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Capitolo 4: I tessuti tra Italia e Cina: opportunità e sfide

4.3 Nuove “vie della seta”?

Il rapporto tra Italia e Cina nel campo del tessile e dell’abbigliamento-moda è alquanto complesso e sfaccettato. In “China and Italy: Fast Fashion versus prêt-à-

porter. Towards a New Culture of Fashion”, Simona Segre Reinach classifica le diverse

modalità in cui si presenta tale rapporto, a seconda della quantità di contaminazione e

Ibidem.

283

Fonte: Indagine di SMI (Sistema Moda Italia) “L’e-commerce nel Tessile-Moda: boom o boomerang?”,

284

consultabile online sul sito ufficiale della Federazione SMI: http://www.sistemamodaitalia.com/it/# (ultima consultazione: 30 aprile 2016)

Ibidem.

285

S. S. REINACH, Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, Vol. IV, Orientalismi, cit.,

286

scambio tra le parti. Ad un primo livello, che l’autrice definisce “tradizionale” in 287

quanto è il classico rapporto che si instaura tra un Paese avanzato e un Paese con molta manodopera ma tecnologicamente meno avanzato, vi è un minimo scambio: la Cina sostanzialmente produce materiale grezzo su commissione e lo vende poi all’Italia.

“Prototipo di questa relazione è l’industria della seta. Dal 1860 l’industria della seta italiana è stata in una complessa relazione di collaborazione e competizione con l’industria della seta cinese e dagli anni Trenta del Novecento la Cina è stata il primo fornitore di seta grezza e in seguito di filato da tessere. Le industrie cinesi oggi cercano sia di migliorare la qualità della loro produzione di seta nelle prime fasi della lavorazione - e il modello è ancora l’Italia - sia di aggiungere alcune delle più delicate e complesse, come la tintura e il finissaggio, sia di intraprendere la “via della moda” producendo capi finiti.” 288

Ad un secondo livello, che l’autrice chiama “gioco pericoloso”, il ruolo della Cina si eleva da mero produttore a basso costo di materia greggia a potenziale cliente dei fornitori italiani. E’ il caso della vendita di macchinari tessili italiani, dove le stesse ditte italiane che vendono macchinari tessili alle aziende italiane le vendono al contempo anche ai cinesi. I numeri parlano chiaro: un quinto dell’export di macchinari tessili italiani è rivolto alla Cina. 289

“Se quindi l’Italia, o meglio alcune aziende italiane, vorrebbero tenere i rapporti fermi al primo modello, quello “tradizionale”, il fatto stesso di contribuire al miglioramento tecnologico dell’industria ne inficia la possibilità. Oggi molti macchinari tessili simili per livello qualitativo a quelli importati sono peraltro già prodotti in Cina.” 290

Ad un terzo livello troviamo un modello che l’autrice chiama “melting pot”, in riferimento alla fase della produzione di capi finiti. Infatti a tale livello la contaminazione tra le due parti è elevata e non è possibile individuare un unico trend. Alla base di ciò vi è il modello per cui l’Italia fa produrre o assemblare indumenti di ogni genere in Cina, per poi venderli a livello internazionale. Lo spettro delle possibilità è però molto ampio, e varia da joint venture o WFOE a singoli imprenditori che fungono da terzisti. 291

“I cinesi imparano dagli italiani come si fa un prodotto, ma anche come si “costruisce” un marchio e un’immagine di marca. E da parte

S. S. REINACH, China and Italy: Fast Fashion versus prêt-à-porter. Towards a New Culture of Fashion,

287

in “Fashion Theory”, vol. 9, n. 1, marzo 2005, pp. 43-56.

