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Una nota comparativa con il processo di sviluppo industriale del nord-est

SVILUPPO SOCIALE E MUTAMENTI PRODUTTIVI NEL MONDO RURALE EUROPEO CONTEMPORANEO

4. Una nota comparativa con il processo di sviluppo industriale del nord-est

italiano

Il caso di Alba e delle Langhe ha alcuni punti di affinità con lo sviluppo dell'industrializzazione diffusa che è stato tipico del nord est e del centro italiano negli ultimi decenni. Il caso della «terza Italia» è stato ampiamente trattato nel capitolo di Bagnasco in questo volume. In questa sede si voglio-no solo sottolineare alcuni elementi di convergenza fra le caratteristiche del processo di sviluppo nell'Albese e quello tipico dell'industrializzazione dif-fusa del Nord est e centro.

In primo luogo vale la pena di osservare che in entrambi i casi si è trat-tato di un processo di sviluppo che è strat-tato fortemente influenzato dalle caratteristiche istituzionali e dalla loro lenta e graduale evoluzione, volta a costruire un percorso di sviluppo che non ha distrutto il preesistente tes-suto politico-culturale e socio-economico, ma si è innescato su di esso. In particolare è opportuno ricordare che in entrambe le aree l'agricoltura era caratterizzata dalla prevalenza di piccoli proprietari terrieri e di mezzadri. La forza-lavoro della produzione agricola era data dalla famiglia allargata caratterizzata da una forte impostazione patriarcale. Questa famiglia allar-gata aveva già dimostrato una notevole capacità di estendere le proprie conoscenze, abilità e capacità manageriali verso nuovi settori dopo aver, da tempo, dimostrato un notevole orientamento al mercato e non solo al-l'auto-consumo. L'agricoltura è stata importante anche perché ha fornito la mano d'opera per le nascenti attività industriali favorendo una partico-lare dedizione alle attività rurali e a quelle industriali sulla base del part-time. Ciò ha naturalmente comportato la possibilità per le nascenti indu-strie di poter contare su mano d'opera a basso costo e sufficientemente polivalente per dar luogo a una flessibile combinazione fra capitale e lavo-ro. Spesso la stessa famiglia contadina ha differenziato le proprie attività con alcuni membri che, dopo esperienze di lavoro in fabbrica hanno av-viato attività industriali su base indipendente, ma sempre sostenute dalla famiglia allargata.

Un altro fattore che sembra essersi prestato favorevolmente al trasferi-mento di abilità e orientamenti favorevoli alla diversificazione economica è stata la cultura della cooperazione propria della famiglia allargata.

Infine, una certa prevalenza politico-ideologica di determinate realtà po-litiche hanno fatto sì che la conflittualità capitale-lavoro sia stata contenuta. Inoltre, in entrambe le aree la vicinanza culturale fra «imprenditore indu-striale» e la mano d'opera di procedenza agricola ha creato un'area di con-senso su obiettivi, strategie e modalità di funzionamento delle imprese che sono state vissute dalla popolazione locale come manifestazione di una

evo-luzione endogena e non come imposizione esterna. Quindi, in entrambe le aree il fattore centrale che ha contribuito a plasmare i modelli di sviluppo è stata la lenta e graduale evoluzione dei principali elementi istituzionali delle rispettive aree: organizzazione familiare, forti rapporti di fiducia interperso-nale, cultura della cooperazione e forte senso imprenditoriale. Ci sono, tut-tavia, alcuni elementi di diversità che vale la pena di sottolineare: mentre nel caso dell'industrializzazione diffusa della zona del Nord est e centro, il mo-dello di sviluppo si è prevalentemente orientato all'industria, anche se questo è avvenuto senza fratture con il territorio e con le pratiche consolidate, nel caso dell'Albese la presenza di due grandi industrie come la Ferrerò e la Mi-raglio, il lavoro industriale di membri della famiglia contadina allargata, ha spesso portato a investimenti nell'agricoltura favorendo in questo modo il rafforzamento dello sviluppo agricolo locale. Nel caso dell'industrializzazio-ne diffusa del Nord est e centro ciò non è avvenuto. In effetti, in questo caso si è avuto uno spostamento di risorse dall'agro all'industria.

