Il discorso fatto fino ad ora fornisce una analisi con la quale è possibile capire il quadro nel quale collocare la nascita del festival.
I tre incontri nel corso dei quali sono riuscita a intervistare un Paolo Fresu trafelatissimo si sono svolti a casa Sanna a Berchidda, che durante il periodo del festival è stata fino a poco tempo fa il centro organizzativo della manifestazione. In quei giorni Fresu è sempre di corsa, a rispondere alle domande di qualche membro dello staff, a consultarsi di continuo con Luca Nieddu, il direttore organizzativo della rassegna o con il suo general manager. Oppure con Giannella Demuro, la direttrice del PAV o con Riccardo Sgualdini, il responsabile dell’ufficio stampa o, ancora, con Gianfranco Cabiddu, che cura la rassegna cinematografica e le riprese dei concerti, o con Mariella Demartis, la segretaria dell’Associazione culturale Time in Jazz. Intento a cercare di risolvere uno dei tanti piccoli e grandi problemi che nascono quotidianamente durante il festival, oppure a rispondere alle domande dei giornalisti o a fissare gli orari di partenza per tutti gli eventi della giornata con Tonino Casu uno dei volontari storici dell’Associazione. Fresu segue tutte le iniziative della giornata che si tengono da un luogo all’altro del vasto territorio in cui si svolge la rassegna, presenta tutti i concerti o vi prende parte ed è sempre l’ultimo ad andar via. Tutti si domandano come faccia a sopportare la fatica di quei giorni e questo è uno dei temi sui quali ha divertito il pubblico lo scrittore Flavio Soriga nelle due ultime edizioni del festival. Soriga racconta a suo modo la cronaca della giornata nei «diari semiseri» che legge durante la pausa tra i due concerti serali in Piazza del Popolo. Fresu racconta quando e come è nato il festival:
«Noi facemmo nel 1987 un concerto dietro il cortile dell’asilo con il mio quintetto, più un mimo che si chiama Juan Miguel, che si chiamava «Oltre…» con Maria Abis, ed era una cosa destinata ad una causa benefica (…). La cosa ebbe un discreto successo, erano venute qualche centinaio di persone e quella sera lì ricordo che alla fine del concerto parlai con Angelo Crasta, che era il sindaco, e Angelo mi disse: perché non proviamo a inventare qualcosa per il paese, dargli una continuità. Io dissi: provo a scrivere un progettino, e dopo pochi giorni mi misi lì con la macchina da scrivere, ancora con l’Olivetti lettera 32 che avevo, e scrissi questo progetto che esiste, esiste la cartellina del 1988 in cui c’è tutto quello che io scrissi allora» (P. Fresu, 2011).
Angelo Crasta, ricordando quegli anni, fornisce una ricostruzione degli eventi collocandola all’interno del contesto politico, sociale, economico e culturale della Berchidda dell’epoca.
«Il festival è nato alla fine degli anni Ottanta quando, a un’amministrazione precedente, è succeduta una nuova amministrazione guidata da me. In un periodo di crisi. Iniziava a farsi sentire la crisi del settore agropastorale quindi, a Berchidda, era necessario cercare nuove strade. Una delle strade che in Sardegna in quel periodo stava dando dei risultati positivi dal punto di vista economico era il turismo. E quindi ci venne quest’idea un po’ folle, visto che eravamo un paesino dell’interno con non grandi attrazioni turistiche, in teoria, di operare anche in questo settore. (…). Quindi la nascita del festival si inserisce in questo contesto, perché ritenevamo che l’agricoltura e la pastorizia da sole non potessero sostenere lo sviluppo di un paese, così abbiamo cercato di valorizzare la cultura. Ci siamo buttati, chiamiamolo così, sul jazz. Con Paolo è nata questa cosa, che fin dall’inizio aveva come ambizione di allungare la stagione turistica, in un paese come Berchidda che ancora il turismo non lo aveva conosciuto, tant’è che i primi festival li facevamo a settembre, quando ormai i turisti iniziavano ad andar via. Perché ritenevamo che quel settore, il settore culturale, potesse portare dei vantaggi al paese. Sarà perché ci sentivamo un po’ tutti eredi di Pietro Casu, quindi c’era questa voglia di essere all’altezza di un passato che era stato molto importante, sarà che anche la mia formazione culturale mi spingeva in quella direzione, però abbiamo fatto diverse cose: il festival, il premio di poesia Pietro Casu.
