1.11.1 Economia solidale o altra economia
Roma si prepara ad ospitare, all’interno del Campo Boario nell’ex Mattatoio di Testaccio, La Città dell’altra economia, uno spazio permanente per lo sviluppo e la promozione delle realtà di altra economia. 3.500 mq di esposizione, vendita, ristorazione, seminari, spettacoli, interamente dedicati all’equo e solidale, biologico, finanza etica, riciclo e riuso, energie rinnovabili, turismo responsabile, software libero. La Città ambisce non solo ed essere il polo cittadino di tali imprese, dove si potranno trovare insieme molte delle esperienze più avanzate del settore, ma anche un laboratorio dove le realtà di altra economia potranno sperimentare sinergie e relazioni tra loro e progettare linee di sviluppo e nuovi prodotti e servizi.
La Città, prima in Europa nel suo genere, sarà così l’iniziale strumento per promuovere un vero e proprio distretto di economia solidale a Roma, favorendo l’integrazione e lo scambio tra tutte le realtà che vi lavorano. Per i sostenitori delle diverse forme di sperimentazione di esperienze di “altra economia” si cerca di met-tere al centro dell’attenzione anche i costi esterni (risorse naturali, tessuto sociale, relazioni tra territori, ecc.), rispetto ad una concezione dello sviluppo inteso solo in modo quantitativo, che prende in considerazione esclusivamente i costi interni al processo produttivo (lavoro e capitale).
Il dibattito su cosa significhi praticare un’altra economia è tuttora aperto.
Mentre la definizione di “economia sociale”, utilizzata a partire dal XIX secolo in Francia per indicare le esperienze cooperative e mutualistiche, descrive, secondo alcuni studiosi, una formula niente affatto alternativa al modello capitalistico7, quella di “economia solidale” prevede un’ibridazione del sistema, che può per-mettere la rigenerazione del tessuto sociale e il reinserimento della politica e della società all’interno dell’economia. Secondo il suo massimo teorico, Jean Louis Laville, l’economia solidale può nascere da un nuovo equilibrio tra intervento pub-blico, reti informali e domestiche, imprese cooperative e non profit. È proprio a cavallo tra economia solidale, organizzazioni senza fini di lucro e pratiche informali di produzione e scambio che può nascere un’altra economia. Oggi sono già diverse le pratiche che vanno in questa direzione. Volendone tracciare un quadro generale si
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7. “Con l’economia sociale, in Francia, il conflitto capitale-lavoro, al centro dell’ideologia socialista, viene sostituito dalla più moderata contrapposizione consumatore-produttore. Il progetto coope-rativo, concentrato sulla ricerca del giusto prezzo, accetta la visione meccanicista dell’ordine economico e legittima l’esclusione della politica dalla riflessione economica”. Cfr. Azam (2003).
può partire da alcune caratteristiche che le accomunano8:
• re-investimento del maggior valore creato nelle attività stesse;
• tendenza all’efficienza, ovvero all’equilibrio economico-finanziario e al miglior utilizzo delle risorse;
• centralità delle persone rispetto al capitale o alle esigenze produttive, ovvero at-tenzione alle garanzie per chi lavora, alla massima partecipazione ed all’in-clusione di persone anche portatrici di differenti abilità;
• centralità dell’eco-compatilibità di ogni azione svolta: rispetto per l’ambiente, attenzione al risparmio ed alla riproduzione delle risorse;
• rispetto per il territorio e le comunità, dunque non sfruttamento dell’ambiente e delle risorse locali ma loro valorizzazione in un’ottica di sosteniblità;
• trasparenza, verso i consumatori finali e tutti i portatori di interesse, volta all’eliminazione delle asimmetrie informative, ed a consentire ai terzi una valu-tazione corretta dei beni e servizi offerti;
• relazioni tra imprese, anche tra quelle del Nord e del Sud del mondo, basate principalmente sulla cooperazione e l’equità.