Entrambi i casi rappresentano modalità di sviluppo basate sul lento e graduale mutamento istituzionale che, partendo dalla valorizzazione delle risorse locali, ha contribuito al rafforzamento di tutti gli attori locali che ha determinato una sorta di collaborazione istituzionalizzata alla quale si sono via via aggiunte, oltre alla famiglia contadina allargata, le imprese, le cooperative, le amministrazioni comunali, le istituzioni bancarie e, in un certo senso, anche le istituzioni regionali e nazionali.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Questa bibliografia è necessariamente breve perché l'analisi dello sviluppo ru-rale a livello locale e dei suoi rapporti esterni è stata raramente condotta da una prospettiva istituzionalista. La bibliografia ha, quindi, lo scopo di orientare il let-tore nell'approfondimento concettuale e metodologico di quegli aspetti che hanno fornito la base per lo sviluppo dell'approccio presentato in questo capitolo. Le no-te bibliografiche si riferiscono agli argomenti trattati nei vari paragrafi seguendo la numerazione indicata nel testo.

I. Il problema dello sviluppo rurale, soprattutto dalla prospettiva degli esperti dell'OCSE, è adeguatamente affrontato in due recenti documenti, OECD (1993), What future for our country side?, A rural development policy, Paris; OECD (1996), Better policies for rural development, Paris.

II. Un utile testo sulle politiche della CEE a sostegno dello sviluppo rurale è quello di R. FANFANI, ( 1 9 9 6 ) , Lo sviluppo della politica agricola comunitaria, Roma, La Nuova Italia Scientifica.

III. Una completa rassegna della letteratura sull'introduzione all'analisi istitu-zionale della politica si può trovare in L . LANZALACO ( 1 9 9 5 ) , Istituzioni, organizza-zioni, potere, Roma, La Nuova Italia Scientifica; un importante testo che, dopo l'a-nalisi delle istituzioni formali tipica del primo sviluppo della scienza politica, ripro-pone l'analisi istituzionale come elemento qualificante dell'analisi politologica è J. J . MARCH, J . P . OLSEN ( 1 9 8 9 ) , Rediscovering institutions. The organizational basis

of politics, New York, The Free Press; per un'interessante applicazione del neo-istituzionalismo nella teoria economica si veda D . C. NORTH ( 1 9 9 0 ) , Institutions, institutional change and economie performance, Cambridge, University Press; una delle più recenti e complete opere sugli aspetti teorici e sulle applicazioni empiri-che della teoria neoistituzionalista è quella di W. R. SCOTT ( 1 9 9 5 ) , Institutions and organizations, Thousand Oaks, Ca., Sage Publications; per un'attenta analisi delle istituzioni come regole nell'ambito del neoistituzionalismo in economia si veda J. Y. LIN, J . B. NUGENT, Institutions and economie development, in J . Behrman, T. N . Srinivasan (eds.), ( 1 9 9 5 ) , Handbook of development economics, Voi. III., Amster-dam, Elsevier Science Publishing Co.; la dimensione normativa delle istituzioni è stata privilegiata in sociologia a cominciare dall'opera fondamentale di E. DUR-KHEIM ( 1 9 4 9 ) , The division oflabor in society, Glencoe, II., The Free Press, a quelle non meno rilevanti di T. PARSONS ( 1 9 9 0 ) , Prole gomena to a theory of social insti-tutions, «American sociological review» (testo originale scritto nel 1 9 3 4 ) , e di P. SELZNIK ( 1 9 4 9 ) , TV A and the Grass Roots. A study in the sociology of formai orga-nizations, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, mentre per una ri-proposta attuale della dimensione normativa delle istituzioni si veda la succitata opera di March e Olsen ( 1 9 8 9 ) . La dimensione cognitiva delle istituzioni è propria dell'approccio antropologico e di un filone della teoria dell'organizzazione. In quanto al primo si vedano le opere fondamentali di C. GEERTZ ( 1 9 7 3 ) , The inter-pretation of cultures, New York, Basic Books e M. DOUGLAS ( 1 9 9 0 ) , Come pensano le istituzioni, Bologna, Il Mulino; per quanto concerne la teoria dell'organizzazione l'opera più completa e aggiornata è quella di W. W. Powell, P. J. Di Maggio (eds.), ( 1 9 9 1 ) , The new institutionalism in organizational analysis, Chicago, Chicago Uni-versity Press.

