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Nel 1748 Giovan Battista Nolli, architetto, geometra e cartografo, pubblicava la

Grande Pianta di Roma, incisa in dodici fogli. L’opera, che immediatamente raggiunse

fama e divulgazione europee, era il frutto di un lavoro intrapreso più di dieci anni prima, con l’obiettivo di realizzare un rilievo della città e il censimento di tutti gli edifici e delle emergenze monumentali degne di nota, con particolare riguardo per quelle archeologiche. La pianta avrebbe dovuto essere corredata da un volumetto contenente una descrizione dettagliata di tutti gli edifici registrati, ma ragioni economiche e organizzative impedirono il compimento del progetto, tanto che in luogo dell’ambizioso Libro si compilò, alla fine, un semplice indice. Come è stato osservato, l’impresa del Nolli, nata dall’iniziativa dei circoli antiquari romani facenti capo al cardinal Albani, si pone come autentico ‘spartiacque’ nella storia della cartografia moderna. Alla tradizionale impostazione che assumeva il Gianicolo quale punto d’osservazione, Nolli sostituisce un orientamento verso nord, costruito avendo come riferimento la meridiana della Certosa, tracciata nel 1702 da Francesco Bianchini nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. In secondo luogo, attraverso una puntigliosa ricognizione del territorio e mediante l’applicazione di aggiornate procedure di triangolazione, egli realizzò una pianta la cui esattezza ne avrebbe fatto un riferimento ineludibile per tutti i successivi rilievi della città.

L’impeccabile ‘ritratto’ realizzato dal Nolli consegna alla storia l’immagine di una città ormai pienamente strutturata: salvo alcuni interventi realizzati nel secondo Settecento o in epoca Napoleonica, come la sistemazione del Pincio e di Piazza del Popolo, la città dei Papi sarebbe rimasta sostanzialmente inalterata sino all’Unità d’Italia. Sarà opportuno osservare, in proposito, che seppur in un quadro di crescenti difficoltà finanziarie, una parte non trascurabile delle trasformazioni documentate dal Nolli era avvenuta nella prima metà del secolo. La struttura e l’aspetto della città si erano modificati sulla base della realizzazione congiunta di grandi opere e interventi minuti. Nel primo caso rientra la sistemazione di alcuni snodi –ad un tempo funzionali e monumentali- che definiscono una volta per tutte la distribuzione delle funzioni

secolo, della Curia Innocenziana e della Dogana di Terra –rispettivamente in Palazzo Ludovisi e in Piazza di Pietra-, nel corso della prima metà del Settecento si definisce il polo monumentale del Quirinale, con la costruzione delle Scuderie e, soprattutto, del Palazzo della Consulta ad opera del Fuga. Il rapporto della città con il fiume viene ridefinito alla luce di più razionali criteri di organizzazione del commercio: il primo decennio del secolo è caratterizzato dalla sistemazione del porto di Ripetta ad opera di Alessandro Specchi, seguito negli anni successivi dalla riedificazione dell’Arsenale Pontificio fuori Porta Portese. Nuovi interventi si ebbero nell’Ospizio Apostolico del San Michele –complesso produttivo e assistenziale- e nella rete assistenziale della città, che ebbe una delle sue punte nel nuovo ospedale del San Gallicano, edificato dal Raguzzini sulla base di aggiornati criteri funzionali. Negli stessi decenni, lo sviluppo di una nuova sensibilità in materia di tutela delle opere artistiche e il rilancio dell’azione spirituale dei pontefici portarono alla creazione delle raccolte capitoline e al restauro delle maggiori basiliche. Il vo lto della città si definisce, tuttavia, anche alla luce di iniziative meno clamorose: il Settecento è infatti caratterizzato da un’opera capillare di regolarizzazione dello spazio urbano. Si rettificano e si pavimentano le strade, si ricostruiscono le facciate di molti edifici nel rispetto dei fili stradali, si regolarizzano gli isolati, si accresce l’offerta abitativa della città mediante la sopraelevazione e la suddivisione degli edifici. La cintura di ville registrata dal Nolli è parte di questa città ne condivide i fermenti e le dinamiche di trasformazione.

La trasformazione urbana è probabilmente sostenuta anche dalla crescita demografica: nel corso del secolo la popolazione era infatti passata dai 134.500 abitanti del 1703 ai 166.400 del 1796. L’aumento della popolazione era stato più accentuato nella prima metà del secolo, come risulta dal censimento del 1749, anno in cui la città contava 152.900 abitanti76.

