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1. Le neonate ASP a cavallo tra terzo settore e sistema sanitario.

Le Aziende pubbliche di servizi alla persona possono essere definite come enti, sia pubblici che privati, operanti nel campo sanitario e socio-assistenziale ed inserite quindi nel sistema integrato di interventi e servizi sociali.

E’ possibile ravvisare una duplice natura ibrida che contraddistingue tali organizzazioni, in primo

luogo per quel che riguarda il binomio pubblico-privato28, ricordiamo infatti che nella generalità dei

casi le ASP vengono concepite come soggetti privati di diritto pubblico, conservano cioè la personalità giuridica di diritto pubblico ma vi affiancano una gestione ed una organizzazione di stampo privatistico ed economico (la legge permette anche a talune aziende che rispettino

determinati parametri di trasformarsi in fondazioni private29, in quest’ultimo caso verrebbe meno la

doppia natura di cui sopra).

Il secondo aspetto non riguarda caratteristiche intrinseche degli enti in questione ma piuttosto l’ambiente in cui essi operano, possiamo appunto pensare ad istituti a metà strada tra il sociale ed il sanitario; i servizi alla persona infatti non attengono solo ad interventi sociali e/o assistenziali, ma abbracciano un più ampio spettro di attività ivi comprese quelle mediche e sanitarie.

Le ASP infatti sono enti no profit, generalmente pubblici, che hanno come fine la tutela e l’assistenza, a titolo benefico, verso soggetti in condizioni di bisogno, disabilità e disagio, erogando servizi sia sanitari che assistenziali; hanno personalità giuridica pubblica ma allo stesso tempo possiedono autonomia statutaria, patrimoniale, contabile e gestionale ed operano con i criteri imprenditoriali dell’economicità, dell’efficacia e dell’efficienza.

Appare quindi evidente che per comprendere ed analizzare la gestione e l’organizzazione di una qualsiasi ASP si rende necessario capire le dinamiche, le caratteristiche e gli andamenti del cosiddetto terzo settore e del sistema sanitario, poiché entrambi sono da considerarsi come mercati di riferimento per tali enti.

28 Si veda di questo stesso testo Il Capitolo 1 par. 3, pag. 10; par. 3.4, pag.13; par.3.7, pag. 22; par. 4.2, pag. 26. 29 Art. 16 D.Lgs 4 maggio 2001 n. 207; art. 10 comma 1 lettera d) Legge 8 novembre 2000 n. 328

1.1 Il terzo settore in Italia.

Il Terzo settore viene comunemente definito in via residuale e precisamente come ciò che non è etichettabile né come pubblico (Stato, Regioni, Enti locali o altri enti) né come privato, vale a dire il mercato, o meglio l’impresa.

La ragione di tale definizione sta nella impossibilità di descrivere in poche parole una realtà costituita da una moltitudine disomogenea di soggetti aventi caratteristiche estremamente differenti tra loro e che nonostante ciò vengono racchiusi nello stesso genus in quanto in grado di soddisfare bisogni ed esigenze dello stesso rango ed in quanto tipologie di enti senza scopo di lucro che perseguono le finalità benefiche proprie dell’economia sociale.

E’ opportuno quindi precisare che gli attori di tale settore, ossia cooperative sociali, associazioni di volontariato, ONG, ASP, fondazioni, ONLUS, etc... sono enti separati e differenti sotto il profilo della natura giuridica e quindi della legislazione a cui attenersi, della gestione e dell’organizzazione interna.

Le caratteristiche comuni dell’attività di tali organismi sono in primis l’assenza di profitto, ovvero la non distribuibilità dell’utile conseguito ma il suo reinvestimento all’interno dell’impresa con lo scopo di favorirne la crescita, la produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva ed infine l’operare in uno dei seguenti ambiti:

• assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria;

• beneficienza;

• istruzione;

• formazione;

• tutela e valorizzazione dell’ambiente;

• tutela dei diritti civili;

• ricerca scientifica di particolare interesse sociale.

A causa di tale natura estremamente variegata e dai connotati così poco definiti risulta difficile fornire ed elaborare dati sul terzo settore nonostante ciò il Dipartimento per gli Affari Sociali nel Rapporto biennale sul volontariato in Italia del 2000 tenta di descrivere la composizione del mondo no-profit, così come evidenziato nella tabella seguente.

