• Non ci sono risultati.

Se dunque non è possibile, per le ragioni sin qui esposte, definire ex ante una nozione di federalismo univoca e chiaramente circoscritta ed occorre, invece, far riferimento a siffatto concetto nell’ottica realista-sostanzialista sopra riferita, giocoforza elastica e che dà rilievo alle ricadute sostanziali ed agli effettivi rapporti interistituzionali tra centro e periferia, ancor meno sembra possibile parlare di

federalismo fiscale avendo chiaro, a monte, il significato di tale – abusato – termine,

derivato dal concetto (incerto) di federalismo e arricchito poi dell’aggettivo fiscale (si noti sin d’ora, fiscale e non finanziario, ad indicare quindi, da subito, la sussistenza di un legame, pur da definire, con la funzione di raccolta delle risorse pubbliche presso i cittadini/contribuenti, prima ancora che con la distribuzione delle prerogative “finanziarie” tra centro e periferia, che meglio sarebbe stata descritta, per esempio, dal concetto di federalismo finanziario).

34 Si veda, per es., la riflessione di A. Mastromarino in “Il federalismo disaggregativo” cit., in cui, a pag.

97, riprendendo le tesi di Bognetti in Federalismo cit., si chiarisce che, sulla scorta delle ricostruzioni di quest’ultimo, “ad una analisi di tipo qualitativo (..) sembrerebbe essere preferita una valutazione di tipo quantitativo, che per misurare la distanza esistente fra un modello ideale di Stato e l’altro, in particolare tra federalismo e regionalismo, non muove dalla individuazione di caratteri precipui, tali da connotare a priori l’uno o l’altro paradigma,bensì dalla loro incidenza sul sistema”.

35Anche G. de Vergottini, in Stato federale, Enciclopedia del diritto, vol XLIII, Milano, Giuffrè, 1990,

pag. 859, descrive le differenze tra i modelli statuali unitari, regionali e federali come un crescendo quantitativo, segnatamente “verso un polo opposto, di una distribuzione quantitativamente crescente e sempre più stabile e sicura di poteri politici ad altre distinte entità o formazioni governative”.

31

Al riguardo, occorre dunque preliminarmente indagare il possibile significato di tale termine.

L’analisi dottrinale sul significato del concetto di federalismo fiscale – sorto in ambito statunitense verso la fine dell’80037

e da circa un decennio al centro della scena politica e del dibattito pubblico italiano – porta a constatare che esso, sul piano giuridico e normativo, non indica in realtà un concetto preciso.

Diversissime sono infatti le accezioni e i significati che il federalismo fiscale termine può assumere38.

In una prima accezione, di origine americana39, il termine in questione stava ad indicare in senso ampio la teoria della configurazione territoriale ottimale del governo della finanza pubblica, indipendentemente dall’individuazione del livello decisionale a cui spettava l’assegnazione delle funzioni finanziarie sia sul piano delle entrate che su quello della spesa.

In sostanza, la nozione di federalismo fiscale, nata negli Stati uniti, nel suo significato originario poteva indicare qualsiasi modello di regolamentazione dei rapporti finanziari tra centro e periferia.

Secondo questa accezione, che ha accompagnato la genesi del termine in parola, si sarebbe in presenza di federalismo fiscale ogni volta che vi sia una forma di Stato composto (regionale o federale) e che dunque si riscontri la necessità di dare un qualche assetto regolativo ai rapporti finanziari tra gli enti autonomi e lo Stato, senza che il concetto assuma dunque contenuti prescrittivi.

Secondo una seconda accezione, tuttavia, diffusasi (più o meno consapevolmente) nella prassi e in una parte della dottrina più recente40, il concetto di federalismo fiscale

37 Sulla genesi del termine, si veda Bassani, Stewart, Vitale nella voce “Federalismo fiscale” in “I

concetti del federalismo”, Giuffrè, Milano, 1995 pag. 202 e ss (collana diretta da G. Miglio).

