del progetto affinché l’edificio da costruire servisse adeguatamente alle esigenze dell’insegnamento. Spettava infatti a essa il compito di studiare le dinamiche scolastiche presenti all’interno delle varie zone cittadine e di informare la giunta dei loro diversi bisogni e di tutte le questioni da affrontare in campo didattico per far sì che venissero appianate quando ci si preparava all’apertura di una nuova scuola.
All’ingegnere dell’Ufficio Tecnico che si accingeva a progettare un edificio scolastico veniva richiesta la capacità di coniugare il rispetto dei moderni standard didattici e pedagogici con il maggiore risparmio possibile di denaro, peraltro ancora in mancanza di direttive specifiche che potessero fargli da guida. Allo stesso tempo però gli si richiedeva di conferire una certa “importanza”, o almeno una riconoscibilità, all’aspetto esterno della futura costruzione. Inoltre era ritenuto indispensabile che il nuovo stabile si inserisse organicamente all’interno del contesto urbano, accordandosi con gli altri edifici del quartiere. A tal fine veniva interpellata la Commissione d’ornato: inizialmente consultata anche per evitare al Comune l’arrivo di petizioni o di proteste da parte degli abitanti attigui al sito prescelto per il progetto271, la sua approvazione divenne obbligatoria a partire dal
1885.
269 Per la storia dell’Ufficio Tecnico di Milano dall’Unità alla fine dell’Ottocento, si rimanda a A. Galbani,
L’Ufficio tecnico municipale da Domenico Cesa Bianchi a Giovanni Masera, in R. Rozzi, a cura di, La Milano del piano Beruto (1884-1889). Società, urbanistica e architettura nella seconda metà dell’Ottocento, Guerini e Associati, Milano
1992, vol. I, pp. 173-189.
270 Ivi, pp. 85-129: 100-105.
271 Si veda il caso relativo al progetto della scuola in via Borgospesso riportato in Ivi, p. 85-129: 102. I
Infine, un’ultima consulenza veniva richiesta alla Commissione sanitaria, poiché si era ormai diffusa la consapevolezza che molte delle malattie che colpivano i fanciulli, indipendentemente da quelle di natura contagiosa, derivavano dalle caratteristiche inadatte e dalle condizioni sconvenienti degli ambienti che frequentavano, in primo luogo della scuola. Come si è precedentemente visto, il giudizio degli ufficiali sanitari verso la fine del XIX secolo divenne determinante per decretare o meno la qualità di un edificio scolastico, ma nella Milano degli anni successivi all’Unità, la Commissione sanitaria era chiamata ad esprimere una semplice valutazione sui progetti che poteva anche essere tralasciata. Solo nel 1885 venne sancito che «il voto degli igienisti non fosse omesso in un argomento così delicato e importante come quello della scuola»272 e che i nuovi fabbricati per
l’insegnamento rispondessero ai requisiti igienici altrettanto di quelli didattici, rendendo doverosa l’opinione della Commissione sanitaria.
La codificazione di questa particolare prassi può essere considerata come un indizio palese della grande attenzione che il Comune di Milano riservò all’edilizia scolastica. L’importanza delle decisioni intraprese dagli amministratori del capoluogo lombardo, assolutamente innovative sul suolo italiano, risaltano chiaramente se messe a confronto con il contesto internazionale. Come si è detto, le prime norme governative emanate in Europa per regolamentare il settore dell’edilizia scolastica risalgono alla metà del XIX secolo, precedendo di soli pochi anni le proposte formulate da Carlo Tenca.
Negli anni centrali dell’Ottocento, l’attenzione riservata all’edilizia scolastica era d’altronde ancora ad uno stadio nascente e di sperimentazione in Europa, come dimostrerebbe il generale insuccesso della sezione dedicata all’istruzione all’interno dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855. Come riferisce Emanuele Latino nella sua breve ricostruzione della storia delle mostre didattiche internazionali antecedenti al 1878, per la prima volta fece qui la sua comparsa una sezione – la settima del gruppo VIII – dedicata alla scuola e alla pedagogia. Essa doveva comprendere anche una rassegna dei «disegni e modelli di edifizi scolastici con particolari notizie intorno ai criteri adottati per renderli propri e salubri»273.
L’autore afferma che «le varie nazioni ed i privati, [che] erano stati quasi sordi al primo appello del 1855»274, facendo quindi intendere che furono pochi gli enti ed i singoli che si
preoccuparono di mostrare i risultati conseguiti in campo educativo, compresa
lamentavano che lo stabile sarebbe risultato troppo alto per una via così stretta qual’era quella, e che sicuramente non era stata coinvolta la Commissione d’ornato la quale avrebbe probabilmente fatto in modo che venissero evitati questi inconvenienti.