S. S. REINACH, Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, Vol. IV, Orientalismi, cit.,

288 pp. 153-154. Ivi, p. 155. 289 Ibidem. 290

Wholly Foreign Owned Enterprise, ossia società a capitale e partecipazione interamente straniera,

291

delle ditte cinesi si evidenziano produzioni di tipo parallelo, cioè marchi cinesi che si basano sui prodotti e sull’immagine di quelli italiani.” 292

Infine troviamo un quarto livello, definito dall’autrice “parade”. Tale modello, che è quello della vendita delle grandi marche italiane in Cina e dell’esportazione del lusso e del lifestyle italiano, è opposto concettualmente al primo livello, anche se ugualmente a basso scambio. A questo livello si colloca la celebrazione del Made in Italy, che trova il suo sbocco principale nelle grandi città come Pechino e Shanghai, nonché sui media e sulle nuove riviste di moda cinesi e nei grandi Mall che espongono i più costosi prodotti ad etichetta Made in Italy.

Al di là di questi livelli, troviamo configurazioni articolate e difficilmente categorizzabili che sono frutto dell’influenza della moda globale sulla Cina. Per esempio, a livello di mass market troviamo in Cina fiere (quali la Fashion China Fair di Shanghai), poco considerate dai grandi marchi prêt-à-porter, dove espongono piccole ditte italiane in genere poco conosciute, alla ricerca di clienti cinesi puntando sull’attrattività di un generico Made in Italy, e accanto a loro designer cinesi e asiatici che espongono marchi dai nomi evocativi, di suono italiano (come Florence Italy), spesso registrati in Italia grazie a cinesi residenti e venduti in Cina come Made in Italy. Dall’altro lato troviamo invece una sofisticazione, di cui si è già menzionato, a 293

livello di designer e stilisti cinesi, sempre più riconosciuta anche nel panorama internazionale. Ne è testimonianza l’assurgere di Shanghai a nuova capitale della moda, ma anche il crescente apprezzamento per le creazioni di stilisti cinesi all’estero. Affermava nel 2013 uno dei designer di maggior successo della nuova generazione, Lu Kun, a testimoniare il rapido e profondo cambiamento di atteggiamento nei suoi confronti:

“As a fashion designer I always wear this… kind of crown… on my head, being Chinese. But while when I started attending the shows in New York and Milan people would say, dismissively, “Oh, so you are from China”, and stop paying attention, they now say quite attentively, and want to know more about my designs.” 294

La natura globale del mercato del tessile e dell’abbigliamento-moda impone pertanto nuove e sempre diverse sfide nel rapporto tra Italia e Cina in questo settore: i modelli di relazione sono in continua e rapida trasformazione e riconfigurazione. I

S. S. REINACH, Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, Vol. IV, Orientalismi, cit.,

292

p. 156.

Ivi, pp. 156-157.

293

Intervista a Lu Kun da Armida de la Garza e Peng Ding, What is Chinese Design?, 25 gennaio 2013,

294

tratto da S. BRUZZI, P. CHURCH GIBSON, Fashion Cultures Revisited: Theories, Explorations and

concetti stessi che stanno alla base del vantaggio competitivo italiano, come il concetto di “Made in Italy”, sono sottoposti oggi a una ridefinizione: si discute per esempio se nel tanto conclamato Made in Italy (quel connubio tutto italiano tra design e industria all’origine del “bello e ben fatto” italiano) l’accezione di “made in” debba essere necessariamente geografica, di fronte a un prodotto sempre più transanzionale. Al di 295

là dei dibattiti, ciò che è chiaro è che Italia e Cina stanno attraversando profondi cambiamenti dei loro rapporti commerciali nel settore TA, per coltivare i quali vale la pena di investire:

“La posta in gioco nella relazione tra i due paesi è interessante e ricca di conseguenze: per l’Italia, è la rielaborazione in chiave globale del concetto di made in Italy, l’emancipazione dalla cultura del prêt-à- porter; per la Cina è in gioco l’ingresso nel mondo della moda internazionale come creatore di tessile e moda a pieno titolo, al di là dello stereotipo orientalista.” 296