Tabella 1

TIPOLOGIA NUMERO OCCUPATI

Associazioni 150.000 180.000 Organizzazioni di volontariato 15.000 10.000 ONG 160 - Cooperative 4.250 108.000 Fondazioni 1.000 - Fondazioni bancarie 90 42.000 IPAB privatizzate 1.000 80.000 IPAB pubbliche 4.200 - Altre no profit 18.000 330.000

Il Dipartimento per gli Affari Sociali nel medesimo rapporto fornisce una stima sul fatturato e sugli occupati del Terzo Settore per mostrare il peso rivestito da tali enti rispetto all’intera compagine economica della Nazione.

Tabella 2

Totale occupati del terzo settore 750.000

% sul totale degli occupati nel Paese 3,5%

% sul totale degli occupati nei servizi 5,1%

Fatturato del Terzo Settore in mld 75.000

Fatturato del Terzo Settore in % sul PIL 2,7%

Negli ultimi anni il settore del no profit ha subito una forte crescita in termini di produzione, impatto sul PIL, occupazione e diffusione degli enti divenendo per tal motivo un fenomeno assolutamente non trascurabile per l’intero mondo delle politiche sociali ed economiche.

Infatti nel 1999 le organizzazioni operanti nel no-profit erano 221.41230, nel 2001 salgono a

235.23531 e gli andamenti prospettano ancora una ulteriore crescita.

Dopo il 1999 la prossima indagine Istat è prevista per il 2009, fino a questo momento potremmo disporre unicamente di statistiche settoriali che il CNEL e l’ISTAT hanno recentemente riunito in un unico quadro, il “Primo Rapporto CNEL/ISTAT sull’economia sociale” pubblicato a Roma nel Giugno 2008 nel tentativo di fornire un quadro il più possibile integrale del mondo dell’economia sociale in Italia.

Da tale osservazione è possibile ipotizzare e prevedere tra il 2001 e il 2007 una crescita ulteriore dell’intero settore no-profit, infatti l’indagine rileva una crescita delle Cooperative sociali che nel

1999 ammontavano a 4.651 unità per arrivare nel 2003 a 5.927 e nel 2005 a 7.36332; anche le

Fondazioni fanno registrare un aumento infatti l’indagine del 1999 ne censiva 3.008 mentre la

rilevazione del 2005 4.72033; si evidenzia anche un incremento delle organizzazioni di volontariato,

30 Censimento ISTAT “Istituzioni no profit in Italia”, 2001 i cui dati si riferiscono all’anno 1999 31 ISTAT 8ºCensimento dell’industria e dei servizi, 2001

32 Indagini Istat “Le cooperative sociali in Italia” a cura di B. Moreschi, Roma, 2003 e 2005. 33 Indagine Istat “Le Fondazioni in Italia” a cura di B. Moreschi, Roma 2005

nel 1995 ne venivano catalogate 10.933, nel 2001 17.888 (con una crescita del 14,9%) e nel 2003

21.021 (con una crescita del 152%)34.

Nel 1999 gli enti che si occupavano di assistenza sociale erano l’8,7% del totale (19.344 unità) mentre quelli che operavano nell’ambito sanitario rappresentavano il 4,4% (9.676 unità), bisogna però osservare che in tal data non aveva ancora avuto luogo la riforma delle IPAB, questa rilevazione quindi sarà destinata per forza di cose a vedersi modificata a prescindere dalle dinamiche evolutive del settore.

1.2. Il Settore Sanitario.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti (art.32 Costituzione).

In attuazione di tale diritto, nasce con il D. Lgs 502/1992 il Sistema Sanitario Nazionale cioè il sistema grazie al quale viene data attuazione alle politiche ed alle strategie sanitarie a livello sia nazionale che regionale.

E’ un servizio pubblico e a carattere universalistico volto a garantire la tutela della salute e l’assistenza sanitaria ad ogni individuo ed alla collettività in generale.

Infatti i principi fondamentali a cui ci si è ispirati per l’ideazione e l’implementazione del nostro sistema sanitario nazionale possono essere riassunti in:

• unitarietà dei livelli di assistenza su tutto il territorio

• equità di accesso ai servizi per tutti i cittadini

• solidarietà fiscale.

