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Le nuove autonomie locali dopo la riforma del Titolo V

cui estensione e collocazione nell’ambito del sistema delle fonti è ancora tutta da determinare111.

Il nuovo assetto costituzionale determina una sostanziale incertezza del modello organizzativo che, fino ad oggi, ha retto gli apparati organizzativi locali.

In particolare, non pare che vi siano punti di riferimento sicuri nelle scelte che sinora hanno caratterizzato l’organizzazione del personale e, con esso, il riparto tra politica e amministrazione a livello locale. D’ora in avanti, infatti, è possibile che le soluzioni adottate sul piano nazionale siano rimesse in discussione dal legislatore regionale.

Le trasformazioni che il modello organizzativo del D. Lgs. n. 29/1993 porta con sé, incluse quelle legate al concetto tradizionale dell’imparzialità, appaiono dotate di validità generale, applicabili ad ogni livello di governo. Tuttavia, la peculiarità del governo locale rende necessaria un’opportuna declinazione del principio, al fine di adattare la portata alle specificità del contesto e conformarne il contenuto al particolare rapporto che, a livello territoriale, intercorre tra organi elettivi e burocratici.

Il riconoscimento della diversità tra il modello organizzativo nazionale e locale è fornito dallo stesso legislatore, che, utilizzando formule diverse nel corso del tempo, afferma espressamente la necessità che le regioni e gli enti locali adottino appositi strumenti di adeguamento al principio di

111 Cfr. art 117, comma 6, Cost.. All’indomani dell’approvazione del nuovo testo costituzionale, alcune voci isolate si sono levate a sostenere che l’ambito organizzativo infraregionale sarebbe riservato in via esclusiva agli enti locali, e pertanto, i regolamenti locali disporrebbero di una forza abrogativa nei confronti della legislazione, statale e regionale, che, nel frattempo, fosse stata approvata in materia.

differenziazione funzionale, previsto all’art. 3 del D. Lgs. n. 29/1993 essenzialmente per l’amministrazione statale112. Il primo elemento di diversità è legato all’origine della dirigenza locale, che, a differenza di quella nazionale, non nasce a seguito di una disciplina legislativa, ma sorge per effetto di una previsione contrattuale che, a partire dalla tornata di accordi per il comparto enti locali stipulati nel 1983, introduce la IX e X qualifica funzionale. Gli effetti riconducibili a questa genesi sono di due ordini:

- le figure dirigenziali non sono istituite in tutte le amministrazioni locali, ma, data la base sostanzialmente volontaristica che ne sostiene la creazione, conoscono una diffusione a macchia di leopardo sul territorio nazionale, legata essenzialmente alle dimensioni e alle risorse dell’ente;

- l’origine “debole” di questa tipologia di funzionari non favorisce l’emersione di una serie di caratteri tipici inerenti alla funzione dirigenziale, che normalmente derivano dalla definizione normativa di un ordinamento professionale, bensì l’affermazione di tanti tipi di dirigenti diversi, privi di uno status e di funzioni comuni.

Va ricordato che il primo riconoscimento normativo di questa categoria professionale avviene, a livello locale, con la L. 142/1990. Questa legge ha

112 Originariamente, l’art. 13 stabiliva che le amministrazioni diversa da quella statale si adeguassero, previa modifica dei rispettivi statuti, alle disposizioni di tutto il capo II, del D. Lgs. n. 29/1993, tenendo conto delle rispettive singolarità. Successivamente, una disposizione analoga è stata inserita all’art. 27-bis del D. Lgs. n. 29/1993, in cui si prevede che nelle amministrazioni regionali e locali, nell’esercizio della propria potestà regolamentare e statutaria, adeguino ai principi del citato art. 3 i propri ordinamenti, tenendo conto delle rispettive peculiarità. Contestualmente, la normativa prevede che questi enti trasmettano, entro due mesi dall’adozione, le disposizioni adottate in attuazione di quest’obbligo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ne cura la raccolta e la pubblicazione. È dunque indubbia l’immediata applicabilità del principio di differenziazione funzionale alla realtà locale, mentre l’autonomia normativa dei comuni e delle province residua il compito di adattare le disposizioni cogenti e immediatamente applicabili del D. Lgs. n. 29/1993 alla peculiarità degli enti locali.

operato una sorta di anticipazione rispetto alla disciplina nazionale. In particolare mira a responsabilizzare la dirigenza locale e, ad un tempo, ad alleggerire il personale politico da un carico di compiuti e funzioni che, oltre a renderne difficile lo svolgimento del mandato istituzionale, finiva per esporlo a continue pressioni da parte di interessi economici presenti sul territorio, con il risultato di generare un intreccio tra politica, gestione ed affari particolarmente pericolosi.

A pochi anni dall’approvazione della riforma delle autonomie locali, l’avvento dell’elezione diretta del sindaco, pur senza incidere direttamente sull’ordinamento della dirigenza locale, introduce numerosi fattori di cambiamento negli equilibri che governano il rapporto tra organi politici e organi gestionali delle Autonomie locali.

L’aumento dei poteri del Sindaco, legato alla nuova legittimazione democratica che viene a caratterizzare questo organo, finisce per sovrapporsi alla competenza generale e residuale riconosciuta alla dirigenza.

Tuttavia, la sostanziale stabilità di una qualifica dirigenziale (contrapposta all’instabilità delle funzioni) che non decade allo scadere del mandato sindacale, unita alla maggiore competenza funzionale legislativamente riconosciuta ai dirigenti, impedisce un’effettiva caratterizzazione di questi organi come ausiliari. Inoltre, l’obbligo di motivazione che accompagna gli atti di revoca dei dirigenti, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica che a tali provvedimenti si voglia attribuire, garantisce all’alta funzione locale un’indipendenza minima nell’esercizio delle proprie funzioni, dal momento che i dirigenti non potranno venire rimossi

dall’incarico per un semplice contrasto “politico” o personale con il vertice politico, in assenza di inadempimenti, colpe o insufficienze113.

Il riconoscimento di un nucleo minimo di funzioni affidate in via esclusiva alla competenza e alla responsabilità dei dirigenti, confermato dalla successiva L. n. 127/1997, attraverso il modello dell’elencazione, si pone in linea con la volontà di salvaguardare l’autonomia dirigenziale al cospetto di poteri forti che vanno emergendo all’interno dell’ente locale.

Allo stesso modo, la previsione di uffici posti alle dirette dipendenze del Sindaco, del Presidente della Provincia, degli Assessori e della Giunta, testimonia l’intento del legislatore di separare la funzione di staff tecnico, svolte dagli uffici di gabinetto politico, dall’attività di gestione autonoma e imparziale, attribuita ai dirigenti di carriera dell’ente locale. Da ultimo, le modifiche apportate all’ordinamento della dirigenza locale dalla L. n.

191/1998 proseguono l’opera di demarcazione tra sfere funzionali degli organi politici e amministrativi, aggiungendo nuove funzioni all’elenco di quelle inderogabilmente affidate alla dirigenza locale, e quindi sottratte all’intervento dei vertici politici.