E poi in quegli anni, proprio per sostenere il settore agropastorale è nata l’idea del Museo del vino, che sposa cultura ed economia del paese, perché l’idea era quella di valorizzare uno dei prodotti che a Berchidda stava acquistando sempre più importanza: il Vermentino. Quindi fai il Museo del vino, inizi a fare corsi di degustazione, corsi per sommelier, per far crescere la cultura in questo settore, e son tutte cose che hanno portato dei risultati. Inoltre nacque anche l’idea del complesso ricettivo-alimentare sul colle di Sant’Alvara, cioè il Belvedere e il campeggio annesso. Questo nell’intenzione di cercare di attirare un po’ di flussi turistici a Berchidda.
Il festival s’inseriva in questo contesto, oltre che nella necessità di rilanciare un po’ l’aspetto culturale a Berchidda, che negli anni precedenti, secondo il nostro punto di vista di nuovi amministratori era stato abbastanza languente. Di qui, appunto, l’idea di dedicare un premio di poesia a Pietro Casu. L’incontro con Paolo Fresu, che allora non era il Paolo Fresu di adesso, però iniziava ad affermarsi se non altro nel panorama nazionale come jazzista di grandi capacità fu molto fecondo, perché Paolo è una persona che ha visione, e assieme ipotizzammo addirittura un festival che avesse non solo come obiettivo quello di rilanciare la cultura in paese, come ho detto, ma addirittura di allungare la stagione turistica» (A. Crasta, 2011).
Come emerge da questi brani iniziali, la nascita del festival Time in Jazz appare legata da subito a un progetto di sviluppo locale e a un contesto specifico. Un progetto che si inserisce nel quadro della crisi del settore agropastorale sul quale, come si è visto, fino agli anni Ottanta del secolo scorso si fondava prevalentemente l’economia di Berchidda. L’altro aspetto riguarda la promozione di un evento inteso come occasione di crescita culturale per la popolazione. Nessuno, hanno ribadito più volte Paolo Fresu e Angelo Crasta, i primi due principali artefici della manifestazione, poteva ipotizzare all’inizio lo sviluppo che il festival avrebbe avuto in seguito.
Ciò premesso, è possibile cogliere fin da allora come le politiche della cultura che si andavano disegnando rientravano all’interno di una visione progettuale più ampia, secondo le dichiarazioni del sindaco, che intendeva «uscire dalla monocultura agropastorale» e «rilanciare questo settore» attraverso una strategia di valorizzazione ambientale e dei prodotti tipici e culturali. «Il parco, i prodotti dell’agricoltura, il Museo del vino, il festival e il turismo: era tutto un piano» (Angelo Crasta).
Nei primi anni Novanta l’amministrazione comunale presieduta da questo sindaco si batte nel paese per la realizzazione del parco naturale del Limbara, che avrebbe dovuto comprendere una porzione di territorio di Berchidda. Nel 1994 il Consiglio Comunale della cittadina vota all’unanimità l’adesione a questo parco. Esso tuttavia non vedrà mai la luce, come molti altri in Sardegna, a causa della forte opposizione
«di una maggioranza silenziosa contraria al parco; in modo particolare cacciatori, ma anche agricoltori e pastori che vedevano nella sua realizzazione una minaccia per le loro attività. Un malumore silenzioso ma generalizzato del quale io non mi ero reso conto, e questo è stato un mio errore. La gente non ha creduto in quest’idea della valorizzazione ambientale ai fini dello sfruttamento proprio del settore agropastorale, perché questa era l’idea. Lì ci vuole un’opera di convinzione, ci vogliono anche adeguati finanziamenti perché la gente ha paura che tu lo istituisci però poi rimane tutto come prima e hai soltanto dei vincoli e nessun vantaggio. Quindi sono anche da capire, eh! In più la classe politica regionale non ha un grande coraggio! Noi abbiamo perso le elezioni e il parco non è stato istituito perché l’assessore regionale all’ambiente di allora, che mi aveva incoraggiato ad andare avanti, poi non ha avuto il coraggio di affrontare la battaglia in consiglio regionale. Anche lì ho sbagliato perché ero convinto che lui riuscisse in questa impresa di istituirli e non c’è riuscito» (A. Crasta, 2011).