La sua attività capillare è resa possibile dalla inevitabile concertazione di più Enti sia sul piano nazionale sia su quello regionale e distrettuale (dal Ministero della Salute alle singole ASL e aziende ospedaliere) e da una programmazione sanitaria che vede come parti integranti il Piano sanitario nazionale tanto quanto il piano sanitario regionale; ricordiamo infatti che in nome della riforma del Titolo V della Costituzione, anche la materia della sanità è stata delegata alla giurisdizione autonoma delle Regioni.

Dato non poco sorprendente, è che il settore sanitario rappresenta per l’economia Italiana una delle più importanti fonti di ricchezza in termini di occupazione dei posti di lavoro con 1,4 milioni di personale lavorativo, corrispondente a più del 6% del totale della popolazione occupata e in termini di valore aggiunto creato con 149 miliardi di euro, pari all’11,1% del PIL dell’intera economia

nazionale, precisamente i servizi sanitari contribuiscono per il 7,1%, la distribuzione dei farmaci e dei prodotti medici per il 2,4% e l’industria sanitaria per l’1,6%.35

Nel 2005 gli istituti di ricovero ospedaliero ammontavano a 1.222 strutture, sia pubbliche che private accreditate rispettivamente con 214.225 e 51.130 posti letto disponibili.

I dati riportati nelle serie storiche di varie indagini statistiche mostrano che negli anni si è verificata una graduale diminuzione degli istituti, dei posti letto, del tasso di ospedalizzazione e della degenza media confermando il miglioramento delle condizioni di salute dei cittadini italiani evidenziato nel Dossier sul servizio sanitario nazionale presentato nel luglio 2008 a Palazzo Chigi.

Nel Rapporto l’Italia risulta essere al primo posto per durata e qualità della vita, infatti rispetto ad altri paesi europei i nostri anziani vivono più a lungo e godono di buona salute fino agli ultimi anni di vita.

Tabella 3

Paese Durata medi della vita Vita media in salute

Uomini Donne Uomini Donne

Italia 78 84 71 75 Francia 77 84 69 75 Spagna 77 84 70 75 Germania 76 82 70 74 Gran Bretagna 76 79 69 72 USA 75 80 67 71 Canada 78 83 70 74 Fonte: OSM 2005

Quindi se le condizioni di vita e di salute migliorano ne consegue una diminuzione della domanda di servizi medici e sanitari e con essa anche dell’offerta per ripristinare l’equilibrio di mercato. Se si osserva la tabella sotto riportata si può notare come dal 1999 al 2004 il numero delle strutture ospedaliere sia passato da 1.450 a 1.296; il numero medio dei posti letto sia diminuito da 280.438 a 232.160; il tasso di ospedalizzazione (rapporto tra popolazione media e popolazione residente per mille) si sia ridotto da 170,7 a 142,3 ed infine la degenza media (data dal rapporto tra giornate di

degenza e degenze) sia passata da 7,7 a 7,6.36

Tabella 4

35 Dossier sul servizio sanitario nazionale, a cura del Ministero della salute, Roma, 2008. 36 Annuario Statistico Sanitario 2007, Cap.3 Salute e Sanità.

Anni Num. Istituti Posti letto Tasso ospedalizzazione. Degenza media 1999 1.450 280.438 170,7 7,7 2000 1.425 268.524 163,5 7,7 2001 1.410 263.221 164,0 7,6 2002 1.378 253.852 159,6 7,6 2003 1.368 239.855 146,5 7,6 2004 1.296 232.160 142,3 7,6 Fonte: Istat

Per valutare l’efficacia del nostro sistema sanitario un altro dato da prendere in considerazione è la spesa sanitaria, considerata un buon indicatore degli investimenti effettuati.

L’Italia a tal riguardo risulta essere nella media Ocse, nel 2006 si posiziona al centro della graduatoria per quel che riguarda il tasso di crescita della spesa sanitaria e la sua percentuale di incidenza rispetto al PIL.