IV. Il mutamento istituzionale e il suo rapporto con il rendimento economico è ampiamente trattato nel succitato testo di C. NORTH (1990). Per un lucido e re-cente lavoro sul mutamento istituzionale e sulle difficoltà dell'institution building, si veda G . F. LANZARA (1997), Perché è d i f f i c i l e costruire istituzioni?, «Rivista ita-liana di scienza politica», pp. 3-48.

Per un'analisi del mutamento istituzionale inteso come processo caratterizzato da lunghi periodi di stabilità e brevi periodi di rottura, si veda S. D. KRASNER ( 1 9 8 8 ) , Sovereignty: An institutional perspective, «Comparative politicai studies», 2 1 , pp. 6 6 - 9 4 ; per un'analisi del rapporto fra vincoli posti dall'ambiente culturale e innovazioni istituzionali si veda G . FREDDI ( 1 9 8 2 ) , Vincoli storico strutturali sulla prestazione delle burocrazie legali razionali, «Rivista italiana di scienza politica», n.

1 2 , pp. 1 8 3 - 2 1 1 ; l'importanza dell'eredità storica è sottolineata da parecchi autori che si identificano nella cosiddetta teoria della path dipendency; in particolare si

vedano i lavori di P . DAVID (1985), Clio and the economics of QWERTY, «Ame-rican Economie Association paper and proceedings», maggio 1985, pp. 332-337; P . DAVID (1992), Why institutions are the «carriers of history». Notes on path-de-pendence and the evolution of conventions, Organizations and institutions, Stanford University, Stanford Institute for Theoretical Economics, mimeo, ottobre 1992, pp. 1-25; W. POWELL (1991), Expanding the scope of institutional analysis, in P O WELL, D I MAGGIO (1991), op. cit:, K . DOPFER (1991), Toward a theory of economie institutions: synergy and path dependency, «Journal of economie issues», 25, pp. 535-550.

V. Il caso di Barroso è tratto da A. CRISTÓVÀO, H . OOSTINDIE, F . PEREIRA ( 1 9 9 4 ) , Practices of endogenous development in Barroso, Northern Portugal, e il ca-so di Contraviesa presentato da G. REMMERS ( 1 9 9 4 ) , Ecologica! wine-making in a depressed mountainous region in Southern Spain, è tratto da J. Douwe Van Der Ploeg, A. Long (eds.), ( 1 9 9 4 ) , Born from within, pratice and perspectives of endo-genous rural development, Assen, The Netherlands, Van Gorcum. Il caso di Alba, M . PAGELLA, F. PICCINELLI ( 1 9 8 8 ) , Alba e le Langhe: tra vino e cioccolata, in Isti-tuto Nazionale di Sociologia Rurale (a cura di), Italia rurale, Bari, Laterza. Il caso dell'Emilia Romagna, brevemente esposto nell'ultima parte di questo lavoro, ha dato luogo a un' abbondante letteratura sullo sviluppo dell'industrializzazione dif-fusa, dei rapporti fra agricoltura e industria e della capacità dei sistemi locali di svilupparsi a partire dalla valorizzazione delle proprie risorse. I lavori più signifi-cativi sono riportati nella bibliografia del capitolo di A. Bagnasco che appare in questo volume. Per un'analisi dello sviluppo del modello emiliano dalla prospetti-va dei rapporti fra poteri centrali e poteri locali si veda A. PICCHI ( 1 9 9 4 ) , The re-lations between centrai and locai poivers as context for endogenous development, in J. Douwe Van Der Ploeg, A. Long (eds.) cit.