La presa di posizione del Consiglio Comunale in favore del parco costituì la ragione principale che nelle elezioni comunali del 1995 condusse alla sconfitta elettorale di quella giunta.
Nel discorso di Angelo Crasta appare chiara l’intenzione di veicolare attraverso il festival l’immagine dei prodotti locali dandogli una maggiore risonanza, e di costruire un’immagine di tipicità per i prodotti agroalimentari che ancora non possedevano una denominazione tipica:
«Anche un ritorno d’immagine per i nostri prodotti era importante, anche perché ci rendevamo conto che il festival diventava un veicolo promozionale notevole. D’altro canto
una delle finalità del festival era – perché sapevamo a Berchidda di avere una tradizione enogastronomica molto importante – di legare sempre di più il festival alla promozione dei prodotti locali. Tant’è che c’era, fin dall’inizio, questo rapporto con la Giogantinu, la bottiglia del festival, la giornata dedicata alla Giogantinu, le degustazioni guidate in piazza del Vermentino, tutta una serie di iniziative che poi ci portarono, come amministrazione, ad acquistare Casa Sanna, in piazza, per farne un centro di enogastronomia» (A. Crasta, 2011).
Tra il 1990 e il 1995 lo stesso sindaco di Berchidda ottiene, in quanto membro di diritto, che la VI Comunità Montana Monte Acuto diventi sponsor del festival Time in Jazz, anche se in misura ridotta rispetto al Comune di Berchidda50. Questa sponsorizzazione non è mai venuta meno, anche perché negli anni successivi, con l’espansione del festival, il territorio in cui si svolgono le manifestazioni e i Comuni coinvolti si amplieranno sempre di più.
Negli stessi anni l’Assessorato alla cultura e allo spettacolo della Provincia di Sassari, nel quale il sindaco di Berchidda ricopre la veste di Consigliere, decide di stanziare una cifra in bilancio destinata al Time in Jazz, mediante una voce specifica.
«Ci fu un piccolo episodio per cui ci fu un tentativo da parte di qualche consigliere provinciale di spostare il festival nelle altre province: noi diamo il contributo e voi lo fate a Berchidda. Ci fu un tentativo di portarlo altrove, con tutte le difficoltà che c’erano che abortì dopo il primo anno, perché facemmo un concerto a Palau che fu un disastro, perché lo facemmo in un posto abbastanza squallido, nel campo comunale, con scarse luci, con un palco approssimativo…l’esperimento non riuscì, da quel momento in poi il festival fu indiscutibilmente a Berchidda» (A. Crasta, 2011).
Sempre in quegli anni il sindaco di Berchidda propone, nell’ambito della Comunità Montana, un progetto per la realizzazione a Berchidda di un Museo del Vino con annessa un’Enoteca Regionale. Il progetto, unico in Sardegna nel suo genere, ottiene un finanziamento attraverso un bando dell’Unione Europea. La costruzione viene ultimata nel 1993 circa, ma per una serie di traversie, e prima che la Comunità Montana, titolare della struttura, riesca ad ottenere dall’Assessorato alla Cultura della Regione Sardegna i fondi necessari per la sua
50 Dal punto di vista politico-amministrativo il Comune di Berchidda, che ora rientra nella Provincia
di Olbia-Tempio, apparteneva allora alla Provincia di Sassari, dalla quale dipendeva anche la VI Comunità Montana del Monte Acuto. Attualmente una parte dei Comuni che facevano parte di quell’Ente territoriale hanno aderito alla Provincia di Sassari e sono andati a far parte dell’Unione dei Comuni del Logudoro, mentre i Comuni che hanno aderito alla Provincia di Olbia-Tempio, sono rimasti nella Comunità Montana Monte Acuto.
