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Una nuova interpretazione del n.2) primo comma dell’art 142 Legge Fallimentare

Nel documento L'ESDEBITAZIONE (pagine 51-54)

ANALISI DELL’ISTITUTO DELL’ESDEBITAZIONE: PROFILI STRUTTURALI E PROCEDIMENTAL

2.2 I requisiti necessari per acceder al beneficio dell’esdebitazione

2.2.1 Una nuova interpretazione del n.2) primo comma dell’art 142 Legge Fallimentare

La sentenza della Cassazione del 23 maggio 2011, n. 1127964, ha il grande merito di aver fornito un’interpretazione della condizione prevista dal n. 2) del comma 1 dell’art. 142 Legge Fallimentare, che oltre a caratterizzarsi per chiarezza e ragionevolezza,impartisce una sua "utilità" sul piano contenutistico; visto che, grazie ad essa, non potrà più trovare conforto quell’opinione critica, per la quale la condizione di cui al n. 2) dell’art. cit. sarebbe una sorta di doppione di quella contenuta nel precedente numero. Al fine di comprenderne totalmente questa nuova interpretazione,è necessario fare una breve narrazione della vicenda processuale che ha condotto alla presente decisione della Cassazione.

M. R. e B.A.M.,quali soci di fatto della Larem soc. di fatto,subivano a causa del fallimento dichiarato con sentenza nei confronti della stessa società il fallimento per ripercussione, ed una volta conclusasi la procedura concorsuale per ripartizione finale dell’attivo ex art. 118, comma 1, n. 3) Legge Fall. presentavano al Tribunale di Rimini istanza di ammissione al beneficio dell’esdebitazione ex art. 142 L.F. A sua volta, il Tribunale de quo rigettava con due separati decreti l’istanza di esdebitazione, in quanto gli istanti nel corso della procedura avevano tenuto un comportamento difforme ai requisiti previsti ai nn. 1) e 2) del comma 1 dell’art. 142 Legge Fallim., essendo risultato dalla relazione del curatore che gli stessi avevano posto in essere delle condotte volte a ritardare lo svolgimento della procedura. E come se ciò non bastasse, la sussistenza nei riguardi di

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M.R. della pronuncia di una sentenza per bancarotta fraudolenta era di ostacolo al beneficio in questione.

A sua volta, la Corte d’Appello di Bologna a cui si sono rivolti i due soci,falliti con reclamo ex art. 26 Legge Fallimentare,rigettava quest’ultimo con proprio decreto, ponendo a sostegno del diniego dell’esdebitazione le seguenti cause ostative: 1) l’aver concesso in affitto, a canoni inadeguati, prima che venisse dichiarato il fallimento della società, e nella piena consapevolezza da parte di M.R. e B.A.M. dello stato di crisi irreversibile in cui versava quest’ultima, sia i beni aziendali che alcuni beni immobili della stessa società, ad una società appositamente costituita ed amministrata dal figlio R., costringendo così il curatore ad intraprendere nei riguardi dell’affittuario R. (nonostante che nel frattempo fosse anche scaduto il contratto di affitto, e in virtù del rifiuto oppostogli dall’affittuario medesimo) una procedura esecutiva volta ad ottenere il rilascio dei beni, e che si è conclusa con esito positivo per la curatela nel 1999. Tale procedura esecutiva aveva prodotto sia un certo ritardo nello svolgimento dell’attività di liquidazione degli stessi beni sia un aggravio di spese; 2) l’aver proposto da parte degli stessi M.R. e B.A.M. un reclamo ex art. 26 Legge Fallim. contro il decreto di trasferimento degli immobili emesso in favore della curatela, con conseguente insorgere di un ulteriore procedimento contenzioso conclusosi con un decreto di inammissibilità dello stesso da parte della Corte di legittimità; 3) l’aver contestato da parte del solo M.R. il rendiconto finale depositato dal curatore, dando luogo ad un ulteriore procedimento contenzioso conclusosi addirittura con il ritiro del ricorso da parte dello stesso M.R.; 4) infine la presenza di una sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen. per bancarotta fraudolenta nei riguardi di entrambi i reclamanti.

Contro tale decreto di negazione dell’esdebitazione M.R. e B.A.M. proponevano ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, penultimo

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comma, Cost., che la Corte di legittimità giustamente rigettava,dando così pieno conforto a quanto statuito dai due giudici precedenti. La Suprema Corte si esprime in merito al punto n.2) del comma 1 dell’art. 142 Legge Fallim.,elaborando una interpretazione che ricomprende una serie di situazioni che qualificano il ritardo come ostativo ai fini dello svolgimento della procedura. Infatti per la Cassazione, il termine "ritardare" annovera tra i suoi sinonimi quello di "ostacolare", ed è quindi indicativo di un comportamento antigiuridico, perché contrastante con il fondamentale principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 111, penultimo comma, Cost.. Per di più, prosegue il collegio di legittimità, l’utilizzo della generica espressione "in alcun modo" implica, poi, che qualsiasi azione o comportamento che abbia ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento delle procedure concorsuali e cioè detto in termini più semplici, che abbia determinato o contribuito a determinare una irragionevole durata della procedura fallimentare, rientra nell’alveo applicativo della suddetta norma. Pertanto risulta che vi si debbano includere anche tutte quelle azioni giudiziarie esperite dal fallito che si sono rilevate destituite di fondamento e pretestuose, e che quindi, sono state proposte al solo scopo di voler ritardare, o comunque contribuire a ritardare lo svolgimento della procedura fallimentare. A questo proposito non si può non affermare,che i due comportamenti dei ricorrenti relativi al reclamo ex art. 26 Legge Fallim. avverso il decreto di trasferimento degli immobili in favore del curatore, e alla contestazione ad opera del solo M.R. del rendiconto depositato dal curatore non integrino gli estremi della condizione del n. 2) dell’art. cit., e pertanto legittimano il diniego dell’esdebitazione. Inoltre non va dimenticato che la fattispecie relativa ad un imprenditore potenzialmente assoggettabile al

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fallimento,che compie un atto di disposizione del proprio patrimonio con la consapevolezza dello stato di crisi irreversibile in cui versa l’impresa (rectius: con la consapevolezza dello stato d’insolvenza in cui si trova l’impresa),difficilmente non sarà considerata ai fini della valutazione sulla condizione di cui al n. 2) dell’ art. 142, comma 1, Legge Fall.. La Cassazione,nella sentenza in questione,ha disposto in tal senso, per la semplice ragione che la condotta appena descritta essendo volta a procrastinare l’apertura del fallimento, ha contribuito inevitabilmente anche a ritardare il suo corso di svolgimento, visto che, il curatore sarà costretto ad intraprendere contro il terzo, una procedura esecutiva per ottenere il rilascio dei beni, al fine di procedere alla relativa liquidazione.

2.3 La condizione satisfattiva di ammissibilità:L’ Art 142

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