Abel W „ 14, 16, 19, 20. Afton B., 14. Ago R., 23. Alberti G., 97. Alexander J. C., 94. Amatori F., 44. Amin A., 7 1 . Angulhon M., 24. Anselmi S., 38. Antonelli C „ 52, 7 1 . A r r o w K. J „ 74, 75, 82, 87, 94. Badham P„ 15. Bagnasco A., 6, 47, 6 1 , 7 1 , 125, 128. Bairoch P„ 2 1 , 22. Barbadoro I., 34. Barbagallo F., 42. Barberis C „ 37-39. Barone G., 44. Becattini G., 7 1 . Beckett J. V., 14. B e h r m a n J . , 127. Benko G „ 7 1 . Benton L., 7 1 . Berg M „ 19. Bernardi U „ 38. Bevilacqua P., 29, 31-33, 3 5 , 37, 38, 40. Bezza B., 44. Bloch M., 24. Boserup E., 12. Boudon R„ 59, 72, 88, 94. Braudel F., 14, 16, 17. Brusco S., 7 1 . Buchanan J. M., 5, 86. Butlin R. A., 1 1 , 27. Cafagna L., 3 1 . Caizzi B., 44. Caltrava, 1 1 7 . Capecelatro E., 42. Carlo A., 42. Carmagnani M., 1, 3, 9. Castillo J. J., 7 1 . Cattaneo C., 30. Cavazza F., 34. Cazzola F., 33, 35. Cella G. P „ 7, 73, 79, 83, 94. Chambers J. D., 24. Cicognetti L., 37. Cirio F., 44. Clericetti C „ 39. Coleman J. S., 58, 59, 64-68, 72, 82, 92, 94. Collins E. J. T„ 23. Conze W . , 23. Cooke P. H., 7 1 . Corazzieri G., 39. Corner P., 37. Crainz G., 3 1 . Cristóvào A., 1 1 0 , 1 1 6 , 128. D'Attorre P. P., 32, 37. David P., 128. Davis J., 4 1 . Davis J. A., 2 1 . D'Elia C „ 40. Dell'Angelo G., 37-39. D e Vries J „ 19. Di Maggio P. J „ 127, 1 2 8 Dopfer K., 128. Douglas M „ 76, 90, 94, 127. Douwe Van Der Ploeg J., 128.

Dovring F„ 75, 94. Durkheim E., 127. Elsas F., 16. Elster J „ 58, 72, 7 5 , 76, 84, 85, 94. Enrique (viticultore), 120, 1 2 1 . Fanfani R., 1 2 6 . Federico G., 36. Fischer W „ 22. Florio (famiglia), 44. Fontaine L., 23. Fontana G . L., 37. Fontana J., 26. Fontana S., 32.

Forbonnais (Veron de) F., 18. Fornasari M., 35. Foster W . E., 92, 95. F o x H. J „ 27. Freddi G „ 1 2 7 . Fukuyama F., 64, 65, 72. Fumian C., 32, 37. Gaeta D „ 93, 94. Galassi F. L., 39. Galiani F., 18. G a n n e B., 7 1 . Geertz C., 127. Gerschenkron A., 45, 75, 94. Gherardi R„ 23. Gilbert F „ 22. Giolitti G., 40. Giorgetti G., 38. Gislain J. J „ 82, 94. G o f f m a n E., 106. Gordi llo de A n d a G . , 1 , 3 . G o y J . , 2 1 . Gozzi G., 23. Granovetter M „ 80, 95. Grenier J.-Y., 14, 19, 20. Grigg D „ 13. Hardin G „ 90, 93, 95. Hechter H„ 103. Hedstròm P „ 59, 7 2 . Hegel G . W . F „ 108. Hintze O., 2 2 . Hobbes T„ 9 1 . Hogarth R. M „ 83, 84, 86, 94, 95. Hufton O. H „ 15. Iacini S., 3 1. Jones B., 72. Jones E. L „ 19, 2 3 . Jorion P „ 85, 95. Kahnernann D „ 90, 96. Kerridge E., 24. Krasner S. D „ 127. Kristensen P. H., 72. Labrousse E., 14, 16, 17. Lanzalaco L„ 106, 108, 1 2 7 . Lanzara G . F., 127. L e Roy Ladurie E., 2 1 . Lechi F„ 86, 9 1 , 92, 95. Lin J. Y „ 127. Lipietz A., 7 1 . Long A., 128. Lorenzi A., 3 1 . L o w C. M „ 7 1 . Lundgreen P., 2 2 . Macbeth, 76, 9 1 . McDonald J. S „ 3 5 . Macpherson C. B., 75, 95. Malatesta M., 3 1 , 32. Malinowski B„ 80, 95. March J. J „ 126, 127. Marshall A., 5 0 . Marzotto (famiglia), 37. Marzotto G., 37. Mathias P., 2 1 . Mendels F. F„ 19. Meuvret J., 12, 17. Mingay G . E., 24. M o h n p a u p t H., 2 3 . Morgan K., 7 1 . M o r t o n A. L„ 76, 95. North D. C., 74, 8 1 , 84-87, 95, 127. Nugent J. B„ 1 2 7 . Olsen J. P „ 127. Olson M., 78, 95. Oostindie H., 1 1 0 , 128. Ostrom E., 93-95. Overton M., 2 1 .

