IL TRATTAMENTO TRIBUTARIO DELLE ASSEGNAZIONI DI BENI AI SOCI: RAGIONI DELLA
2. IL PRINCIPIO DI INERENZA: INDAGINE STORICA E PROFILI RICOSTRUTTIVI
2.3 LA VALUTAZIONE DELL’INERENZA DELLE ASSEGNAZIONI DI BENI AI SOCI
Le considerazioni generali che precedono, in ordine al concetto di inerenza, consentono di elaborare alcune riflessioni in ordine alla sussistenza o meno del requisito dell’afferenza rispetto al tema di cui si occupa il presente lavoro, per comprendere se l’attuale trattamento tributario riservato alle plusvalenze ed alle minusvalenze, derivanti dall’assegnazione di beni ai soci, possa considerarsi conforme o meno ai principi enunciati.
In primis, si ritiene che l’inerenza, in quanto principio generale del reddito di impresa, debba essere applicato, nella valutazione della normativa esistente, non solo alle componenti negative del reddito, ma anche a quelle positive: la ragione di tale affermazione deve essere ritrovata nella considerazione, svolta in precedenza, in ordine allo stretto collegamento fra il principio di inerenza enunciato e la norma fondamentale del sistema tributario che impone al legislatore tributario di plasmare il sistema normativo conformandosi sempre al principio di capacità contributiva. In questo senso, un medesimo atto o fatto, posto in essere dal soggetto passivo del tributo, non potrebbe essere allo stesso tempo inerente per quanto concerne l’attitudine a produrre elementi che concorrono in positivo alla determinazione del reddito e non inerente nel momento in cui alla medesima fattispecie si ricollegano effetti negativi nel
poteri dell’Amministrazione finanziaria rientra la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi “esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa, con negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (così Cass. 11240 del 2002 e 12813del 2000)>>.
patrimonio dell’impresa (a meno che non vi siano particolari ragioni di opportunità legislativa che possano giustificare tale differente trattamento).
Sulla base di questa interpretazione177, l’asimmetria fra l’imponibilità delle plusvalenze e l’indeducibilità delle minusvalenze, derivanti dagli stessi atti – assegnazione dei beni ai soci – segnalerebbe un contrasto con il principio di inerenza riferito alla generalità delle componenti reddituali: o l’atto è inerente e quindi concorre alla determinazione della base imponibile, oppure non lo è, e quindi è irrilevante sia in positivo che in negativo178.
Tuttavia, in mancanza di una norma che espressamente possa enunciare in termini generali il principio di inerenza, questo resta oggetto di diverse interpretazioni e l’affermazione precedente potrebbe non essere condivisa; occorre dunque basarsi sui dati normativi che sono generalmente ritenuti espressivi del principio di inerenza, al fine di giungere ad una conclusione dotata di maggiore oggettività; in questo senso, l’unica norma di carattere generale, espressiva del concetto di inerenza, è dettata in relazione ai componenti negativi del reddito (art. 109, comma 5 del T.U.I.R.): la disposizione indica come parametri, cui commisurare la valutazione dell’afferenza - al fine di consentire la deduzione del componente dal reddito di
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Cfr. G. TINELLI, Il reddito di impresa nel diritto tributario, cit., 249; O. NOCERINO, Il problema dell’individuazione di un principio generale (inespresso) di inerenza, cit., 910; N. FORTUNATO, Considerazioni critiche sulla indeducibilità delle “minusvalenze assimilate”, cit., 131.
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In questo senso si esprime anche V. FICARI, Reddito di impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, 339: <<Se, infatti, il bene minusvalenteha permesso l’applicazione delle regole proprie del reddito di impresa, ad esempio, tramite la deduzione delle quote di ammortamento nel momento in cui è entrato nel regime giuridico dei beni di impresa, la sua fuoriuscita a condizioni contrattuali che non facciano emergere plusvalori di per sé, oltre ad essere del tutto priva di significato in punto di inerenza dell’atto di disposizione, dovrebbe avere una caratteristica simmetrica all’effetto reddituale dispiegatosi con l’immissione del bene nel regime imprenditoriale. Sarebbe, quindi, da un lato non rispettosa del principio di capacità contributiva e, dall’altro, del tutto infondata e irragionevole la discriminazione delle plusvalenze a seguito di una destinazione a finalità extraimprenditoriali e l’irrilevanza delle minusvalenze come componenti deducibili, pur a fronte di vicende traslative identiche e nei confronti di beni che abbiano ricevuto, all’origine, identica destinazione come beni relativi all’impresa. Pertanto, la deducibilità troverebbe nella originaria destinazione imprenditoriale del bene o del servizio e nello stesso principio di inerenza>>
impresa - l’attività o i beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.
