IL TRATTAMENTO TRIBUTARIO DELLE ASSEGNAZIONI DI BENI AI SOCI: RAGIONI DELLA
1. LA NOZIONE DI ONEROSITA’ ACCOLTA NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO, CON SPECIFICO
RIFERIMENTO ALLA QUALIFICAZIONE DELLE ASSEGNAZIONI DI BENI AI SOCI
Le riflessioni sul tema oggetto di studio, svolte nel precedente capitolo, costituiscono il tentativo di disvelare il significato dell’espressione “assegnazione ai soci”, utilizzata dal legislatore tributario per indicare – in realtà – situazioni che, in concreto e dal punto di vista civilistico, possono differire notevolmente, sia per la funzione che per il contesto in cui vengono a realizzarsi. In particolare, le assegnazioni di beni costituiscono generalmente un mezzo di adempimento delle obbligazioni contratte dalla società nei confronti dei propri soci: il rapporto sociale è, per sua stessa natura, un rapporto di tipo oneroso, proprio per la definizione di tale vincolo, che viene data all’art. 2247 del codice civile, secondo cui, con il contratto di società, due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica, allo scopo di dividerne gli utili136; a differenza delle fattispecie rappresentate
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In argomento, G. OSTI, voce Contratto, in Nov.mo dig. it., IV. Torino, 1960, 462; L. MOSCO, Onerosità e gratuità degli atti giuridici, Milano, 1942, 184; G. SCALFI, Corrispettività ed alea nei contratti, Milano-Varese, 1960, 86.
dalla destinazione dei beni al consumo personale dell’imprenditore, in cui la finalità erogativa e dispositiva del reddito prodotto dall’impresa è evidente, nel caso delle assegnazioni effettuate in ragione ed in esecuzione del contratto sociale, non può parlarsi di liberalità, se non in casi del tutto teorici e marginali, che non costituiscono, evidentemente, la regola.
Il tema dell’onerosità, nel diritto tributario, è stato oggetto di un accenno nel presente lavoro (cap. I, par. 3.1.), analizzando la disciplina legislativa delle plusvalenze e delle minusvalenze patrimoniali, introdotta in occasione della riforma tributaria degli anni Settanta; dopo aver analizzato la fattispecie dal punto di vista civilistico, è possibile tornare a svolgere alcune riflessioni in materia tributaria, al fine di applicare la nozione di onerosità alle assegnazioni di beni ai soci.
La dottrina tributaria più autorevole137 – citata anche in precedenza – riteneva che il concetto di onerosità, da assumere come parametro nel diritto tributario, non potesse trovare diretta derivazione dal diritto civile, per la diversità delle funzioni che tale nozione riveste nelle due branche del diritto; l’Autore affermava, infatti, che: <<Si procede in maniera metodologicamente scorretta allorché, per delucidare la portata che l’onerosità riveste nell’ambito delle norme tributarie che la richiamano, si pretende, con un innesto innaturale, di travasare nelle formule tributarie il concetto di onerosità deducibile dalla normativa civilistica>>; l’affermazione citata, in realtà, deve essere ricondotta al contesto in cui essa era inserita, per comprenderne effettivamente la portata: nel dibattito sulla nozione di “realizzo” delle plusvalenze, secondo la citata Dottrina, la qualificazione in termini di onerosità di una determinata categoria di atti non era funzionale all’indicazione dell’essenza dell’atto, ma era strumentale rispetto alla sola determinazione di un metodo di calcolo della plusvalenza138; al contrario, proprio il medesimo Autore, nel prosieguo della trattazione
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G. FALSITTA, La tassazione delle plusvalenze e delle sopravvenienze nelle imposte sui redditi, cit., 43.
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dell’argomento, qualificava le assegnazioni di beni ai soci come negozi da intendersi effettuati a titolo oneroso, ai fini e per gli effeti della disciplina civilistica (ad esempio, agli effetti dell’annullamento del negozio nei confronti dei terzi ex art. 1445 c.c.); la natura onerosa degli atti di assegnazione, in questo modo, veniva relegata all’ambito dei rapporti privatistici, stabilendo una dicotomia all’interno dell’ordinamento giuridico che comportava, tuttavia, delle importanti implicazioni in ambito tributario. .
Si concorda con quanto, invece, asserito da altro illustre Autore139, in relazione alla nozione di onerosità, con specifico riferimento al tema degli atti che costituiscono esecuzione del rapporto sociale, fra cui, come dimostrato, trova collocazione l’assegnazione di beni ai soci. Ciò che rileva, ai fini della qualificazione di un negozio giuridico in termini di onerosità, è il titolo140 in forza del quale tale atto viene posto in essere: in questo senso, occorre attribuire rilevanza non alla presenza di reciproci vantaggi e sacrifici fra le parti, ma agli effetti che il negozio è destinato a produrre, sia esso costruito in maniera bilaterale o mediante un solo atto unilaterale, nei confronti di chi ha posto in essere l’atto e di chi ne è il destinatario. Tale considerazione consente di analizzare il profilo soggettivo dell’onerosità, che ha come parametro di riferimento gli effetti che si producono in capo a colui che pone in essere un atto o in relazione al quale si verifica un fatto: se è vero che un contratto a prestazioni corrispettive, per la sua stessa struttura, è tendenzialmente un contratto oneroso (tranne le ipotesi di scambio nummo uno, con un corrispettivo meramente simbolico, in cui non è possibile parlare di attribuzione patrimoniale), non è altrettanto vero che la struttura bilaterale dell’atto è l’unica idonea a giustificare l’onerosità del negozio giuridico che viene posto in essere.