Pagella M „ 37, 128. Pareto V., 7 7 . Parker W . N., 19. Parsons T., 127. Pearson H. W „ 80, 95. Pereira F„ 1 1 0 , 128. Pezzini M., 37. Picchi A., 128. Piccinelli F„ 37, 128. Piore M. J „ 72. Poggi G „ 23, 24. Polanyi K „ 50, 79, 80, 82, 9 1 , 94, 95. Popkin S., 89, 95. Pounds N. J. G „ 1 1 , 16. Powell W . W „ 1 2 7 , 1 2 8 . Putnam R., 45, 46, 64, 65, 72. Pyke F„ 7 1 , 72. Rabb T. K „ 15. Rausser G . C „ 92, 95. Reder M. W . , 83, 84, 86, 94, 95. Remmers G., 1 1 7 , 128. Rigoni Stern M., 38. Romani M., 3 1 . Romano R., 16. Rosenberg H., 22. Rosenthal J.-L., 25. Rossi A., 37. Rossi Doria M., 29. Rotberg R. I., 15. Roverato G., 3 7 . Sabbatucci Severini P., 3 9 . Sabel C. F„ 7 1 , 72. Sako M „ 72. Sandberg L., 45. Sanz A . G . , 26. Saren M., 72. Saxenian A., 72. Schelling F. W . J „ 83. Schmitter P., 78, 95. Schonfield R„ 15. Sciarrone R., 62, 72. Scott J., 89, 95. Scott W . R., 102, 104, 106, 127. Selznik P „ 127. Sengenberger W . , 7 1 , 72. Simmel G., 76.

Slicher van Bath B. H„ 1 1 , 12, 14, 16, 2 0 . Smelser N „ 72. Smith A., 2 0 . Smith I., 7 1 . Sori E., 43. Srinivasan T. N., 1 2 7 . Steiner P., 82, 94. Stiglitz J. E., 15. Streeck W „ 72, 78, 95. Swedberg R„ 59, 72, 82, 96. Thatcher M., 73. Thompson F. M. L., 10. Thrift N„ 7 1 . Thtinen (von) J. H „ 13, 14, 19. Tilly C „ 15, 22, 24. Tilly L. A., 15.

Tocqueville (de) A., 23, 24. Tortella G „ 2 1 , 26. Toutain J. C., 2 1 . Trigilia C., 7 1 . Turner M. E., 14, 24. Tversky A., 90, 96. Usher A. P„ 16. Villani P „ 36. W e b e r M., 69, 107. W i l k R. R„ 89, 90, 96. Wittgenstein L., 88. W o o l f S. J „ 23. Wrigley E. A., 15. Zamagni V., 7, 29, 3 1 , 35, 37, 38, 42, 44. Zangheri R., 3 1 . Zaninelli S., 38.

SAGGI

D I F F E R E N Z I A Z I O N E D E L P R O D O T T O , C R E S C I T A E N D O G E N A E C O M M E R C I O I N T E R N A Z I O N A L E

INTRODUZIONE

La letteratura sulla crescita endogena, che ha permesso di rispondere a diversi interrogativi lasciati aperti dalla teoria della crescita tradizionale, in genere si è occupata di sistemi economici chiusi. Questa ipotesi si scontra con una realtà caratterizzata dalla crescente apertura e interdipendenza delle economie e pertanto ha senso chiedersi se esista un qualche effetto crescita del commercio internazionale.

Il presente lavoro comprende idealmente tre parti. Nella prima si esa-minano i progressi che la teoria della crescita endogena (con particolare ri-ferimento ai modelli a differenziazione orizzontale del prodotto) e la teoria del commercio internazionale hanno compiuto l'una indipendentemente dall'altra, sviluppi che in entrambi i casi vedremo essere dovuti all'introdu-zione dei rendimenti di scala crescenti e di mercati imperfettamente con-correnziali. Successivamente si tenterà di fondere i due campi di indagine e di esaminare le implicazioni di taluni interventi di politica economica. I risultati raggiunti sono subordinati all'ipotesi che i paesi che partecipano al commercio siano simili nel grado di sviluppo, nella dimensione, nonché nella capacità di introdurre nuove tecnologie.