Nolli, anche alla luce della particolare accuratezza che impronta il rilievo delle aree verdi: da una lettura attenta della pianta è stato infatti possibile desumere informazioni precise circa la forma degli edifici e delle fontane, la presenza e il disegno dei parterre, la varietà delle coltivazioni.77 I dati così raccolti –frutto, si è detto, di una 'rassegna' degli indici e di una meticolosa 'rilettura' della pianta- sono poi stati confrontati con le informazioni contenute nella Descrizione del nuovo ripartimento de’Rioni di Roma, pubblicata nel 1744 ad opera del Conte Bernardini, in occasione del riordino dei rioni promosso da Benedetto XIV. L’opera, che si avvalse della pianta del Nolli, non ancora pubblicata, quale base cartografica, rispondeva all’esigenza di una più efficiente e rigorosa amministrazione cittadina, rispetto alla quale l’esatto rilievo del territorio urbano e la sua chiara suddivisione costituivano una premessa indispensabile. L’interesse della Descrizione è dato anche dal fatto che, in assenza dei vincoli di stampa che rendevano particolarmente succinte le didascalie del Nolli, Bernardini fornisce, in taluni casi, informazioni accessorie circa lo status dei proprietari o il nome dei precedenti possessori delle ville. Nella Descrizione vengono censiti all'interno delle mura urbane "23 giardini principali e 35 ville". Sorprendentemente, i dati riferiti dal Bernardini non coincidono perfettamente con quelli di Nolli. In particolare, Bernardini sembra più accurato nell'elencare i giardini urbani, mentre Nolli appare più rigoroso nel rilievo delle ville. Dal momento che non è ipotizzabile un così radicale cambiamento del panorama in soli quattro anni (tra l'altro: Barnardini non cita nei suoi elenchi ville certamente già esistenti prima del '44, come villa Conti), si è ritenuto opportuno incrociare i dati e assumere come base cronologica della ricerca il periodo 1744-48.

Da questa ricognizione sono emerse, chiuse nell'abbraccio delle mura urbane, 240 proprietà, tra ville, vigne, orti e giardini. Circa la metà di questo tessuto è costituito da vigne (123), seguono le ville (ben 42), gli orti (36) e infine i giardini (34). Due aree sono individuate come ‘ortacci’ degli ebrei; ci sono poi un Orto Botanico, l’Arcadia e, nell’area dell’attuale cimitero protestante, i prati del Popolo.

Colpisce, in questo sintetico elenco, la sorprendente rilevanza del verde 'monumentale': sommando le ville ai giardini e aggiungendovi il Bosco Parrasio e

l'Orto Botanico si ottengono, infatti, 78 voci, più o meno il trenta per cento del totale. Ancor più sorprendente appare il fatto che su buona parte di questo tessuto non esiste quasi bibliografia, se si esclude una fugace menzione sull'ormai datato - ma sempre fondamentale- testo della Belli Barsali sulle ville di Roma. La distribuzione di questo verde nell'ambito del territorio urbano non è omogenea. Sembra anzi che nel corso del Settecento lo spazio urbano continui a strutturarsi secondo dinamiche ormai plurisecolari: al fitto tessuto urbano del Campo Marzio e delle aree limitrofe si contrappone l'enorme porzione di territorio dominata dal verde, suddivisa in due zone ben distinte. Le aree che sin dall'antichità si caratterizzavano per una fo rte vocazione residenziale e aristocratica come il Pincio (il Collis Hortulorum) e il Gianicolo, vedono proseguire il processo di monumentalizzazione, mentre il grande cuneo verde lungo la via Appia e il Testaccio appaiono dominati essenzialmente da insediamenti a carattere agricolo. L’unica reale novità sembra essere costituita dal Rione Monti che, pur caratterizzato dalla presenza di prestigiose ville del Cinque e Seicento, presentava all’inizio del XVIII secolo vaste aree ancora agricole, soprattutto lungo le mura aureliane.

I rilievi del Nolli evidenziano la presenza di edifici in circa il 75% delle proprietà, mentre i parterre censiti sono 54, un numero superiore –è significativo osservarlo- a quello delle ville. In effetti, la distinzione tra aree destinate alla coltura –le vigne e gli orti- e aree votate ad attività di svago e rappresentanza –le ville e i giardini- è valida solo in via generale, dal momento che molte ville dispongono di spazi destinati alla coltivazione, mentre in alcune vigne è possibile individuare con chiarezza la presenza di un edificio affiancato da parterre più o meno simmetrici. (Ambiguità anche in lettere patenti, inventari, guide)

Quanto alla proprietà dei singoli lotti, circa il 60% è nelle mani di privati, il resto è suddiviso tra ordini religiosi, capitoli, chiese, conventi e, solo in minima parte, tra

tal fine si è presa in considerazione una serie di piante di Roma elaborate tra la fine del Seicento e l’inizio dell’Ottocento, a cominciare dalla Grande Pianta di Giovan Battista Falda del 1676, nei suoi aggiornamenti del 1697, 1705, 1730 e 1756. I rilievi eseguiti in vista della creazione del Catasto Urbano, elaborati, tra l’altro, proprio partendo dal lavoro di rilevazione del Nolli, hanno fornito invece una documentazione certa circa lo stato dei luoghi attorno al 1820.78