272 Cfr. Ivi, pp. 85-129: 104-105.
273 E. Latino, L’istruzione primaria alla Esposizione universale di Parigi nel 1878, in “Bollettino ufficiale”. Ministero
della Pubblica Istruzione, XI-XII, novembre-dicembre 1880, vol. VI, pp. 1287-1309: 1287.
probabilmente la progettazione e la costruzione delle scuole. E ancora all’Esposizione di Londra del 1862, malgrado all’istruzione pubblica fosse stata riservata un’intera classe e gli espositori aumentarono di numero, le aspettative degli organizzatori non trovarono un riscontro soddisfacente; anzi, come sottolinea Latino, gli stessi inglesi, i quali già da alcuni anni avevano annesso al South Kensington Museum (l’odierno Victoria and Albert Museum) un’esposizione permanente di oggetti d’insegnamento, non riuscirono a rispondere a tutte le parti del programma proposto275.
A pochi anni di distanza dalla presentazione delle relazioni presiedute da Tenca, stimolata anche da ciò che stava avvenendo all’estero (i modelli internazionali pervennero in buona parte indipendentemente dai canali costituiti dalle Esposizioni universali, spesso grazie all’iniziativa di alcuni appartenenti o affiliati alla giunta comunale), Milano fu una delle prime città italiane a cimentarsi nella sperimentazione di modelli edilizi per la scuola. Le principali informazioni sui primi edifici scolastici di rilievo eretti nel capoluogo lombardo, ci vengono fornite da Eugenio Saldarini nel capitolo dedicato alle Scuole comunali
ed asili di carità, pubblicato all’interno di Milano tecnica dal 1859 al 1884, fondamentale testo
edito nel 1885 a opera del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano, che ebbe l’obiettivo di rilevare e illustrare tutti i cambiamenti avvenuti nella città a partire dall’Unità276.
Fra i primi grandi progetti intrapresi vi fu l’erezione della scuola in corso di Porta Romana, un vero e proprio “palazzo” destinato a ospitare una sezione elementare maschile e una femminile, una scuola tecnica maschile e una magistrale maschile, arrivando a contenere complessivamente oltre 1700 allievi. La zona prescelta fu all’interno dell’antico circondario, in un’area posta all’incrocio del corso con via Rugabella, precedentemente occupata da Casa Calderara277. Il progetto, affidato all’Ufficio Tecnico Municipale, venne messo a punto
dagli ingegneri Agostino Nazari278 e Carlo Cesa Bianchi e realizzato tra il 1864 e il 1867.
275 Ivi, pp. 1287-1309: 1287-1288.
276 E. Saldarini, Scuole comunali ed asili di carità, in Collegio degli Ingegneri ed Architetti, a cura di, Milano tecnica
dal 1859 al 1884, Ulrico Hoepli, Milano 1885, pp. 313-323. Per l’espansione ed i grandi cambiamenti
urbanistici di Milano, nel cui contesto l’erezione delle scuole si inserisce, si rimanda inoltre a M. Grandi-A. Pracchi, Milano. Guida all’architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1980: in particolar modo il capitolo 2
L’eclettismo, pp. 33-65; L. Gambi, M. C. Gozzoli, Milano, Editori Laterza, Bari 1982.
277 Saldarini, Scuole comunali ed asili…, op. cit., pp. 313-323: 313-314; Finocchi, Edilizia scolastica a Milano…, op.
cit., p. 85-129: 102.
278 Agostino Nazari fu uno degli ingegneri municipali più attivi per il Comune nei primi decenni postunitari,
entrando a far parte dell’Ufficio Tecnico dall’ottobre 1857 e assumendo la carica di responsabile del reparto dell’edilizia dal 1862 al 1888. Molti i lavori che intraprese per il municipio, tra i quali si annoverano il nuovo macello pubblico (iniziato nel 1861), il magazzino per le materie infiammabili, il mercato coperto di Foro Bonaparte (1872), il restauro di parte del teatro alla Scala, oltre a numerosi progetti per la costruzione o il riadattamento di sedi scolastiche. Nel 1860 presenziò tra i candidati che proposero dei progetti per la via intitolata a Vittorio Emanuele II che l’amministrazione voleva aprire tra Piazza della Scala e Piazza del
L’irregolarità dell’area prescelta dovette influire sulla disposizione della pianta dell’edificio (fig. 15) che si presenta approssimativamente di forma trapezoidale, distribuito attorno a due cortili di diversa ampiezza, con le due facciate principali allineate perfettamente alle vie sulle quali prospettano. Lo stabile, con il fronte affacciato sul corso, è orientato verso nord: una scelta determinata fondamentalmente dalle particolarità e dalle preesistenze del sito che, come si è visto, verrà ampiamente contestata, anche in via ufficiale, nei decenni seguenti. A tal fine appare però interessante riportare l’asserzione di Finocchi secondo cui «si considerava, infatti, optimum orientare l’edificio con la facciata verso nord, per evitare che i raggi del sole colpissero troppo a lungo l’edificio, mentre si evitava l’orientamento a sud, sud-ovest»279.
Al palazzo, disposto su tre piani e con un sotterraneo, si entrava mediante tre diversi ingressi, affinché gli alunni e le alunne di diversa età potessero accedere alle aule in modo rigorosamente separato280. Due ingressi, tra cui il principale, si trovano sul fronte
prospiciente il corso di Porta Romana, mentre il terzo, verosimilmente destinato alle bambine281, è collocato presso l’estremità del palazzo in via Rugabella.