38 Lo rileva anche R. Bin in “Verso il “federalismo fiscale” o ritorno al 1865?”, editoriale del fascicolo n.

4/2010 de Le Regioni.

39Al riguardo, occorre rifarsi a opere risalenti quali “The Fiscal Federation of the Empire” di G.W.

Medley, 1892 o ai più recenti contributi di N. Henry “Public Administration and Public Affairs” 1975.

32

ha invece finito per designare un sottoinsieme della categoria sopra descritta, qualificando un particolare assetto di finanza pubblica nel quale la titolarità delle entrate fiscali appartiene in linea di principio all’ente autonomo, mentre gli enti di livello superiore, Stato compreso, possono attingere ad essa solo per via derivata41.

In una prospettiva affine, ma forse maggiormente realista e condivisibile nelle sue sfumature, si colloca la nozione da ultimo fornita in dottrina da D. Pennetta42, secondo il quale “al di là delle sfumature diverse assunte dal concetto in questione, per

federalismo fiscale s’intende un impianto designato da una serie di norme che attribuiscono il diritto a compartecipare al prelievo erariale complessivo alle diverse istituzioni della repubblica. A queste ultime viene attribuita la facoltà di imporre tributi, oltre che di riscuoterli. Allo Stato, invece, rimane conferita una competenza residuale, riconducibile a scopi essenzialmente perequativi. Trattasi, pertanto, di un meccanismo volto a responsabilizzare le regioni e gli enti locali, così da consentire di finanziare autonomamente i servizi pubblici di loro competenza e di garantire la maggior corrispondenza possibile tra le prestazioni erogate e la soddisfazione del fabbisogno della popolazione amministrata”.

Pur dovendosi dunque prendere atto - similmente a quanto esposto con riferimento alla nozione di “federalismo” - delle incertezze e della scarsa precettività in ordine al significato della nozione di “federalismo fiscale”, che sconta tutte le incertezze insite nel concetto di federalismo aggiungendo ad esse la necessità di dare un qualche significato all’accostamento dell’aggettivo fiscale, appare preferibile propendere per una soluzione che valorizzi l’esistenza di siffatto aggettivo (fiscale e non finanziario, ad indicare, quindi, un necessario legame con la funzione di raccolta delle risorse pubbliche presso i cittadini/contribuenti).

41 Si vedano, in tal senso, sia V. Cerini “Federalismo, perequazione e tributi: dalle riforme degli anni

Novanta al nuovo Titolo V in Bassanini Caciotta Delega al governo per l’attuazione del federalismo fiscale. Osservazioni a prima lettura sulla nuova bozza del governo” in www.astrid-online.it, 9 gennaio 2009”, che G. Vialetti, L. Antonini “Il grande assente: il federalismo fiscale” in rassegna parlamentare, Milano, n. 1/2006.

42

33

Di talché, è da ritenersi che una nozione, pur elastica ma che si muova sulla falsariga di quella proposta da D. Pennetta, abbia il duplice vantaggio da una parte di attribuire un significato letteralmente accettabile all’accostamento (al concetto di

federalismo) del termine fiscale, che non può che richiamare forme di autonomia che si

estrinsechino in primis sul fronte dei poteri di entrata (altrimenti, come accennato, sarebbe più opportuno e coerente far riferimento al concetto di federalismo finanziario, senza scomodare il fisco e i suoi derivati), dall’altra di caratterizzare la nozione di

federalismo fiscale per la sua stretta connessione con i legami di responsabilità, anche

politica, tra rappresentati e rappresentanti, connessi alla titolarità e responsabilità dei prelievi, profilo che, come si vedrà in seguito, è ritenuto cruciale ai fini del presente lavoro.