A fronte delle difficoltà che ancora vengono incontrate a definire l’altra economia sulla base di processi produttivi identificabili, si preferisce definirla in base alle attività. Alcune infatti possiedono già una serie di regolamentazioni inter-ne al settore (definite a livello normativo e auto-determinate dalle associazioni di categoria) che le caratterizzano, facendole coincidere con i criteri sopra definiti. Tra queste l’agricoltura biologica, il commercio equo e solidale, il turismo responsabile, la finanza etica, il software libero, il riuso e riciclo dei materiale e la produzione e diffusione di energie rinnovabili.
1.11.2 La filiera bio-equa
Tra le attività di altra economia quelle che hanno sicuramente un impatto visibile ed in aumento, sul mercato come sui consumi individuali, sono l’agricoltura bio-logica ed il commercio equo. Vengono spesso accomunati poiché i consumatori fi-nali dell’uno sono spesso interessati anche all’altro. Il commercio equo poi, proprio per adempiere alla sua vocazione di salvaguardia dell’ambiente e dei territori, so-stiene particolarmente le culture biologiche nel Sud del mondo, proponendo sempre più spesso prodotti certificati bio. Esempi di tale comunanza sono i Gruppi di acquisto solidali (Gas), associazioni di consumatori che comprano assieme in base a ___________________________________________________________________
8. Le definizioni di altra economia sono in parte tratte dalla “carta dei principi” del Tavolo dell’Altra Economia di Roma (www.altraeconomiaroma.org) e dal Manifesto della Finanza Etica pub-blicato dall’Associazione finanza etica (www.finanza-etica.org).
criteri di sostenibilità sociale ed ambientale dei prodotti prescelti, oltre che di risparmio sul prezzo finale. I Gas si riforniscono praticamente in maniera esclusiva di bio ed equi, configurando, anche se ancora non molto diffusi, uno degli sbocchi di mercato naturali di queste produzioni.
Il commercio equo dall’Europa a Roma. Il commercio equo e solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale: vuole riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno sviluppati, migliorando l’accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati. Garantisce, infatti, ai produttori un giusto guadagno e condizioni di lavoro dignitose. Elimina le intermediazioni specu-lative e sostiene, con il prefinanziamento, progetti di autosviluppo. Il commercio equo e solidale in Europa è un fenomeno ormai affermato: raddoppiato il numero delle organizzazioni attive ed il fatturato derivante dalla vendita al dettaglio negli ultimi 5 anni (oggi 660 ml di euro, il 154% in più rispetto al 2001), la crescita sembra continuare. In Svizzera ad esempio il 47% delle banane, il 28% dei fiori e il 9% dello zucchero venduti arrivano dal circuito del commercio equo. Nel Regno Unito, dove il mercato è otto volte maggiore di quello elvetico, i prodotti equo-solidali hanno raggiunto il 5% del mercato del tè, il 5,5% delle banane ed il 25% del caffé solubile.
L’Italia non raggiunge tali risultati (il prodotto di maggior penetrazione sono le banane che rappresentano il 1,2% del mercato) registra un numero sempre crescente di punti vendita completamente dedicati all’equo e solidale: le botteghe del mondo.
Queste sono oggi 500 e producono un fatturato che si stima abbia superato i 55 ml di euro, mentre Ctm altromercato è tra gli importatori più grandi d’Europa, secondo solo al tedesco Gepa, con 34 milioni di euro di fatturato nel 2004. Il 52% delle botteghe è giuridicamente è un’associazione, il 41% una cooperativa (di cui il 16,5% una cooperativa sociale), il resto è gestito da altre tipologie di società. La vendita al dettaglio dei prodotti del Sud del mondo rappresenta l’86% dei ricavi delle botteghe, ma impegna ben l’82,9% dei costi. Il margine positivo che si registra in questa voce di bilancio va tutto nell’attività di sensibilizzazione, che non dà utili e rappresenta oltre il 5% dei costi sostenuti dalle botteghe. Le botteghe, con i loro oltre 54 milioni di euro nel 2004, assicurano dunque la maggiore percentuale del fatturato, perché attraverso la distribuzione tradizionale e i supermercati, in tutto 5.100 punti vendita, vengono venduti prodotti equosolidali per 46 milioni e 800 mila euro. Altri 3 milioni 300 mila euro di prodotti equosolidali raggiungono i con-sumatori italiani attraverso i canali della ristorazione, delle mense aziendali e pubbliche (tab. 1.77).