apertura e per la gestione, passeranno diversi anni. Il museo viene aperto nel dicembre del 1999 e dal 2000 viene dato in gestione con una gara d’appalto.
Negli anni Ottanta e Novanta i principali protagonisti dello scenario politico e intellettuale di Berchidda sono soprattutto insegnanti come Angelo Crasta, spesso figli di appartenenti a famiglie agropastorali che i genitori hanno indirizzato negli studi. Questi giovani si impegnano in politica e ricoprono più volte gli incarichi di consigliere comunale o di sindaco. Alcuni coltivano la passione per la storia e la letteratura locale e fondano e scrivono nel «periodico di cultura e informazione» di Berchidda Piazza del popolo, fondato nel 1994, nel quale compaiono spesso anche articoli riguardanti il festival jazz e Paolo Fresu.
Come ha ricordato Angelo Crasta nell’intervista, «anche la formazione culturale mi spingeva in quella direzione». Si trattava di vedere il progetto di valorizzazione del «patrimonio culturale locale» come strumento di costruzione dell’identità e, insieme, di crescita sociale ed economica. Sul finire degli anni Ottanta l’Amministrazione comunale di Berchidda promuove una serie di iniziative culturali, tra cui un convegno, per presentare alla comunità i risultati di una ricerca sulla rocca del Monte Acuto condotta dal Prof. Giuseppe Meloni, docente di Storia Medioevale presso la facoltà di Lettere di Sassari, e dal Dott. Piero Modde, entrambi di Berchidda. I risultati della ricerca vengono pubblicati per la prima volta nel 1992 nella rivista accademica «Archivio Storico Sardo». Altre ricerche di carattere locale erano state condotte in precedenza sul territorio di Monti, di Tula e del Monte Acuto in generale. Nei primi anni Novanta, sotto il patrocinio della VI Comunità Montana Monte Acuto e del Comune di Berchidda la Sopraintendenza ai Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro effettua delle ricerche sul territorio del Monte Acuto, i cui risultati vengono presentati in un altro incontro. Essi consistono nell’individuazione dei beni di rilevanza storico-archeologica e nel censimento del materiale rinvenuto. Vengono inoltre riconosciuti come siti meritevoli di valorizzazione Abialzos e Pedriscalas e si avviano i primi lavori di pulizia di nuraghi nel territorio e di scavo nel dolmen di Monte Acuto.
Nel 1994, con un contributo del Comune di Berchidda viene finanziata la stampa del volume Il Castello di Monte Acuto, di Giuseppe Meloni e Piero Modde, che
amplia e aggiorna i risultati della precedente ricerca sulla base delle indagini archeologiche più recenti condotte nel territorio. Il saggio contiene due presentazioni: una di Angelo Crasta – Giuseppe Sini – Antonio Demartis, Sindaci di Berchidda dal 1985 al 1994; l’altra di Giuseppe Sini, in seguito Assessore alla Cultura del Comune di Berchidda per dieci anni e Direttore del periodico Piazza del popolo.
Una decostruzione del senso sociale e politico di queste vicende consente di cogliere il processo di patrimonializzazione delle rovine del Castello di Monte Acuto e dell’area circostante, posto in atto da vari soggetti.
Il Castello, come si legge nel testo, fu edificato in epoca medioevale, ma reperti risalenti a 4500 anni fa documentano che già in quell’epoca «l’altura fu utilizzata sia a scopi difensivi che per finalità di avvistamento» (p. 12). Infatti «la vallata sulla quale domina il castello era sorvegliata tramite un sistema di fortificazioni» (ibidem).
