• Non ci sono risultati.

Nota del curatore

Si è cercato di mantenere la forma il più aderente possibile al testo originale dell’Autore anche rispetto alla impaginazione, correggendo solo gli errori più evidenti commessi da Palmesi in fase di stesura del testo o di trascrizione dei do-cumenti (per esempio, ripetizioni di parole, qualche svista ortografica, qualche dimenticanza nella virgolettatura ...)

Si precisa inoltre che le note a piè di pagina sono del curatore (Giuseppe Santoni), mentre quelle dell’Autore sono poste tra parentesi nel testo e raggrup-pate dallo stesso Palmesi sia alla fine della parte prima sia al termine della parte seconda.

Se qualche lettore più esigente volesse confrontarsi con il testo originale, si è pensato di agevolarlo nella consultazione ponendo tra parentesi il numero di pagina corrispondente a quella del manoscritto. Ma è bene avvertire che nel ms. originale, secondo una nota posta in 2a di copertina dal restauratore del volume, vi sono alcune pagine mancanti: le pagg. 167-168 (erano bianche); le pagg. dalla 219 alla 230 risultano asportate; alla pag. 245 l’autore per un errore di numerazione ricomincia da pag. 226 e prosegue con errore la successiva nu-merazione; la pag. 336 (bianca) risulta mancante.

Inoltre, con l’intento di facilitare la lettura anche da parte dei meno esper-ti, si è cercato di sciogliere le numerosissime abbreviazioni e si sono poste tra parentesi alcune spiegazioni di termini e alcune brevi traduzioni di locuzioni latine.

I testi latini sono stati posti in corsivo e sono accompagnati dalle relative traduzioni in nota. Le versioni sono a cura di Giuseppe Santoni con la revisione di Dario Cingolani (che si ringrazia per la sua disponibilità). Si è creduto ne-cessario fare ciò perché oggi la lingua latina è diventata incomprensibile ad un vasto pubblico di lettori anche di cultura medio-alta.

Un glossario alla fine del volume spiega i termini più ricorrenti e difficili.

Si spera nella benevola comprensione di tutti per gli inevitabili errori.

Giuseppe Santoni

Dedica

Feruccio Francesco medico a Treia1

1 Chi sia stato questo medico e quali rapporti avesse con Palmesi che ha voluto dedicargli il libro sui tre castelli, resta un rebus non risolto. Non mi sono mai imbattuto durante le mie ricerche in questo nominativo. Presso l’Ufficio Servizi Demografici, Anagrafe e Stato Civile del Comune di Treia non risulta un cartellino anagrafico a lui intestato. Devo confessare però di non avere effettuato indagini d’archivio in quel comune (G. Santoni).

Fig. 5. Ripe nel ‘600, stampa-omaggio del 1997 del Comune ai suoi cittadini, acquerello di Francesco Mingucci da Pesaro estratto dal volume Stati, Domini, Città, Terre e Castella dei Serenissimi Duchi e Principi della Rovere, dedicato dall’autore al papa Urbano VIII (Maffeo Barberini) in data 2 aprile 1626, dal Codice Barberiniano Latino 4434.

Fig. 6. Ripe, inizi sec. XX, in epoca di poco successiva alla stesura del ms.

Archivio Parrocchiale Ripe, negativo su lastra fotografica in vetro, anno 1935. La fotografia fu utilizzata nell’opuscolo del canonico Don Pio Cucchi per ricordare nel 1935 il 150º anniversario della costruzione della terza chie-sa dedicata a S. Pellegrino, protettore di Ripe. In quel periodo era parroco Don Antonio Ansuini. La banderuola che si vede sulla torre civica, ricostru-ita nel 1853, fu posta nel 1934 (Anno XII dell’era fascista) ed oggi si trova esposta sotto la loggetta a tre archi (che si vedono nella foto) del palazzo comunale, che in quegli anni era ancora la casa canonica del parroco.