Tab. 1.77 - Il commercio equo e solidale a Roma, in Italia e in Europa
Fonte: per ROMA, i dati sul commercio equo a Roma derivano dalla mappatura costante a cura dell’Ufficio Autopromozione sociale del Comune di Roma e da un approfondimento su un campione di 15 botteghe romane “L’altra economia a Roma”, (www.altraeconomiaroma.org). I dati si riferiscono quindi al 2005-2006 e le cifre inerenti ai punti vendita possono considerarsi assolute, mentre quelle relative all'occupazione ed al fatturato sono proiezioni del campione sull'intero universo noto. Per ITALIA i dati sono tratti dalla ricerca G.P. Barbetta, Il commercio equo e solidale in Italia. Analisi e valutazione di un nuovo modello di sviluppo, università cattolica del sacro cuore Milano 2006 (www.agices.org ) che utilizza dati 2003 ed aggiornati al 2005 attraverso ”Fair trade in Europe 2005: facts and figures on fair trade in 25 European countries”
(www.ifat.org). Per L’EUROPA i dati su 25 paesi sono relativi agli anni 2005-2006 e tratti da FINE “Fair trade in Europe 2005: facts and figures on fair trade in 25 European countries ” (www.ifat.org).
Il fatturato complessivo del commercio equo e solidale a Roma è di circa 6 milioni di euro, di cui 3,9 milioni provenienti dalle vendite in bottega, 1,5 milioni di euro dalle mense scolastiche e altri 600 mila euro circa dai supermercati ed altri punti vendita. Per consumo di prodotti equi in Italia Roma è a al terzo posto dopo Milano e Trento, mentre se consideriamo solo il fatturato delle botteghe Roma è sesta, dopo Milano (20 milioni di euro), Trento (5), Bolzano, Treviso e Torino (4 milioni di euro ciascuna). A Roma il numero di botteghe del mondo è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, passando dalle 15 del 2000 alle 30 del 2006. Di queste 16 sono gestite da cooperative e 14 da associazioni. Le cooperative di gestio-ne sono 11 (alcugestio-ne di esse dunque gestiscono due o tre botteghe) mentre le associa-zioni coincidono in genere con i loro negozi.
Modalità
Punti vendita 110 5.600 78.900
Botteghe del Mondo 30 500 2.854
Supermarket che vendono prodotti del commercio equo 69 4.000 56.700
Altri punti vendita 11 1.100 19.300
Organizzazioni di secondo livello 0 11 208
Importatori 0 10 200
Organizzazioni di Marchio 0 1 8
Personale retribuito (Etp) 40 733
-Importatori 2 128 851
Botteghe del Mondo 38 578 np
Associazioni di botteghe 0 0 107
Organizzazioni di Marchio np 27 113
Volontari (assidui) 156 2.000 100.000
Fatturato (in migliaia di euro)
Importatori np 41.165 243.000
Botteghe 3.936 54.390 103.000
Organizzazioni di marchio np 20.000 597.000
Spesa totale in educazione/informazione/marketing np 210 18.300 Tutti i prodotti del commercio equo venduti al dettaglio 6.000 104.490 660.000 Roma Italia Europa
Una ricerca fatta sulle realtà romane dimostra che le botteghe occupano attualmente 40 persone (calcolate in unità equivalenti a tempo pieno) ed hanno circa 160 volontari assidui: dunque tali organizzazioni risultano gestite per oltre il 75%
da volontari. Gran parte dei costi riguardano l’acquisto delle materie prime, mentre il costo del lavoro è solo al 15% del totale, praticamente pari a quello per l’affitto ed il mantenimento della sede. Le vendite sono rivolte quasi esclusivamente (90%) verso i consumatori al dettaglio, ed sono praticamente assenti i “clienti” imprese e enti pubblici. Il loro fatturato si colloca quasi tutto nelle classi tra i 65 ed i 250.000 euro ed il 75% di loro nell’ultimo anno ha chiuso in perdita, fenomeno in parte cor-relato con la piccola dimensione. Accanto all’assiduità dell’impegno politico di tali organizzazioni rimangono però i limiti collegati alle piccole dimensioni: non sono presenti a Roma importatori o organizzazioni di secondo livello, e le piccole dimen-sioni impediscono investimenti e apertura di nuovi rami di attività, ad esempio ser-vizi, che possano sostenere i ricarichi necessariamente bassi della vendita al dettaglio.