La Tabella 5 seguente mostra più dettagliatamente le dinamiche sopra descritte, riportando l’evoluzione di ogni Paese appartenente all’Ocse nel periodo compreso tra gli anni 2000/2006. In Italia la spesa sanitaria nel 2001 ammontava a 75.817 miliardi di euro mentre per il triennio 2007, 2008 e 2009 è stata programmata una spesa rispettivamente di 96.040 miliardi, 99.082 miliardi e 102.285 miliardi; in più vengono stanziati un totale di 2.500 milioni di euro per la costituzione di un fondo riservato alle Regioni (Lazio, Campania, Abruzzo, Molise, Sicilia, Liguria e Sardegna) che hanno fatto registrare un rilevante disavanzo e che abbiano sottoscritto uno specifico accordo con il Ministero della salute e dell’economia per il controllo della spesa.

La Regione che spende di più è la Lombardia (nel 2005 14.260.678 miliardi di euro) mentre quella

che contiene maggiormente la spesa è la Valle d’Aosta (sempre nel 2005 223.802 milioni di euro)37;

la tabella sottostante mostra la diversa incidenza di ogni regione sulla spesa nazionale nel 2001 e nel 2005.

37 I dati relativi all’ammontare della spesa sanitaria sono comunque da correlare anche alla superficie territoriale delle varie regioni e dal numero di cittadini residenti; infatti non a caso la Lombardia è la regione in cui si spende di più ed anche una delle più estese con una superficie di 23.962,85 Km quadrati e con 9.642.406 residenti, mentre quella meno dispendiosa è la Valle d’Aosta contando 125.975 abitanti e una superficie di 3.263,22 Km quadrati.

Tabella 5

(%)tasso di crescita spesa sanitaria (%)sul PIL 2000-01 2001-02 2002-03 2003-04 2004-05 2005-06 2000 2005 2006 Australia 5,7 5,5 3,6 5,7 2,2 .. 8,3 8,8 8,8 Austria 1,3 1,6 2,4 3,3 2,2 1,5 9,9 10,3 10,1 Belgio 2,0 4,2 17,7 5,0 1,7 0,3 8,6 10,7 10,4 Canada 7,3 6,3 3,9 3,1 3,7 4,1 8,8 9,9 10,0 Repubblica Ceca 4,6 7,9 8,8 0,9 5,5 0,9 6,5 7,1 6,8 Danimarca 4,3 2,8 6,2 3,4 3,3 4,6 8,3 9,4 9,5 Finlandia 5,3 7,3 7,2 4,9 5,7 3,3 7,0 8,3 8,2 Francia 3,2 4,1 10,0 3,5 3,1 1,6 9,6 11,2 11,1 Germania 2,7 1,9 1,3 -1,2 1,8 1,8 10,3 10,7 10,6 Grecia 12,7 2,3 8,8 1,1 12,7 6,0 7,8 9,0 9,1 Ungheria 7,3 10,2 15,4 2,1 8,0 1,7 6,9 8,5 8,3 Islanda 2,2 8,9 4,7 2,6 2,4 1,1 9,5 9,4 9,1 Irlanda 17,3 9,3 6,6 6,9 16,3 -2,5 6,3 8,2 7,5 Italia 3,7 2,0 0,1 5,3 3,3 2,7 8,1 8,9 9,0 Giappone 3,6 0,5 2,9 2,2 3,4 .. 7,7 8,2 8,2 Corea 18,6 4,6 9,3 6,1 13,5 12,8 4,6 6,0 6,4 Lussemburgo 11,6 11,2 13,9 12,4 0,2 -0,5 5,8 7,8 7,3 Messico 7,3 4,1 4,4 6,1 2,0 7,3 5,6 6,4 6,6 Olanda 6,3 7,0 6,5 3,1 -1,7 4,0 8,0 9,2 9,3 Nuova Zelanda 5,1 9,4 1,4 10,8 7,7 6,3 7,7 8,9 9,3 Norvegia 6,6 12,9 3,3 0,1 -3,2 -2,2 8,4 9,1 8,7 Polonia 7,4 9.7b 2,3 4,7 3,8 6,0 5,5 6,2 6,2 Portogallo 1,7 2,8 7,0 4,4 2,9 1,3 8,8 10,2 10,2 Repubblica Slovacca 3,6 6,2 8,9 30,0 4,2 .. 5,5 7,1 7,1 Spagna 4,0 2,9 15,9 3,8 4,8 4,9 7,2 8,3 8,4 Svezia 10,1 6,5 3,1 1,8 2,8 4,0 8,2 9,2 9,2 Svizzera 5,5 3,5 2,9 3,0 1,7 2,7 10,3 11,4 11,3 Turchia 5,8 12,0 7,8 8,5 4,0 .. 4,9 5,7 5,7 Regno Unito 5,7 4,5 3,7 7,3 3,9 5,4 7,2 8,2 8,4 Stati Uniti 6,1 7,2 5,8 3,9 3,2 3,5 13,2 15,2 15,3 Media 7,2 5,8 5,5 3,3 4,5 3,1 7,8 8,9 8,9