Il riferimento ai beni, contenuto nella norma, è particolarmente rilevante, ai fini che ci interessano, in quanto non più solo l’attività oggetto dell’impresa, ma anche il patrimonio della stessa è idoneo ad imprimere e comunicare – oggettivamente - l’idoneità ad incidere sulla determinazione del reddito di impresa ai componenti negativi che ad esso si riferiscono. L’inerenza, con particolare riferimento alle società che svolgono attività commerciale, deriva dalla oggettiva vocazione dei beni facenti parte del patrimonio del soggetto collettivo a concorrere alla determinazione del risultato reddituale e, in generale, al funzionamento ed alla prosecuzione dell’attività sociale.
Si condivide, con alcune precisazioni, l’affermazione di chi ha elaborato una nozione oggettiva di inerenza, proprio partendo dal dato testuale della norma di cui all’art. 109, comma 5 del T.U.I.R., in ragione della quale tutti gli atti o i fatti ascritti formalmente all’impresa sono idonei ad incidere sul risultato reddituale della stessa179; l’Autore citato, infatti, sostiene che: <<I conflitti (…) tra l’amministrazione finanziaria ed i contribuenti possono essere superati qualora si abbracci l’idea (…) che , nell’attuale sistema, inerente è qualsivoglia costo formalmente e volontariamente imputato all’impresa, nella convinzione dell’imprenditore, non controvertibile ad opera degli uffici finanziari, che esso arrechi una qualche utilità alla struttura organizzativa apprestata per l’esercizio dell’attività produttiva>>180. Si ritiene di poter concordare con la premessa sistematica proposta, ovvero, con la considerazione che occorre attribuire rilevanza alla destinazione dei beni a fini imprenditoriali e che devono
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A. PANIZZOLO, Inerenza ed atti erogativi nel sistema delle regole di determinazione del reddito di impresa, cit., 702. L’A. afferma che: <<Il ragionamento può essere espresso in forma sillogistica: poiché a norma dell’at. 77, assumono la qualità di beni relativi all’impresa tutti i beni volontariamente inseriti nell’inventario da parte dell’imprenditore e poiché tutti i componenti reddituali dei beni relativi all’impresa sono tendenzialmente rilevanti ai fini fiscali, una volta che un bene,anche se oggettivamente estraneo all’esercizio dell’attività commerciale, sia iscritto nell’inventario, ne deriva che, nei modi, nei tempi ed alle condizioni di legge, le sue componenti reddituali partecipano alla produzione del reddito>>.
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partecipare alla determinazione del reddito le variazioni – positive o negative – che possono registrarsi al momento dell’estromissione del bene dal patrimonio dell’impresa, ma la conclusione in ordine all’insidacabilità delle scelte dell’imprenditore non può essere condivisa: così come non è corretto negare tout court la deducibilità delle minusvalenze derivanti dal compimento di taluni atti o fatti - a prescindere dall’indagine sulla causa in concreto sottesa all’attribuzione patrimoniale - allo stesso modo non è giusto asseverare in ogni caso, dal punto di vista tributario, ogni scelta formalmente riconducibile alla volontà del soggetto imprenditore. Avendo dunque riguardo alle minusvalenze patrimoniali, derivanti dall’assegnazione ai soci, la circostanza che queste componenti si realizzano in relazione a beni che appartengono oggettivamente al patrimonio dell’impresa, dovrebbe consentire – in via di principio - la deduzione dal reddito di tali elementi, secondo la regola generale stabilita in materia di deducibilità delle componenti negative di reddito, contenuta all’art. 109, comma 5, salvo provare che l’assegnazione risponda a finalità erogative nei confronti dei soci.
La generale negazione della deducibilità delle minusvalenze derivanti dalle assegnazioni di beni ai soci non è giustificabile, in questo senso, a livello sistematico, anche alla luce della natura tendenzialmente onerosa degli atti che realizzano tale fattispecie: come esposto nel presente lavoro, la circostanza che gli atti di assegnazione avvengano in un contesto societario non consente di assimilare la fattispecie in questione alla generale categoria della “destinazione a finalità extraimprenditoriali”, proprio in quanto la società costituisce un soggetto diverso rispetto ai soci, dotato di proprie finalità e di un proprio patrimonio, distinto rispetto a quello dei singoli componenti della compagine sociale. Non si concorda, infatti, con chi ha ritenuto che l’assegnazione dei beni ai soci – seppure realizzi un mutamento della titolarità giuridica del bene - non sia idonea a realizzare un cambiamento della destinazione economica dei cespiti assegnati, in quanto questi, nel passaggio dal patrimonio della società a quello
del socio, resterebbero nel medesimo “ambito economico”181. A prescindere, infatti, dall’indeterminatezza del concetto di “ambito economico”, la fattispecie della destinazione al consumo personale dell’imprenditore non comporta, per l’impresa, un corrispettivo vantaggio patrimoniale e si configura, al contrario, come un mero depauperamento del patrimonio imprenditoriale, per soddisfare esigenze che nulla hanno a che fare non solo con l’attività dell’impresa, ma finanche con l’organizzazione della stessa, intesa in senso oggettivo: si tratta, in questo senso, di atti compiuti a titolo gratuito, per finalità meramente erogative, estranee alla gestione.
3. LA RAGIONEVOLEZZA DEL TRATTAMENTO TRIBUTARIO