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D IVENIRE FENOMENOLOGICO , DIVENIRE ONTOLOGICO ,

2. Una nuova comprensione del contenuto del principio “apparire”, ovvero dell’esperienza

Nel secondo Severino non muta la “struttura formale” della verità filosofica, cioè dell’incontrovertibile. Essa resta costituita dall’intrec-cio dei due ambiti che ben conosciamo: l’apparire e l’incontradittorie-tà dell’essere; l’esperienza e il logo.

Questi erano e restano i “principi primi” di tutto il sapere, la strut-tura del fondamento (cf. Parte prima, par. 1).

Quello che il secondo Severino mette radicalmente in questione è che ci siano, propriamente parlando, dei “principi del divenire”, come recitava il titolo della sua traduzione/commento a passi scelti del libro I dellaFisica aristotelica. Cerchiamo di capire di cosa si tratti.

Si ricorderà quanto è stato rilevato nel paragrafo 3 della Prima parte. Il titolo di quel paragrafo era: “Il divenire procede dai contrari e termina ad essi”. I “contrari” erano stati indicati come i “principi” del divenire, ma in quel caso i “principi” erano intesi come i termini all’interno dei quali si svolge il divenire e, quindi, come i suoi “limiti”, altrimenti non potrebbe darsi il “sopraggiungere“ di alcunché.

Dopo aver ricordato questo, torniamo alla tesi che avevo annunciato. Per il secondo Severino non ci sono dei“principi” del divenire, cioè non ci sono dei “limiti” dell’ente diveniente intesi quali inizio e termine della “mutazione” o “differenziazione”. Una tale concezione del diveni-re è espdiveni-ressione di una concezione “nichilistica” del divenidiveni-re. Vediamo-ne il perché.

Affermare che ci siano dei limiti del processo diveniente, e quindi dei “principi”, sembrava innegabile: se non si affermasse ilterminus a 191

quo e il terminus ad quem non sussisterebbe neppure il divenire come tale. Quali che siano gli specifici termini contrari, come avevamo visto, il fatto che il divenire non si costituisse come passaggio dal puro non essere al puro essere (e viceversa), ma da un certo non essere a un certo essere (e viceversa) – ad esempio: il bianco dal non-bianco – non impediva di rilevare che, nel processo diveniente così inteso, i “limiti” o i “termini” tra i quali si realizza il divenire per Aristotele siano il non essere e l’essere (e viceversa). Severino restituiva alla perfezione la posizione aristotelica quando, commentando i “principi del divenire” in Aristotele, rilevava:

«Il divenire o è il sopraggiungere di ciò che, proprio perché sopraggiunge, primanon era; o è l’annullarsi di ciò che, proprio perché si annulla, primaera; passaggio dal non essere all’essere, o dall’essere al non essere»49

.

Ebbene: avendo compreso che cosa significhino i limiti/principi del diveniente, per il secondo Severino affermare che ci siano “principi del divenire”, per un verso è un andare contro la verità dell’essere che si oppone all’identificazione di essere e non essere (cf. Ritornare a Parmenide); e, per un altro verso, è una mera presupposizione, stante che l’apparire autentico (cf.Ritornare a Parmenide. Poscritto) non mostra una siffatta (contraddittoria) identificazione, stante la quale si produrrebbe l’“aporia del divenire” su cui abbiamo discusso in prece-denza e che la metafisica riteneva di avere risolto positivamente.

C

ONCLUSIONI

Il nostro discorso aveva preso le mosse da un’analisi di alcuni luo-ghi particolarmente rilevanti del primo libro della Fisica aristotelica, per indicare quale sia il contributo della dottrina ivi presentata da Aristotele in merito alla soluzione dell’aporia del divenire di lascito

192 L. MESSINESE

parmenideo e dove tale soluzione, nel dettato dello Stagirita, perven-ga al suo effettivo compimento.