Tabella 6

Regioni Anno 2001 Anno 2005

Lombardia 11.998.636 14.260.678 Lazio 7.276.521 9.796.256 Campania 7.289.301 9.022.292 Veneto 6.084.012 7.266.883 Piemonte 5.502.612 7.056.684 Emilia Romagna 5.115.020 6.904.248 Toscana 4.821.436 5.875.571 Puglia 4.815.355 5.762.690 Liguria 2.337.756 2.878.402 Calabria 2.489.817 2.848.370 Sardegna 2.078.356 2.488.954 Marche 1.917.300 2.281.636 Abruzzo 1.688.756 2.094.535

Friuli Venezia Giulia 1.539.158 1.924.225

Umbria 1.103.324 1.338.234

Alto Adige Bolzano 776.156 950.720

Basilicata 694.477 848.766

Alto Adige Trento 677.437 844.135

Molise 436.280 572.957

Valle d’Aosta 179.206 223.802

Italia 75.817.912 92.804.047

Fonte: Istat 2006

La voce più rilevante all’interno della spesa sanitaria risulta essere quella per il personale, nonostante dal 1997 si sia deciso di eliminare all’interno di tale aggregato la voce relativa all’IRAP ed inserirla tra i «Beni e Servizi».

Nel 2005 la spesa sanitaria era così ripartita:

• Personale 34,22% • Beni e servizi 25,69% • Medicina base 6,13% • Farmaceutica 12,82% • Ospedaliera convenzionata 8,78% • Specialistica convenzionata 3,48% • Altre prestazioni 8,56% • Oneri finanziari 0,33%

2. Il sistema di protezione sociale in Italia: la struttura e l’attività degli istituti di cura.

Il sistema di protezione sociale (composto dalle attività di assistenza e previdenza) ha il compito di assicurare a tutti i cittadini un dignitoso livello di vita ed a tutti i lavoratori il mantenimento del reddito al verificarsi di eventi che ne determinano la riduzione o la perdita.

Gli interventi oggetto di tale sistema possono essere suddivise in prestazioni di denaro, come ad esempio le pensioni sociali o in prestazioni in natura come i servizi sociali.

Le Amministrazioni locali (Regioni, Province e Comuni), in concerto con le disposizioni dello Stato, gestiscono in via sia diretta che indiretta l’erogazione di servizi e prestazioni che hanno ad obiettivo l’assistenza alle categorie bisognose.

Ad un secondo livello gerarchico vi sono enti pubblici o privati che offrono assistenza a determinate fasce della popolazione quali bambini, anziani, disabili e tossicodipendenti; tra tali enti le strutture più rilevanti sono senza dubbio le ASP.

Le indagini condotte dall’Istat mostrano una graduale crescita dei presidi residenziali, non solo in senso quantitativo, cioè con riferimento al numero di istituti esistenti o al numero di posti letto disponibili, ma anche in senso quantitativo, cioè in base alla qualità dei servizi offerti e più in generale alla qualità delle loro gestioni misurata sia in termini di maggior entrate sia in termini di maggior soddisfazione dei cittadini.

Al 31 dicembre del 2004 sono stati rilevati nel territorio italiano 8.530 istituti (a fronte dei 7.731 nel 2000) per un’offerta complessiva di 331.149 posti letto (contro i 321.747 nel 2000).