Sul piano archivistico si sono passate in rassegna le lettere patenti rilasciate dalla Presidenza delle Strade nel periodo 1700-1799 e relative a lavori eseguiti in ville, vigne e giardini. Si tratta, essenzialmente, di autorizzazioni relative alla ricostruzione di recinzioni in muratura, portali monumentali e, più episodicamente, prospetti di edifici. La tipologia dei lavori menzionati va chiaramente posta in relazione con l’area di competenza della Presidenza delle Strade. Complessivamente, nel periodo preso in esame, sono registrate 121 ‘lettere’ che possono essere considerate come un indice, sia pur parziale, dell’attività edilizia del periodo. Aggregando i dati per rione e per decennio è emerso un quadro che testimonia l’intensità degli interventi sia sul piano cronologico che geografico. Come era ipotizzabile, la quasi totalità delle lettere riguarda quattro soli rioni, Monti, Campitelli, Ripa e Trastevere, dove l’esiguità della porzione abitata rispetto alla dimensione complessiva del rione rendeva disponibili estese aree verdi. Quanto alla dis tribuzione cronologica degli interventi, ben l’82% sono relativi alla prima metà del secolo, con un’intensità più o meno costante nel corso degli anni, salvo il decennio 1730-40, che registra una diminuzione delle autorizzazioni rilasciate. A partire dal 1750, invece, lo scenario muta radicalmente, testimoniando un progressivo affievolirsi dell’attività edilizia. Nel complesso, sembra riscontrabile una precisa rispondenza tra quanto suggerito dalla serie delle lettere e quanto è visibile dai rilievi cartografici. Tra gli ultimi decenni del Seicento e la metà del secolo successivo non sembra esserci soluzione di continuità circa l’attività

78 Negli stessi anni in cui si è svolta la presente ricerca, il CROMA ha realizzato uno studio sistematico

sulla pianta del Nolli, non ancora ultimato. In particolare, è stato messo a punto “un elaborato cartografico vettoriale su base GIS rappresentante dieci classi di uso del suolo”. Questo lavoro offre oggi l’opportunità di “affrontare l’analisi dell’intero territorio della città in modo omogeneo, elaborando statistiche ed eseguendo confronti diacronici grazie alla sovrapposizione con altre cartografie. E’ inoltre possibile integrare progressivamente nel sistema “informazioni desunte da diverse fonti sotto forma di

edilizia: nella pianta del Nolli numerose appaiono le ville non censite nella cartografia precedente, segno di una indubbia vitalità sul piano artistico e sociale. Col trascorrere dei decenni si verifica, al contrario, un progressivo affievolirsi dell’attività edilizia che prelude, sul finire del secolo, ad uno scadimento complessivo del tessuto delle ville. Lentamente l’uso agricolo sembra infatti prevalere sulle originarie funzioni di svago e di rappresentanza. Ciò comporta un progressivo smantellamento dell’impianto monumentale di molti complessi: si dissolve il disegno dei viali, vengono meno le relazioni visive tra i punti eminenti sui quali era organizzata la struttura delle ville, mentre i parterre risultano invasi o sostituiti dalle coltivazioni.

Nel corso del secolo successivo il panorama muta in modo ancora più radicale: tra i fenomeni più evidenti va certamente cons iderata la progressiva concentrazione della proprietà terriera. Alcune grandi ville, risalenti per lo più al XVI e XVII, che in passato avevano agito da ‘catalizzatori’, determinando la nascita, nelle immediate vicinanze, di una corona di insediamenti minori, sembrano ora ‘fagocitare’ il tessuto circostante, determinando la scomparsa di numerosi complessi. Poche grandi famiglie, quasi sempre ‘pontificie’, esercitano ora il loro controllo su grandi estensioni, sia all’interno delle mura Aureliane che nelle aree circostanti. Esemplare appare, in questo senso, la vicenda di villa Borghese, che tra il 1820 e il 1838 raggiunge l’area di Porta del Popolo inglobando numerose proprietà, tra le quali le ville Giustiniani e Bevilacqua-Doria.79 All’interno delle mura si assiste ad episodi analoghi con il progressivo ampliamento della villa Boncompagni- Ludovisi, che raggiunge l’area di via Piave inglobando le ville Altieri e Verospi,80 nonché con gli acquisti della famiglia Massimo, che diviene proprietaria di una parte considerevole dell’Esquilino mediante l’acquisizione delle ville Montalto, Palombara e Giustiniani. Questo processo di concentrazione della proprietà non si accompagna, però, ad un rilancio dell’attività edilizia; al contrario, sembra accelerare la progressiva trasformazione agricola dei terreni. Presso l’Archivio di Stato di Roma si conservano alcuni documenti, risalenti al 1840, che confermano in

modo inequivocabile questo processo.81 Si tratta di una relazione concernente le ville Palombara e Giustiniani eseguita in vista della cessazione di un contratto d’affitto per uso agricolo. L’accresciuta vocazione agricola delle proprietà risulta confermata dalla constatazione dell’aumento, rispetto alla data d’inizio del contratto, del numero di piante di vite (1639 in più) e carciofi, nonché dalla notizia del taglio, al confine con la proprietà Altieri, di una alberatura di olmi che “con la loro ombra recavano pregiudizio grande alle viti”.