1 . TEORIA DELLA CRESCITA: SVILUPPI

Ripercorrere le diverse fasi attraversate dalla teoria della crescita, il pas-saggio dai primi modelli neoclassici della seconda metà degli anni

Cinquan-ta a quelli elaborati a partire dagli anni OtCinquan-tanCinquan-ta e riuniti sotto la denomi-nazione di Nuova Teoria della Crescita, non è un compito che può essere svolto nello spazio di poche pagine, e d'altra parte esula dall'obiettivo fon-damentale che ci si propone nel presente lavoro che consiste, come già pre-cisato, nell'analisi delle interazioni tra crescita e commercio internazionale. Rimandando dunque alle rassegne accurate disponibili sull'argomento (Targetti, 1993; Pugno, 1995; Verspagen, 1992), ciò che qui preme sotto-lineare è come la caratteristica, e nello stesso tempo la limitazione, più ri-levante della prima generazione di modelli (tra gli altri, Solow 1956, 1957) sia la dipendenza del tasso di crescita di una economia da un avanzamento della conoscenza tecnica che procede ad un tasso costante ed esogeno. La Nuova Teoria della Crescita nasce proprio come tentativo di fornire una spiegazione del progresso tecnico, di individuare un legame con il compor-tamento degli agenti economici, secondo una concezione che vede il pro-cesso di crescita non dipendente da forze esterne ma risultato endogeno del funzionamento del sistema economico. Il risultato della crescita endo-gena viene ottenuto assumendo non più l'esistenza di rendimenti decre-scenti bensì l'esistenza di rendimenti costanti (o meglio, non decredecre-scenti) del capitale e dunque, richiedendo la produzione anche l'impiego del fat-tore lavoro, di rendimenti di scala crescenti. Ma si proceda con ordine.

Formalmente il superamento della teoria tradizionale ad opera della teoria della crescita endogena può essere sintetizzato dal passaggio dalla funzione well-hehaved del modello di Solow (1956)

Y = F(bL, K)

in cui i rendimenti dei fattori sono decrescenti e i rendimenti di scala co-stanti (b esprime il progresso tecnico in termini di efficienza crescente del lavoro), alla funzione (Rebelo, 1991)

Y = AK ovvero, considerando anche il fattore lavoro,

Y = ALQK 0 < a < 1

caratterizzata da rendimenti di scala crescenti, in cui K non rappresenta più il capitale fisico tradizionale ma cambia alcune delle sue caratteristiche. La novità risiede proprio in questa rielaborazione della funzione di produzio-ne, nella sua trasformazione in una sorta di «funzione di accumulazione»: se è possibile giustificare in termini economici l'ipotesi di rendimenti co-stanti del capitale, capitale e prodotto crescono allo stesso tasso e l'obietti-vo di una crescita endogena di lungo periodo può dirsi raggiunto. Sulla ba-se di questa idea comune è stato elaborato un gran numero di modelli, in particolare si distinguono tre filoni di ricerca.

Il primo, nato con il contributo di Arrow (1962), attribuisce al termine K il significato di aumento di conoscenza derivante dall'esperienza (lear-ning) che deriva dall'attività passata di produzione dei beni capitali, espe-rienza che entra in gioco nella produzione corrente. Si genera dunque un'e-sternalità positiva che la singola impresa non percepisce, per il singolo pro-duttore è impossibile appropriarsi della conoscenza extra che il suo atto di investimento produce, la conoscenza creata è un bene pubblico e ciò per-mette di mantenere l'ipotesi di mercati perfettamente concorrenziali pur in presenza di rendimenti crescenti di scala a livello di intero sistema econo-mico. La funzione di produzione assume la seguente forma

Y = (bL)aK" a + / ? = l ; 0 < a , ( 3 < 1 dove la produttività del lavoro b cresce secondo la relazione