Oggi come agli albori della storia dell’arte tessile, il tessuto, con il suo carattere intrinsecamente globale, ha costantemente creato occasioni di incontro e di interscambio tra aree diverse del mondo, “intessendo” una rete di rapporti commerciali ma anche culturali che ha in questo straordinario prodotto dell’ingegnosità umana il suo centro. La Via della Seta nel corso della storia ha rappresentato uno dei nodi fondamentali di tale rete: lungo questa via, o più propriamente questo intreccio di vie, si è sviluppato un vero e proprio mercato, tra i cui prodotti, come testimonia il nome stesso, il tessuto gioca un ruolo primario. Molto si è dibattuto sul possibile ritorno in auge di una moderna Via della Seta, spesso intesa metaforicamente come un revival dell’interscambio culturale e commerciale che caratterizzava la Via della Seta dei tempi antichi. Dalle iniziative di promozione dell’UNESCO che mirano a rivalorizzare le Vie della Seta come modello storico di movimento, incontro e interrelazione, “autostrade di cultura e commercio” (“highways of culture and commerce”) , alla nuova strategia e 297

agenda politica lanciata da Xi Jinping nel settembre-ottobre 2013 nota come “

”, la ricostruzione di Vie della Seta, sono in molti a guardare a questo esempio 298

storico come potenziale modello delle relazioni eurasiatiche nel presente e nel futuro.

S. S. REINACH, Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, Vol. IV, Orientalismi, cit.,

295

p. 157. Ivi, p. 153.

296

V. ELISSEEFF, The Silk Roads: Highways of Culture and Commerce, cit., p. XIII.

297

” (yidai yilu) “One Belt, One Road” è l’agenda politica cosiddetta “delle Vie della Seta” lanciata

298

da Xi Jinping a settembre-ottobre 2013. Tale strategia prevede il rafforzamento dei legami della Cina con i Paesi dell’Eurasia storicamente attraversati dalla Via della Seta, sotto due aspetti: “hard” (costruzione di infrastrutture dai trasporti alle free trade zone) e “soft” (iniziative diplomatiche, politiche socio-economiche di promozione commerciale e culturale). Fonte: D. SINGH, Southeast Asian Affairs 2015, 2015 Institute of Southeast Asian Studies, pp. 30, 31.

Anche nel mercato dei tessuti e dell’abbigliamento si auspica che i due poli estremi dell’antica Via della Seta, ossia la Cina e le sponde del Mediterraneo, riportino in auge il sapiente scambio di merci e prodotti tessili ripercorrendo questi itinerari, lungo nuove e moderne “vie della seta”. In tal senso, le nuove “vie della seta” divengono metafora di nuove forme di relazione commerciale e culturale, dove le eccellenze tessili possano trovare sbocchi in mercati lontani. In un mondo dove le distanze geografiche sono pressoché annullate, tali “vie”, più che vie fisiche, sono vie relazionali, indicano cioè la necessità di riformulare continuamente il rapporto con l’interlocutore in modo sempre attuale. La possibilità che si aprano “nuove vie della seta” per il tessile tra Italia e Cina dipendono dalla disponibilità degli attori del settore tessile-abbigliamento italiano e cinese a mettersi costantemente in gioco in questa relazione tanto commerciale quanto culturale, cogliendo le opportunità e le sfide che questo entusiasmante mercato offre. Ciò che ci accingiamo a fare nella terza ed ultima parte di questa ricerca si colloca precisamente in quest’ottica: come punto di partenza per la costruzione di queste “nuove vie della seta”, intendiamo partire dalla base di ogni relazione, la comunicazione, che trova nella lingua il suo strumento fondamentale. Stileremo pertanto una “via della seta linguistica”, un ponte tra il tessile italiano e cinese, come base per la costruzione di una solida e sempre attuale relazione commerciale (ma non solo) tra il tessile italiano e cinese.

Terza parte

Una “via della seta linguistica”: