«La banda è stato qualcosa che a Berchidda ha sicuramente amalgamato lo spirito musicale, però non è stato qualcosa che poi è voluto restare semplicemente banda. Ha dato la possibilità delle varie espressioni che ci sono state e che ci sono anche adesso. Quindi forse è un punto di partenza che però poi si è evoluto, anche alla luce dell’evento particolare che è quello di Paolo (…). Paolo, secondo me, è un po’ una “mutazione genetica” dell’aspetto musicale o della realtà musicale di Berchidda che era solo orchestrine. Anche Paolo un po’ ha fatto parte di questa realtà, poi ha frequentato il Conservatorio ed è nata questa passione per il jazz. Antonio Meloni, che è la seconda persona che si occupa approfonditamente di musica, che non sia la musica classica o la musica operistica adattata per banda o la musica prettamente di banda, sta facendo un percorso simile, anche se lui ha deviato un po’ sul funky» (Luciano Demuru, 2012).
Il direttore della Bernardo Demuro, profondo conoscitore dell’ambiente musicale di Berchidda, delinea il processo di formazione del talento artistico di Paolo Fresu. La sua definizione di “mutazione genetica”, che viene espressa dichiaratamente tra virgolette, non allude a una presunta origine innata delle qualità musicali del trombettista, quanto a un percorso creativo che rimanda al contesto culturale e di vita nel quale Fresu è cresciuto. Luciano Demuru chiarisce, con termini da senso comune, l’acquisizione novecentesca che il talento artistico non può essere spiegato solo attraverso la sua componente innata, ma che occorre tener conto di una serie di elementi di carattere sociale e culturale. Nel corso delle
interviste mi sono chiesta quale significato viene localmente attribuito al talento. Mi è sembrato evidente che le testimonianze e le conversazioni propendono per un idea non “innata” e naturale del talento, o meglio si ritiene che, in prevalenza, siano lo studio e l’impegno costanti della persona a produrre la sua preparazione e la sua realizzazione professionale come musicista. Insomma, ricostruendo le carriere dei musicisti locali non si fa riferimento a un destino già tracciato che si rivela gradualmente e si manifesta in una sorta di “chiamata”. Realizzazione professionale e successo sono invece visti come il risultato dell’impegno, delle scelte giuste al momento opportuno, di una casualità aiutata sì da doti naturali, ma, soprattutto, dal sacrificio personale68.
Anche Fresu, come abbiamo visto, ha collegato esplicitamente la sua formazione musicale all’ambiente favorevole di Berchidda, dovuto soprattutto alla presenza della banda, ai complessi, e all’incoraggiamento avuto da parte della famiglia. Questi fattori, nel suo caso, hanno assecondato un talento iniziale e lo hanno condotto, prima, a iscriversi in Conservatorio e, in seguito, a intraprendere un percorso di musicista jazz. Quando Fresu, durante l’ultimo anno in cui frequenta l’istituto tecnico industriale di Sassari, si iscrive al Conservatorio, non lo fa perché pensa di diventare un musicista:
« (…) mi ero iscritto al Conservatorio di Sassari per piacere personale, per imparare a suonare meglio lo strumento, per ampliare il mio bagaglio di informazioni musicali, ma non pensavo di diventare un concertista né, tantomeno, di fare il musicista di musica classica» (Fresu Onori, 2006, p. 19).
Questa scelta avverrà qualche anno più tardi, e già nel 1984 Fresu riceve una serie di premi e riconoscimenti, tra cui quello di «miglior nuovo talento italiano», secondo la rivista Musica jazz. Di qui la carriera sempre in ascesa dell’artista nella scena nazionale e internazionale del jazz. Alla formazione musicale “pre-jazz” di Fresu, segue un apprendistato iniziato attraverso l’ascolto dei dischi e la trascrizione degli assoli dei musicisti della tradizione del jazz, suonandoci sopra.
68 Per quanto riguarda i discorsi e le narrazioni riguardanti il talento cfr. Gobo, 1994; Matino, 1994;
Melucci, 1994; sulla formazione nella storia della cultura europea del genio e del talento musicale cfr. De Nora, 1995; Sloboda, 2002; sul rapporto tra creatività sociale e allocazione del talento, cfr. Lai, 2006, pp. 31-52.
Un sistema raccontato da Fresu in numerose occasioni, che lo accomuna ai tanti musicisti che prima dell’istituzione di corsi e scuole di musica jazz hanno acquisito in questo modo informale le proprie competenze. Quando nel 1985 a Fresu fu chiesto di insegnare nei seminari estivi di jazz a Siena, racconta di essersi trovato impreparato:
«(…) insegnare richiedeva una lucidità sul mio modo di suonare che non avevo affatto. Tutto quello che sapevo si era sedimentato in me in maniera quasi inconscia, tramite ascolti, trascrizioni, tentativi d’imitazione, ripetizioni e concerti. Avevo tanto materiale, sicuramente prezioso, ma al livello conscio era più che altro una matassa primordiale, un groviglio di esperienze sonore. E per trasmetterlo ad altri dovevo prima di tutto cercare di chiarirlo a me stesso (…). In questo senso l’esperienza dell’insegnamento è stata per me vitale, perché mi ha costretto a prendere coscienza di una parte fondamentale di me » (Fresu, 2011, p. 62).
Questo passaggio mostra chiaramente che anche l’apprendimento dell’habitus jazzistico richiede una corrispondenza tra abilità pratiche, conoscenze incorporate in modo tacito e poco esplicitabili, che si esplicano nell’azione, e rappresentazione cognitiva, resa esplicita mediante il linguaggio. Quella corrispondenza che in quel momento il giovane jazzista riteneva di non avere e che chiarirà a se stesso. A questo proposito Sparti sostiene che possa essere appresa in modo informale non solo la musica jazz, ma la stessa capacità di improvvisazione. Da questo punto di vista se un individuo si forma in un contesto nel quale «l’improvvisazione è considerata una abilità che è importante padroneggiare, e che è possibile ‒ persino normale ‒ imparare» sarà questo elemento a prevalere rispetto alle presunte qualità innate o di appartenenza a una “razza” (Sparti, 2005, p. 130).
In seguito il percorso creativo di Fresu è avvenuto attraverso le interazioni e gli scambi con altri musicisti della comunità professionale del jazz; e attraverso viaggi, incontri significativi, conoscenza di altre culture. Queste esperienze, come racconta spesso il musicista, hanno fornito il materiale sul quale, attraverso una ricerca continua e una determinazione nell’impegno, ha costruito una propria cifra personale, stilistica e umana. Nella maturazione e affermazione del suo talento artistico oltre ai fattori individuali hanno pesato, dunque, diversi elementi di ordine sociale. Le stesse dinamiche che hanno condizionato in senso sociale il talento creativo di Fresu agli inizi del suo percorso, hanno agito nello stesso modo
anche rispetto ad altri musicisti di Berchidda. Alcuni di questi hanno intrapreso una carriera professionistica o semiprofessionistica. Il musicista professionista più noto di Berchidda, dopo Fresu, è Giovanni Crasta, in arte Johnny, del quale traccia un profilo Claudio Loi in Sardinia Hot Jazz69. Altri, pur possedendo notevoli
capacità musicali, secondo il discorso locale, hanno seguito altre strade e fatto altre scelte. Ogni generazione di musicisti a Berchidda ha avuto i suoi miti nei propri precursori e i racconti su queste figure si sono tramandati nel tempo, contribuendo ad alimentare il prestigio della banda, nella quale quasi tutti hanno appreso la musica. Giuseppe Casula ribadisce che «tutta la tradizione musicale di Berchidda è nata dalla banda», e nel nostro incontro elenca una serie di «suonatori bravissimi, tutti senza conservatorio», per ognuno dei quali ha una storia da raccontare. «Peppino Achenza si chiamava. Questo era diventato bravissimo, poi andò a lavorare in Continente, ad Asti, faceva il corniciaio. Lì suonava, mancò il primo clarino alla Scala e chiamarono lui, e faceva il primo clarino lì. Io l’ho sempre sentito dai grandi. La figlia ha studiato lì ed era cantante lirica. Paoletto Coizza era un grande suonatore di basso. Quand’era nella banda militare volevano che si fermasse fisso lì a suonare, gli avrebbero dato uno stipendio e non c’è voluto rimanere. Così anche Antonio Pinna, il maestro, volevano anche lui. Anche lui non aveva studiato ma era un grande direttore di banda e un grande suonatore di clarino. Lui, Antonio Crasta, Paolo Mannu, Titino Fois e tutti questi erano suonatori di clarino. Suonavano pezzi d’opera che sono pezzi da professionisti, di gente diplomata, e loro li suonavano!» (Giuseppe Casula, 2012).
Il trombettista Giovanni Scanu, nel periodico di Berchidda Piazza del popolo, auspica che a Berchidda possa nascere un liceo musicale, perché i suoi figli quando
69 Suonatore di tromba e di flicorno come Paolo Fresu, «Giovanni Crasta è un artista che ha
frequentato le maggiori star della musica italiana negli anni del secondo dopoguerra. La sua tromba ha accompagnato i più famosi cantanti dell’epoca, le grandi stelle della musica leggera e dello showbiz italiano e ha avuto alcuni interessanti contatti con il jazz e i jazzisti del tempo (tra cui Marcello Melis nelle fasi iniziali della sua carriera) (…) prima a Milano, dove conoscerà Tony Renis, che lo inserisce nella sua orchestra, e poi a Roma dove entra a far parte di una grande orchestra (della Rai n.d.r) che suonerà con le migliori star della musica italiana e i grandi protagonisti dello spettacolo: Johnny Dorelli, Gino Bramieri, Rita Pavone, Rocky Roberts, Massimo Ranieri (che accompagnerà in una indimenticabile tournèe americana), Fred Bongusto, Raffaella Carrà, Franco Califano e tantissimi altri (…). Ha suonato per tanti anni con Gianni Morandi». Inoltre, continua Loi, ha partecipato alle colonne sonore di alcuni film, tra cui Fumo di Londra, interpretato e diretto da Alberto Sordi nel 1966 e alla sigla televisiva della serie Il Commissario Maigret, dove per l’occasione suona il mandolino. (Loi, 2011, pp.144-148).
hanno scelto di studiare in Conservatorio hanno dovuto viaggiare per Sassari. Sa che molti giovani di Berchidda che vorrebbero intraprendere questo percorso di studio rinunciano perché contemporaneamente dovrebbero frequentare un altro istituto superiore e le due cose non sono facili da conciliare. Come emerge dal brano di intervista la musica per lui non è solo una passione personale, ma assume significati morali e contenuti sociali. Secondo la sua esperienza un suonatore agisce come una sorta di feedback sulla sua intera famiglia, migliorandone le qualità. Per questo lui si è sempre adoperato per incoraggiare i giovani allo studio della musica.
«La musicalità continua veramente bene, è uno dei valori morali e sociali che Berchidda detiene; infatti penso cheBerchidda sia il paese che abbia più diplomati in materia musicale in tutta la Sardegna. Finita la carriera militare, durante gli anni Settanta ho continuato a dedicarmi ad invogliare i giovani ad amare la musica perché io ho capito questi nobili valori e ne ho tratto beneficio. Personalmente credo che le famiglie nelle quali vi sia stato un musicante che abbia suonato in banda, possano vantare una maggiore maturità morale e sociale. Devo aggiungere che un’altra delle soddisfazioni che mi ha dato la musica è stata quella di avere avuto la possibilità di trasmettere in famiglia la mia passione. Su cinque figli due sono diplomati insegnanti di ruolo e inoltre mia figlia è sposata con un insegnante di musica»70.
Durante l’intervista ha raccontato che in qualche occasione gli è capitato di dover sostenere le ragioni dei figli che volevano iscriversi in Conservatorio, di fronte a genitori riluttanti:
«Soprattutto la lotta che dovevo fare era con quei genitori che erano contrari perché avevano bisogno di soldi subito e volevano mandare i figli a fare i manovali. Mi dicevano: “per mangiare ci vogliono i soldi” e io gli rispondevo: “guarda che la musica ti dà molte soddisfazioni anche economiche”. “Eh! accandho a bennere cussu inari, mancu inue che devimus essere!” (Quando arriveranno quei soldi chissà dove saremo!). Me ne sono capitati due che poi alla fine sono riuscito a convincere; poi quando li incontravo mi dicevano sempre: “Giovà, ti ringrazio, eh! per avermi convinto”. Riconoscevano il mio stato d’animo, la predisposizione che avevo per loro» (Giovanni Scanu, 2011).