b = BKm 0 < m < 1; B = cost. Effettuando le opportune sostituzioni, si ottiene

Y = (BL)a + Yf+am 0 < /3 + am < 1 ; a ( l + m)+/?> 1. Dunque l'investimento in capitale contribuisce all'aumento del pro-dotto in parte direttamente come input secondo l'elasticità (3, in parte in-direttamente come generatore di esternalità e di miglioramento della pro-duttività attraverso m. Tuttavia in Arrow la propro-duttività del lavoro cresce al crescere dell'investimento lordo ad un tasso decrescente (0 < m < 1), con il risultato che permangono rendimenti decrescenti del capitale (0 < + rtm < 1): l'esternalità aumenta il rendimento del capitale ma non in misura sufficiente perché si generi crescita uniforme; l'aumento di prodotto addizionale viene fornito dalla crescita della popolazione. Pertan-to Arrow, pur avendo forniPertan-to una prima spiegazione endogena del progres-so tecnico, di fatto ancora una volta ottiene il tasprogres-so di crescita dell'output dipendente dal tasso esogeno di aumento della forza lavoro tipico dei mo-delli tradizionali. Successivamente Romer (1986) riprende i tratti essenziali del contributo di Arrow elaborando un modello in cui la creazione di co-noscenza si verifica in modo del tutto casuale, come sottoprodotto dell'at-tività di investimento in capitale fisso e in ricerca; al pari del modello pre-cedente, la conoscenza prodotta da ciascuna impresa arreca un beneficio a tutte le altre ma nessuna ne tiene conto. Tuttavia Romer, supponendo m > 1 rafforza l'influenza dei rendimenti crescenti e ottiene il risultato nuovo di un tasso di crescita dipendente, endogenamente, dall'ammontare di risorse investite nella ricerca. In questo senso una crescita che si autoso-stiene è di fatto più un'ipotesi che una conseguenza del modello.

Un approccio alternativo, rappresentato dall'articolo di Lucas (1988), assume che il fattore K che compare nella funzione di accumulazione e

che è dotato di rendimenti costanti sia costituito da due componenti, il ca-pitale fisico e il caca-pitale umano, ciascuna delle quali caratterizzata da ren-dimenti decrescenti. La funzione di produzione diventa

Y = (uhL)QK4 a + p = 1; 0 < a , ( 3 < 1 dove il termine uhi non è altro che il capitale umano, costituito dalle unità di lavoro L, dal loro livello medio di specializzazione h, dalla quota u di tempo dedicato alla produzione. Questo approccio, al pari del precedente, mantiene l'ipotesi di mercati in concorrenza perfetta.

1.1. Modelli a differenziazione orizzontale del prodotto

Il terzo approccio, sul quale si intende concentrare l'attenzione, è costi-tuito dai modelli detti «a differenziazione orizzontale del prodotto», secon-do il quale il fattore K che compare nella funzione di accumulazione vista in precedenza è essenzialmente costituito da beni intermedi ai quali è diret-ta l'attività di ricerca e sviluppo delle imprese, attività che dà luogo a sem-pre nuove varietà di output.1 In questi modelli si riconosce l'esistenza di regimi di mercato non concorrenziali. Senza dubbio si tratta di un obiettivo ambizioso che permette, però, di muoversi verso un maggiore realismo. Più precisamente, la funzione di produzione riferita alla i-esima impresa, pro-posta da Ethier (1982) quale reinterpretazione della funzione di utilità ela-borata da Dixit e Stiglitz (1977) per esprimere le preferenze per la varietà dei beni di consumo e utilizzata successivamente da Romer (1987) e da Grossman e Helpman (199la) nel contesto del cambiamento tecnico e del-la crescita economica, assume del-la seguente forma separabile additiva nell'in-sieme degli input intermedi

Y i - A - L j - . f ^ i=i

ovvero, considerando Xy (bene capitale di tipo j impiegato nell'impresa i) come una variabile continua,

Y; = A • Ll~a • T x i O T d j J o

La precedente espressione ci dice che se da un lato i rendimenti di scala sono costanti quando il numero N delle varietà dei beni intermedi presente sul mercato rimane costante, dall'altro il progresso tecnico si traduce in un

1 A l contrario, nei modelli detti «a differenziazione verticale» l'attività di ricerca e sviluppo è volta ad ottenere un miglioramento qualitativo di un numero dato di prodotti.

aumento di N e i rendimenti di scala sono crescenti. Supponiamo infatti che i beni intermedi siano impiegati nella stessa quantità (xy = Xj), come si dimostra avvenire in equilibrio: la funzione diventa

Yi = A • Lj1-a • Nxf ovvero

Y; = A • L1-" • (Nx;)" • N1-"

Notiamo allora che un aumento del fattore NXÌ può verificarsi sia attra-verso un aumento di x; fermo restando N, sia attraattra-verso un aumento di N fermo restando xp nel primo caso il capitale presenta rendimenti decre-scenti, nel secondo rendimenti costanti. Pertanto il continuo impiego di nuovi beni intermedi impedisce al rendimento del capitale di cadere e ciò fa sì che la crescita si autosostenga in stato stazionario in modo analogo

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