In relazione alle assegnazioni di beni ai soci, in particolare, l’onerosità delle fattispecie che costituiscono tale presupposto deve essere riconosciuto nella
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A.FANTOZZI,Ancora in tema di realizzazione delle plusvalenze, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1965, 462.
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In argomento, A.TORRENTE –P.SCHLESINGER,Manuale di diritto privato, Milano, 2007, 45: il “titolo” indica l’atto o il fatto giuridico che giustifica l’acquisto di un diritto.
circostanza che l’attribuzione patrimoniale, da parte della società, seppure non trova una immediata e corrispondente controprestazione, realizza l’effetto di estinguere un’obbligazione, di carattere patrimoniale, facente capo all’ente collettivo nei confronti dei soci che ricevono il bene. E’ stato giustamente notato che <<La distribuzione dei beni in natura, da parte della società, riveste dunque per questa carattere oneroso, poiché comporta, insieme con un’attribuzione a suo carico (assegnazione del bene), un effetto patrimoniale a suo favore (riduzione del diritto del socio alla quota di liquidazione); che poi non sia affatto indifferente per la società il fatto che il bene sia incrementato di valore, si desume agevolmente osservando che, in mancanza della plusvalenza, essa sarebbe costretta a coprire la differenza con un altro bene o con un conguaglio in denaro>>141: le chiarissime parole utilizzate dall’Autore non consentono di aggiungere null’altro e la completezza dell’analisi svolta in quella sede porta a concludere, conformemente a quanto notato nel precedente capitolo, che l’onerosità dell’assegnazione di beni debba essere riconosciuta anche ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione della materia tributaria, in quanto non possono essere in alcun modo sovvertire gli schemi di matrice civilistica cui, invece, si deve fare riferimento per espressa volontà legislativa: l’atto con cui la società decide di attribuire ad uno o più soci un bene patrimoniale, in luogo di una somma di denaro, rappresenta un negozio giuridico che trova la propria
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. FANTOZZI, Ancora in tema di realizzazione delle plusvalenze, cit., 486. La rilevanza patrimoniale delle assegnazioni di beni viene descritta da A. VIGNOLI, Le società di mero godimento tra assegnazione agevolata e trasformazione in società semplice,cit., 762, in relazione anche agli effetti fiscali dell’assegnazione nei confronti dei soci: <<l’assegnazione ai soci è operazione “bifornte”, che non interessa soltanto l’attivo, ma anche il patrimonio netto delle società coinvolte. Infatti, con il procedimento di assegnazione a soci, ad esempio, si verifica prima una emersione di redditi (plusvalenze) in capo alla società, con evidenziazione del maggior valore di tali beni; a fronte di questi redditi sarebbero da evidenziarsi, nel patrimonio netto della società, voci patrimoniali da utilizzare successivamente, riducendole, nel momento in cui vengono assegnati i beni ai soci; alla luce di queste considerazioni, la normativa avrebbe potuto essere meglio “tarata” se avesse previsto una diminuzione del valore fiscale delle quote degli assegnatari non per tutto l’ammontare corrispondente al valore normale dei beni assegnati, bensì la sola parte di esso non assoggettata ad imposta sostitutiva. O meglio, la riduzione del valore della partecipazione avrebbe dovuto essere provocata esclusivamente dall’eventuale utilizzazione, al momento dell’assegnazione ai soci, di voci di capitale o di poste assimilate, che in linea di principio – in caso di restituzione ai soci – diminuiscono il costo della partecipazione>>.
causa all’esterno, ovvero, nel contratto di società che costituisce, unanimemente, un contratto di natura onerosa. L’ipotesi di assegnazione di un bene, da parte della società ai propri soci, per spirito di liberalità, seppure prospettabili in via teorica, non sono compatibili con la vocazione lucrativa che tali enti collettivi sono volti a perseguire e, d’altra parte, non potrebbero giustificarsi in relazione all’esigenza di mantenere la parità di trattamento fra i membri della compagine sociale; ad ogni buon conto, tali ipotesi sarebbero così esigue da costituire certamente l’eccezione (non la regola) e da non essere idonee a giustificare un regime tributario che espressamente le accomuni a tutte le ipotesi di destinazione extraimprenditoriale dei beni. In ragione di ciò, le assegnazioni di beni ai soci devono essere qualificate, almeno tendenzialmente, come fattispecie contrassegnate dall’onerosità dell’attribuzione.
Tale conclusione potrebbe apparire scontata, ma costituisce l’antecedente logico necessario per potere giungere al completamento dell’analisi svolta nel presente lavoro, indirizzata a comprendere se vi sia una ragione sisematica valida che abbia condotto il legislatore ad accomunare nel medesimo regime, di imponibilità delle plusvalenze e di indeducibilità delle minusvalenze, fattispecie che si presentano in verità ontologicamente molto diverse, in quanto l’assegnazione dei beni ai soci non è una generica ipotesi di destinazione dei beni a “finalità estranee all’esercizio dell’impresa”, ed anzi, risponde a precise finalità riconducibili al funzionamento dell’ente societario.
Occorre comprendere, soprattutto in relazione al regime riservato alle minusvalenze, se il legislatore tributario abbia ravvisato la mancanza di inerenza delle assegnazioni di beni ai soci rispetto all’esercizio dell’impresa e, per poter giungere ad una conclusione sul punto, occorre approfondire proprio tale ultima nozione, che costituisce un principio generale del diritto tributario, concentrando l’attenzione soprattutto sulla portata sistematica del canone dell’inerenza.
2. IL PRINCIPIO DI INERENZA: INDAGINE STORICA E