Le testimonianze raccolte evidenziano tuttavia, che nella maggioranza dei casi i genitori di Berchidda negli ultimi decenni, se non sempre hanno incoraggiato i figli a intraprendere studi musicali in Conservatorio, in genere non hanno ostacolato questa inclinazione. Spesso, in presenza di un forte interesse per la musica, sono
70 Raimondo Dente, “La Banda Bernardo De Muro, Raimondo Dente intervista Giovanni Scanu”, in
stati loro stessi a consigliare i figli verso tale scelta, magari dietro il suggerimento di altri suonatori che ne hanno intravisto le capacità. Tutta la comunità, in un piccolo centro come quello di Berchidda, concorre a individuare un talento musicale allo stato nascente. Oggi, ad esempio, esiste un’opinione diffusa di questo genere riguardo a un giovanissimo musicista che suona in diversi contesti e frequenta i Seminari jazz di Nuoro. Alcuni componenti della banda mi hanno riferito di aver suggerito ai genitori l’opportunità che il ragazzo prosegua gli studi in Conservatorio.
E, soprattutto, la famiglia asseconda la decisione dei figli di iscriversi in un corso propedeutico alla musica e di entrare in banda. Tale compagine viene infatti sempre considerata un luogo importante di socializzazione per i figli. Pur potendo utilizzare gli strumenti e gli spartiti in dotazione dell’organico, i genitori sono quasi sempre disposti ad acquistarli a proprie spese per i figli. Non viene neanche ostacolata, ma spesso incoraggiata, come raccontano anche i componenti del gruppo Utopia, la scelta di formare un gruppo musicale, anche quando ciò condiziona in modo negativo il risultato degli studi scolastici. Ciò mi è stato confermato da alcuni genitori di giovani adolescenti che frequentano la banda o hanno costituito un gruppo musicale; ritengono infatti che l’impegno nella musica rappresenti comunque un fatto positivo rispetto ad «altre distrazioni o pericoli» o al semplice «far niente». Reputano inoltre che lo studio della musica potrebbe trasformarsi, in futuro, in un’opportunità di guadagno o in una professione vera e propria. Ad esempio, un giovane che suonava in un gruppo musicale e faceva parte dell’Associazione Time in Jazz, anche sulla base di quest’esperienza ha intrapreso gli studi come tecnico del suono e ha trasformato la sua passione per la musica in una professione.
Secondo la stima dei componenti più anziani della banda Bernardo Demuro, e secondo il suo attuale direttore, a Berchidda oltre il 50% della popolazione conosce la musica e possiede uno strumento musicale: o per aver fatto parte della banda o di gruppi musicali, o di entrambi71. Secondo una stima ricorrente raccolta
71A queste realtà attualmente si affianca la scuola civica di musica finanziata dalla Regione Sardegna
durante la ricerca tra le 150 e le 200 persone attualmente praticano uno o più strumenti musicali; i diplomati al Conservatorio sono circa venti; attualmente varie persone lo frequentano, mentre altre lo hanno frequentato per alcuni anni senza poi concludere gli studi.
Nel bagaglio della cultura musicale condivisa di Berchidda occorre includere anche la tradizione del canto poetico improvvisato e la presenza costante di almeno un piccolo coro polifonico durante le celebrazioni religiose. Nel Settecento Angius, nella voce Berchidda del Dizionario Casalis, cita Su Cantadore de Berchidda Alvaru Mannu, conosciuto in tutta l’isola, mentre nell’Ottocento il cantante e poeta improvvisatore Antonio Stefano Demuru, veniva considerato il migliore o tra i migliori della Sardegna. Attualmente sono presenti nella cittadina tre cori: due sono polifonici, uno composto da bambini, uno formato da adulti, e un coro sardo.
Antonio Meloni, direttore per dieci anni della Bernardo Demuro, e attuale direttore della “Funky jazz orchestra”, così si esprime a proposito dell’influenza che la cultura musicale di Berchidda esercita sui bambini:
«Molto dipende dalla banda, poi che ne so, il Duo Puggioni,72 sembra così però ha
influito la sua presenza alle feste patronali, quindi una presenza anche importante; poi da lì sono nati tanti gruppi...e poi la banda, tanto. Oppure le canzoni di Babbai, sono canzoni originali nate qua, quindi ci hanno trasmesso durante la novena che comunque erano le musiche di Berchidda, del prete di Berchidda, e questo secondo me ha influito tanto, già da piccoli siamo stati formati con queste musiche e con questa presenza della banda, i cori, la chiesa...» (Antonio Meloni, 2012).