«La fortificazione viene ricordata in diversi trattati internazionali tra Genova e Pisa e tra queste ultime e l’Aragona. Tutto questo evidenzia, tra l’altro, l’importanza della roccaforte nell’economia del Nord Sardegna e negli equilibri politici non solo locali, ma a respiro internazionale, mediterraneo. Intorno alla regione nella quale sorgeva il castello ruotavano tutti i traffici che si svolgevano dalle pianure del Logudoro verso il porto di Olbia» (Sini, 1994, p. 8 ).
«È indiscutibile», scrive lo storico Giuseppe Meloni,
«che la struttura nel suo insieme dovesse offrire un minimo di «comfort», se è vero che vi si recarono i personaggi più rappresentativi della storia sarda della prima metà del secolo XIII, da Adelasia a Pietro d’Arborea, all’Arcivescovo di Sassari, al Legato pontificio Alessandro, ai Vescovi di Ampurias e di Castro, tutti con il loro seguito» (Meloni, Modde, 1994, p. 59).
Questi passaggi pongono in rilievo l’importanza storica del sito in un arco di tempo molto ampio. I risultati dell’indagine costituiscono dunque la premessa per la patrimonializzazione del bene.
«Il punto di partenza per un lavoro più impegnativo e specialistico per la valorizzazione e la salvaguardia delle emergenze archeologiche e dei resti del castello, evitandone un ulteriore degrado e una definitiva dissipazione» (Meloni, Modde, 1994, p. 59).
In seguito a questo processo il «Monte Acuto, per la sua specificità, è stato inserito tra gli itinerari scientifici, didattici e turistici per la fruizione delle testimonianze archeologiche del territorio» (ivi, p. 46). Nel testo viene poi descritto l’itinerario che occorre seguire per raggiungere il castello, partendo dalla piazza del Popolo di Berchidda. Attualmente cartelli con l’indicazione del «Castello Monte Acuto» sono presenti all’ingresso delle due strade che portano al paese: la strada statale e la «Via del Vermentino»; altri sono dislocati in altri punti della cittadina. Il sito è divenuto in questo modo uno dei «marker» turistici dell’area, anche se, come mi dice Giuseppe Sini, «non ci sono tuttora le condizioni per una sua fruibilità dal punto di vista turistico, se non come meta di escursioni».
La produzione del Castello del Monte Acuto come bene culturale ha dunque lo scopo di costruire intorno ad esso la memoria storica di un territorio che ha rappresentato un momento importante del passato di Berchidda. Infatti, «Una conoscenza più articolata delle proprie peculiarità storico-culturali», sostengono i sindaci, «darà l’opportunità all’intera comunità di ritrovare il senso della propria storia e della propria identità». Si potranno in tal modo «costruire prospettive di sviluppo per le generazioni future» in modo più consapevole (Crasta, Sini, Demartis, 1994, pp. 6-9).
La pubblicazione del volume viene indicata dai tre sindaci, al pari di altre iniziative come il premio di poesia in lingua sarda «Pietro Casu» e il festival jazz, come parte di uno stesso progetto perseguito dall’Amministrazione Comunale di Berchidda, che intende porre la cultura al centro delle proprie scelte politiche.
«Partendo dall’assunto che la vita culturale è un valore irrinunciabile e costituisce un fattore di sviluppo civile, e talvolta anche economico, delle comunità interessate, si è cercato di diversificare i messaggi e di proporre nuovi spazi comunicativi.
Un momento particolarmente qualificante delle iniziative realizzate in questi anni è costituito dal Time in Jazz; la manifestazione, che ha avuto una vasta risonanza internazionale, grazie anche alla impareggiabile direzione artistica di Paolo Fresu, ha consentito alla nostra municipalità di proiettarsi all’esterno con un alto messaggio di civiltà» (Crasta, Sini, Demartis, 1994, p. 5).