La suddetta indagine, però, non aveva semplicemente lo scopo di fornire una augurabilmente corretta ricostruzione storiografica, quan-to piutquan-tosquan-to di porre le basi per mettere successivamente in evidenza il rapporto speculativo di Severino con la posizione aristotelica nelle due fasi del suo pensiero.

I risultati ai quali siamo alla fine pervenuti sono i seguenti.

Mentre il primo Severino, in relazione all’aporia circa il divenire, accoglieva i termini nei quali essa veniva a costituirsi all’interno della Fisica aristotelica e ne condivideva, quanto alla sua struttura essenziale, il modo del suo toglimento,il secondo Severino nega che la struttura del processo diveniente debba essere accolta nei “termini” aristotelici: e, cioè, come articolazione dei “principi del divenire” (primo momento) la quale, a sua volta, rinvia alla posizione dell’Essere immutabile quale toglimento della contraddizione che, altrimenti, affetterebbe quella medesima articolazione (secondo momento) – una contraddizione il cui presentarsi, peraltro, era stato ritenuto esso stesso innegabile.

Ma anche questa delucidazione, relativa al rapporto di Severino con Aristotele, non era puramente fine a se stessa, quanto invece essa stessa propedeutica alla“questione” più importante che è implicata nella sequenza concettuale che costituisce il titolo di questo mio scrit-to e che ripescrit-to qui ancora una volta: “Divenire fenomenologico, dive-nire ontologico, incontraddittorietà dell’essere”.

Per il secondo Severino il divenire autenticamente “fenomenologico” non riguarda l’essere degli enti e, quindi, non ha un carattere “ontolo-gico”. Pertanto, esso non si presenta affetto da una “contraddizione” – l’identificazione di essere e non essere – che andrebbe a intaccare la “incontraddittorietà” dell’essere se non si provvedesse a scongiurarla mediante l’introduzione di una “realtà diversa da quella diveniente”, il cui “esser già”, o “essere attuale”, rispetto al diveniente dovrebbe appunto provvedere a risolvere l’aporia del divenire.

In tale nuova prospettivanon si dà alcuna “aporia del divenire” e, di conseguenza, per Severino non si edifica alcuna metafisica in rela-zione a un’aporia che non esiste, venendo così egli a segnare il suo punto fondamentale di distanza rispetto alla metafisica classica.

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Ed ecco, finalmente, la “questione” che è implicata nella sequenza concettuale sulla quale ci siamo soffermati in questo scritto e rispetto alla quale, perciò, esso intendeva svolgere un ruolo soltanto propedeutico.

La formulo sotto forma didomanda: la metafisica, come afferma-zione di una “distinafferma-zione ipostatica” tra l’essere dell’esperienza (il mondo) e la totalità assoluta dell’essere (Dio), si dà unicamente in relazione a un contenuto dell’esperienza (deita physika) inteso come “sopraggiungere di ciò cheprima non era” e “annullarsi di ciò che prima era”? Oppure l’avvenuta chiarificazione di quale sia l’autentica “fenomenologia” del divenire, da una parte, può contribuire a mettere in questione una metafisica che ritiene di potersi edificare quale togli-mento della contraddittorietà della “fisica” lasciata a se stessa e, dal-l’altra parte, ad accogliere la manifestazione di ciò che amo chiamare “metafisica originaria”?

La risposta determinata a questa domanda segnerebbe insieme il punto di contattoe quello di differenza rispetto alla “metafisica origi-naria” che caratterizza il pensiero di Emanuele Severino nella secon-da fase del suo pensiero.

In questa sede non è possibile offrire determinatamente una tale risposta, per la quale mi sia consentito rimandare ad alcune pubblica-zioni dove essa è stata esposta a più riprese e in forme tra loro com-plementari50. Posso, però, dare qualche indicazione in merito alle sue linee di fondo, che presento mettendo a frutto la lezione che è conte-nuta neLa struttura originaria di Severino e che personalmente conti-nuo a valorizzare, pur tenendo debitamente conto degli sviluppi del pensiero severiniano.