Agricoltura biologica. Quello del biologico è invece un settore con una più lunga storia e dunque maggiormente caratterizzato dal punto di vista imprenditoriale.
L’agricoltura biologica è un metodo di produzione (vegetale, animale e per prodotti trasformati) definito e disciplinato a livello comunitario che permette di favorire la salvaguardia delle risorse naturali, promuovendo l’equilibrio ecologico e la conser-vazione della biodiversità. Definita dal punto di vista legislativo a livello comu-nitario dal Regolamento Ce 2092/91 e successive integrazioni e modifiche, e a livello nazionale dal DM 220/95 e relative integrazioni, l’agricoltura biologica è l’unica forma di agricoltura controllata da leggi basate su un sistema di controllo uniforme in tutta la Ue. In Italia tale opera di controllo è esercitata da 16 organismi, riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole. In agricoltura biologica è vietato l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi e pesticidi in genere) e alla difesa delle colture si provvede innanzitutto in via preventiva, selezionando specie resistenti alle malattie e intervenendo con tecni-che di coltivazione appropriate. In agricoltura biologica si usano fertilizzanti naturali. Il metodo dell’agricoltura biologica si applica, in maniera regolamentata, in tutte le fasi della filiera agroalimentare, garantendo al consumatore finale il con-trollo in tutte le fasi del processo. I benefici che assicura si ripercuotono fra tutti gli attori della filiera, dall’agricoltore che ha operato abbattendo i rischi per l’ambiente e per la sua salute, al trasformatore che ha conferito al prodotto un valore aggiunto, sino al consumatore che ha acquistato un prodotto sano e rispettoso dell’ambiente.
Tab. 1.78 - I numeri di bio e Gas
Fonte: i dati sul biologico riportati sono riferiti all'anno 2000 e presi dal V censimento generale dell’agricoltura ISTAT (2001), quelli relativi ai Gas (Gruppi di acquisto solidali) sono stati raccolti dal Comune di Roma, ufficio Autopromozione sociale ed attraverso il sito www.retegas.org.
Nel nostro paese il mercato del biologico sta assumendo importanza e cerca di uscire dalla nicchia: siamo al terzo posto nel mondo e al primo posto in Europa per superfici coltivate (il 6,9% della superficie agricola utile). La maggior parte di questa superficie (65,9%) e delle aziende di produzione e trasformazione (65%), è situata nel Centro-Sud con particolare riferimento alle due isole maggiori. Gli operatori in Italia sono oggi 40.965 unità, con una superficie media di 20 ettari l’uno; il numero è in calo dal 2001, ma questo non incide sulla quantità di prodotti che arrivano sulla tavola, in quanto tale diminuzione riguarda principalmente prati e pascoli. Il fatturato alla produzione è di 746,8 milioni di euro, cifra che denota, in relazione al numero di aziende, ancora la necessità di aiuti pubblici per garantire sufficiente redditività a molte di esse. Il mercato nazionale vale complessivamente 1,4 miliardi di euro (3,2% del comparto agricolo) posizionandosi al 4° posto in Europa. Si esportano agrumi, olio, prodotti lattiero-caseari e uova, mentre si impor-tano ortaggi e prodotti zootecnici. Per quanto riguarda i consumi di prodotti bio-logici, questi si attestano quasi al 2% dei consumi alimentari totali, con una spesa media di circa 80 euro annui per famiglia. In Europa siamo al terzo posto come consumi, dietro Germania e Francia, anche se nettamente staccati dai primi. Se si guarda alla ristorazione, inoltre, l’Italia è il paese più avanzato, per potenzialità di diffusione, per la sperimentazione di nuove formule di catering, per il sempre mag-gior numero di mense bio nelle scuole. L’Emilia Romagna, ad esempio, con le sue 119 mense scolastiche e 217.000 pasti giornalieri è la regione che vanta la maggiore vocazione bio. Sono presenti anche 42 ristoranti interamente biologici.