Anche l’articolazione interna del fabbricato viene arrangiata in base alle diverse caratteristiche delle due vie: infatti risulta alquanto netta la differenza tra la distribuzione degli ambienti rivolti su via Rugabella e quelli affacciati sul corso. Tra i primi si può difatti notare, almeno al pianterreno, l’adozione di uno schema lineare, in cui le aule di ampiezza pressoché identica, sono allineate insieme ai locali per la portineria, per l’ingresso e per la sala d’aspetto, sulla fronte verso la strada. Ognuno di questi ambienti (tranne l’aula posta nell’angolo dell’edificio tra le due vie che è irregolare e di grandezza inferiore) è di forma perfettamente rettangolare. I locali presentano tutti due finestre verso l’esterno, a parte la sala d’aspetto, la portineria e la terza aula partendo dall’ingresso che possiedono una sola finestra. Le particolarità delle aule per l’insegnamento sono date dalle aperture rivolte verso le logge, in modo da trarre luce dai cortili. Dalla lettura della pianta risulta esserci un collegamento diretto tra cinque classi che si suppone appartenessero alla stessa sezione
Duomo. Cfr. Grandi-Pracchi, Milano. Guida all’architettura, op. cit., pp. 22-23, 35-36; Galbani, L’Ufficio tecnico
municipale…,op. cit., p. 173-189: 174.
279 Finocchi, Edilizia scolastica a Milano…, op. cit., p. 85-129: 110.
280 Purtroppo la pianta, limitata solo al pianterreno, pubblicata da Saldarini e ripresa da Finocchi, non
permette di capire come erano disposte le varie scuole all’interno dell’edificio; considerando poi che negli anni in cui l’ingegnere scrive il capitolo, ben due terzi dello stabile erano occupati, in via provvisoria, dalla Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri. Cfr. Saldarini, Scuole comunali ed asili…, op. cit., pp. 313-323: 314-415, tav. XLIII; Finocchi, Edilizia scolastica a Milano…, op. cit., p. 85-129: 113, fig. 14. Attualmente il palazzo è sede dell’Ufficio Elettorale.
281 Deduzione formulata in base alla prassi non scritta, ma che andrà consolidandosi, secondo la quale nei
fabbricati scolastici disposti all’incrocio tra più vie e contenenti sia le scuole maschili sia le femminili, la separazione tra i sessi viene rimarcata destinando almeno una delle facciate e quindi i rispettivi ingressi, all’accesso dei maschi o delle femmine.
scolastica, mentre le prime due aule poste a ridosso dell’ingresso da via Rugabella probabilmente facevano parte di una diversa scuola (tale ipotesi sarebbe confermata dalla presenza di una parete divisoria all’altezza della seconda aula dall’ingresso che tuttavia consentiva un passaggio tra queste zone distinte dell’edificio).
Sul fronte verso il corso di Porta Romana invece tutti gli ambienti appaiono di forma irregolare, dovuta all’inclinazione dell’asse viario. Ai lati dell’atrio dell’ingresso principale si trovano rispettivamente una portineria e una sala d’aspetto, analogamente all’entrata posta sull’altra via. Il secondo ingresso invece è affiancato solo dalla portineria, mentre la rispettiva sala d’aspetto è posta al di là di una scala e trae luce dal cortile e dall’ambiente attiguo. A separare le due zone d’ingresso vi è un’aula, mentre a completare la serie di ambienti compresi in quest’ala, di larghezza più contenuta rispetto a quella di via Rugabella, vi è la tromba delle scale.
A collegamento degli ambienti sopra descritti servono dei portici ad archi colonnati che definiscono il perimetro dei due cortili, uno più ampio di forma quadrata, direttamente accessibile dall’ingresso principale, e un più piccolo cortile rettangolare, raggiungibile dall’entrata di via Rugabella, collegati tra di loro da un portico con colonne in granito282.
Particolare la soluzione adottata di collocare gli ambienti di servizio, quali le latrine e ad alcuni abbeveratoi, negli spazi ottenuti sfruttando le irregolarità dei due lati rimanenti del fabbricati, soprattutto il fianco ad nord-ovest che si presenta fortemente irregolare. La pianta, in sostanza, sembra essere stata derivata dalla volontà di inserire uno schema regolare, ordinato, in uno spazio asimmetrico. Non è presente la palestra: probabilmente gli esercizi ginnici si svolgevano nelle logge.
In mancanza delle piante raffiguranti il primo ed il secondo piano della scuola, non si possono fare che supposizioni: la distribuzione delle aule, almeno di quelle prospicienti via Rugabella non dovevano essere dissimili da quelle del pianterreno. Qualche diversità doveva invece esserci nella predisposizione degli ambienti sul fronte principale che probabilmente ospitava le sale speciali necessarie all’insegnamento tecnico e magistrale283. Il
vasto loggiato prosegue internamente anche nei due piani superiori (fig. 16), dove gli archi vengono chiusi da ampie finestre con un basso parapetto. I pennacchi degli archi del