L’accezione più convincente con cui trattare la nozione di federalismo fiscale appare dunque riferirsi – pur al netto delle riferite incertezze relative al concetto di federalismo e della necessità di dare di esso una lettura “sostanzialista-realista” - alla facoltà, per gli enti autonomi sub-centrali (regioni in primis, ma anche enti locali sub-regionali), di esercitare porzioni significative di potere di entrata sui propri cittadini/elettori, tanto da consentire a tali enti di finanziare autonomamente una quota apprezzabile dei servizi pubblici di propria competenza, rispondendo, al momento del voto, delle spese effettuate e dei connessi prelievi di risorse, dando così vita a più stretti legami di responsabilità politica tra eletti ed elettori.

Ciò con la doverosa avvertenza di considerare in ogni caso la nozione di federalismo

fiscale, che sconta tutte le incertezze relative al più ampio concetto di federalismo, in

senso doverosamente elastico, così da risultare in grado di cogliere le diverse sfumature che offre la realtà fattuale ed istituzionale cui tale nozione si riferisce.

A tali conclusioni si ritiene di dover pervenire anche perché l’accezione sin qui proposta ha il pregio di spostare il focus definitorio da un piano meramente quantitativo- finanziario - in ipotesi riferibile alla ripartizione di risorse tra centro e periferia ma che incappa nell’impossibilità di fissare un crinale quantitativo che faccia da discrimen- ad un piano sostanzialista, con particolare riferimento alla capacità dei sistemi di

34

ripartizione delle prerogative finanziarie, sub specie di entrata, di rendere gli enti sub- statali responsabili in quanto capaci di reperire da sé le risorse necessarie a finanziare in maniera significativa le proprie spese, rispondendone, di conseguenza, ai propri cittadini.

Corollario di tale assetto appare peraltro, infine, la possibilità che si verifichi - in taluni casi e fermo restando, ovviamente, un livello minimo, inderogabile, delle prestazioni sociali da assicurare a tutti i cittadini, indipendentemente dai territori di residenza, di cui è garante l’entità statuale centrale- anche una certa diversità nei livelli dei servizi pubblici erogati, connessi anche alla maggior o minor virtuosità delle amministrazioni decentrate, e cioè alla maggior o minor capacità del corpo elettorale locale di controllare e selezionare correttamente i propri rappresentanti.

In questa accezione risiede dunque, a parere di chi scrive, una possibile e coerente nozione di federalismo fiscale, assetto di finanza pubblica la cui finalità ultima risiede nel creare più forti meccanismi di responsabilità politica su scala decentrata, trasformando – con una semplificazione estrema ma corretta – le competenze (legislative e amministrative) in responsabilità e favorendo il buon andamento della macchina pubblica.

Peraltro, il forte legame tra concetto di “federalismo fiscale”, autonomia tributaria e responsabilità politica, sarà oggetto di ampie riflessioni nel corso della ricerca, con particolare riferimento ai capitoli terzo e quarto.

In conclusione, nel prosieguo del presente lavoro, si farà dunque riferimento al concetto di federalismo nel senso realista/sostanzialista descritto in precedenza – seguendo il sentiero tracciato dal Dèlpereè (accettando cioè una inevitabile elasticità del termine ma al contempo mantenendo l’attenzione sugli aspetti sostanziali del concetto, con particolare riferimento ai principi che regolano i rapporti interistituzionali tra centro e periferia nonché ai reali comportamenti degli attori istituzionali, più che ai proclami da questi fatti o al nomen dei provvedimenti da questi proposti o approvati) – e a quello di federalismo fiscale per indicare un assetto della finanza pubblica, pur variamente

35

configurato, in cui gli enti autonomi si atteggiano, tramite forme diverse e secondo modalità elastiche e non aprioristicamente definibili in via dogmatica, a soggetti attivi della propria autonomia finanziaria, chiamati a reperire anche da sé le risorse necessarie all’esercizio delle proprie funzioni, precipuamente avvalendosi dello strumento dell’imposizione tributaria, dando così vita a più stretti e diffusi meccanismi di responsabilità politica tra eletti ed elettori.

37 Capitolo II

L’art. 119 della Costituzione e l’autonomia finanziaria regionale nel

testo originario della Carta fondamentale

1. Introduzione 2. La genesi dell’originario art. 119 della Costituzione: spunti dai