Roma può esibire invece il primato di “città agricola” più grande d’Europa. La Capitale ha infatti un patrimonio di terreno agricolo pari al 40% dell’intero territorio comunale, di cui 183.689 ettari (censimento ISTAT 2001) sono effet-tivamente utilizzati. In questo contesto le aziende agricole attive, 1.900 circa, sono tra le maggiori d’Italia per dimensioni: oltre 200 aziende si sviluppano su 50 ettari, mentre l’occupazione nel settore agricolo viaggia sui 9.000 addetti. Il biologico dunque dimostra un’incidenza sulla superficie agricola utilizzata mediamente più
Modalità
Produttori (numero operatori) 40.965 2.402 242
Superficie agricola utilizzata (Sau) bio in ettari 1.168.212 33.375 12.995
% sau bio su Sau totale in ettari 6,9 4,8 7,1
Gas - Gruppi di acquisto solidali (numero operatori) 222 25 19
Italia Lazio Roma
alta rispetto al resto della regione, pur contando numericamente pochi operatori.
Secondo l’albo regionale degli operatori dell’agricoltura biologica della Regione Lazio (dati 2005) a Roma si possono contare 39 imprese di produzione attive, ovvero che dichiarano di avere sul territorio romano unità di produzione vegetale o zootecnica. La cifra chiaramente sale se si includono anche quelle che non dichia-rano una settore produttivo aperto e molte di più se si considedichia-rano quelle che hanno nel comune di Roma la sola sede legale, ma operano altrove. Sono escluse dal conteggio le aziende in trasformazione o miste.
Le imprese di trasformazione (ristorazione, catering, laboratori artigianali, agriturismi, ecc) presenti nel comune sono invece 42. Lo stesso Comune, dal canto suo, è imprenditore agricolo, con due aziende – Castel di Guido e Tenuta del Cavaliere – che hanno concluso il processo di conversione al biologico dei prodotti agricoli e zootecnici. È nato così il marchio “Bio-Aziende Agricole di Roma”, a garanzia di una produzione di qualità dai numeri particolarmente lusinghieri: nelle aziende comunali si producono annualmente oltre 1.000 quintali di latticini bio-logici e circa 500 quintali di carne di bovino maremmano. Attraverso una ricerca qualitativa condotta su tredici imprese agricole biologiche situate nella provincia di Roma (www.altraeconomiaroma.org) sono stati raccolti dati sulle dimensioni e ten-denze dei produttori bio della Capitale. La dimensione del fatturato è quasi sempre inferiore a 250 mila euro annui. Proiettando il fatturato medio sull’intero universo noto si può ipotizzare un fatturato della produzione pari a 5 milioni e mezzo di euro e circa e circa 200 persone occupate. Le imprese si dividono equamente tra profitto, pareggio e perdita nell’ultimo anno. Le entrate provengono quasi esclusivamente (80%) dalla vendita dei prodotti e secondariamente (10%) da sovvenzioni pub-bliche.
Tra i costi sostenuti la voce principale è il lavoro (quasi 50%) seguita da materie prime (30%). Interessante notare che per queste imprese è alta l’incidenza degli affitti (14%) sulle spese, mettendo in luce una difficoltà a reperire terreni da mettere a bioagricoltura nella provincia di Roma. I clienti sono principalmente consumatori diretti (60%), imprese di mercato (21%) e realtà dell’altra economia (15%) – gruppi di acquisto solidali e aziende di trasformazione del biologico e dell’equo – gli enti pubblici hanno un peso marginale (5%), probabilmente perché le singole imprese non hanno dimensioni sufficienti per affrontare un contratto di fornitura pubblica.