La ragione di tale crescita è riconducibile essenzialmente a due tipi di fattori:

• uno di ordine demografico, l’invecchiamento della popolazione iniziato negli anni novanta è

destinato a crescere e ad assumere dimensioni ancor più rilevanti;

• l’altro di ordine sociologico riguardante la trasformazione dei nuclei familiari ed il cambiamento degli stili di vita; nel nuovo millennio il ruolo della famiglia cambia notevolmente e soprattutto sparisce la tradizionale funzione del figlio, che una volta cresciuto avrebbe dovuto assistere il genitore anziano non più totalmente autosufficiente. Il fenomeno dell’ invecchiamento costituisce uno dei tratti maggiormente caratteristici della società moderna e dipende da altri due aspetti di natura demografica:

• l’aumento della durata media della vita dovuto al miglioramento delle condizioni di salute e

di vita della popolazione nonché al miglioramento del progresso tecnologico e della ricerca, e delle condizioni igienico-sanitarie;

• la diminuzione del tasso di natalità, dovuto essenzialmente all’aumento del costo della vita e

di condizioni di precariato nel mondo del lavoro, le nuove coppie pur volendo spesso non possono permettersi economicamente un bambino; al fenomeno dell’emancipazione femminile che ha portato un aumento della percentuale di occupazione delle donne che in molti casi non sono messe nelle condizioni di riuscire a conciliare impegni familiari e lavorativi.

• Dalle proiezioni delle Nazioni Unite risulta che il processo di invecchiamento della popolazione è maggiormente diffuso nei Paesi occidentali in cui nel 2000 gli anziani costituivano il 20%, mentre negli altri paesi solo 8%; le previsioni per il 2050 indicano che nei paesi sviluppati le percentuali di cui sopra diverranno rispettivamente del 30-35% e del 20%; ciò vuol dire che in via generale l’invecchiamento aumenterà ma nei paesi in via di sviluppo ad un tasso maggiore.

Attualmente l’Europa costituisce l’area mondiale in cui l’invecchiamento è più avanzato, infatti tra il 2000 ed il 2050 la percentuale di bambini ed adolescenti diminuirà del 3% (dal 17% al 14%) mentre gli anziani aumenteranno del 17% (dal 20% al 37%) e l’età mediana si alzerà notevolmente

passando dai 37,5 anni ai 49,5 anni.38

L’ Italia risulta essere sotto tale aspetto tra i primi posti della classifica sia europea che mondiale, attualmente la popolazione più anziana è quella giapponese con un’età mediana di 41 anni mentre l’Italia (assieme a Svizzera, Germania e Svezia) registrano un’età mediana pari ai 40 anni, nel 2050 a guadagnare il primato sarà la Spagna con un’età mediana di 55 anni seguita immediatamente dopo da Italia, Austria e Slovenia in cui l’età mediana si attesterà intorno ai 54 anni.39

La tabella seguente mostra le dinamiche del profilo demografico in Italia nel periodo 2000-2030.

Tabella 7 Indicatori 2001 2005 2010 2015 2020 2025 2030 Popolazione (mln) 57.530 57.165 56.390 55.239 53.861 52.364 50.776 % anni 0-4 4,6 4,3 3,9 3,6 3,5 3,5 3,6 % anni 5-14 9,7 9,5 9,1 8,5 7,8 7,4 7,4 % anni 15-24 11,6 10,3 10,0 9,9 9,6 9,0 8,3 % anni › 60 24,1 25,2 27,2 28,9 30,9 34,0 37,4 % anni › 65 18,2 19,6 20,6 22,4 23,9 25,7 28,6 % anni › 80 3,9 4,9 5,7 6,4 7,1 7,5 8,5 Età mediana 40,2 42,2 44,4 46,6 48,7 50,7 52,2

Fonte: Nazioni Unite

Questi dati hanno una forte ripercussione sulla domanda di servizi poiché in via generale all’aumentare dell’età aumenta la probabilità di non autosufficienza e che si verifichino patologie gravi o disabilità, ipotesi questa confermata anche dalle osservazioni dell’Istat nel settore “Famiglie e società” e soprattutto dall’Indagine Multiscopo sulle famiglie “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” con riferimento agli anni 1999-2000.