Dichiarazione

(Pag. 1) In questa seconda metà di secolo molti studiosi delle cose patrie si sono affaccendati intorno alla compilazione di storie di città, paesi e castelli, delle quali molte, specialmente in questo ultimo decennio, furono licenziate per le stampe, ed altre si trovano tuttora allo studio, contribuendo così alla pre-parazione di una storia generale di Italia. Infatti scrisse Giosuè Carducci nella Critica ed Arte «per far compiuta e vera la nostra storia nazionale ci bisogna far prima o finir di rifare le storie particolari, raccogliere o finir di raccogliere tutti i documenti dei nostri comuni, ognuno dei quali fu uno stato».

Ma la grande maggioranza di questi scrittori, secondo me, cadde in un ecces-so, ossia nel voler trattare dei primi abitatori dei paesi che illustrarono; quindi invasero il campo preistorico, ch’è riservato a poche menti elette, specialmente a quelle che oggi si vanno occupando delle origini delle genti italiche. Invece ognuno lavorando nel proprio campo, ed uniti poi i lavori dei primi agli studi dei secondi, debbono essere il materiale dal quale sorgerà la nuova Storia d’Italia.

Muovendo io da questi concetti nel narrare le vicende dei tre castelli, Tomba di Senigallia, Ripe e Monterado2, ho saltato a piè pari la questione delle prime origini, sconosciute dei loro primi abitatori, tanto più che avrei dovuto dire cose già dette nella istoria di Senigallia, per venire subito alle notizie vere, do-cumentate, positive, estratte (pag. 2) dai documenti del tempo, ch’io presi por-zione dall’Archivio comunale di Senigallia, e per ciò che riguarda la Chiesa dalla Cronaca mss. di Mons. Pietro Ridolfi che trovasi depositata nella biblioteca di quella città (1). Ma la più parte dei documenti mi vennero forniti dai tre archivi delle tre Comunità, delle quali imprendo a narrare le vicende.

Che se a taluno parrà strano che in una sola istoria si racchiudano quelle dei tre castelli, deve esso riflettere che Ripe dista da Tomba solamente un chi-lometro; e questa da Monterado chilometri 4 e metri 400, e che vissero una vita quasi comune. Infatti passarono costantemente ed unite da una signoria all’altra: Tomba fu sempre la sede principale del governo nella quale risiedeva il Commissario, il quale aveva l’obbligo di andare in certi dati giorni della setti-mana negli altri due castelli a tener ragione; un sol cancelliere prima e segretario dopo stipulò gli atti per tutto il Commissariato; un sol medico fu quasi sempre all’assistenza di tutti; ed un sol chirurgo-barbiere prima, e chirurgo e barbiere dopo prestarono alle tre popolazioni l’opera loro. E quantunque ognuna avesse

2 Palmesi per indicare Monterado usa tre diversi tipi di grafia: Monte Rado, M. Rado e Mon-terado; una volta scrive anche M.R.; nella trascrizione si è cercato di uniformare il nome secondo la dizione moderna, salvo quando compare nei documenti originali d’archivio consultati dall’a.

il suo corpo consiliare, pure alcune sedute consiliari spesso si tenevano a Tomba nelle quali, trattandosi di interessi comuni, intervenivano deputati de’ consigli di Ripe e di Monterado. Financo l’appalto del macello era talvolta a tutti comu-ne colla imposiziocomu-ne che la macellaziocomu-ne si dovesse fare per turno comu-nei tre castelli.

Anche il Campo dei morti di Tomba fu comune nei primi del secolo XIX con quello di Monterado.

Perché il lettore possa poi dare un giusto valore a questo mio libro, credo opportuno fermarmi alquanto a descrivere le vicende passate, e lo stato attuale dei tre archivi.

Fig. 7. Stemma del 1697 della Comunità di Tomba, risalente ai conti Landreani. Il duca Guidubaldo della Rovere nel 1559 concesse ai fratelli Landreani il privilegio di inquartare il suo simbolo «l’aurea rovere» con la torre, stemma della famiglia Landreani.

Così si presenta oggi la prima pagina del registro 0.5.3 dell’ASC-Castel Colonna, dopo il restauro della Dott.ssa Sonia Ferri, che ha utilizzato l’im-magine in Guida all’archivio storico del comune di Castel Colonna già Tomba di Senigallia. Prenapoleonico (1568-1808), Comune di Castel Colonna 2003 (foto G. Santoni, 19 novembre 2013).

Capitolo Primo