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50Cf. L. MESSINESE,L’apparire del mondo. Dialogo con Emanuele Severino sulla “struttura originaria” del sapere, Mimesis, Milano 2008, pp. 46-50; 151-198; 281-393; ID.,Il paradiso della verità. Incontro con il pensiero di Emanuele Severino, Edizioni ETS, Pisa 2010, pp. 129-155; 195-210; ID.,Metafisica, Edizioni ETS, pp. 81-160; ID., Severino e la metafisica, in D. SPANIO(ed.),Il destino dell’essere. Dialogo con Emanuele Severino, Morcelliana, Brescia 2014, pp. 29-53; ID.,L’apparire di Dio. Per una metafisica teologica, Edizioni ETS, pp. 19-21; 125-179.

Il primo livello della “metafisica originaria” è il seguente. L’essere che oltrepassa ogni negatività e finitezza, ovvero l’Essere assoluto, ciò che aristotelicamente è chiamato l’Atto puro, non è affermato al ter-mine di un percorso “dimostrativo” che parte dall’essere finito, ma è affermatooriginariamente in virtù del Principio di Parmenide, e cioè della necessità di affermare quell’ambito del fondamento che è costi-tuito dall’“immediatezza logica”. Nel principio che “l’essere è e non può non essere” è immediatamente contenuta l’affermazione dell’as-soluta immutabilità dell’essere e, perciò stesso, dell’“Essere immuta-bile”. L’immutabilità dell’essere che è implicata nell’“immediatezza logica” è lo stesso Essere assoluto51.

Nel secondo livello della metafisica originaria, da una parte si viene a mostrare che la totalità dell’esperienza non è in equazione con l’Essere assoluto così affermato e, quindi, che quest’ultimo sta oltre l’esperienza, cioè latrascende52; e dall’altra si configura la “relazione di creazione” tra l’Essere assoluto e la totalità dell’esperienza53. In rela-zione, poi, all’autentica fenomenologia del divenire, si dirà che il rap-porto di creazione è affermato in quanto il divenire dell’esperienza, che fenomenologicamente si presenta come un “entrare nell’apparire e un uscirne”, stante il Principio di Parmenide, non può che avere la sua “ragion d’essere” nel riferimento all’Essere immutabile e non ad un incrementarsi originario dell’essere54.

Ebbene, riguardo alla suddetta posizione teoretica si può parlare di “metafisica originaria”55a motivo del fatto che l’affermazione del-l’Essere trascendente l’esperienza, ovvero ilsapere metafisico nel suo 195

Divenire fenomenologico, divenire ontologico...

51Cf. E. SEVERINO,La struttura originaria, cit., cap. XV, par. 17, pp. 388-389.

52Cf.ivi, cap. XV, par. 21, pp. 401-402.

53Cf.ivi, cap. XV, parr. 28-33, pp. 407-410.

54La giustificazione di tale passaggio speculativo, che intende proseguire il pensiero di Gustavo Bontadini, è offerta negli scritti citati alla nota 50. Per una sua sintetica esposizione cf. L. MESSINESE,Metafisica, cit., pp. 145-146 e ID.,L’apparire di Dio, cit., pp. 142-147.

55È opportuno ricordare come tale sintagma costituisca il titolo del capitolo conclu-sivo deLa struttura originaria.

contenuto eccellente, è il compimento del concreto articolarsi del “fondamento”, nei suoi due ambiti di immediatezza fenomenologica e immediatezza logica, e non qualcosa che è costruitosul fondamento56.

Il punto di contatto con la metafisica originaria che caratterizza il pensiero del secondo Severino consiste nella permanenza, che è riscontrabile in quest’ultimo, di unadisequazione tra la “totalità del-l’esperienza” e la “totalità dell’essere”57. Il punto di differenza sta essenzialmente nel modo in cui viene a esseredeterminata la totalità assoluta dell’essere, che per Severino, diversamente da quanto egli aveva affermato neLa struttura originaria, non ha più il volto del Dio metafisico, ma quello della totalità infinita degli essenti58.