La presenza di una tradizione musicale antica come la banda, e tutto quello che ne è seguito hanno rappresentato, a Berchidda, il veicolo di trasmissione di un sapere che si è trasmesso di generazione in generazione, di famiglia in famiglia. Osservando la genealogia dei musicanti nella Bernardo Demuro, e dei suonatori nei cosiddetti complessi si scopre, ad esempio, la ricorrenza di alcuni cognomi. Spesso, infatti, un nonno, un genitore o uno zio, hanno trasmesso passione per la musica e saperi ai propri figli e nipoti. Secondo l’opinione di Antonio Rossi
72 Un duo Folk di Berchidda, formato da Giovanni Puggioni alla chitarra e Anna Maria Puggioni alla
voce, che per qualche decennio è stato tra i più popolari in Sardegna. I due hanno intrapreso la carriera professionistica e si sono esibiti in tournèe in vari paesi del mondo.
«I gruppi musicali berchiddesi di un’epoca passata hanno sempre affascinato i suonatori delle successive generazioni. Anzi, secondo il mio parere e anche di altri musicisti locali, c’è proprio da rimarcare come all’interno dei vari generi musicali “acclarati” sembra che, dall’ascolto delle nostre orchestrine locali, si percepisca un’ulteriore “varietà derivata” ovvero un’armonia di suoni “prettamente berchiddese”» (Apeddu, Rossi, 2013, p.195).
La creatività culturale consiste dunque in un processo di mutamento, di produzione di nuove forme culturali o pratiche attraverso la sintesi o la ricombinazione di elementi già noti73. Si tratta di un processo che non può essere compreso a partire dal singolo artista creativo considerato nel suo isolamento, la cui genesi e riconoscimento implicano spesso un contesto sociale e culturale favorevole e una rete di relazioni e culture differenti che attraversano il suo percorso artistico e ne favoriscono la creatività. Questa pertanto può essere anche considerata come un processo collettivo che trova una sintesi e si realizza attraverso l’artista. In genere questa figura è infatti un cosmopolita o una persona che si trova al centro di processi di «creolizzazione» ai quali si riferisce Ulf Hannerz74.
Se consideriamo la figura artistica di Paolo Fresu attraverso il suo legame con la banda; la sua figura come modello a cui ispirarsi per i giovani musicisti di Berchidda; la presenza nel paese di un festival jazz che in venticinque anni di storia ha contribuito notevolmente alla formazione della cultura e del gusto musicale dei giovani; gli esiti che sono derivati dall’inserimento della banda all’interno del festival; la spaccatura al suo interno dalla quale è nata la Funky Jazz Orchestra. Se consideriamo tutto ciò alla luce della categoria di creatività sociale a cui ho fatto riferimento, forse è possibile affermare che, in questo caso, è avvenuto un processo di creatività circolare, che parte dalla banda e torna nella banda trasformandola.
73 Il riferimento è alla definizione di creatività esposta da Liep, 2001, p. 2.
74 Hannerz, 2001, pp. 105-128; sostiene che nel mondo contemporaneo la creolizzazione avvenga al
«centro» e non più solo nella «periferia» come durante l’epoca coloniale. Il concetto di creolizzazione può rappresentare uno strumento utile per capire anche i processi di “ibridazione” musicale che caratterizzano attualmente la produzione dell’industria culturale: «Contrariamente all’ampia e istituzionalizzata corrente di pensiero culturale che enfatizza la purezza l’omogeneità e la delimitazione delle culture, e in contrasto con quelle metafore biologiste che Rushdie si sforza di riadattare, concetti creolisti indicano che la mescolanza culturale non è necessariamente deviante, di second’ordine, indegna di attenzione, inopportuna. Ai miei occhi, perlomeno, «creolo» ha connotati di creatività e ricchezza espressiva. I concetti creolisti fanno inoltre intravedere una speranza per la varietà culturale. La globalizzazione non deve essere più una questione di lungo periodo o di completa omogeneizzazione; la crescente interconnessione del mondo porta a anche a vantaggi culturali. Insomma, un po’ di questo e un po’ di quello, è così che il nuovo penetra il mondo»» (Hanerz, 2001, pp. 106-107).
Ovvero, si è verificato un processo di innovazione di una tradizione musicale che in parte è rimasta, e la nascita di una nuova formazione musicale che ha del tutto accolto la “novità” del jazz combinandola, secondo un processo di ibridazione, con il Funky. Per ripercorrere le linee di tale sviluppo occorre soffermarsi sulla seconda figura, che secondo Luciano Demuru, ha intrapreso un percorso musicale