Dal rapporto risulta che effettivamente esiste una correlazione tra progressione dell’età e condizioni di salute problematiche, infatti tra la popolazione ultrasessantenne il tasso di coloro che sono affetti da disabilità è pari al 17%, e più l’età aumenta più aumentano le percentuali: 5,9% per 60-64 anni;

38 Conseil d’Europe, “Evolution démographic récente en Europe”, Lussemburgo, 1999

39 “Anziani e Rete dei servizi. 1-Il mutamento demografico, le politiche, la legislazione”, a cura di C. Facchini, Università degli studi di Milano Bicocca e Provincia di Milano, Aprile 2003.

9,1% per 65-69 anni; 14,3% per 70-74 anni; 23,5% per 75-79 anni e 47,1% tra gli ultraottantenni; il medesimo scenario si verifica anche nel caso meno grave del manifestarsi di cattive condizioni di salute.

Tabella 8

% disabili % cattive condizioni di salute

Totale Totale

Uomini Donne Uomini Donne

60-64 5,9 6,1 5,8 14,0 12,6 15,4 65-69 9,1 8,1 9,8 17,4 15,2 19,2 70-74 14,3 12,0 15,9 21,5 21,0 21,9 75-79 23,5 21,1 25,2 29,2 27,9 30,3 80 e più 47,1 38,7 51,8 39,9 36,3 41,8 Su 60 e più 17,1 13,8 19,6 22,6 19,1 24,5 Fonte: Istat

L’altro fattore che ha influito sull’aumento delle strutture residenziali di assistenza ha natura sociologica in quanto riguarda il cambiamento degli stili di vita della società moderna e l’influenza che i nuovi scenari economici e lavorativi esercitano su di essi.

Infatti la crisi economica e del mondo del lavoro e l’aumento del costo della vita hanno reso ormai necessario per un nucleo familiare che ogni suo membro abbia una occupazione; ciò però preclude la possibilità per un figlio di poter prestare assistenza al proprio genitore bisognoso, e la prospettiva di assistenti privati a domicilio (qualificati e non) diviene un onere non indifferente per la quadratura del bilancio familiare; è così che le ASP rappresentano un ottimo compromesso tra tali due problematiche, poiché offrono assistenza a chiunque ne abbia bisogno ed agevolazioni economiche per chi non possa permettersi una spesa troppo esosa.

Altro fenomeno che fomenta tale scenario problematico è costituito dalla percentuale sempre in crescita di anziani che vivono soli, essi rappresentano il 22,3% della tipologia familiare degli ultrasessantenni.40

L’aumento della percentuale di anziani e del manifestarsi di disabilità ha portato alla crescita del sistema di offerta delle residenze assistite per anziani.

Il programma legislativo riguardante queste unità va inquadrato anche nell’ambito della legge finanziaria del 1988 (Legge n. 67/1988) che prevedeva la possibilità di realizzare 140.000 posti in strutture residenziali per anziani non assistibili a domicilio per dar vita ad un sistema socio sanitario

40 “Anziani e rete dei servizi. 1 Il mutamento demografico, le politiche, la legislazione”, a cura di C. Facchini, Università degli studi di Milano Bicocca e Provincia di Milano, Aprile 2003.

parallelo quello ospedaliero basato sulla rete di RSA da finanziare con l’ausilio di reddito familiare, finanza locale, fondo sanitario.

La RSA è una struttura extra-ospedaliera finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero a persone anziane prevalentemente non autosufficienti, con l’obiettivo ultimo di costituire una rete di residenze caratterizzate dalla lungodegenza in modo da ridurre il carico assistenziale sugli ospedali.

Le tipologie di strutture residenziali presenti in Italia sono:

• Residenze assistenziali (RA) come case di riposo, ASP, case albergo, comunità alloggio,

rivolte a soggetti autosufficienti o parzialmente autosufficienti e quindi appartenenti unicamente al comparto assistenziale e non anche a quello sanitario;

• Presidi di riabilitazione, che rientrano nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale ma

caratterizzate da cure sanitarie più leggere di carattere unicamente riabilitativo;

• Residenze sanitarie assistenziali (RSA), strutture orientate prevalentemente sul servizio

sanitario, ma rappresentano anche una entità rilevante all’interno del comparto

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