R

IASSUNTO

Allorché tratta del “divenire” nei libri della Fisica, Aristotele si misura tanto con Parmenide, quanto con i pensatori che sono chiama-ti “fisici” e che, a differenza degli Eleachiama-ti, non negano larealtà del mol-teplice e del divenire; questo, nell’intento di stabilire da parte sua una soluzione dell’aporetica del divenire. L’articolo, nella prima parte, intende chiarire che la soluzione aristotelica non è offerta da ciò ch’è contenuto nel libro I dell’opera indicata, e neppure dalle analisi con le quali in seguito sono introdotti i concetti di potenza e atto, ma

soltan-196 L. MESSINESE

56Per ulteriori elementi circa il significato che annetto al sintagma cf. L. MESSINESE, L’apparire di Dio, cit., pp. 152-155.

57Cf. L. MESSINESE,Il paradiso della verità, cit., pp. 196-199.

58Cf.ivi, pp. 199-202. Questo rapporto è stato espresso limpidamente anche dallo stesso Severino, pure nel momento in cui veniva a svolgere le sue obiezioni alla proposta teoretica contenuta nel mioL’apparire del mondo, cit. (cf. E. SEVERINO, Discussioni intorno al senso della verità, Edizioni ETS, Pisa 2009, pp. 139-145). Tale proposta, infatti, che si è precisata negli scritti successivi già citati, nel mentre accoglie la nuova posizione del filosofo bresciano in merito al contenuto autentico della immediatezza fenomenologica, sul piano metafisico valorizza la prima edizio-ne deLa struttura originaria.

to quando, nel libro VIII, si perviene all’affermazione di un Primo Motore Immobile. Dopo aver messo in luce tale percorso aristotelico, nella seconda parte si indicano gli elementi essenziali della primitiva valutazione di carattere positivo e, poi, di quella connotata critica-mente, offerte da Emanuele Severino in merito alla soluzione aristo-telica. Infine, nelle pagine conclusive si precisa che la trattazione pre-cedente è da intendersi come una propedeutica necessaria in vista di uno svolgimento più adeguato del tema che dà il titolo all’articolo, circa il quale qui sono offerte le coordinate di fondo.

A

BSTRACT

When it comes to “becoming” in the books ofPhysics, Aristotle is compared as much with Parmenides as with the thinkers who are called “physicists” and who, unlike the Eleates, do not deny thereality of multiplicity and of becoming; this, in order to establish for his part a solution of thedilemma of becoming. The article in the first part aims at clarifying that the Aristotelian solution is not offered by what is contained in Book I of the work indicated, nor by the analyses with which the concepts of potency and act are later introduced, but only when Book VIII reaches the affirmation of a First Unmoved Mover. After having highlighted this Aristotelian path, in the second part we indicate the essential elements of an initial positive evaluation and later a more critical approach, offered by Emanuele Severino regarding the Aristotelian solution. Finally, in the concluding pages it should be noted that the previous discussion is to be understood as a necessary introduction for a more appropriate development of the theme that gives the title to the article, about which here we offer the basic coordinates.