L’85% degli agricoltori si aspetta nei prossimi anni un aumento delle vendite e il 75% pensa di differenziare la gamma di prodotti offerti. Il 77% degli imprenditori ritiene che regolamentazioni favorevoli, infrastrutture e promozione (in ordine di importanza) siano gli interventi più utili da parte degli enti locali per il sostegno del settore. I dati comunali appena descritti mettono in luce aziende biologiche di modeste dimensioni, poco attive nel settore ortofutticolo e che faticano dunque a
trovare sbocchi di mercato. Le mense scolastiche del comune di Roma ad esempio, pur essendo interamente rifornite di prodotti bio, si approvvigionano principalmente da produttori esterni al comune ed alla provincia. Per favorire il mercato locale ed insieme ridurre l’impatto ambientale e gli aumenti di prezzo legati ad imballaggi e trasporti è stata lanciata, dalle associazioni legate al mondo del biologico insieme al comune di Roma, una campagna a favore del “ciclo corto”: ovvero la possibilità di ridurre la distanza tra produttori e consumatori finali, saltando – ove possibile – l’intermediazione della grande distribuzione.
I Gruppi di acquisto solidali (Gas). Uno degli strumenti più efficienti per abbattere i prezzi per i consumatori, l’impatto dei trasporti per l’ambiente, e assi-curare un mercato ai piccoli produttori, sono i gruppi di acquisto solidali. Quando un gruppo di persone decide di incontrarsi per riflettere sui propri consumi e per acquistare prodotti di uso comune, utilizzando come criterio guida i concetti di giu-stizia, equità, salute e basso impatto ambientale, dà vita a un Gruppo di acquisto solidale. I Gas sono di fatto associazioni di consumatori che selezionano i produttori in base a criteri di rispetto del lavoro, inclusione, qualità dei prodotti, salvaguardia dell’ambiente e della riproduzione delle risorse, e poi acquistano collettivamente grandi quantitativi – risparmiando su prezzo unitario – e provvedono autonoma-mente alla distribuzione. Per questo i Gas ad oggi acquistano principalautonoma-mente pro-dotti biologici e biodinamici, del commercio equo e solidale, materiali a basso impatto ambientale e servizi centrati sul rispetto del lavoro e l’inserimento di per-sone a rischio di esclusione. Ad oggi si contano 222 Gas in Italia che raccolgono quasi 2.000 famiglie, a Roma sono 19, anche se tali numeri sono in continua evo-luzione.
1.11.3 La finanza etica
Il movimento della finanza etica nasce come strumento non speculativo di sostegno delle reti sociali e di sviluppo del territorio. In Italia sono operative dalla fine degli anni 70 le Mutue Auto Gestione: cooperative finanziarie che raccolgono risparmio e ridistribuiscono prestito tra i propri soci in modo mutualistico e secondo principi di trasparenza, cooperazione e solidarietà. Nel 1998 è inoltre nata la Banca popolare Etica, che è il primo operatore bancario in Italia ad ispirarsi comple-tamente ai principi della finanza etica ed a finanziare esclusivamente terzo settore ed altra economia. A Roma è presente una filiale della Banca popolare Etica e una nascente Cooperativa Mag Roma.
Tab. 1.79 - I numeri della finanza etica a Roma e nel Lazio
Fonte: www.bancaetica.com, www.magroma.it.
La filiale di Banca Etica ha un giro d’affari annuo di 650 mila euro e ad essa si affianca un gruppo soci che si occupa delle diffusione dei principi della finanza etica sul territorio. Banca Etica ha erogato finanziamenti su Roma per circa 20
La filiale di Banca Etica ha un giro d’affari annuo di 650 mila euro e ad essa si affianca un gruppo soci che si occupa delle diffusione dei principi della finanza etica sul territorio. Banca Etica ha erogato finanziamenti su Roma per circa 20