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I

L TEMPO

,

LA CONTRADDIZIONE

E LO SGUARDO DI

G

IANO*

M

AURO

V

ISENTIN**

1. L’

AMBIGUA NATURA DEL TEMPO RISPETTO ALLA CONTRADDIZIONE

La divinità romana autoctona alla quale è consacrato il mese di gennaio ha un legame specifico e molto stretto con il tempo e con la temporalità. Giano è il dio dei transiti, il dio delle soglie, la divinità che presiede alle porte, ai varchi. E il tempio che, stando ad una con-solidata tradizione leggendaria, il secondo re di Roma, Numa, gli aveva dedicato, restava aperto solo nei periodi in cui era in corso qual-che guerra: fasi “critiqual-che”, traumatiqual-che, di trapasso. Lo stesso Numa, nella sua riforma del calendario romano, pensò di dedicargli un mese, januarius, appunto, assegnando, però, a gennaio non il ruolo che esso cominciò ad assolvere solo con la successiva riforma giuliana, di primo mese dell’anno, ma di penultimo: l’inizio della fine. La caratteristica più nota e, simbolicamente, più ricca di significato di questa figura mitologica è costituita dal suo esserebifronte o ancipite, e perciò dal rivolgere lo sguardo (dalpoter rivolgere lo sguardo o dal dover rivol-gere lo sguardo) in due direzioni opposte: il passato e il futuro. Il suo

*Questo testo riproduce una parte – utilizzata come base per la conferenza tenuta all’Istituto filosofico Domenicano di Bologna nel quadro dell’incontro annuale 2015 su “Tempo e contraddizione” – di un contributo più ampio pubblicato, sul 3° fascicolo 2016 della rivista «La Cultura» e intitolato:L’ambigua natura del tempo in tre passi.

**Ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Sassari.

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Il tempo, la contraddizione e lo sguardo di Giano

legame con la guerra, sottolineato appunto dal fatto che il tempio in cui si svolgeva il suo culto restava chiuso in tempo di pace e veniva aperto solo in occasione dell’esplodere di un conflitto, è da ricondursi proprio alla sua duplicità (guerra in latino si dicebellum che dipende da duellum, contrasto, opposizione, crisi, che mette a confronto due attori, l’uno contro l’altro, e che, nello stesso tempo, per il fatto di definire un momento “critico”, di cesura ma anche di indecisione e di incertezza, tra il prima e il poi, guarda,insieme, al passato e al futuro). Ma il tempo è caratterizzato daltre, non dal due: il terzo è, appunto, il passaggio. Quindi Giano è il terzo: il presente. In questa veste esso è duplice e, ad un tempo, uno:divide e, insieme, unisce. Unendo la fine con l’inizio, tende a rivestire il ruolo di saldatura tra di essi, a farli coincidere, a renderli intercambiabili e, di conseguenza, a porsi come il punto di sutura di un percorso circolare, di un “anello”. Tuttavia, in quanto divide e scinde è un elemento di frattura, di separazione, come l’istante di cui parla Platone nelParmenide o quello cui Aristotele, nellaFisica, assegna il compito di delimitare e distinguere tempi determinati, porzioni di tempo o segmenti ritagliati nel fluire continuo del corso delle cose. L’insieme di questo complesso gioco di immagini e di rimandi simbolici e iconologici è, dunque, strettamente legato alla rappresentazione deldivenire temporale, alla sua natura ambigua e contraddittoria. Ma anche (e forse soprattutto o in primo luogo) al duplice ed equivoco rapporto che il tempo instaura con la contraddit-torietà, visto che, per un verso, unifica e, insieme, contraddittoriamen-te, separa proprio ciò che unifica, per l’altro, invece, impedisce, con il proprio scorrere, che l’attribuzione ad un medesimo soggetto di predi-cati diversi e incompatibili sia contraddittoria. Qui abbiamo, pertanto, una duplicità o un’ambiguità alla seconda potenza, una duplicità che duplica se stessa.

Ma che il tempo e la sua natura abbiano un rapporto duplice con la contraddittorietà significa forse che questo rapporto è esso stesso con-traddittorio? Che il rapporto sia duplice (o ambiguo) lo abbiamo appe-na constatato sulla base del fatto che, stando al comune modo di pensa-re il tempo in filosofia, esso,per un verso, è (almeno in apparenza) qualcosa di, in se stesso, contraddittorio, ma,per un altro verso, appa-re come una sorta di pappa-residio, capace di tutelaappa-re gli enti dal rischio di

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